Fare Vela - Simone Gesi

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Fare Vela - Simone Gesi
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FOTO GARENNE
oceano/Mini Transat
La carica dei 650
Su 84 solitari, ben 9 italiani. Siamo andati a La Rochelle a scoprire protagonisti e novità tecniche
di CHRISTOPHE JULLIAND
U
na storia lunga trent’anni. Sempre la stessa ma sempre diversa.
Storia di uomini, di donne anche, e di oceano. A unirli, delle
piccole barche lunghe appena cm. 650. Alcune sono prototipi,
altre di serie. Le prime sono le barche più potenti in circolazione: 800
chili armate, tutto carbonio, chiglia basculante e water ballast. Le
seconde, più semplici, non hanno carbonio a bordo, chiglie fisse,
pescaggio limitato (160 centimetri, invece di due metri) e non possono avere ballast. Ma l’essenza è la stessa: una barca minimalista per le
dimensioni ma grande per le doti, capaci di macinare “facilmente” 200
miglia in 24 ore. Il record di percorrenza sulla prima tappa tra i prototipi è del francese Bertrand Delesne: la bellezza di 273 miglia. Sono
appena venti di meno tra i serie, un tempo firmato da Superman Lobato, giovane e promettente skipper portoghese, secondo overall e grande vincitore della prima tappa tra i serie.
Poi sul Mini sei da solo, davvero solo. “La più solitaria delle transat”
come scritto nella home page del sito della regata e mai slogan è stato
più azzeccato. Su un Mini non hai altri mezzi di comunicazione che
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il VHF, uno fisso e uno portatile. Con questo devi partecipare “all’appello”. Ovvero, ogni giorno le barche che seguono la regata chiamano
sul Canale 72 e chiedono la posizione di ciascuno. Si organizzano ponti tra concorrenti e barche seguitrici ma, ovviamente, se ti trovi lontano da tutti, non senti nessuno. Ti rimane il ricevitore BLU per prendere il bolletino meteo e, una volta al giorno, la classifica data in una
trasmissione speciale ma solo con distanze all’arrivo, non con le posizioni geografiche. Dove ti trovi lo sai, perché comunque hai diritto a
un GPS, però non cartografico. Dove sono gli altri invece è una
domanda che ci si pone spesso. Per questo, come dice Andrea Caracci,
non hai altra scelta che dare il massimo, sempre e ovunque. Dare il
massimo può significare anche sapere temporeggiare, alzare il piede
quando serve e non superare i propri limiti.
Che sia prototipo o barca di serie, la vita su un Mini è più che spartana: pochissimi spazi a disposizione sottocoperta, ambiente bagnatissimo in pozzetto. Mangiare si limita per molti a riscaldare un po’ d’acqua per condire qualche piatto liofilizzato. Poi si va avanti a barre ener-
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getiche, frutta secca e altro cibo calorico e facilmente ingeribile. In
una prova di endurance come la Transat la dieta non è un aspetto da
sottovalutare, anzi. Ogni skipper si inventa la sua, in funzione dei propri gusti e metabolismo. Stesso discorso per il sonno: ci si prepara, ci si
allena per trovare il proprio ritmo. Ma, recidivi a parte, quello che lo
scorso 3 ottobre hanno iniziato a vivere gli 83 skipper, partiti per la
seconda tappa, è un incognita: tre, quattro settimane in mare da soli su
queste barche. La seconda tappa della Transat 650 da Funchal a Salvador De Bahia in Brasile: 3.100 miglia di oceano con l’Equatore e i
Dolldrums in mezzo. Difficile da dirsi, ma la prima tappa lunga “solo”
1.100 miglia e durata una settimana corta per i primi (6 giorni), più
lunga per gli ultimi (8 giorni), era solo un antipasto. Lo dicono tutti, lo
sanno: la vera Transat inizia da Funchal. Riccardo Apolloni, ottimo
quarto a meno di un minuto del terzo nella categoria serie, faceva
notare: per la seconda tappa anche se chiedi un routage elaborato da
un professionista (come ha fatto il gruppo Italia per la prima tappa), sei
a posto per i primi quattro giorni. Se ti va bene arrivi all’altezza di
Capo Verde senza esserti chiesto dove dovevi andare, ma dopo rimangono altre 2.000 miglia fino all’arrivo e sempre le difficoltà legate al
passaggio dell’Equatore. In questo la Mini Transat non cambia. Prima
ancora di essere il laboratorio d’idee per le barche o l’anticamera dei
futuri professionisti, è un’avventura umana fuori dal comune. Una sfida con se stessi, prima che con gli altri concorrenti. Prima arrivarci.
