Grozny, attacco al Parlamento

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Grozny, attacco al Parlamento
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Grozny, attacco al Parlamento
Inviato da Lucia Sgueglia da "Lettera 22"
mercoledì 20 ottobre 2010
Ultimo aggiornamento sabato 30 ottobre 2010
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I
ribelli sono tornati a Grozny. Un attacco in pieno centro, di
mattina, contro un palazzo del potere, il parlamento di Cecenia. Non
succedeva da anni, non in questa misura, anche se attentati,
esplosioni e scontri a fuoco nel Caucaso russo non si sono mai
fermati, e da gennaio sono invece ripresi con intensità quasi
quotidiana. Ore 8.45 a Grozny, inizia la giornata lavorativa, e un
commando di guerriglieri armati (da 3 a 6, le fonti divergono) si
mescola alle auto blu dei deputati che affluiscono all’Assemblea, a
bordo di una identica auto blu. Dentro, poco dopo, dovevano arrivare
due ospiti speciali. Uno dei guerriglieri, pare, si fa esplodere
all’ingresso, l’altro dentro l’edificio al quarto piano. Poi il
blitz delle teste di cuoio. In soli 20 minuti è finita. Morti tutti
i guerriglieri, più, sembra, due poliziotti e un guardiano; 17 i
feriti. Un testimone racconta a Radio Liberty: “C'è stata una vera
battaglia. Hanno sparato con armi automatiche, granate con
propulsione a razzo. Poi siamo stati evacuati da una finestra del
seminterrato, e sono arrivati poliziotti, soldati, veicoli corazzati
per trasporto truppe”.
Un’ora
dopo, il parlamento riprende i lavori. Come nulla fosse. In aula c’è
Ramzan Kadyrov, il leader ceceno che poco prima, armi in pugno, si è
messo alla testa del blitz. Come fosse normale. Minimizza: “attacco
fallito”. Con lui il ministro degli interni russo, Rashid
Nurgaliev, in visita a Grozny. Anche lui un bersaglio ideale: ai suoi
uomini è affidata la lotta al terrorismo nella regione, condotta
senza guardare troppo per il sottile, e ai diritti umani. Loda
l’operazione, ma precisa: “E’ un fatto raro per la Cecenia, in
via di stabilizzazione”. Poi: “Non permetteremo a nessuno di
venire da noi con una spada. Devono sapere che moriranno di spada”.
Kadyrov
continua a giurare di avere il controllo della repubblica, i ribelli
rimasti son 40 al massimo sostiene, l’ha detto ieri al telefono
anche a Vladimir Putin, il suo padre putativo, che doveva essere
piuttosto contrariato. L’ex zar gli ha dato carta bianca e un
mucchio di soldi, in cambio della fedeltà a Mosca, e l’eliminazione
della guerriglia. Per un po’ Ramzan c’è riuscito, nell’aprile
2009 termina il regime speciale antiterrorismo (Kto) in Cecenia. Ma
dopo qualche mese di calma relativa, siamo daccapo. Si può parlare
di pace, di fronte a una battaglia armata nel cuore di una città
russa?
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A
Mosca, il primo canale della tv aspetta un pezzo prima di dare la
notizia. A sera, il fatto scompare dalle home page e dalla testa dei
tiggì. Ma dietro l’attacco, c’è soprattutto la lotta interna
alla galassia dei ribelli, oggi divisi e litigiosi: l’Emirato del
Caucaso del Nord da mesi è lacerato da una lotta fratricida tra i
diversi battaglioni regionali. Il Capo Emiro, Dokku Umarov, ha dato
le dimissioni per poi revocarle: chi comanda i ribelli adesso? Uno
dei maggiori rivali di Dokka, si chiama Husein Gakaev: è ritenuto
ideatore anche dell'assalto a Tsentoroi. E il raid di ieri al
Parlamento potrebbe avere lo stesso scopo: , con un'azione
dimostrativa d'effetto, più efficace (certo nessuno può pensare di
prendere un edificio governativo con 4 uomini), per farsi pubblicità
come nuovo leader.
