la piccola e media editoria e la nuova letteratura italiana

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la piccola e media editoria e la nuova letteratura italiana
F ocus
FORUM
LA PICCOLA E MEDIA EDITORIA
E LA NUOVA LETTERATURA ITALIANA
a cura di Sandro Dell’Orco e Anna Mattei
Nonostante la grande vitalità della narrativa italiana, sia in termini qualitativi che di titoli pubblicati, il suo gap nei confronti di quella straniera non
solo non diminuisce, ma tende ad aumentare. Dagli ultimi dati disponibili
risulta che i lettori italiani leggono soprattutto narrativa straniera (se in questa
categoria si includono i romanzi gialli, noir, di fantascienza, fantasy e horror)
e, in misura decisamente inferiore, quella italiana. La cosa trova poi riscontro
nelle vendite in libreria che sono per il 26% di narrativa straniera e solo per
l’11% di italiana.
Tutto ciò, se ha le sue buone ragioni commerciali (una fra tutte: la pubblicazione di bestseller) e anche culturali, rivela - come fa notare l’A.I.E "una certa pigrizia e propensione all’appiattimento su fenomeni dominanti
del mercato internazionale11" e una certa disattenzione alla pur pregevole
produzione italiana.
A questa costante e generale tendenza dell’editoria italiana si oppongono
però molte piccole e medie realtà editoriali, che hanno fatto della scoperta,
della pubblicazione e del sostegno degli autori italiani uno degli obbiettivi
principali della loro azione, affrontando spesso, nell’isolamento e nell’indifferenza istituzionale, tutti i rischi e i problemi che l’operazione comporta.
Di questi lodevoli sforzi “Libri e riviste d’Italia” intende dare testimonianza attraverso il presente Forum – e quello che si terrà alla Fiera nazionale della piccola
e media editoria l’11 dicembre alle 18 alla Sala Petrarca – nella speranza di fornire
un suo modestissimo contributo alla promozione della narrativa italiana.
Abbiamo interpellato i direttori editoriali di: L’Ancora del Mediterraneo,
Avagliano, Empiria, E/O, Fazi, Fermento, Manni, Minimum Fax, Quiritta e
Sironi ponendo loro le seguenti domande:
- Qual è il progetto cultural-editoriale della casa editrice? Include tra i suoi
scopi principali la scoperta di nuovi autori italiani?
Focus
Una delle funzioni principali della piccola e media editoria è la scoperta, la
pubblicazione e la promozione di nuovi autori italiani. 10 tra le più significative sigle editoriali del settore, attraverso la voce dei loro editor, affrontano
l’argomento mettendone in luce i temi e i problemi più rilevanti.
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A.I.E., Dalla domanda di lettura alla domanda di cultura. Materiali per una discussione,
Milano, 2004, p.60.
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- In rapporto al progetto editoriale prescelto, la casa editrice incoraggia
la ricerca e l’innovazione letteraria? Quali sono le coordinate di genere,
stilistiche e tematiche privilegiate? Si preferisce ad esempio la semplificazione del linguaggio "parlato", in presa diretta con la realtà o mutuato
dai media oppure uno stile letterariamente più elaborato e consapevole?
Sono determinanti nelle scelte editoriali le mode del momento e i generi
di successo come il giallo, il romanzo storico, la scrittura giovanile?
- Nel caso la produzione editoriale non sia determinata esclusivamente da
intenti commerciali, in che modo si riesce a conciliare la pubblicazione
di autori eccentrici alle attese e ai gusti prevalenti del pubblico con le
esigenze di vendita?
- Come si articola il processo di scouting? (Ruolo dell’editor, di lettori interni, del comitato editoriale, delle agenzie letterarie, della ricezione di
manoscritti, o altro). È rilevante per la pubblicazione la valutazione o la
segnalazione di critici letterari o altri autori? Che peso ha per la pubblicazione essere personaggi “mediatici”: politici, giornalisti, attori, ecc.? È
privilegiata la pubblicazione di autori stranieri?
- Qual è la sensibilità dei media nei confronti dei nuovi autori italiani?
- Qual è la valutazione e l’accoglienza dei nuovi autori italiani in
Europa?
- Quali problemi pone sul piano distributivo e promozionale – anche da
parte dei singoli librai – il lancio di nuovi autori italiani?
Queste sono state le risposte.
L’ANCORA DEL MEDITERRANEO
Stefano De Matteis
Il progetto cultural-editoriale della casa editrice è raccontare la realtà,
l’oggi, il nostro presente andando oltre i luoghi comuni e gli stereotipi che
seducono gran parte dell’immaginario attuale. In particolare i luoghi oscuri,
le ombre, quegli angoli di mondo densi di vita che spesso contraddicono le
apparenze. E il mondo può essere letto e interpretato con una scrittura e un
linguaggio che prende la forma del saggio, con la no-fiction, o con le storie
e le narrazioni di fiction. E qui, nella fiction, privilegiamo quelle scritture che
parlano del mondo, che parlano della realtà: ci piacciono soprattutto gli scrittori “di cose”, come li chiamava Sciascia. Autori come Goytisolo e Grass, per
citare solo la lettera “g” del nostro catalogo.
Un editore è sempre alla ricerca di talenti e di nuovi autori. Il primo libro
che ho pubblicato era di Antonio Pascale, La città distratta. Attualmente, mi
pare che i cosiddetti “giovani” autori siano contesi dai grandi editori neanche
vendessero migliaia di copie. C’è una ricerca forsennata dell’autore italiano.
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Per tornare a noi, credo che nel dna di una casa editrice di progetto e di
qualità sia iscritto quello di cercare autori nuovi e inediti. Che faranno poi la
loro strada: c’è chi preferisce approdare subito a grandi editori, e chi decide
di crescere assieme, autori ed editori.
Bisogna anche considerare che oggi ci troviamo ad affrontare il problema
quotidiano dell’inflazione di scrittura. Oggi tutti scrivono: tutti hanno fatto gli
studi di base e sono tantissimi quelli che hanno seguito un corso di scrittura
più o meno creativa. Comunque mi pare che abbiamo superato il periodo ottimistico, “che le mille holden fioriscono” con le loro migliaia di scriventi che
non si limitano a compilare delle buone lettere alla mamma o alla fidanzata
ma vogliono vedersi pubblicati. E questo rende tutto ancor più faticoso: perché scrivono tutti benino, si assestano sul livello medio e la qualità è mediamente più alta rispetto a quella di un tempo. Solo che questo non basta. Non
c’è “malattia”, non c’è sangue. C’è solo un gran rumore di fondo.
Se c’è innovazione, deve essere naturale e "d’autore", nessun editore può
incoraggiarla, tanto meno imporla. L’innovazione nasce da esigenze stilistiche,
interne, proprie della scrittura, è dettata dal linguaggio, dal cuore rovente del
mondo poetico degli autori.
Si può fare letteratura in entrambi i modi, basta saperlo fare. Anzi, il linguaggio parlato, la presa diretta è in realtà solo apparentemente più facile ma
può risultare noiosissimo se non ha un ritmo e una costruzione che con il
parlato e la realtà ha poco a che vedere.
Certo, bisogna tenere conto che il metro della comunicazione si è abbreviato, la misura è oggi quella del sms o dell’e-mail. È possibile fare letteratura
a partire da queste considerazioni, ma certamente non è da rinnegare il periodare lungo à la Proust. A volte un tema intrigante con una scrittura capace e
un linguaggio adeguato può tenerti comunque attaccato alla pagina, tanto ci
può essere bisogno di una scrittura sincopata quanto di una spaziosa e ariosa.
L’importante è che il tema abbia l’espressività adeguata. Il problema è sempre
di mondo poetico degli autori e della loro traduzione in linguaggio. È questo
il sangue che scorre nelle vene della comunicazione tra l’autore e il lettore.
Le mode aiutano, ma inseguirle uccide.
Livio Garzanti, in un’intervista di non molti anni fa, si definisce un venditore. In genere, gli editori sono degli imprenditori e come tali tendono a vendere i loro prodotti. Non c’è produzione che non abbia intenti commerciali.
Un libro bellissimo che non vende è un libro che non comunica, che vale
quanto un libro muto.
Solo che in questo mestiere c’è chi lo fa per incontrare i propri simili, gli
stessi gusti, le minoranze o le maggioranze e chi ci trova insita una volontà
pedagogica. Che non è però da confondere con quel principio educativo,
quasi di formazione partitica come avveniva per certe case editrici del secondo dopoguerra. Si è dei pedagoghi nel senso che comunque offri prodotti e
cerchi di dare la qualità, cerchi di offrire un divertimento che accresce, che
lascia qualcosa, che ti fa misurare con il mondo, che costruisce cultura e vita.
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Tramite i libri che pubblichi, cerchi di spiegare al tuo lettore che la vita è una
cosa faticosa, che si devono compiere delle scelte, che bisogna schierarsi. Se
non fai così, finisci per essere un mentitore, un venditore di fumo, un illusionista come il mago di Mario. Attraverso questo mezzo che sembra oramai
antiquato e vetusto, cerchi di far capire a quante più persone possibile che
la letteratura fa bene allo spirito e che apre la mente e ti fa viaggiare anche
stando fermi. La lettura è l’unica esperienza che compi tramite un oggetto che
è il libro, perché ti misuri con la vita, metti a confronto la tua vita con quella
degli altri, personaggi reali o immaginari che ti vengono offerti sulla pagina.
Per fortuna di eccentrici a questo mondo siamo in tanti, molto di più di
quanto ci si possa aspettare, e questi stanno soprattutto tra i lettori. Che non si
accontentano, che non si appagano alle fonti del già detto e del già sentito.
Riceviamo un massa enorme di manoscritti. Cui si aggiungono quelli delle
agenzie. Si fa una prima selezione grazie a una lettura veloce. Se si trova qualcosa di interessante, quel manoscritto avrà un secondo lettore: il primo non
sa chi è il secondo e viceversa. Con due sì si passa a una lettura accurata da
parte di un componente della redazione e a seguire dell’editor. La valutazione
finale avviene con l’editore. Poi si affida il libro a un tutor (redattore o editor
che si voglia) che lavorerà con l’autore al testo.
Inoltre si leggono riviste e libri italiani e stranieri. Per avere spunti per libri,
idee, soggetti, da chiedere e da suggerire.
Ciò che abbiamo fatto fin dall’inizio è stato quello di trasformare ogni autore in un possibile collaboratore o consulente, chiedendogli consigli indicazioni e suggerimenti, facendoci presentare le persone che stima e che pensa
possano fare dei bei libri. Quindi sono stati soprattutto gli autori ad estendere
a macchia d’olio i rapporti con altri autori.
Politici e attori, meglio evitarli: quasi sempre sono fenomeni effimeri, durano una stagione, una legislazione, o il tempo (infinito) di una telenovela. Per
chi fa editoria di progetto e catalogo possono essere addirittura sconvenienti.
Cosa diversa per i giornalisti che, come si sa, possono essere dei grandi narratori e dei grandi interpreti del mondo.
Per quel che ci riguarda, la pubblicazione di autori stranieri è consigliata,
voluta e cercata. C’è un’eccezionale offerta di autori straordinariamente bravi.
Spesso dall’estero arrivano segnali, indicazioni, dritte che poi vengono qui
elaborati. Anche se credo che un editore di progetto, di qualità, di cultura,
non può vivere di sole traduzioni: è facile andare a Francoforte o a Londra
o incontrare gli agenti e comperare dagli elenchi della literary fiction o dalla
commercial fiction autori che poi vendono bene o tanto. Un editore, oltre a
fare questo, deve costruire, creare, far crescere i propri autori, curarli e, all’incontrario, spingerli verso l’estero.
A volte la sensibilità dei media nei confronti dei nuovi autori italiani può
essere eccessiva, altre li trascura. Dipende da tanti fattori: dalle mode; dal
tema; se poco prima è uscito un autore forte, magari questo può fare da battistrada e allora “tira”, diventa come una tendenza. Oppure i media ti seguono
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se inventi ad esempio una moda… altrimenti è difficile che si occupino di
autori italiani.
