Dal dentista per diventare belli

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Mer 2 Luglio 2008
23/11/2007
Dal dentista per diventare belli
E il modello rimane quello mediterraneo
Una bocca piena e trasgressiva come quella di Francesca Neri o di Monica Bellucci, zigomi alti e nasino
delicato, meglio se all'insù, come quelli di Audrey Tautou e Juliette Binoche, bellezze francesi un po'
impertinenti, volto allungato e ampio sorriso come per la bellissima Maria Grazia Cucinotta. E per gli
uomini? Vince la mandibola importante come quella dell'italianissimo Walter Nudo. La bellezza si misura
allo specchio, così labbra carnose e prospicienti, fronte alta, zigomi pronunciati ma volto allungato, sono i
nuovi canoni dell'attrattività e segnano una vittoria netta: quella del modello della 'bellezza mediterranea'
rispetto ai più lineari profili del fascino nordico. Il verdetto arriva da una ricerca, la prima nel suo genere,
commissionata dalla Società italiana di ortodonzia (Sido) e realizzata dall'Università di Milano e
dall'Università Cattolica di Roma.
Nello studio è stato esaminato un campione di circa 1500 italiani, donne, uomini, adolescenti e anche
bambini, finalisti e vincitori di concorsi di bellezza maschili e femminili, già sottoposti a selezione da parte di
giurie. Insomma, una sorta di data-base di persone definite 'attraenti'. Ebbene, si è visto che la maggioranza
dei finalisti e vincitori dei concorsi rispondeva appunto ai canoni della bellezza mediterranea, con
caratteristiche precise. Proporzioni facciali a cui, d'ora in poi, tutti possono aspirare. Senza bisturi o interventi
chirurgici, botox o creme miracolose.
A dare speranza a tutti i "brutti" arriva infatti un settore le cui potenzialità nel campo estetico sono rimaste
finora del tutto inesplorate: l'ortodonzia. Nello studio del dentista, e più esattamente nelle mani
dell'ortodonzista, non solo per carie e denti storti quindi ma, da oggi, per diventare 'belli' e più attraenti,
rispondendo ai canoni della tipica bellezza mediterranea che si afferma vincente.
Ortodonzia batte insomma chirurgia estetica. E'quanto promettono gli esperti. L'ortodonzia si prepara cioè ad
una svolta, cambia look e si rinnova: l'obiettivo è quello di coniugare finalità mediche ed estetiche, valutando
le caratteristiche di ogni singolo viso e cercando di ottemperare ai nuovi canoni di bellezza. In altri termini,
spiega il presidente della Società italiana di ortodonzia (Sido) Alberto Laino, "vogliamo rispondere alla
domanda crescente dei nostri pazienti di interventi di tipo estetico, ma nella sicurezza e tutelando la salute e
funzionalità fisica''. Un obiettivo del tutto raggiungibile, dal momento che l'ortodonzia, intervenendo sulla
struttura scheletrica e muscolare e modellando la posizione dei denti, è appunto in grado di influire anche
sulla complessiva armoniosità del viso, 'modificando' ad esempio zigomi, labbra e dimensioni del volto. Il
tutto senza bisturi. E senza silicone, simbolo di bellezze omologate e 'sempre uguali'.
La premessa, precisa il direttore della Scuola di Ortognatodonzia della Cattolica Roberto Deli, è "valorizzare
la bellezza soggettiva dicendo 'no' a modelli standardizzati".
Per questo si eseguono esami preliminari in 3d dei volumi facciali, esaminando le caratteristiche scheletriche
del singolo per un intervento ottimale. Poi, via alla 'trasformazione'. Le labbra ad esempio: per renderle più
carnose e sporgenti, invece del silicone, si stimolano i denti ad 'avanzare' in modo che
facciano da supporto rendendo il labbro più evidente in modo naturale. Ciò utilizzando apparecchi fissi o
mobili per un periodo variabile (1-2 anni). E con gli stessi apparecchi, intervenendo su denti posteriori e
muscolatura, si ottengono un allungamento del viso, sorriso più largo, più intense espressioni facciali e
mandibola 'imponente'. Insomma, gli interventi vengono modulati perché l'ortodonzia si coniughi con
l'estetica, e medicina e bellezza diventano 'alleate'. La bellezza cioè, questa è l'allettante promessa, sarà
presto più a portata di mano. Anche perché, è la parola degli specialisti, i costi si preannunciano inferiori
rispetto alle tradizionali operazioni plastiche. Particolare davvero non trascurabile.