Per ogni concorrente essere alla partenza a La Rochelle significa aver
portato a termine anni di lavori e sacrifici. Ricordiamo l’iter di qualificazione particolarmente esigente richiesto dalla classe: 1.000 miglia
accumulate in regata, più un percorso di 1.000 miglia in solitario. In
media due anni di tempo. Probabilmente questo aspetto umano, associato al livello di preparazione sempre più alto e all’aspetto agonistico,
spiega il successo della Transat. Iniziata come una provocazione contro
il gigantismo in vigore nella vela oceanica della fine Anni ‘70, la classe
Mini si è strutturata e ha guadagnato autorevolezza col passare degli
anni. Attrae sempre più sponsor e il sostegno di istituzioni locali. Vi si
cimentano skipper dalle origini più svariate. Ci sono professionisti
totali che in un anno preTransat passano 300 giorni sull’acqua e altri
puri dilettanti che preparano la loro su 4, 5 o più anni. È diventata la
più internazionale delle classi oceaniche. Dopo il calo dei primi Anni
2000, l’Italia è quest’anno il secondo paese rappresentato con nove
skipper di buona qualità. Eravamo a La Rochelle per salutarli e ora siamo con loro fino all’arrvio previsto a partire dal 20 ottobre.
Per seguire la regata www.transat650.org, i commenti di Stefano Paltrinieri su
www.classemini.it e il nostro www.farevela.net.
Ecco come è andata la prima tappa dei nove italiani partecipanti alla
Transat 650. Nella foto da sinistra:
- Luca Del Zozzo, di Cervia, 42 anni, su Corradi Ita 686, Pogo 2. Fa
un’ottima partenza e entra subito nel match, esce quarto del gruppo
dopo la prima notte poi mantiene il ritmo e rimane nei primi dieci
finché dei problemi con la pila a combustibile lo privano di energia,
quindi di autopilota. www.corradi.eu
- Luca Tosi, veneziano, 24 anni, su Golden Apple of the Sun Ita 507,
Pogo 2. Un po’ di ritardo nella preparazione in particolare sui piloti
lo penalizza nella prima tappa che conclude al 25mo posto su 48 tra
le serie. www.lucatosi.it
- Simone Gesi, maremanno, 40 anni, su Dagadà Ita 704, Tip Top di
serie. Ha avuto l’ok definitivo dall’organizzazione una settimana soltanto prima della partenza. Ha trovato le risorse per
fare quasi tutta la prima tappa senza pilota. Conclude ultimo a 8 ore dallo scadere del tempo limite, dopo una fatica e uno
stress difficilmente immaginabili. Tutta Funchal lo accoglie e lo assiste come una famiglia di marinai. www.simonegesi.com
- Gaetano Mura, sardo, 39 anni, su Grf 91 Ita 437, prototipo Fiorenzi. Marinaio nell’anima ha lavorato come skipper, anche sui pescherecci.