In linea di massima, in Europa, c’è scarsa attenzione per i nuovi autori
italiani. Poi, certo, se insisti e sottoponi ai tuoi editori di riferimento i libri che
credi che nella loro lingua e per la loro cultura possano funzionare li accettano e scatta la scintilla dell’interesse e della curiosità. Ad esempio, credo che
per un piccolo editore sia più facile tentare con la saggistica, in quanto il tema
forte fa un po’ da paracadute.
Per quanto riguarda la distribuzione con l’eccesso di scrittura e di pubblicazioni e il recente cambiamento delle librerie, è difficile far passare un
nuovo autore che non ha mai pubblicato: i librai stanno a guardare, ne prendono poche copie e aspettano le recensioni, gli articoli, i passaggi televisivi… Quindi può succedere, come è capitato a noi, che un’ottima recensione,
anche molto “spaziosa”, esca dopo due o tre mesi che il libro è in libreria e i
librai non se ne ricordano e quando cominciano ad arrivare gli articoli devi
mettere in moto un macchina che magari anni fa scattava da subito, appena
qualche settimana dopo l’uscita del libro.
AVAGLIANO
Il progetto culturale della Avagliano è ambizioso: pubblicare buona saggistica e buona narrativa d’autore, senza disdegnare le ristampe della migliore tradizione tra Ottocento e Novecento. L’idea è quella di tentare, in qualche modo,
un prosieguo del secolo d’oro delle lettere italiane: il Novecento. Tentiamo in
tutti i modi di tenere alto il profilo. Pensiamo, tanto per fare un esempio, a Una
Sicilia senza aranci di Giuseppe Antonio Borgese, che abbiamo pubblicato
recentemente. In futuro apriremo anche una collana di poesia, proprio perché
crediamo fino in fondo nell’editoria umanistica. Il vero progetto culturale, per
noi, è pubblicare letteratura “alta” e, al contempo, a un livello più militante, libri
che raccontino il Paese, le realtà territoriali specifiche.
Per quanto riguarda l’innovazione e la ricerca letteraria, tendiamo a pubblicare solo libri con uno scarto linguistico netto rispetto all’italiano televisivo
e da compito in classe imperante. È uno sforzo immane, perché la lingua italiana, non alimentandosi più dei linguaggi della tradizione, si sta terribilmente
impoverendo. Guardiamo con sospetto le presunte rivoluzioni dell’oralità, dei
gerghi, dei citazionismi televisivi, ecc. Il nostro orizzonte è la ricchezza massima
della lingua, la ricerca che porta a tonalità e a ritmi nuovi. Lo stile che prediligiamo è quello elaborato, aspro, eccentrico, pensato a lungo. Ci piace lo stile
trovato dopo lunghe fatiche, oppure di getto, con urgenza.
Non ci piacciono invece i generi. Anzi, per dirla tutta, non crediamo che il
giallo e il noir abbiano aperto in Italia un nuovo fronte culturale. Semmai com-
Focus
Andrea Di Consoli
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merciale, questo sì. Scusate il moralismo d’antan, ma la letteratura è un’altra
cosa. E in questa crediamo, con fede assoluta. Ci interessa la profondità, l’eleganza, la ricerca, il progetto che sta dietro a un libro, la sua visione del mondo.
Non ci piace il plot fine a se stesso, la letteratura come intrattenimento puro,
come affabulazione, come suspense.
In merito all’ardua conciliazione tra libri di qualità ed esigenze del mercato,
rispondo con una battuta: i libri più commerciali finanziano quelli di qualità
eccentrici alle attese del mercato. Così è, così deve essere.
Sul processo di scouting posso dire che i libri arrivano in tre modi: su
commissione, per amicizia o per segnalazione. Con le agenzie lavoriamo raramente. Dai manoscritti, invece, non abbiamo mai tratto nulla di buono. È una
scocciatura ricevere tutti questi manoscritti inutili, di gente molto presuntuosa
che non studia, non legge, non capisce niente di letteratura. Considero inoltre
fondamentali le segnalazioni di critici e altri autori. Mi fido di loro, per cui prendo sempre in considerazione le loro proposte. L’essere personaggi mediatici
può talvolta avere un peso nella pubblicazione e nel successo si un libro. Ma
dipende. A volte si prendono cantonate. Qualcuna l’abbiamo presa. La gente
che entra in libreria vuole comprare buoni libri. Se poi l’autore è anche conosciuto, tanto meglio. Però se l’autore è famoso e il libro non è buono, allora
l’operazione non funziona.
La sensibilità dei media nei confronti dei nuovi autori italiani è in generale poca. I giornali tendono a recensire solo autori conosciuti, magari per
amicizia. Ma è normale. Bisogna fare la gavetta, la trafila. Questo molti autori giovani non lo capiscono. Si lamentano troppo, fanno le vittime. Se un
autore ha fiato, e regge nel tempo, i giornali se ne accorgono, eccome se se
ne accorgono. Si pubblica un giovane autore anche sapendo di raccogliere
poco. La prima notte d’amore editoriale è la meno esaltante. Ma questo un
editore lo sa bene. In fondo si pubblica un esordiente per l’orgoglio di dire:
l’ho scoperto io.
I problemi che si pongono a livello della promozione e della distribuzione
sono tanti. Ma è giusto così. Chi ha fiato, ripeto, regge e cresce senza problemi.
La promozione non può “drogare” i giovani, non può rischiare di fare passi
falsi. È crudele, ma è giusto così.
EMPIRIA
Marisa Di Iorio
Empirìa è nata nel 1985, non come impresa, ma come progetto culturale
e, coerentemente con il suo nome, intende esplorare le esperienze letterarie
contemporanee nel campo della narrativa, della poesia, della critica.
Il progetto riguarda esclusivamente la letteratura e in particolare la sperimentazione letteraria, anche se è chiaro che legare la casa editrice a una
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particolare tendenza significa condizionarne le scelte e rappresenta un limite
proprio per la ricerca.
La scoperta di nuovi autori non rientra nei propositi fondativi, anche perché inizialmente mancava ogni possibilità di promuovere l’opera di un autore
sconosciuto, non solo di imporlo sul mercato, ma anche di proporlo all’attenzione della critica. Oggi guardiamo a questa possibilità con atteggiamento più
fiducioso e con sempre maggiore interesse.
La ricerca e l’innovazione hanno costituito i punti di maggiore interesse
per le nostre scelte editoriali. Tuttavia la ricerca a senso unico ci sembra limitante. Non è importante puntare su innovazioni linguistiche come il parlato
oppure su linguaggi sofisticati ed elaborati, nell’una come nell’altra scelta ciò
che conta è l’originalità dello stile, e anche il senso dell’opera: non solo come
ma anche che cosa si vuole comunicare.
Forse è difficile essere del tutto svincolati dalle mode, ma nel catalogo di
Empirìa finora non vi sono esempi di giallo o di noir, né di scrittura programmaticamente giovanile. Abbiamo autori giovani, alcuni giovanissimi, ma la
loro scrittura non può essere considerata tipicamente giovanile.
Per promuovere la scrittura e offrire un campo di prova e di confronto,
la casa editrice ha istituito dall’anno 2001 un premio di narrativa intitolato a
Anna Maria Ortese. Il premio prevede, oltre alla pubblicazione dei racconti
prescelti, incontri tra gli autori per discutere sulle proprie opere con la partecipazione anche di studenti di liceo. Ho organizzato spesso corsi di scrittura,
e anche di traduzione letteraria: da ottobre a luglio la sede di Empirìa ospita
regolarmente incontri con autori, letture di poeti emergenti, discussioni su
novità librarie, tutte iniziative volte ad esplorare le nuove vie del discorso
letterario.
Difficile la conciliazione tra ricerca letteraria di qualità e mercato. Direi che
puntare su qualità eccentriche rispetto ai gusti correnti pone inevitabilmente
la produzione di un piccolo editore in una zona circoscritta di lettori, con limitate possibilità di vendita (ad esempio le opere di Emilio Villa, Carla Vasio,
Lamberto Pignotti). Non è un caso, infatti, che sul finire degli anni ’90, con la
chiusura di Midilibri, che promuoveva solo piccoli editori, nessun distributore
nazionale ha accettato la distribuzione dei nostri libri.
In una redazione, per quanto piccola, sono molte le strade che quotidianamente portano manoscritti: dalla segnalazione di un autore o di un critico alla
spedizione diretta da parte dell’autore. La segnalazione di un critico, quando
non sia atto puramente formale, è di sicuro degna di attenzione. Le opere di
personalità note del mondo dello spettacolo o del giornalismo possono garantire un maggiore successo di vendita, ma si cerca di valutarle per le loro
qualità oggettive, il resto può essere un valore aggiunto.
Il nostro lavoro comunque è stretto tra due difficoltà: da un lato, continue
pressioni da parte di scrittori, giovani e meno giovani, esordienti e non, sempre più numerosi, tra i quali occorre operare una selezione severa; dall’altro,
poche distribuzioni regionali che possono garantire una modesta circolazione
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delle novità in quanto la concorrenza dei megastore e della grande distribuzione limita sempre più le vendite.
Quanto agli autori stranieri, le segnalazioni e le proposte ci provengono
abitualmente da studiosi autorevoli e traduttori di lunga esperienza: in questo
caso pubblichiamo volentieri opere di scrittori stranieri, sia di area europea che
di paesi più lontani, come il Giappone, o di culture e lingue di confine, come il
Canada, o scrittrici africane. Viva è l’esigenza di dare voce alla scrittura femminile: Empirìa pubblica spesso opere di scrittrici, sia italiane che di altri paesi.
C’è una notevole attenzione per i giovani autori, a partire soprattutto dell’ultimo decennio. Ma molto dipende anche dalla capacità della casa editrice
di imporsi all’attenzione.
Circa la valutazione e l’accoglimento dei nuovi autori italiani in Europa,
finora, limitatamente a Francoforte, non abbiamo avuto segnali d’interesse.
Per esperienza recente posso dire che c’è disponibilità per i nuovi autori
(non saprei se si tratta di una moda, di una tendenza di mercato o altro) e anche che i giovani scrittori hanno spesso notevoli capacità di imporsi all’attenzione dei media. Ma dipende anche dalla distribuzione e dalla promozione:
se si muovono in ambiti molto ristretti le possibilità sono limitate.
In conclusione, direi che oggi una piccola casa editrice come Empirìa attraversa la difficile convivenza tra esigenze economiche, autonomia e coraggio
nelle scelte. Le tendenze attuali del mercato difficilmente corrispondono alla
linea editoriale, che è soprattutto di ricerca e riflessione sia sull’innovazione
sia sul recupero di opere e autori ingiustamente dimenticati, in collaborazione
con critici e studiosi; non si tratta di proposte destinate a un ambito accademico, ma rivolte a un pubblico ben più ampio.
Devo purtroppo segnalare l’indifferenza della distribuzione nazionale, interessata esclusivamente al budget e al mercato, come è giusto che sia, ma
completamente disinteressata alla qualità.
Per finire, una ciliegina sulla torta: le Edizioni Empirìa sono un’associazione culturale no profit. Ebbene, le Poste Italiane non ci concedono più la tariffa
ridotta per gli editori con questa motivazione: non siamo un’impresa.
E/O
Sandro Ferri
La nostra casa editrice pubblica narrativa da tutto il mondo e dà uno
spazio privilegiato alle traduzioni, soprattutto di opere e autori di paesi
poveri e meno noti dal punto di vista letterario. Prevediamo anche la pubblicazione di qualche esordiente italiano, con una selezione estremamente
severa.
Facciamo, anzi, della ricerca la nostra ragione d’essere. Per ricerca intendiamo l’esplorazione di nuove aree culturali e linguistiche, di nuovi
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generi letterari, di nuove modalità espressive. Fin dalla fondazione, la
casa editrice ha portato in Italia le letterature dell’Europa dell’Est, quando
vigevano nei loro confronti ostracismo o strumentalizzazioni politiche. Più
tardi, E/O ha iniziato l’esplorazione delle letterature mediterranee, in particolare lanciando in Italia il genere del “noir mediterraneo” molto prima
che divenisse una moda. Poi ha sempre dato uno spazio importantissimo
alla scrittura femminile, introducendo presso il pubblico italiano autrici e
tematiche fondamentali. L’Africa è un altro spazio di ricerca centrale nella
nostra produzione editoriale. Attualmente stiamo avviando una collana di
narrativa dedicata al mondo dei giovani.