CECENIA,
NEL FORTINO DEI KADYROV 20-10-10
Scritto
da Redazione Mercoledì 20 Ottobre 2010 07:20
Lucia
Sgueglia
MOSCA
– Uno schiaffo al potere di Kadyrov, “Ramzan” come lo chiamano
tutti in Cecenia - anche i suoi nemici giurati. Quelli che vogliono
ucciderlo – ultimamente, sempre più attivi. Questo il significato
dell’attacco al parlamento di Grozny, un attacco tutto sommato
ridotto, ma che ha centrato l’obiettivo: mostrare la debolezza del
leader di ferro ceceno, facendogliela sotto il naso nella sua
capitale.
Obiettivo
dei terroristi, chiaro, è proprio lui. Col suo “parlamento
fantoccio”, come lo definisce il sito dei ribelli Kavkazcenter:
completamente asservito a Mosca, non vi siede siede nemmeno un
oppositore, e vota sì a ogni proposta del leader. Contro Ramzan, tra
capodanno e giugno c’erano stati già 2 attentati, sventati. E due
mesi fa, il 29 agosto, 20-30 ribelli (60 secondo fonti ufficiose)
sono riusciti a penetrare nientemeno a Tsentoroi: il
villaggio-roccaforte del clan Kadyrov, a 40 minuti da Grozny,
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presidiato da migliaia di miliziani, i famigerati kadyrovtsy.
L’abbiamo
visitato poco dopo, a fine settembre.
Accedervi
non è facile. Posti di blocco ovunque, controllo documenti all’arco
che segna l’ingresso, passano solo tassisti noti. Gli uomini del
Capo invece hanno una strada tutta per sé: ampia quanto la pista di
un aeroporto, sfrecciano nei loro hummer dai vetri scuri. I
guerriglieri, piombati dal bosco, sono arrivati a pochi metri dalla
fazenda Kadyrov, la chiamano così. Blindata come le vie circostanti
da uno spesso cordone di legionari, che dormono nelle case intorno. E
nei sotterranei di casa Kadyrov, secondo le indagini di alcune ong
internazionali, c'è una prigione segreta dove si torturano gli
oppositori. Alla fine del blitz d'agosto muoiono 12 ribelli: chi
ucciso dalle forze speciali, chi fugge, 7 si fanno esplodere prima
per non essere riconosciuti - le rappresaglie sulle famiglie sono la
regola. I cadaveri, bruciati in diretta tv: almeno uno veniva da un
villaggio vicino, segno che il Capo non è al sicuro nel suo fortino.
A
Tsentoroi le strade di fango e le case di campagna del tipico aul
ceceno, stanno cedendo il posto a cemento, villoni con colonnati e
cupole zariste, cinti da alte muraglie di mattoni rossi e telecamere.
E cantieri ovunque - i soldi di Mosca, evidentemente, non vanno solo
alla ricostruzione di Grozny: è in un costruzione una nuova enorme
moschea, una grande madrassa dal tetto d’oro, un Parco in memoria
di Kadyrov padre. Negli ultimi 5 anni gli abitanti sono raddoppiati
passando a 5mila: la famiglia “allargata” di Ramzan comprende
ministri, uomini dell’apparato, bodyguard, tutti invitati a
trasferirsi qui, accanto al Capo. Così tra vecchi vicini non ci si
saluta più: “anche i muri hanno orecchie, è capitato che qualcuno
si sia fatto sfuggire una parola di troppo, e puff!” dice un’amica.
A un crocicchio c’è una torre sormontata da un’aquila in bronzo,
su un palo della luce sventola una bandiera russa: i simboli
tradizionali della Cecenia, insieme a quelli di Mosca. Ramzan in
verità ha fatto sparire gli ultimi dalla repubblica, eccetto i
megaposter di Putin: “posso fare da solo”, il messaggio.
Sulla
collina sorge il nuovo college, lusso per la futura élite: “Quelli
si credono fichi perché hanno soldi, macchine, armi e potere. Ma
tutto dipende da Mosca. E presto finirà” dice la nostra amica.
Agli occhi del popolo ceceno, l’attacco di ieri indica che il
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leader non è più imbattibile. Girando per Grozny malumore e voci
critiche montano, anche se non in pubblico. Del resto sul capo di
Ramzan, ricordano in molti, pendono decine di vendette familiari
(krovny mesto), per i parenti uccisi da lui o dai suoi: “I ceceni
non dimenticano, e non perdonano. Dovessero passare 100 anni”.
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