Matura questo progetto da anni, prima ancora della costruzione della sua barca nel 2004, scafo che ha costruito con le sue mani e che conosce come le sue tasche. Finisce la prima tappa al 27mo su 35 classificati nella categoria prototipi www.gaetanomura.com
- Andrea Caracci, 38 anni, su Speedy Maltese Ita 756, prototipo Manuard. Terza partecipazione consecutiva. Un’onda ha rovinato le sue speranze: pannelli solari strappati, ma sopratutto timoni daneggiati. Per lui la settimana a Funchal è stato un importante cantiere per rimettere
a posto la barca e attaccare la seconda tappa nelle condizioni giuste per andare a cercare il risultato che merita. www.andreacaracci.it
- Daniela Klein, di Torino, 41 anni, su Tacchificio Monti Ita 538, Pogo 2. Insieme a Caracci naviga sotto il colori dello Yacht Club Italiano. Dopo
un inizio difficile e una collisione in partenza, qualche problema di drizza la costringe a salire in testa d’albero dopo Finisterre. Finisce la prima tappa al 24mo posto dopo una bella rimonta nelle ultime 300 miglia. www.danielaklein.it
- Giancarlo Pedote, fiorentino, 34 anni, su Prysmian Ita 626, Pogo 2. Dopo una partenza prudente, sale in cattedra negli ultimi giorni e finisce, dopo una rimonta spettacolare, che si è inventato andando a cercare il nuovo vento e Est di Madera. Alla fine un bel quinto posto in
classifica tra i serie, che alza il morale. La motivazione è alle stelle per la seconda tappa. www.giancarlopedote.it
- Andrea Rossi, svizzero di Lugano, 29 anni, su Casinò Lugano Ita 544, Ginto di serie. Anche lui ha avuto problemi di pilota automatico, conclude la prima tappa al 39mo posto. www.jrata.ch
- Riccardo Apolloni, nella foto piccola, napoletano, 43 anni, su Ma Vie Pour Mapei Ita 426, Pogo 2. Sempre nel gruppo di testa per tutta la
prima tappa, finisce quarto a 57” del terzo e a 14 minuti del secondo, ma i conti definitivi si faranno a Bahia. www.iomibarcameno.it
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FOTO TAYLOR
Italiani in Atlantico
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FOTO JUALLIAND
FOTO TOGNOZZI
FOTO JUALLIAND
FOTO JUALLIAND
Doveva rimanere senza nome perché “non si deve aver sentimenti per una barca da regata”. Parole di Andrea Caracci, skipper, ingegnere, ormai costruttore e alla sua terza partecipazione consecutiva nella Mini. Ma poi, Ita 756 è stato battezzato Speedy Maltese, un
modo per ricordare sia il precedente prototipo di Caracci, Speedy Bonsai, sia il Cantiere
Maltese dove lo skipper aiutato dallo staff diretto
da Vittorio Landolfi e da Michelle Miegge ha laminato la barca. Ita 756 è un progetto di Sam
Manuard. Come gli altri prototipi del francese (tra
cui il vincitore della prima tappa), la barca presenta
fiancate quasi verticali e uno spigolo vivo destinato
ad aumentare la stabilità dinamica. Rispetto alle
generazioni precedenti le appendici (timoni e daggerboard si sono allungate) e si è guadagnato qualche etto sulla costruzione di scafo e coperta (ovviamente in nomex e carbonio). Ma la vera innovazione di Speedy Maltese è il suo albero. Fin’ora la scelta dell’armo per un proto era tra albero convenzionale con crocette acquartierate, o albero alare
rotante (più pesante ma con rendimento migliore).
Caracci si è inventato una terza via, un’evoluzione
del Millenium Rig usato in Coppa America. Sono
almeno due i vantaggi di questa soluzione. Il primo
è il peso. La tenuta dell’albero con rombo permette
di diminuire la sezione, quindi il peso. Più risparmi
sull’albero, tanto puoi appesantire il bulbo. Il secondo è la possibilità di inclinare l’albero in avanti o
indietro fino a 30° di escursione. A sua volta, questo
permette di spostare il centro del piano velico su Planate per Ita 756 in allenamento, notate lo spi con mano
richiesta, riprendendo volanti e strallo dal pozzetto di terzaroli. I timoni alzabili e le daggerboard dal profilo
per avere una barca sempre neutra al timone. Il varo asimmetrico. All’interno, qui a barca vuota, la cassa della
in ritardo, lo ha costretto a presentarsi senza aver canting keel occupa tanto spazio. Il pozzetto con la rotaia
provato questo albero nel vento forte, temendo le circolare per scotta randa e vang. L’albero di Speedy Maltese, pura invenzione dell’ingegnere Caracci, è un evolucondizioni meteo toste della prima tappa. Invece
l’albero ha retto, la rottura però è arrivata lo stesso, zione del Millenium Rig: un solo ordine di crocette acquartierate molto alte e un rombo per la tenuta laterale
ma dei timoni... Dura legge dell’oceano.