La qualità, la novità, il contenuto artistico delle opere pubblicate si
devono ovviamente coniugare con l’esigenza di trovare un pubblico per
queste opere. I due discorsi, letterario-editoriale ed economico-commerciale, non possono mai essere disgiunti. A volte è difficile trovare il punto
di equilibrio, soprattutto in presenza di tendenze di mercato che privilegiano il bestseller. Tuttavia, l’obiettivo della casa editrice resta quello di
produrre buoni libri, spesso scomodi e innovativi, trovando un pubblico
che li voglia leggere.
Nella nostra casa editrice il peso dei personaggi “mediatici” è scarso.
Non siamo un editore per i giornali, bensì un editore per il pubblico dei
lettori. Noi pubblichiamo libri che ci piacciono, sperando di trovare lettori
che condividano il nostro apprezzamento. È quindi essenziale un carattere molto “personale” della ricerca dei titoli da pubblicare. Praticamente la
scelta dei libri viene fatta in prima persona dagli editori, i quali decidono
secondo i loro gusti e il loro progetto editoriale. Ovviamente ci avvaliamo
del contributo di agenti letterari e altri collaboratori, così come teniamo in
gran conto i consigli dei nostri autori.
L’attenzione dei media nei confronti dei nuovi autori è molto scarsa.
Si attiva solo quando entra in gioco qualche fatto extra-letterario, in particolare di tipo scandalistico o biografico. La sensibilità letteraria dei nostri
media diminuisce giorno dopo giorno, come lo spazio dedicato ai nuovi
autori.
Qualche anno fa c’è stato un periodo di maggiore curiosità in Europa
verso i nuovi autori italiani. Oggi mi pare diminuita l’attenzione, anche
a fronte di risultati di vendita non molto buoni. Ci sono naturalmente le
eccezioni.
Il lancio di nuovi autori italiani è difficile. Distributori e librai devono fare i conti con un mercato molto condizionato dalla pubblicità e dal
marketing, perciò preferiscono non rischiare. Le prenotazioni dei nuovi
titoli sono molto basse e questi libri non riescono ad avere la visibilità
necessaria per avere un’opportunità di essere acquistati dai lettori. Se a ciò
si somma la visibilità ancora minore nei media, abbiamo una situazione
che raramente consente a questi nuovi autori di superare le mille copie
di venduto.
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FAZI
Elido Fazi
Fazi già da qualche anno mette gli esordienti al centro della sua linea editoriale che, innovativa e originale nelle scelte e nella veste grafica, dà voce a
un pubblico attento ai cambiamenti, vicino a quelli che sono i gusti, gli odori
e i sapori del momento, poco tradizionalista nelle strategie ma conservatore
nell’animo. C’è una certa continuità tra le proposte di narrativa straniera e la
scoperta di giovani talenti italiani. Hanno tutti stile, un’impronta propria, una
voce che possa renderli riconoscibili tra mille. Hanno storie dure alle spalle,
ferite aperte, emozioni autentiche e sincere. Chissà che il pubblico non trovi
proprio questo: il proprio spazio, la giusta dimensione. E riesca a immedesimarsi, a trovarsi coinvolto. A emozionarsi davvero.
Il nostro lavoro di ricerca e selezione nasce dalla voglia che abbiamo di
portare alla luce quel mondo sommerso che diventa per noi miniera ricchissima e preziosa. Per questo il processo di scouting è piuttosto complesso.
Perché spesso il livello è buono e la voce autentica, sincera. Ma la scrittura,
lo stile e il genere poco in linea con quelle che sono le scelte di collana, mai
unidirezionali e omologabili (quest’anno usciremo con degli esordi narrativi
tanto diversi tra loro quanto pregevoli) ma riconducibili ad una stessa idea di
letteratura che si nutre di vita vissuta.
Per quanto riguarda il processo di scouting ognuno ha qualcosa da dire.
Ed è un peccato non tenerne conto. Ecco il perché delle varie fasi a cui sottoponiamo i testi in esame. A una prima, attenta ma rapida lettura, ne segue
una seconda, più approfondita e analitica. Partendo poi dalle motivazioni di
uno dei tanti lettori (Comitato di lettura) si affronta il testo più seriamente.
Cerchiamo di dare a tutti la stessa importanza e, a riprova di questo, la nostra
volontà nel rispondere. L’editor è l’ago della bilancia, quello che valuta e argomenta le proprie scelte, l’interfaccia tra autore-editore. Insieme ponderano,
soppesano, si confrontano, alle prese con l’arcaico dilemma: qualità o vendibilità? Non semplice dirimere la controversia, perché hanno a che vedere
anche con la tempistica ridotta, le potenzialità di un testo, i suoi sviluppi, la
sua promozione, il coinvolgimento e il gradimento personale. I giudizi poi
seguono logiche diverse, perché diversi sono i percorsi che i libri prendono:
possono entusiasmare subito o ricevere una tiepida accoglienza, possono
funzionare così come sono o soltanto dopo più stesure.
Pubblicare un nuovo autore, come ci capita ormai spesso di fare, certamente è un azzardo. Il mercato è saturo e le nuove leve fanno fatica ad affermarsi. È una realtà sommersa che, per quanto ricca, stenta a venir fuori, messa
di continuo sul banco d’accusa dalla stampa e dai media, spesso reticenti e
diffidenti. La pressione dei grandi non spaventa. Hanno i numeri, i titoli, i
nomi giusti. Anche per questo puntiamo sugli esordienti. Per ribaltare un po’
le cose, per dare a tutti l’occasione che meritano, per sfidare la resistenza di
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critici e lettori tradizionalisti. E quest’anno, come mai prima, daremo la prova
inconfutabile del nostro interessamento: nella collana di narrativa italiana 11
uscite su 12 saranno esordi, opere prime. L’unica scrittrice affermata è Isabella
Santacroce.
FERMENTO
Abbiamo fondato la Fermento nell’ottobre del 2002, avendo in mente di
disegnare una linea editoriale di grande spessore e per certi aspetti innovativa.
Pensammo, quindi, che le scelte editoriali non sarebbero state effettuate
su singoli titoli, ma dovevano essere correlate secondo un progetto unitario
che partiva da un ipotetico” “libro pilota” collocato al centro di un cerchio.
Il “libro pilota” aveva delle specifiche caratteristiche corrispondenti ad una
griglia chiamata FERMENTO, ovvero: Fornire un intelligente piacere, Emozionare il lettore, Rapire il cuore e illuminare la mente, Mostrare e affrontare
i fenomeni della realtà contemporanea, Esprimersi con un linguaggio comprensibile a tutti, Non dimenticare i moti dell’animo e le evoluzioni della
società,Trasmettere e diffondere il piacere della lettura, Occuparsi principalmente di scrittori italiani.
Partendo da questo “libro pilota”, i libri successivi, tutt’ intorno come in un
cerchio, si sarebbero sistemati in maniera equidistante da esso, in un rapporto
di reciproca corrispondenza.
Tutta la produzione si sarebbe contraddistinta, oltre che per l’alta qualità
letteraria, per la coerenza che ogni volume doveva avere con gli altri e dove
tale coerenza si sarebbe manifestata anche esteriormente, attraverso una linea
grafica che doveva favorire principalmente la leggibilità, rendendo i volumi
perfettamente riconoscibili.
Per l’esecuzione materiale del progetto sono state utilizzate carte pregiate,
per far sì che i libri Fermento siano piacevoli al tatto e preziosi, anche quali
oggetti da possedere e conservare.
Lo slogan che sintetizza il nostro progetto editoriale è: pubblichiamo libri
per vendere emozioni, dove la parola “vendere” è stata volutamente inserita e
messa in evidenza, anche ad uso e consumo degli autori, perché se i libri che
si pubblicano non sono venduti in quantità sufficiente a fornire una corretta
redditività, la casa editrice è costretta a chiudere e anche gli autori rimangono
a spasso.
Contrariamente a quanto avviene nella stragrande maggioranza delle case
editrici italiane, malate a nostro avviso d’esterofilia, abbiamo puntato, sin dall’inizio della nostra attività, esclusivamente su autori italiani. Perché? Siamo
sempre stati convinti che in Italia ci siano talenti eccezionali, che bisogna
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Gianni Bonfiglio
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però scoprire, coltivare e curare per farli diventare autori di successo. Gli autori scelti dalla Fermento si contraddistinguono per uno stile letterario che usa
un linguaggio che ispira il cuore e illumina la mente, rendendo comprensibile
a tutti i lettori, anche ai più esigenti, i fenomeni della realtà contemporanea,
o della storia anche la più antica.
Questo stile di lavoro diventa dunque, nell’attività quotidiana che svolgiamo coi nostri autori, anche uno stile di vita che predilige le problematiche
legate ai moti dell’animo e alle evoluzioni della società, dove emozioni, sensazioni ed esperienze individuali, diventano una nuova forma di conoscenza.
E questo crediamo sia il vero lavoro dell’editore: scoprire e portare al
successo gli scrittori, cercando di capire e valorizzare ogni singolo talento
suggerendo, a volte, anche percorsi letterari che gli stessi autori non avevamo
preso in considerazione.
Giangiacomo Feltrinelli del fare l’editore diceva: “L’editore non ha niente
da insegnare, non ha niente da predicare, non vuole catechizzare nessuno,
in un certo senso non sa niente. L’editore per non essere ridicolo non deve
prendersi eccessivamente sul serio, l’editore è una carretta, è uno che porta
carta scritta […]. L’editore è niente, puro luogo d’incontro e di smistamento,
di ricezione e di trasmissione… E tuttavia: occorre incontrare e smistare i
messaggi giusti […]. Senza sapere nulla deve far sapere tutto, tutto quello che
serve ai vari livelli di coscienza.”
Ovviamente, in un mercato malato d’esterofilia – come ho detto –, è difficilissimo portare al successo nuovi scrittori italiani: le pagine dei giornali che
si occupano di libri danno spazio per il 70% a titoli stranieri; d’altronde anche
gli editori italiani pubblicano al 70% autori stranieri! In questa situazione, per
riuscire ad emergere è necessario conoscere ed usare gli stessi strumenti del
marketing che usano i grandi editori e cercare, quindi, di adottare le stesse
tecniche.
Se si conosce la consistenza e il profilo dei lettori e si segue attentamente
l’evoluzione del mercato culturale, si scopre che il lettore italiano, contrariamente a quello che i grandi operatori televisivi, o i guru telematici, o i
pubblicitari di bassa lega, ci vogliono far credere, è un lettore esigente quasi
sempre alla ricerca della qualità. E per qualità non vogliamo intendere solamente i libri che fanno “cultura”, ma tutti quei libri che, come dicevamo in
apertura, “ispirano il cuore e illuminano la mente, rendendo comprensibile
a tutti i fenomeni della realtà contemporanea” e che al contempo possono
fornire un “alto intrattenimento”: in poche parole divertire facendo lavorare
il cervello.
Seguendo questa traccia, diventa relativamente più semplice individuare
autori e titoli che incontrino, innanzi tutto, l’interesse del giornalista che lo
deve recensire (e dunque far conoscere al lettore la sua esistenza), del libraio
che lo deve esporre e del lettore che lo deve acquistare.
Bisogna individuare e costruire per ogni autore un percorso letterario
che lo possa “posizionare” (termine di marketing che vuol dire, in poche
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parole, isolare dalla concorrenza) sul mercato (dove in realtà il vero mercato
da conquistare è la testa del lettore) in maniera univoca. Ogni autore si deve
poter collocare in un “segmento” all’interno del quale possa conquistare una
posizione sempre più in alto nella scala della riconoscibilità.
In un contesto commerciale com’è quello odierno, un libro ormai si consuma, cioè diventa obsoleto, in poco più di tre mesi e ancora meno se non
riesce a raggiungere una soglia minima di venduto. In questa situazione,
lanciare autori italiani esordienti diventa una sfida sempre più difficile da
vincere.