Parallelamente, in tema di bellezza, uno studio italiano firmato dal papà dei neuroni dell'empatia (neuroni
specchio), Giacomo Rizzolatti, direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell'Università di Parma,
pubblicato sulla rivista PLoS ONE, ha messo in evidenza come il senso del bello cresca biologicamente
dentro di noi. Forse, spiega la ricerca, il genio di artisti antichi e moderni sta proprio nel saper
inconsciamente riportare nelle proprie opere quei valori e parametri intrinseci che corrispondono alla
bellezza oggettiva per il nostro cervello.
Esistono insomma due modi di percepire il bello che possono convivere nel nostro cervello: uno oggettivo,
dettato da strutture intrinseche e biologiche che
coinvolge nel cervello centri della corteccia e l'insula; uno soggettivo, condizionato da cultura, ambiente,
mode, relazioni sociali che sembra in qualche modo nascere invece dall'amigdala, il centro che si attiva
quando richiamiamo informazioni personali e stati emotivi legati alla nostra esperienza
individuale.
Questo studio, ha spiegato Cinzia Di Dio tra gli autori, comincia a far breccia in un territorio, quello della
neuroestetica, ancora praticamente vergine e inesplorato anche per le ostilità di quanti sostengono che il
senso dell'arte e della bellezza sia solo soggettivo.
Per scoprire che ci sono due tipi di 'bello', ha spiegato Rizzolatti, si è analizzato con la risonanza il cervello di
un gruppo di studenti mentre venivano mostrati loro autentici capolavori d'arte, dal Discobolo di Mirone al
David di Michelangelo, e 'copie' solo lievemente ritoccate nelle proporzioni. Nella prima parte dello studio ai
volontari veniva chiesto di limitarsi ad osservarle semplicemente come fossero in visita a un museo, nella
seconda di dare un giudizio estetico e uno basato sulle proporzioni. Va sottolineato che le immagini ritoccate
lo erano solo in modo lievissimo e quasi impercettibile (tant'e' che gli studenti, non esperti di arte, da soli
difficilmente se ne accorgevano), ma comunque perdono la cosiddetta 'proporzione aurea' degli originali.
Quando i ragazzi dovevano limitarsi a godere della vista di quelle opere d'arte, ha raccontato Rizzolatti, e
quindi il cervello era totalmente privo di vincoli e reagiva con la massima spontaneita' agli stimoli visivi, di
fronte alle opere autentiche si accendevano marcatamente di più l'insula ed aree corticali, segno che il
cervello reagisce spontaneamente 'in modo più vivo' alla bellezza autentica e rispettosa della proporzione
aurea. "Questo significa che quando vediamo opere d'arte c'è qualcosa che scatta dentro il cervello, un
substrato oggettivo, una base neurale del bello.
Nel secondo esperimento, quello del giudizio estetico, le cose cambiano: di fronte alle statue più apprezzate,
nel cervello si attiva l'amigdala destra, regione che richiama esperienze personali, (si accende per esempio
quando associamo qualcosa a una nostra esperienza passata), segno che, chiamati a giudicare la bellezza,
i volontari si fanno influenzare da altro. Questo dà il bello soggettivo, dettato da gusti ed esperienze
personali, nonché influenzato dalla cultura.
Questo studio dà quindi una prima dimostrazione che ci sono due tipi di bello, conclude Rizzolatti, uno che fa
risuonare strutture biologicamente dentro di noi, corde che evidentemente artisti riescono a pizzicare in
modo magistrale, l'altro che invece è alimentato dal nostro vissuto personale e da fattori esterni.
Medicina al servizio della bellezza