FOTO JUALLIAND
Ita 756: un proto sotto la lente
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FOTO JUALLIAND
FOTO JUALLIAND
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Dieci Pogo 2 nei dieci primi posti alla fine della prima tappa: quest’anno ancora si conferma il dominio
assoluto nella categoria Serie del Mini progettato
dal Gruppo Finot e costruito da Structures. Poche
evoluzioni rispetto al progetto originale del 2002, la
principale è il passaggio a una laminazione per infusione. Per il resto il Pogo 2, e questa è la sua grande
forza, è una barca base, per non dire basilare, ovviamente al massimo delle dimensioni autorizzate dal
regolamento di serie. Sulla tuga un unico winch e
cinque stopper per gestire drizze, borose e altre
manovre, più due strozzatori per il vang sdoppiato.
Altri due winch sui lati del pozzetto per le scotte del
genoa o dello spi. E basta. Ogni skipper ha il diritto
di modificare alcune manovre purché rispetti i divieti e i limiti del regolamento. Sulle barche più preparate, le migliorie riguardano l’aggiunta di paranchi supplementari per scotta randa e volanti. Per queste ultime la regolazione di fino è rinviata accanto alle sedute
laterali. Alcuni Pogo hanno modificato il circuito di scotta randa, montando una torretta
con strozzatore al centro del pozzetto invece del semplice paranco in diretta dalla rotaia
al boma. I favorevoli a questa soluzione dicono che si ottimizza così la lunghezza della
scotta, che risulta così più accessibile anche dall’interno. Per la regolazione della vela di
prua, tutti o quasi hanno montato in falchetta, all’altezza della rotaia del genoa, un bozzello scorrevole lungo una cima. Serve per montare un barber hauler esterno e passarvi
una seconda scotta del genoa (la “short sheet line”) che permette di aprire la balumina
della vela in alto. Poiché l’ergonomia generale del pozzetto è minimalista, molti hanno
montato un puntapiedi in tubolari regolabile alla distanza giusta. Per migliorare il comfort, chi incolla cuscini sulle sedute laterali, chi monta schienali nelle draglie. Non avendo
né canting keel, né ballast, il volume abitabile di un Mini di serie è di gran lunga superiore a quello di un prototipo. Sul Pogo 2, tre zone sono riempite di schiuma per garantire l’inaffondabilità: un triangolo a prua e due zone sui lati sotto il pozzetto. Nel tunnel
centrale sotto il pozzetto si trova una gavone per le batterie di bordo e c’è spazio per
legarvi la pila a combustibile o il gruppo elettrogeno, ma deve rimanere libero l’accesso
alla via d’uscita di emergenza (osteriggio sullo specchio di poppa). Il resto è vuoto, con
strutture a vista (niente paglioli) e l’albero passante in mezzo. Molti hanno montato
mensole sulle murate per semplificare lo spostamento dei pesi a secondo dell’andatura.
FOTO TAYLOR
Serie: la garanzia Pogo2
Corradi Ita 686, il Pogo 2 dello skipper Luca Del Zozzo in allenamento. Si nota a prua la forca che permette di fare girare il
bompresso dal pozzetto. Il piano velico è potente con randa
allunata (alcune sono ancora più square top). Essendo limitato
a 8 il numero di vele, si tende ad avere un’unica vela inferita,
solitamente un solent con una o due mani di terzaroli. Si possono così imbarcare più vele da lasco. Negli interni, mensole
sui lati e teli anti rollio per sistemare i pesi. Il pozzetto semplice del Pogo 2: le due barre del timone sono collegate tra loro e
passano sotto la rotaia della scotta randa a estrema poppa
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