Alla Fermento stiamo puntando, attualmente, su un gruppo di dieci autori
d’altissimo livello che hanno una grande capacità produttiva (alcuni sono già
al quarto libro e stanno lavorando al quinto) e lentamente si stanno imponendo, grazie anche ad un instancabile lavoro d’ufficio stampa, all’attenzione dei
lettori e dei media con percorsi letterari fortemente riconoscibili e di grande
spessore che s’integrano perfettamente col nostro progetto rendendo tutta la
produzione Fermento identificabile agli occhi del lettore come sigla editoriale
portatrice di una coerente strategia letteraria.
Il nostro processo di scouting passa soprattutto attraverso la ricezione e
l’esame di manoscritti, sia cartacei che elettronici, che a nostro avviso rimane
sempre il sistema migliore per scoprire nuovi talenti e opere di grande livello.
Tutto sta nell’ essere in grado di sapere scegliere l’opera ed intuire le potenzialità dell’autore. Ovviamente leggere centinaia di manoscritti ogni anno è
un lavoro duro ma al tempo stesso di grande soddisfazione. In fondo fare
l’editore è proprio questo: scegliere e decidere cosa pubblicare.
Adesso, giunti sulla soglia dei quaranta titoli pubblicati, cominciamo a ricevere richieste di pubblicazione da parte di autori che hanno già pubblicato
con altre case editrici ma che non sono soddisfatti del rapporto che hanno
con i loro editori. La percezione che gli autori hanno della Fermento è quella
di una casa editrice molto attenta alla promozione dei titoli e allo sviluppo
della notorietà degli autori.
Oggi ci accorgiamo che non basta più pubblicare un buon libro per
ottenere risultati di vendita interessanti, ma svolge un ruolo determinante
la notorietà, presso il grande pubblico, di un autore. È ovvio, dunque, che
essere giornalisti famosi o attori di successo aiuta nella promozione del libro
ma non sempre nella vendita, perché, per trasformare un libro in un libro
di successo, ci vogliono molti altri ingredienti che non soltanto la notorietà
dell’autore.
Da parte nostra, tolti alcuni autori classici del passato, non pubblichiamo
autori stranieri ma privilegiamo il lavoro quotidiano che svolgiamo insieme
agli autori per farli crescere sia in termini di qualità che di notorietà. Spesso,
infatti, siamo noi, editori della Fermento, che invitiamo l’autore a scrivere un
determinato libro perché riteniamo che sia il momento giusto per pubblicare
un certo libro. È successo con L’ombra del bafometto di Pietro Borromeo o
con Memorie su Alessandro di Cristina Légovich. Il primo, un thriller esoterico
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di grande livello narrativo ha già superato le 5000 copie, il secondo, un romanzo storico su Alessandro Magno, ha raggiunto le 1500 copie.
Ci piace infine ricordare che la Fermento produce “narrativa intelligente”,
cioè: ogni nostro libro può aprire un dibattito e dunque ogni singolo titolo
può essere facilmente identificabile ed inserirsi in molti contesti comunicativi.
Ovviamente, tutto questo lavoro è estremamente oneroso, anche perché è
esclusivamente a nostro carico, ma siamo convinti che a medio termine la
coerenza e la qualità paghino, e i primi risultati in termini di riscontri commerciali si sono già visti.
MANNI
Grazia Manni
Manni vuol essere una voce piccola ma forte, orientata alla qualità e alla
sperimentazione, che si inserisce nel dibattito culturale nazionale partendo
dalla periferia. C’è una notevole attenzione alle opere prime e ai giovani autori. Se si guarda il nostro catalogo si vedrà che fin dai primi libri, accanto ai
nomi di Malerba, Cacciatore, Pagliarani e Sanguineti, nella collana “La scrittura
e la storia” diretta da Romano Luperini, compaiono esordienti come Umberto
Lacatena, Gianfranco Ciabatti, Lello Voce, Biagio Cepollaro che in prosa e
in poesia sono fortemente caratterizzati nella linea sperimentale e sono voci
ancor oggi (eccetto Ciabatti, purtroppo scomparso) validissime nell’orizzonte
culturale italiano.
La casa editrice incoraggia la scrittura di ricerca e di innovazione promuovendola in primo luogo sulla rivista “l’immaginazione” e poi inserendo i testi
adatti in collane fortemente caratterizzate in questo senso. L’attenzione è sempre al nuovo, alla sperimentazione negli scritti creativi come prosecuzione
dell’avanguardia storica, del Gruppo 63, del Gruppo 93, privilegiando insomma una scrittura che sia in presa diretta con la realtà e i conflitti individuali e
collettivi della società contemporanea.
Nel 1990 e poi nel 1993 ben due volumi da noi editi hanno preso in esame il
dibattito teorico e le nuove tendenze della scrittura e dello sperimentalismo letterario in particolare e si proponeva anche un’antologia di testi di autori allora
emergenti (Baino, Berisso, Cademartori, Caliceti, Cascella, Cepollaro, Fontana,
Frixione, Gentiluomo, Ioni, Lacatena, Ottonieri, Voce): questi nomi rappresentano ancora oggi le punte avanzate della sperimentazione letteraria.
Accanto a queste scelte decisamente innovative comunque altre collane
accolgono testi di qualità dallo stile più tradizionale e consapevole, letterariamente rassicuranti.
Oggi, insomma, nella casa editrice c’è posto per i libri di Giuseppe Cassieri
e di Giuseppe Bonaviri e per giovani come Francesco Venditti che porta nel
libro l’immediatezza del flusso di coscienza e della sequenza cinematografica
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o come Michele Weiss che ha partecipato a “Ricercare”, laboratorio di nuove
scritture di Reggio Emilia. O come i giovanissimi Davide Bargiacchi e Silvia
Cassioli di cui stiamo pubblicando i testi venuti fuori dal Master “L’arte di scrivere”, che si tiene annualmente presso l’Università degli Studi di Siena, diretto
da Romano Luperini.
Privilegiamo negli autori esordienti, sia in prosa che in poesia, l’aderenza
alla realtà in tutte le forme della comunicazione, il linguaggio parlato, il flusso
di coscienza con una tecnica che lavora sulle cose con le parole in un mondo
che vive di parole, ma che vogliamo vada oltre le parole.
Insomma noi crediamo ancora alla letteratura come progetto che si sostanzia anche in un progetto di scrittura come impegno operativo. La letteratura
non può arrogarsi il compito di salvare il mondo dalla deriva, è vero, ma
neanche può ignorare questo mondo o cantarlo senza pensare alla sua distruzione e insieme alla riedificazione.
Nelle scelte non sono in nessun modo determinanti le mode del tempo e
i generi di successo ma, ripeto, qualità e progettualità.
Per quanto riguarda il problema della commercializzazione, ogni libro ha
una sua storia e viene studiato per ogni titolo un lancio che determini possibilità di vendita e di inserimento nel mercato.
Ci sono dei libri di cui siamo sicuri in partenza che non avranno successo
di vendita in libreria, perché non sono le barzellette di Totti né hanno vinto
lo Strega e comunque li pubblichiamo perché ci crediamo e li vogliamo in
catalogo e li supportiamo con l’ufficio stampa, con l’invio ai critici del settore
e ci inventiamo, per quanto è possibile, presentazioni e canali alternativi. Per
esempio, il libro di Francesco Venditti, nel quale crediamo e che non ha avuto
subito una buona accoglienza nelle librerie, è stato inserito nel nostro sito e
può essere scaricato interamente con un semplice clic del mouse.
Credo siamo l’unico editore italiano ad aver fatto quest’operazione, anche
per una nuova politica sul diritto d’autore, ripercorrendo il solco tracciato dal
collettivo bolognese Wu Ming e, all’estero, da un numero sempre maggiore
di aziende.
E abbiamo scelto questo libro di un autore-attore al suo esordio letterario con una storia visionaria, travagliata e intensa, che dà vita al complesso
universo della generazione dei trentenni, pensando a questa particolare
fascia d’età che naviga in internet. Bene, il sito, nei primi cinque giorni ha
avuto 125 download: io spero che chi ha letto il libro vada poi, per averlo
in mano, a comprarlo in libreria, magari per regalarlo. Sempre che le librerie chiedano al distributore PDE il libro, se hanno esaurito le poche copie
prenotate.
Il processo di scouting. Arrivano in casa editrice in media tre manoscritti al giorno che vengono letti e valutati dal direttore editoriale. Altri
libri vengono proposti dai direttori delle collane o si pensano e si costruiscono nel comitato editoriale. Certo, la valutazione o la segnalazione
di critici letterari è per noi un elemento determinante. La pubblicazione
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di testi di personaggi mediatici è ben accetta se i testi corrispondono
ai nostri criteri editoriali di qualità e progettualità. Per esempio, non
avremmo pubblicato le barzellette di Totti, ma neanche Cento colpi di
spazzola.
La pubblicazione di autori stranieri è poco rilevante nella nostra produzione.
Abbiamo tanti buoni autori italiani e tanti ne stanno venendo fuori. Dobbiamo
smetterla un po’ di pensare che le cose straniere siano tutte buone. In catalogo,
di stranieri abbiamo soltanto pochi titoli, nove, nella collana Plurale. I tentativi
di lancio, per noi, anche con autori importanti come Jabès o Montemayor, non
hanno avuto grandi esiti commerciali.
Sui media il discorso è così sintetizzabile: si lanciano sulla cultura
quando è spettacolo. O quando i libri sono di grandi case editrici proprietarie anche dei media.
Non so quale sia in generale l’accoglienza degli autori italiani all’estero. Per quel che ci riguarda, il nostro agente propone due volte l’anno i
nostri nuovi autori: lodi sperticate, ma fino ad ora nessuna opzione.
I problemi della distribuzione e della promozione sono grossi: le
pagine cultura, sempre più ridotte, privilegiano le grandi case editrici
e i promotori già faticano a far accogliere in libreria i libri dei piccoli
editori, anche se sono di autori noti: figuriamoci poi quelli di autori
sconosciuti.
Noi, oltre a un accurato ufficio stampa, vediamo di agire in sinergia
con gli autori, per esempio con presentazioni mirate del libro.
E stiamo esplorando, come ho detto, la via di Internet. Siamo stati i
primi a percorrerla in Italia e continueremo, dopo Venditti, con altri titoli. Mettere tutto un libro in rete e dare la possibilità di scaricarlo gratuitamente dalla prima all’ultima parola è una sfida. Un giovane autore ha
così la possibilità di essere conosciuto e apprezzato anche da chi naviga
e non può comprare il libro in libreria. Ma si dà anche la possibilità di
non acquistare un prodotto a scatola chiusa, di provare a convivere per
affrontare poi il matrimonio, andando in libreria. Dove noi arriviamo
tramite la PDE, che è attenta alle piccole case editrici ma in sede di promozione e distribuzione si scontra con la politica delle librerie che sono
spesso grossi carrozzoni delle grosse case editrici e rifiutano o prenotano
pochissime copie dei libri dei piccoli editori.
Spesso neanche le recensioni bastano a far esporre un nostro libro.
Ma noi imperterriti continueremo a farne e a proporne.
MINIMUM FAX
Daniele Di Gennaro
A noi di Minimum fax interessa soprattutto la trasformazione dei linguaggi. Gli autori che forzano una lingua per crearne una nuova. Quelli
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che non ereditano passivamente i canoni del passato, ma esprimono
la loro libertà creativa secondo il loro stile personale. Nella narrativa
e nella poesia angloamericana, nel jazz, nel cinema, e senz’altro nella
narrativa italiana, a cui è dedicata la collana nichel. Oltre alla scoperta di
nuovi autori italiani, curiamo energicamente la promozione degli stessi
all’estero. Nell'ottobre 2005, in occasione del lancio dell’italian fiction
issue del trimestrale americano «The Literary Review», la casa editrice
Minimum fax ha presentato a New York sei suoi autori, pubblicati originariamente nella collana di narrativa italiana nichel, in un reading in cui
Mike Abo, Adam Haslett, Shelley Jackson, Heidi Julavits, Gary Shteyngart
hanno letto con Paolo Cognetti, Nicola Lagioia, Valeria Parrella e Christian Raimo. Tutti questi autori infatti sono presenti con i loro racconti
sul numero speciale della rivista americana dedicato alla nuova narrativa
italiana. Sarà poi inaugurata alla presenza degli autori la stessa sera la
mostra “The Pig” con i pannelli che riproducono in formato gigante la
graphic novel “Il maiale” di Riccardo Falcinelli e Marta Poggi, anch’essa
tradotta e inclusa nel numero speciale della «Literary Review», già uscita in Italia nel 2004 nell’antologia La qualità dell’aria. Storie di questo
tempo. L’evento si è tenuto, davanti a 180 persone, il 4 ottobre presso
Housing Works Bookstore di Crosby Street, a Soho, luogo di culto dei
reading newyorkesi.
