Il viaggio in Italia
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Il viaggio in Italia
IL VIAGGIO IN ITALIA, J.J.WINCKELMANN E LA CULTURA NEOCLASSICA La tradizione del “Grand Tour”, il viaggio che porta attraverso l’Europa i giovani aristocratici europei, prende piede nel Settecento, e si mantiene, sia pure in forme diverse, fino al primo Novecento; prima di allora, viaggiare per “turismo”, per godere cioè delle bellezze artistiche e naturali dei paesi attraversati, non è quasi concepibile: il viaggio, con tutti i disagi e i pericoli che comporta all’epoca, deve avere una motivazione più “seria”, sia essa il commercio, la missione diplomatica, il pellegrinaggio religioso o di altro genere (sappiamo che Michel de Montaigne, il letterato francese che ci lascerà la prima, straordinaria, testimonianza di “Viaggio in Italia”, partì , nel 1580, con la speranza di riuscire a curare i suoi dolorosi disturbi renali alle rinomate fonti termali toscane). Ciò non toglie che i viaggiatori appartenenti alle classi più colte prendessero volentieri l’occasione di visitare città e siti di importanza storica, di osservare i capolavori dei grandi maestri e magari di conoscere le personalità più importanti delle città’ attraversate; ma lo scopo del viaggio non era questo. Il “Grand Tour” invece, nasce proprio con lo scopo preciso di completare e arricchire la cultura, ponendosi come ultima tappa di un percorso educativo, come possibilità di “vivere” le nozioni studiate, di conoscere dal vivo la realtà della cultura: e in quest'ottica, è perfettamente chiaro perché questa istituzione prenda vita proprio nel Settecento, e perché l’Italia ne sia una tappa fondamentale. L’Illuminismo ha posto al centro dell’attenzione la conoscenza, non solo come visione enciclopedica della realtà, che va esplorata in tutti i suoi aspetti, ma anche come ordinamento razionale delle innumerevoli cose del mondo: e per questi viaggiatori “illuminati” l’Italia rappresenta l’origine di una cultura comune, la culla di una civiltà che ha elaborato valori universali, sia sul piano storico e legislativo (l’impero romano), sia su quello artistico (il Rinascimento). Il Grand Tour, che all’inizio del Settecento toccava, in maniera abbastanza uniforme, i vari stati europei (Germania, Fiandre, Francia…..) diventa sempre più, dalla metà del secolo, un viaggio in Italia, e alle tappe più consuete di Venezia, Firenze, Genova, Roma, si aggiunge sempre più spesso Napoli, e il sud , la Sicilia, la vagheggiata Magna Grecia (è quasi inaccessibile, all’epoca, la Grecia vera, in mano ai Turchi). Alla curiosità verso l’esotico, che spingeva i primi viaggiatori a procurarsi un souvenir (e aveva dato vita alla fiorente scuola vedutista del primo Settecento, di cui Canaletto è forse l’esponente più noto), si sostituisce un desiderio di comprendere, di immedesimarsi, di far rivivere quei valori su cui l’antica civiltà si è fondata, su cui l’Europa nascente si riconosce: Roma è la patria ideale , in cui il viaggiatore , l’artista, lo scrittore, possono recuperare le tracce del passato e progettare i modelli del futuro. L’Italia comincia a diventare quella terra di musei e di siti archeologici che è tuttora, almeno nell’immaginario collettivo; pur avendo precedenti in altre epoche, infatti, nel Settecento l’interesse per l’antico si caricò di tensioni e significati completamente nuovi; le scoperte archeologiche, stimolate da sovrani e papi (magari alla ricerca di tesori, ma più spesso partecipi della nuova cultura illuministica) culminarono nella sorprendente “risurrezione” di Ercolano e Pompei, che assunse un valore simbolico a livello europeo; parallelamente, si riscopriva l’architettura romana a Roma e nelle “Provincie”, da Nimès a Spalato, si raccoglievano e ordinavano reperti, si pubblicavano libri di catalogazione e diffusione delle opere, divulgati