Per quanto riguarda le scelte di genere, di lingua o di stile, non credo esista
per noi questo limite formale, né una serie di tematiche privilegiate. La narrativa di David Foster Fallace, ad esempio, ha in sé entrambe le caratteristiche
di raffinatezza formale e di lingua fortemente legata alla contemporaneità e al
futuro prossimo della lingua stessa. Così per gli under 40 americani e italiani
che pubblichiamo con eguale cura. Pari importanza a questi contemporanei,
hanno i grandi innovatori del passato. Da Charles Bukowski, a Raymond
Carver, da Cechov a Virginia Woolf, Da Richard Yates a John Barth. I generi,
ormai non più definibili in quanto ibridati definitivamente fra loro, non sono
di per sé determinanti nelle nostre scelte.
Il mercato, poi, lo si crea con un’offerta coerente, che segue un progetto definito, credendo e insistendo fino a creare una nuova community di lettori. Minimum fax dal 1994 ha pubblicato collane dedicate
all’intervista d’autore (Macchine da scrivere), libri di poesia, saggi sulla
scrittura, fiction di narratori esordienti, tutti generi da sempre considerati
debolissimi dal punto di vista commerciale. Ciò o chi viene considerato
eccentrico nella nostra società a volte è solo qualcosa che mancava, o
qualcuno che ha qualcosa di nuovo da dire. In una società dove impera l’omologazione, il giudizio sommario e la paura di uscire fuori dalle
maniere accettate e accettabili, una qualsiasi identità libera ha il sapore
di eccentrico, ma il “centro” dell’eccentrismo è la paura di non essere
accettati per quello che si è: un effetto dell’uso scientifico del senso di
colpa, una violenza restituita attraverso le generazioni. Che ha generato
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un discreto numero di artisti vuoti, manieristi, banalisti, professionisti
dello stupore artefatto, artefatto come le loro storie.
Parliamo poi del processo di scouting: la scrittrice Valeria Parrella,
autrice di uno dei nostri best-seller degli ultimi anni, ci inviò un racconto
via posta ordinaria. Fu letto, fu chiamata dal nostro direttore di collana,
convinta a lavorare su altri racconti, fino alla nascita del fortunatissimo
Mosca più Balena. Non è assolutamente facile, gestire un flusso di quaranta manoscritti a settimana che arrivano per posta. Le risposte si fanno
attendere per mesi, i lettori fanno quello che possono. Comunque la
stragrande maggioranza degli aspiranti autori, fra i più consapevoli della
propria forza, riesce a passare per il giudizio di un altro autore o di un
critico, che a loro volta girano il manoscritto alle case editrici, o perché
consulenti, o per l’idea che quell’autore sia compatibile con quella linea
editoriale, una sorta di assist letterario.
La sensibilità dei media nei confronti dei nuovi autori italiani è crescente
per quelli che riescono a vincere premi e far parlare di sé. Un bel po’ distratta
nei confronti di ottimi autori che per mille ragioni non hanno avuto la fortuna
di incontrare un grande numero di lettori.
Molto dipende anche dalla qualità degli uffici stampa, spesso costretti a
un asettico lavoro di nastro industriale, quindi sterili e poco convincenti. Un
problema di competenza e di cura dei progetti.
L’accoglimento dei nuovi autori italiani in Europa è minore rispetto al
valore medio della nuova generazione di autori. Molto dipende anche dallo
sforzo delle case editrici di organizzare eventi all’estero, come il nostro recente tour. Investimenti sulle traduzioni dall’italiano e tour di incontri con editori
e agenti letterari stranieri non sono certo uno scherzo dal punto di vista
logistico e finanziario. Decisivo poi il coinvolgimento degli autori stranieri
nelle presentazioni, come intermediari garanti di qualità letteraria fra quello
e quell’altro mondo.
Da quando la collana dedicata alla narrativa italiana esordiente nichel
ha ottenuto i primi successi di vendite, la fiducia in questa ricerca è aumentata, provocando un aumento delle prenotazioni da parte dei librai.
Il periodo precedente è stato duro, data la diffidenza degli operatori, e la
preferenza commerciale che privilegia gli autori stranieri. Abbiamo tenuto
costante l’attenzione e la proposta degli esordienti, culminato poi con la
pubblicazione della già citata antologia di racconti La qualità dell’aria,
curata da Nicola Lagioia e Christian Raimo. Questo libro, una sorta di sintesi del lavoro della collana, fu promosso con un tour (partito nel 2004 e
tuttora attivo) di reading in diversi teatri italiani, e con un piano di comunicazione durato più di un anno, che ha ottenuto copertine di magazines
e ampi spazi nelle pagine culturali.
Da qui il salto di qualità e la crescente attenzione nel pubblico dei
lettori.
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QUIRITTA
Quiritta è nata nel 1999 con l’intento di pubblicare esclusivamente autori
italiani. Ne è testimonianza il nome, un antico avverbio utilizzato da Dante
Alighieri con il significato di "qui, proprio qui". Il progetto è stato realizzato
suddividendo le pubblicazioni in due collane: "Le Falene" per le opere di
autori vissuti nel secondo millennio e "Le Pupe" per le opere di autori attivi
nel terzo millennio.
Quiritta non ha mai privilegiato uno stile, né seguito una moda. Nel suo
catalogo sono presenti opere che si richiamano a stili personali spesso diversi
tra loro. Si va dalla narrativa a carattere antropologico (Rocco Brindisi) all’autobiografia (Raffaele La Capria), dalla critica letteraria (Arnaldo Colasanti,
Enzo Siciliano, Michele Mari) alla raccolta di racconti (Vincenzo Pardini e i
49 autori de "Le finestre sul cortile"), dal romanzo contemporaneo (Paolo Del
Colle, Roberto Parpaglioni, Luca Canali, Beppe Sebaste) a quello storico (Eric
Salerno e Luigi Guarnieri), fino al reportage narrativo (Dario Voltolini).
La pubblicazione di libri destinati ad un ristretto numero di lettori deve
necessariamente sottostare ad alcune regole che consentano alla casa editrice
di sopravvivere senza cedere a scelte incoerenti.
Quiritta è stata sempre molto attenta alle indicazioni del promotore, stampando al massimo duecento/duecentocinquanta copie in più di quelle prenotate.
Motore fondamentale nel lavoro di Quiritta è stato, inoltre, l’ufficio stampa,
presente fin dalla fase progettuale di ogni singolo titolo.
Altra buona visibilità si è avuta dalle presentazioni in libreria e dalla partecipazione ai più importanti premi letterari.
Le scelte editoriali di Quiritta sono nate dal lavoro di un comitato composto dal direttore e da due critici letterari. Gli unici due esordi (Paolo Del Colle
e Rocco Brindisi) sono stati decisi all’interno di tale comitato.
Frequente è stato lo scambio di informazioni e di opinioni con critici esterni. Irrilevante, invece, il "valore mediatico" degli autori pubblicati.
Grazie al lavoro dell’ufficio stampa, i media hanno riservato un’ottima accoglienza ai nuovi autori pubblicati da Quiritta.
Quiritta non ha mai intrattenuto rapporti con editori stranieri.
Relativamente ai problemi che si pongono a livello della promozione, distribuzione e dei librai, occorre fare una riflessione di carattere generale.
L’amore per la propria lingua è un sentimento che, si sa, raramente toglie il sonno agli italiani. Nessuno stupore, quindi, se, anziché apprezzarla
come lingua originale di un’opera letteraria, in buona parte essi preferiscono farne uno strumento di servizio per l’interpretazione di testi scritti
in altra lingua.
Focus
Roberto Parpaglioni
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Il difficile lavoro delle società promotrici e di quelle distributrici, oltre alla
diffidenza dei librai, altro non sono che il riflesso di una tale scelta.
Una casa editrice che indirizzi, come ha fatto Quiritta, la propria ricerca ed
il proprio lavoro esclusivamente verso la diffusione della letteratura italiana,
in Italia, è da considerarsi al pari di una sfida lanciata al mercato. E, come
in tutte le sfide, è necessario capire in tempo se si è destinati a vincere o, al
contrario, qual è il momento giusto per arrendersi.
Tuttavia, in questo secondo caso, la responsabilità non dovrà essere
addossata per intero ai lettori del nostro Paese. Ritengo, infatti, che il
loro recupero alla lingua italiana, e ai suoi prodotti letterari, debba assumere la forma di un progetto didattico innovativo, culturale anziché
merceologico, e configurato come restituzione di un ambiente linguistico
naturale.
Una piccola casa editrice può indicare la strada, o una delle strade da
seguire. Ma il compimento del progetto richiede un tempo ed una forza economica che solo le istituzioni politiche e i grandi gruppi editoriali possono
permettersi.
SIRONI
Giulio Mozzi
Siamo convinti che la narrativa italiana attraversi oggi un periodo particolarmente felice, checché ne dicano i laudatores temporis acti e i pessimisti
di professione; e, devo dire, checché ne dicano tutti quei lettori (un’ampia
maggioranza, a quanto pare) che pregiudizialmente, cioè senza conoscerla, la disprezzano. E quindi siamo convinti che puntare pressoché tutto
sulla narrativa italiana, come abbiamo fatto fin dall’inizio, sia una scelta
alla lunga vincente: sul piano artistico, sul piano culturale e perfino sul
piano commerciale. Il progetto, detto nel modo più ingenuo, è: mostrare
che i narratori italiani sono capaci di raccontare il mondo, producendo
opere letterarie innovative e di alta qualità; e mostrare che c’è tutta una
nuova generazione di narratori che, benché non riconosciuta dagli alti
papaveri della critica letteraria (quelli che dicono: “Non c’è più Calvino,
non c’è più Volponi, non c’è più questo, non c’è più quello, oggi è tutto
brutto”; e, interrogati sul presente, senza arrossire dicono: “Ma, non so,
non leggo...”) sa conquistarsi lettori, sa agire sulle sensibilità individuali e
collettive, sa produrre cose belle e durevoli.
I generi, di successo o non di successo, ci interessano assai poco; ci interessa poco anche quel “super-genere” oggi assai di moda, consistente nella
“contaminazione” (o nel “cross-over”, come dicono i più up-to-date) dei generi. Oggi la parola “genere” è diventata un’etichetta che significa: “Questo libro
non vi inquieterà”.
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Ci interessano i testi “consapevoli”: che un testo “consapevole” sia scritto
in linguaggio aulico o plebeo, liricizzante o reificato, “mutuato dai media” o
immerso nella tradizione, questo non ha importanza. Ci interessano i testi che
fanno grandi scommesse, che tentano di “nascere classici” (un tipo d’ambizione oggi poco frequente, ma non ancora del tutto svanito), che si propongono
come modi di interpretazione integrale del mondo. Ci interessano i testi che
se ne fottono della narrazione romanzesca-standard, che se ne fottono del
realismo ottocentesco, che se ne fottono della “morte del romanzo”: testi che
credono in quello che sono, scrittori che credono in quello che fanno.
Quanto alla necessità di conciliare la pubblicazione di autori eccentrici alle
attese e ai gusti del mercato con le esigenze di vendita, occorre prenderne
atto: le due cose non si conciliano. Se quest’anno va il beige, è quasi impossibile vendere libri fucsia. Però si può cercare di agire perché i libri beige
diventino, se non di moda, almeno cult.
In altri termini: è solo per un caso, se riusciamo a fare di tanto in tanto
un libro di grande vendita. Ma non è detto che con vendite non grandi ma
semplicemente discrete non si possa campare.
La nostra metodologia di scouting è così sintetizzabile. Ci arrivano tre,
quattro, cinque dattiloscritti al giorno. Io li guardo (sono sempre in cronico
ritardo) e faccio fuori quelli che non mi pare valga la pena di leggere a fondo
(il 90%). Il restante 10% si legge: leggo io, legge qualcuno in redazione. Un
altro 90% viene scartato dopo la prima lettura. I testi che sopravvivono vengono letti da tutta la redazione e poi discussi.
Non abbiamo lettori esterni (può capitare, occasionalmente, che io chieda
un’opinione a qualche amico buon lettore). Dalle agenzie letterarie riceviamo
poche proposte. Uno solo dei testi che abbiamo pubblicato ci è arrivato tramite un’agenzia. Abbiamo ricevuto in tutto due segnalazioni da parte di critici
letterari (e non abbiamo acquisiti i testi). Abbiamo ricevuto diverse segnalazioni da altri scrittori: Tullio Avoledo, segnalato da Mauro Covacich, è il nostro
maggior successo commerciale.
Nessuno dei nostri autori è un personaggio “mediatico” (a meno che non
si consideri “mediatico” un baldo giovinotto che ha un blog con 45 accessi al
giorno). Ma bisogna dire una cosa. Spesso la conoscenza con l’autore precede di
anni la pubblicazione di un libro. Alle spalle del libro pubblicato possono esserci
anni di amicizia, collaborazione, discussioni, appassionamenti, baruffe. Lo scout
non è uno che ha che fare con testi: è uno che ha che fare con persone. Spesso
il riconoscimento del talento precede la scrittura del libro che sarà pubblicato.
Lo scout ha la responsabilità di dire a una persona: “Io sono convinto che tu sia
capace”. Dire questo a una persona significa rischiare di cambiargli la vita: non
necessariamente in meglio. E, naturalmente, l’errore è sempre in agguato.
La sensibilità dei media nei confronti dei nuovi autori italiani è oggi assai
scarsa. Sei anni fa, era altissima. Magari tra due anni cambia di nuovo tutto. I
media, chi li capisce? Hanno logiche loro, che non c’entrano nulla con l’effettivo interesse, con l’effettiva bellezza di ciò che si pubblica.
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In merito alla valutazione e all’accoglimento dei nuovi autori italiani in
Europa non so rispondere. L’impressione è che ci sia ancora molto interesse
per il “pittoresco” e il turismo. L’Italia che va è quella delle agenzie di viaggi.
Come mi spiegava lo scout per l’Italia del più grande gruppo editoriale del
mondo, un romanzo ambientato a Venezia o a Napoli è interessante, un romanzo ambientato a Bologna o a Torino già meno. In quel momento stavo
cercando di vendergli un romanzo ambientato a Pordenone...
I problemi che si pongono al livello della distribuzione, della promozione e dei
singoli librai nel lancio di nuovi autori italiani sono enormi. Le piccole librerie indipendenti, spesso mitizzate, sono in realtà per lo più dei punti vendita, e la maggiore
preoccupazione del titolare è: non doversi assumere la responsabilità di scegliere
che cosa tenere in negozio. Le grandi catene stanno diventando sempre più industriali: pretendono sconti da cardiopalmo, pretendono vendite da urlo. I distributori/promotori (l’editore piccolo, ovviamente, non può permettersi una rete di promozione propria) hanno spesso la sindrome del pachiderma. Ottocento copie di
prenotato per il lancio non si negano a nessuno; ma di promuovere effettivamente
un autore, una linea, una collana, un editore: non se ne parla neanche. Oppure,
ecco, sì: se ne parla, per l’appunto. Fin qui, la lamentazione classica. Il punto è che
bisogna individuare le librerie indipendenti davvero ben gestite, e avviare con loro
delle relazioni preferenziali: ci sono davvero dei librai che non desiderano altro. Bisogna tenere alta la fronte davanti alle grandi catene e decidere se, e quanto rischiare; e attrezzarsi per farcela. Bisogna fare la lotta greco-romana con i distributori,
sorvegliarli, pilotarli, presentare loro le p roprie esigenze, piegarli ai propri bisogni.
E bisogna, eh, effettivamente, di tanto in tanto almeno, azzeccare il libro che, oltre
a tutte le sue qualità, ha anche, magari per puro caso, quella di vender bene. Ma
la questione fondamentale è lavorare per la propria immagine. Essere presenti nei
mezzi di comunicazione. Poter dire: “Come sarebbe, che a Roma ci sono in tutto
tre copie del libro? Se ieri avevamo una pagina intera del Messaggero!”, e cose del
genere. Alla lunga, perfino i distributori potrebbero convincersi.
Small and Medium-sized Publishers and New Italian Literature
(by Sandro Dell’Orco e Anna Mattei)
The discovery and publication of new Italian writers, an essential element in the development and promotion of new literature, is one of
the most important functions of small and medium-sized publishers. In
a forum bringing together the editors of ten of the most important publishing houses in the sector, the most significant aspects and problems
of the issue are debated: innovation and literary research, the relationship
between market requirements and writing quality; the talent scouting process and its techniques; the role of distribution, promotion, booksellers
and the media; and the “competition” of foreign authors. The forum on the
magazine is a preparation and prelude to the forum to be held with the
same participants at the small and medium-sized publishing Fair at Rome
on 11 December 2005, at 6 p.m. in the Petrarca Room.
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F ocus
BIBLIOTECA SCOLASTICA E RIFORMA
DELLA SCUOLA
Paolo Odasso
Il tema dell’identità e del ruolo della biblioteca scolastica – affrontato dall’autore nel n. 1 di “Libri e riviste d’Italia” in relazione al sistema bibliotecario in
generale - viene ora esaminato, in quest’articolo, in relazione ai processi di
riforma in atto nella scuola italiana. Ne emergono aspetti, quali la personalizzazione dei piani di studio e la dimensione laboratoriale dell’apprendimento,
che confermano tendenze già consolidate nelle esperienze europee più avanzate e chiamano in causa anche in Italia una presenza più diffusa e incisiva
delle biblioteche nelle scuole.
Progettazione
Focus
La Biblioteca scolastica è parte di quel “tutto” che la comprende e la orienta che è la scuola. Oggi è tanto più vero in virtù della finalità documentalistica
che essa ha assunto nella sua versione attuale di Centro risorse educative
della scuola (BS-CREMS), su cui mi sono già soffermato nel precedente articolo.
Non è dunque, come altri tipi di biblioteca, un ente indipendente ed autonomo. Non può decidere le sue politiche dimenticando che essa è collocata in
un contesto istituzionale che ha una sua logica e da cui essa è dipendente,
dato che, tra l’altro, ne riceve le risorse finanziarie ed umane. Se si tiene presente questa specificità, questa sua natura “strumentale”, si comprende anche
che la sua identità, la sua visibilità può essere tanto maggiore quanto più chi
la guida e gestisce sa intrecciarne i compiti e funzionamento con i processi in
atto nella scuola. Che cosa significa in concreto tutto ciò oggi nella scuola italiana? Limitiamoci ad alcuni degli aspetti su cui c’è oggi maggiore attenzione:
quelli della progettazione e della valutazione e quello dell’attuale processo di
riforma, la legge 53 del 2003.
Per una BS-CREMS sentirsi e cercare di essere parte organica di una scuola
significa innanzitutto voler e saper partecipare all’atto con cui oggi le scuole
italiane, diventate istituzioni autonome, comunicano al territorio la loro progettazione generale e i loro progetti particolari. Come noto, con l’autonomia
le scuole italiane hanno l’obbligo, ma anche la convenienza, di compiere quest’atto comunicativo verso l’esterno. Sia verso i nuovi potenziali utenti, sia verso
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F ocus
quelli attuali che pure potrebbero essere tentati di scegliersi un’altra scuola.
A partire da ciò che hanno fatto e sanno fare, le scuole devono comunicare
in forma esplicita quelli che saranno i loro impegni futuri. Devono fare delle
promesse e poi sottoporsi al giudizio di chi verificherà se sanno mantenerle.
Devono cioè offrire all’utenza quello che nel linguaggio della scuola si chiama
il Piano dell’offerta formativa, il cosiddetto POF. Che deve fare una BS rispetto
a questa importante novità? Può stare solo a guardare, sottraendosi a questo
esercizio di trasparenza democratica, di rendicontazione cui la scuola italiana
è chiamata? Se lo fa è condannata alla marginalizzazione. Una BS-CREMS, degna
di questo nome, deve invece far di tutto per essere presente nel POF. Deve non
solo essere genericamente nominata come “struttura”, “servizio” presente e disponibile nella scuola, ma deve fare qualcosa in più. Deve cioè indicare quale
sarà la sua specifica funzione didattica, quali gli specifici obiettivi educativi nei
processi di formazione degli studenti. È chiaro che questa assunzione manifesta di responsabilità non potrà essere il risultato di un’elaborazione condotta
in solitudine dal bibliotecario scolastico. Si guardi, a questo proposito, anche
quanto suggeriscono le Linee Guida IFLA-UNESCO per le Biblioteche scolastiche del
2004 che, rispetto a quelle passate, hanno spostato il focus dal paradigma del
“dover-essere”, “dover-avere” a quello del “dover-fare”1. La BS dovrà dialogare,
negoziare, relazionarsi sia con i singoli, ma anche con gli organi collegiali della
scuola, siano essi il collegio docenti, siano il consiglio d’istituto dove siedono
anche studenti e famiglie. Per far ciò non potrà sempre aspettare che qualcuno
la venga a cercare. Dovrà invece essa stessa prendere l’iniziativa di avanzare
proposte precise, credibili, verificabili.
Monitoraggio e Valutazione
Accanto all’aspetto iniziale della progettazione, altro aspetto chiave è poi
quello del monitoraggio e della valutazione2. Monitoraggio in itinere, valutazione a conclusione dell’iter. La scuola dell’autonomia ha in questi ultimi anni,
dopo alcune resistenze iniziali, accettato ed anche condiviso questo tipo di logica. Nell’autonomia è implicito un aspetto di confronto competitivo tra le scuole. Soprattutto per quanto riguarda il mantenimento-incremento del numero
degli iscritti, che è la conditio sine qua non perché una scuola conservi le sue
classi, i posti di lavoro dei suoi docenti. Non si riduca insomma fino al punto
di scomparire assorbita dalla vicina concorrente. Questa dimensione competitiva, presente peraltro anche ieri ma in forme meno vistose, obbliga le scuole
a mettere in mostra il meglio di sé. Esse tra l’altro non possono più sottrarsi
1 Linee Guida IFLA-Unesco per le biblioteche scolastiche, tr. it. a cura dell’AIB 2004, in particolare cap. 4 e 5.
2 Anche su questa problematica si vedano le Linee Guida 2004, par. 1.3.
34
F ocus
3
Il sito dell’INVALSI è visibile da: http://www2.invalsi.it/
Le ragioni per cui le problematiche della valutazione sono emerse in quei contesti è complessa. Tra le tante si possono qui ricordare i fenomeni di crisi fiscale dello stato sociale, e una
tradizione congenita di accountability legata al protestantesimo.
5 Si vedano ad es. al riguardo i documenti dello International Association of School Librarianship
IASL http://www.iasl-slo.org/conference2003-virtualcom3.html
6 Tra gli studi più interessanti a questo riguardo si segnala in particolare quello di Dorothy
Williams, Caroline Wavell, Louisa Coles Impact of school library services on achievement and
learning: critical literature review, The Robert Gordon University (UK) 2001.
4
Focus
alle logiche di valutazione comparativa che sono state introdotte nella scuola
italiana prima in forma volontaria e campionaria, ora in forma obbligatoria e
universalizzata. Così è successo con le valutazioni internazionali tipo OCSE-PISA,
così sta succedendo oggi con le valutazioni del MIUR sotto il coordinamento
dell’Istituto nazionale valutazione sistema istruzione (INVALSI)3. Per prepararsi
a questa nuova condizione di confronto nazionale e internazionale, le scuole
hanno da tempo intrapreso un cammino che parte dalla auto-valutazione per
approdare a quello dell’(etero)-valutazione. Altrettanto può e deve fare una BSCREMS. Può anch’essa cominciare ad entrare in un’ottica di auto-valutazione e
poi in prospettiva accettare la logica del confronto con degli standard esterni,
con altre biblioteche. Può cioè all’inizio essere essa stessa a definire obiettivi
che presume di poter raggiungere. Può essa stessa definire criteri con cui essere
monitorata e valutata. Successivamente può entrare in un’ottica di valutazione
comparata con altre biblioteche scolastiche. Dovrà sicuramente compiere questo passo ulteriore se vorrà competere con altri per accedere a risorse finanziare
esterne alla scuola, messe a disposizione dai vari decisori politici nazionali e
locali. Tutto ciò è certamente una novità. In quanto tale è una strada in salita.