a livelli internazionali, fioriva il collezionismo, si aprivano al pubblico i musei, che, secondo le nuove teorie filosofiche non erano più da considerarsi spazi privati, “sollazzo dei principi”, ma mezzo di elevazione culturale e morale aperto a tutti. Roma, divenuta polo di attrazione di questa “febbre dell’antico”, è il referente primo di una nuova cultura cosmopolita: le comunità straniere, e il movimento di viaggiatori, artisti, studiosi, antiquari, sono ormai parte integrante di questa nuova realtà. In questo contesto si colloca la figura di J.J.Winckelmann, il teorico della nuova corrente artistica del Neoclassicismo: boemo, arriva a Roma nel 1755 come curatore delle collezioni d’arte antica del cardinale Albani, collocate nella Villa appositamente costruita sulla via Salaria. Villa Albani è un luogo mitico nella storia dell’arte, non solo perché diventa il punto d’incontro e di dibattito di tutti i giovani (e meno giovani) intellettuali europei, da Mengs a Lessing a Canova, non solo perché qui nasce la Storia dell’Arte come disciplina autonoma (con il fondamentale testo di J.J.W. “Storia dell’arte presso gli antichi”, del 1764, in cui per la prima volta si mette in relazione l’opera d’arte con il contesto storico-sociale che l’ha prodotta), ma perché qui Winckelmann, studiando e meditando sulle opere, mette a punto i principi base del Neoclassicismo, lo stile che dominerà il secondo Settecento e il primo Ottocento, e unificherà l’Europa (e le colonie americane) sotto il segno della nuova cultura. L’antico, vissuto fino allora in una proiezione fantastica, liberamente manipolato dagli artisti, esaltato o mitizzato dall’immaginazione degli intellettuali, viene da Winckelmann esplicitamente individuato come modello, ormai indagato e conosciuto dalla storia, da riversare al futuro in funzione di un rinnovamento estetico ed etico: l’arte, secondo i teorici neoclassici, deve assumere valore educativo, coinvolgendo il pubblico sul piano dei valori estetici, come la ricerca di armonia, semplicità e purezza di linee (contrapposta alle ridondanze e al virtuosismo barocco), ma anche sul piano dei valori etici (la democrazia, lo spirito di servizio, l’amor di patria). Il banco di prova dei principi neoclassici, in questo senso, fu soprattutto l’architettura: dalla Rivoluzione Francese in poi, gli architetti neoclassici propongono un rinnovamento totale della città, in senso razionalista e funzionalistico: abolizione degli apparati decorativi, impostazione razionale degli edifici , attenzione allo schema urbanistico e agli edifici di servizio pubblico necessari alla vita moderna, per cui si chiede la stessa dignità dei grandi edifici del passato (scuole, ospedali, mercati, perfino mattatoi e barriere daziarie assumono forma monumentale, senza rinunciare alla funzionalità) . I “repertori” di edifici pubblicati dagli architetti neoclassici, i piani urbanistici di ristrutturazione, insieme alle realizzazioni effettuate, del tutto o in parte, mostrano questa uniformità di impostazione, che riprende i canoni base dell’architettura greco-romana applicandoli alle nuove città, indipendentemente dalle tradizioni, dalla individualità locale. Dalla Parigi napoleonica alla Vienna asburgica , da Berlino a S.Pietroburgo (la nuova capitale costruita da Pietro il Grande per avvicinare all’Europa il troppo “bizantino” impero russo), dalla Napoli di Carlo III alla Parma di Maria Luigia ( e del suo architetto E.A.Petitot), il Neoclassico si pone come lo stile della modernità, e nello stesso tempo, come espressione del potere, quello delle nuove monarchie illuminate. Bibliografia P.Adorno : L’arte italiana – ed. D’Anna – vol. 3, tomo 1° Bertelli-Briganti : Storia dell’arte italiana -- Bruno Mondadori – vol. 4 Cottino-Dantini-Guastalla : Quintetto d’arte – ed. Archimede – vol. 4 AA.VV: Parma - ed. Cassa di Risparmio.