Si tratta peraltro di una strada in salita che stanno percorrendo tutte le biblioteche scolastiche del mondo. Non è cioè solo un destino cinico e baro cui sono
condannate le biblioteche scolastiche italiane. Anzi. Questa problematica della
valutazione è emersa con viva forza proprio in quei paesi – di lingua anglosassone – dove la biblioteca scolastica è un’istituzione tutelata e garantita da
una consolidata tradizione storica, talora anche da una norma. È proprio in
quei contesti “protetti”4, che è emersa tutta la letteratura sulla valutazione delle biblioteche scolastiche, riassunta, di recente, dalla formula delle cosiddette
“evidence-based practices”5. Detto in altri termini. Per avere le risorse finanziare e umane di cui ha bisogno, la biblioteca si impegna a far vedere che essa
“fa la differenza”, a certificare il “valore aggiunto” che essa può rappresentare
per quanto riguarda il miglioramento delle capacità cognitive, motivazionali,
auto-relazionali ed etero-relazionali dello studente6. Le indagini statistiche che
dicono che dove c’è una BS-CREMS ci sono – tendenzialmente – migliori risultati,
sono utili e interessanti ma non sono di per sé sufficienti a garantire che questo
sia vero comunque e dovunque. Non sono cioè sufficienti a sottrarre il singolo
bibliotecario scolastico (o l’equipe se c’è) dal dovere di dimostrare - lui stesso
35
F ocus
- quanto può offrire e valere la sua presenza formativa nella scuola specifica in
cui opera. Il problema non è quindi se la BS è utile ma in che misura e percentuale le spese per la BS sono più utili in termini relativi e comparativi di altre
spese. Non è proclamare in teoria che la BS è utile, ma mostrare con dati di
fatto che la BS è utile non in termini generali, ma nel contesto specifico in cui
opera, nella scuola specifica in cui opera. Si può anche scegliere di sottrarsi a
questa logica che è sicuramente impegnativa ed anche severa. Non si può però
poi pensare che la BS possa pretendere riconoscimenti, visibilità, investimenti di
risorse che ne potenzino le collezioni e la strumentazione.
Due aspetti della riforma su cui vale la pena richiamare l’attenzione
Progettazione e valutazione sono due aspetti che sono presenti ovunque la
BS-CREMS voglia essere non solo luogo dove si trovano informazioni, ma motore
attivo del rinnovamento continuo della scuola e del processo di riforma. Ciò vale
per l’Italia come per le esperienze fuori d’Italia. In Italia in questo momento sono
in corso tuttavia dei cambiamenti su cui vale la pena richiamare l’attenzione.
Questi infatti offrono un’opportunità in più a chi voglia dare alla BS-CREMS un ruolo dinamico e propositivo. Tra le novità introdotte negli ultimi anni voglio ricordare GOLD, la banca dati educativa delle “buone pratiche” dei docenti. Si tratta di una
sperimentazione che può valorizzare notevolmente il ruolo di una BS-CREMS, che
voglia essere attiva, visibile, imprenditiva dentro la propria scuola e in rete con
altre scuole e biblioteche scolastiche. GOLD è infatti una banca dati educativa che
non si limita ad imitare le più famose banche dati educative USA, quali ad es. ERIC
e GEM7. Nella sua architettura di sistema c’è qualcosa in più. C’è infatti l’ipotesi di
costruire una rete capillare che va dalla singola scuola, alla Regione, al sito nazionale. Ci sono soprattutto modalità e finanziamenti per coloro che documentano
processi educativi di qualità che, al momento, non hanno uguali né in Europa né
altrove. Oltre questa importante novità sono da tener presenti due nuovi spazi
d’azione legati alla legge 53 del 2003, la cosiddetta Riforma Moratti. Non è sede e
non è compito di chi scrive entrare nel merito complessivo di questa riforma, che
come noto è al centro di animate discussioni e deve ancora completare tutto il
suo iter parlamentare. In questo contesto mi soffermo su due aspetti a mio avviso
ricchi di potenzialità per il destino delle biblioteche scolastiche. Ne indico i titoli e
poi do una brevissima spiegazione del senso generale della “novità” rimandando
chi è interessato agli approfondimenti disponibili8. Da un lato la problematica del
“laboratorium”, dall’altro la filosofia pedagogica connessa ai cosiddetti piani di
studio personalizzati.
7
cfr. per ERIC http://www.eric.ed.gov/ e per GEM http://www.thegateway.org/
Tra i tanti si vedano ad es. i documenti presenti su http://www.bdp.it/inriforma/1.htm o su
http://www.cisem.it/csm/doc/Figura%20e%20ruolo%20tutor.pdf
8
36
Nei documenti ufficiali della riforma c’è un continuo richiamo al laboratorium,
alla dimensione laboratoriale. Di didattica dei laboratori si parla da anni nella scuola, a livello internazionale. Nascono addirittura all’inizio del secolo scorso negli USA
con la pedagogia del conoscere attraverso il fare (learning by doing) di J. Dewey.
Di per sé non sono quindi una novità assoluta. Nuovo è però il fatto che il laboratorio da “luogo-dimensione” marginale, “residuale” venga ora proposto come
strumento-chiave di un possibile rinnovamento della scuola. Ma come intendere
il laboratorio? Come in certa formazione professionale dove si addestra ad abilità
meccaniche (skills), a ripetere mere attività esecutive? No, non è questo il senso
della proposta. Il laboratorio è invece lo spazio-tempo dove si sperimenta una
forma di apprendimento che deve essere la più ricca possibile di significato per il
discente. Spazio-tempo dove le pre-conoscenze spontanee dello studente non solo
non vengono ignorate ma messe in relazione con le conoscenze formali dei saperi,
dove vita e scuola provano cioè a coniugarsi dialetticamente. Il laboratorium9 è
quindi visto come differenza, come opposizione all’auditorium. Non è tanto una
contrapposizione di luoghi fisici - da una parte il laboratorio, dall’altra la classe.
Piuttosto una contrapposizione metodologica. Da un lato dimensione in cui chi apprende è passivizzato come in certe lezioni dove lo studente è inchiodato al ruolo
di chi può solo ascoltare, dall’altro una dimensione in cui chi va a scuola porta in
essa tutto il bagaglio della propria esperienza di vita e su questa e a partire da questa impara a crescere e a costruire “sapere, saper fare, saper essere”. Ora anche solo
da queste sommarie note è difficile non vedere – soprattutto se sulla dimensione laboratoriale viene posta un’enfasi forte, come pare da certi documenti della riforma
– un’analogia con quanto è stato detto in questi anni a proposito della BS-CREMS. La
BS-CREMS, se il bibliotecario scolastico e le scuole nella loro autonomia lo vorranno
e sapranno fare, è infatti un tipico luogo dove si può praticare la dimensione conoscitivo-pratico laboratoriale. Non per nulla essa è stata in questi anni vista in antitesi
all’auditorium-classe come il luogo dove al binomio lezione frontale del docentelibro di testo veniva giustapposto (meglio, a mio avviso, affiancato) il binomio ricerca (prima guidata, poi autonoma) del discente-pluralità di fonti informative. Quanto
più gli insegnanti italiani vorranno far propria la filosofia laboratoriale tanto più la
BS-CREMS troverà terreno fertile per la sua possibilità di azione nella scuola.
L’altro aspetto - quello dei piani di studio personalizzati - è anch’esso vicino, molto vicino a quanto la letteratura internazionale è venuta scrivendo
sui compiti formativi delle biblioteche scolastiche. Assumere la prospettiva
della personalizzazione che significa? Detto in breve, non è portare tutti allo
stesso traguardo dando eventualmente modalità e tempi di apprendimento
- individualmente - differenziati. Anziché essere un supermercato che offre a
tutti le stesse conoscenze-competenze, la scuola quasi fosse un sarto privato
dovrà su ciascuno degli studenti “cucire un abito personalizzato”. Anziché
Focus
F ocus
9 Specialmente in quanto sostenuto dal prof. Bertagna, che è sicuramente il massimo ispiratore della riforma.
37
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omologare dovrà valorizzare quanto più possibile le differenze personali con
la consapevolezza che la costruzione dell’identità della persona passa al tempo stesso attraverso la relazione con il sé e con l’altro. È questa la scommessa
che stando agli aspetti pedagogicamente più significativi della legge 53/2003
è stata immaginata per la scuola italiana riformata. Quanto sia condivisibile,
realistica, percorribile tale strada non sta a noi dirlo, in questa sede. Certamente essa impegna gli insegnanti ed il bibliotecario scolastico della scuola
dell’autonomia ad assumersi delle responsabilità nuove. Li obbligherà ad un
lavoro di attenzione verso quella unicità, irripetibilità delle persone che apprendono, un’attenzione alla mediazione tra i soggetti dell’apprendimento e
i saperi formali delle discipline, che chiederà un impegno professionale in
gran parte nuovo. Certo di gran lunga superiore a quanto finora praticato.
Un conto è far apprendere pensando di dare a tutti lo stesso cibo, un altro è
confezionare, a seconda dei bisogni, un cibo personalizzato, cioè fortemente
differenziato. La BS-CREMS in tutti questi cambiamenti è chiamata in causa.
Può, deve aiutare l’insegnante a cercare, - oltre il libro di testo - le vie nuove
di questa più complessa mediazione tra soggetti e informazioni strutturate
dei saperi disciplinari. Può aiutare lo studente a costruirsi - sia da solo sia in
cooperazione con i compagni - le vie di accesso ad una personale conquista di conoscenze, competenze, consapevolezze critiche. Può cioè dare un
contributo importante a far diventare fatto concreto l’obiettivo di costruire un
soggetto che sa autonomamente imparare lungo il corso di tutta la sua vita.
Un autonomous lifelong learner. Proprio quello che a livello mondiale è stato
raccomandato come compito formativo fondamentale di una BS-CREMS.
School Libraries and Educational Reform (by Paolo Odasso)
The article deals with the identity of the library in scholastic institutions and, more particularly, analyzes the role the school library
can take on within the reform process now being carried out in the
Italian school system. According to the author, the library must adopt
measures permitting it to control and evaluate its efficacy in relation
to the educational aims of the school, in keeping with the new context of organizational and teaching autonomy acquired by schools in
the last few years. There are also aspects of the educational reform,
such as the personalization of study programmes and the workshop
dimension of learning, which offer new opportunities to those who
wish to give the library – the educational resource centre of the school
– a dynamic and active proposing role. The changes being introduced
confirm tendencies already consolidated in the more advanced European experiences and demand a broader and more incisive presence
of the library in the schools.
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AUTORI E LETTORI
NEL MERCATO DEL LIBRO
I FILTRI DEI MEDIA E DELLE ISTITUZIONI
NELL’ORIENTAMENTO DEI GIOVANI ALLA LETTURA
Anna Mattei
In occasione della “ Settimana della lettura “, analizziamo una novità del
mercato del libro su cui molto si sta discutendo: la vendita di volumi allegati
ai giornali e i mutamenti provocati nelle pagine culturali dei giornali. Il problema della scelta di un libro da leggere si complica di fronte alla confusione
tra critica giornalistica e critica accademica. Occorre stimolare un nuovo ruolo della scuola e delle istituzioni.
Quest’anno la “ Settimana della lettura”, rivolta come ogni anno alle scuole superiori romane e giunta alla sua quarta edizione, si concentra sul tema dei contemporanei, che da qualche anno a questa parte sono al centro dell’attenzione delle
case editrici, dei giornali, dei media, in modi insoliti rispetto ad altri tempi. Come
l’arte contemporanea, del resto, promossa attraverso una miriade di iniziative locali
e nazionali, che vanno dalle mostre temporanee alla fondazione di nuovi spazi
espositivi. La letteratura di oggi, collocandosi in qualche modo sulla scia del fenomeno, ha una visibilità e un ascolto maggiori rispetto agli anni passati.
Ma è successo qualcosa di nuovo nell’universo del libro perché i contemporanei scrivano, pubblichino e trovino ascolto più di un tempo?
Cominciamo da un dato, che, avendo destato soddisfazione ma anche
qualche preoccupazione, è stato ampiamente sviscerato. La novità più interessante rispetto agli anni passati sta nel fatto che gli stessi giornali sono
diventati editori, che si servono della grande catena distributiva delle edicole
per arrivare ovunque, che hanno, quindi, interesse a dare spazi sempre maggiori ai libri. Sulle pagine culturali delle varie testate nazionali e anche locali
si discetta così pressoché ogni giorno sui grandi classici antichi, moderni e
contemporanei, selezionati per essere distribuiti in ogni dove. Ed è così – per
arrivare al punto - che si rimescolano Leopardi e Omero con gli autori viventi ma già in odore di canonizzazione, semplicemente per il fatto di essere
venduti insieme a un giornale in un curioso pastiche postmoderno in cui si
disfano le coordinate critiche e spazio-temporali.
Il consumo si va facendo rapidamente indifferenziato e, sull’onda del successo di mercato del libro da edicola, anche gli autori contemporanei destina-
Focus
I contemporanei e l’editoria giornalistica
39
F ocus
ti alla distribuzione in libreria trovano sempre maggiore spazio d’accoglienza
sulle pagine critiche dei maggiori quotidiani. Sempre più spesso, però – e
questa è l’altra novità sostanziale - gli autori dei nuovi libri sono gli stessi collaboratori dei giornali che non faticano a trovare audience presso i colleghi
recensori in un inesauribile intreccio di scambi e favori destinati ovviamente
a essere ricambiati. Si è creato in tal modo nel giro di pochi anni un circuito
autoreferenziale, in cui autori e critici si sostengono a vicenda, semplicemente
perché appartengono alla stessa ampia famiglia dei giornalisti, i quali a loro
volta sono i soggetti portanti della nuova macchina editoriale.
Critica giornalistica o critica accademica?
Non è un caso che, sempre negli ultimi anni, stiano velocemente scomparendo dalle maggiori testate le firme dei critici accademici più o meno indipendenti, travolti dalle rovinose riforme del sistema universitario, che hanno mutato in particolare la fisionomia dell’intero comparto umanistico. Nelle
Facoltà di Lettere, ad esempio, a essere penalizzati dagli ultimi cambiamenti
sono stati proprio il libro e la lettura, sempre più in difficoltà a trovare una
collocazione tra i precisi conteggi dei cosiddetti moduli, che organizzano un
programma d’esame sommando pagine e capitoli fino ad arrivare a un congruo numero di ore di studio.
Se la critica, dunque, sia morta o meno, come si va discutendo a volte
proprio sulle pagine dei giornali – con poca convinzione, in realtà - non è
questione da poco. Va solo chiarita quale critica. Quella di provenienza accademica probabilmente sì, quella giornalistica certamente no. Quindi o il critico di provenienza accademica riesce a trovare uno spazio sui giornali o è il
giornalista stesso che si fa critico. Certamente la seconda ipotesi è attualmente
la più praticata. La ricaduta sulle scelte dei libri – generi, stile, temi – è a questo punto inevitabile e si comprende bene come abbia poco a che fare con il
fenomeno che un tempo si chiamava letteratura. La lingua, lo stile e i generi,
quindi, via via si semplificano, prendendo a modello il registro giornalistico,
e la ricerca gratuita di nuove vie della scrittura cerca ospitalità e riparo nelle
nicchie dei piccoli e medi editori con difficoltà sempre maggiori.
I libri contemporanei, stando così le cose, sono proposti e filtrati prevalentemente dai giornali, un po’ meno, per le ragioni suddette, dalla televisione
o dalla radio -almeno fino a che non si faranno anch’essi editori - quasi per
nulla dalle istituzioni deputate alla conoscenza e alla formazione come la
l’Università e la scuola in genere. Presentazioni, recensioni, passaggi televisivi
propongono libri e autori a getto continuo in una incessante gara di presenze dai nomi altisonanti: personaggi dei media e spesso anche della politica,
laddove il genere lo consente. A trionfare, ovviamente, nella classifica delle
vendite sono quindi soprattutto i gialli, i romanzi storici, le cronache in pre-
40
F ocus
sa diretta, le inchieste di attualità, sfornati in alcuni casi di anno in anno dai
conduttori delle trasmissioni televisive più seguite o dai titolari delle rubriche
giornalistiche, che raccolgono i loro interventi trasformandoli in libro. Scritti
agili e leggeri questi ultimi, di necessità, mentre i primi, da cui ci si aspetterebbe qualche pretesa letteraria, perché assomiglino di più a dei romanzi, si
presentano il più delle volte come sceneggiature, semplici canovacci, privi di
passaggi descrittivi o riflessivi che annoierebbero il consumatore-lettore. La ciliegina finale è costituita dai premi letterari maggiori, ostentatamente lottizzati
dalle tribù mediatiche. Se non sempre premiano il libro con ulteriori vendite,
comunque costituiscono una bella soddisfazione economica per gli autori,
che, quando sufficientemente garantiti, ne accumulano anche più d’uno.
Fatte queste considerazioni preliminari, non è detto certamente che la
buona letteratura sia destinata a defungere, travolta dall’onda di piena delle
leggi di mercato. Nelle pieghe del sistema si insinuano i libri di qualità media,
buona ed eccellente, e in ogni settore, dalla saggistica alla letteratura vera
e propria, si trovano, a ben cercare, le perle destinate a lasciare una traccia
significativa nella coscienza dei lettori. Ma di fronte a tanta polvere sollevata
e a tanto clamore che toccano alcuni libri, promossi più di altri dal sistema
e destinati però, proprio per questo vizio d’origine, a un rapido consumo
analogo a quello dei giornali, viene da chiedersi quale possa essere il filtro
di cui può dotarsi un lettore comune per orientarsi e scegliere. Una facilitazione subdola è proprio quella dell’edicola, di fronte alla quale tutti passiamo
osservando frettolosamente le ultime proposte, che sono state scelte per noi
con un qualche criterio, più o meno definito e spiegato nelle stesse pagine
del giornale che andiamo ad acquistare. L’operazione si fa molto più difficile
se entriamo in un megastore, dove su appositi scaffali bene in vista troneggiano i libri costruiti a monte come best-seller e bendati ognuno, il più delle
volte, da apposite fascette corrispondenti ai più disparati premi letterari. Del
resto, anche su “Il Sole 24 ore” del 16 ottobre scorso Stefano Salis, sulla scia
di analoghe analisi di autorevoli giornali stranieri, come il “Financial Times”,
rilevava che “gli editori tendono a pubblicare libri sui quali scommettono che
saranno in brevissimo tempo best-seller: quindi di personaggi molto noti al
pubblico (magari perché appaiono in tv), di scrittori già gratificati da precedenti successi, o titoli che assomigliano in maniera impressionante ad altri
molto venduti.”
Qual è allora la risposta dei lettori, specialmente di quelli più giovani,
rispetto all’impegno profuso da una siffatta macchina editoriale? La stessa
di un consumatore al supermercato di fronte alle offerte del giorno o della
settimana? La logica sembra essere proprio identica. Il che non stupisce se
pensiamo che le leggi del mercato hanno investito ormai da tempo tutti i
Focus
Come scegliere un libro da leggere?
41
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settori del vivere civile, ivi compresa la politica. Le stesse istituzioni, più o
meno tutte, sono coinvolte nel meccanismo. Un museo, un ospedale, una
scuola, una qualunque Università sono strutture aziendali, dotate di ampie
autonomie, che obbligano a una verifica e a una messa a punto delle risorse
nell’ottica della produttività e del minor impegno finanziario, dati i frequentissimi tagli che vanno a colpire tutti i settori, in particolar modo formazione e
cultura. Evidente, quindi, che non possono predisporre troppo generosamente percorsi improduttivi ai fini dei risultati da raggiungere, ma solo offerte che
alzino generosamente il numero dei clienti, anche laddove si tratti di studenti
o di pazienti. Non a caso il progetto didattico di una scuola si chiama, con
improvvida sigla, POF, vale a dire Piano di offerta formativa. Più o meno per le
stesse ragioni per cui un ospedale si chiama ASL, Azienda sanitaria locale.
È a questo punto che leggere un libro con qualche costrutto diventa già a
monte un’impresa, uno spreco di tempo, se a condurre le scelte sono prevalentemente o solo i meccanismi più o meno palesi di mercato piuttosto che
una serie di filtri critici adeguati all’età, alla formazione, alle richieste di ogni
lettore. Un collage di pagine e capitoli spesso fotocopiati basta a soddisfare le
esigenze didattiche e soprattutto a mandare tutti a casa promossi e felici con
diplomi, lauree e quant’altro, purché si innalzi il numero dei beneficati alla
stregua di quanto accade in altri paesi europei. Tranne poi a voler considerare
il recente ricorso al Tar di un genitore che ha preteso la bocciatura della figlia,
impropriamente promossa all’anno successivo da benevoli consigli di classe
preoccupati di non scontentare la clientela.
La scuola e il libro: la Settimana della lettura
Ma qual è oggi lo spazio della lettura all’interno di una scuola e quali le
sollecitazioni? Si può affermare in buona fede che un’aula generica e spoglia,
priva di qualunque arredo che non siano i banchi e la vecchia lavagna, sia il
luogo più adatto per leggere? I libri, ovviamente, studenti e docenti se li portano tutti da casa, sia i manuali che i saggi, dato che non esiste un’aula specifica di Lettere attrezzata con semplici scaffali. Le stesse biblioteche scolastiche,
non solo sono luoghi spesso inaccessibili per la didattica quotidiana perché
l’attuale organizzazione del lavoro non lo prevede, ma stentano addirittura a
restare aperte – da tempo è stata cancellata la figura del bibliotecario - e sono
affidate nella maggioranza dei casi alla disponibilità dei docenti.
Il problema inoltre non è solo quello degli spazi fisici deputati alla lettura,
ma anche e soprattutto della sua funzione didattica all’interno del percorso formativo, dove indubbiamente trovano collocazione le varie discipline,
ognuna supportata da ponderosi manuali, ma non il fondamento stesso dello
studio, vale a dire l’attività del leggere. Qualche severo Solone, memore delle
vecchie dispute di circa trent’anni fa, ancora oggi si irrigidisce di fronte al
problema della obbligatorietà della lettura, andando a rispolverare Barthes e
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dintorni, senza pensare che il libro è a rischio di estinzione proprio laddove
non viene proposto nelle formule comunitarie e condivise della discussione
e del confronto all’interno di una classe democraticamente intesa. Non è un
caso che la lettura funzioni fino al terzo anno della scuola media, quando
è prescritta e quindi ritenuta necessaria al processo di apprendimento e di
crescita, e poi crolli in modo marcato e visibile negli anni successivi, quando
è affidata solo al volontarismo degli insegnanti, la maggior parte dei quali
si ingegna quanto può per rimediare alla lacuna, promuovendo iniziative di
ogni genere incentrate sulla lettura.
Le scuole progettano in proprio in modo eccellente e spesso si appoggiano anche ad associazioni esterne, come – per restare a Roma – l’Unione Lettori, la Fondazione Bellonci, le biblioteche comunali, la nostra stessa Direzione.
La Direzione generale per i beni librari e gli istituti culturali, che ha tra i suoi
fini istituzionali proprio quello di favorire la conoscenza del libro e l’esperienza della lettura, sostiene da vari anni queste iniziative e promuove essa stessa
progetti per sollecitare l’interesse e il coinvolgimento dei giovani.
Il progetto della Settimana della lettura, partito nel 2002 e giunto alla
sua quarta edizione, si realizza ogni volta come un appuntamento rituale
con il libro e l’autore, coinvolgendo docenti e studenti in attività e incontri
su temi diversi e interconnessi. Ogni anno la nostra Direzione, dopo avere
provveduto all’acquisto dei libri necessari allo svolgimento del progetto
di lettura, invita gli scrittori e gli studiosi prescelti a incontrare studenti e
docenti, prima all’interno delle scuole coinvolte, e, alla fine della manifestazione, alla Fiera del Libro o alla Biblioteca Nazionale per una tavola
rotonda conclusiva.
Durante la Settimana della lettura studenti, docenti e scrittori sono registi
e protagonisti di eventi culturali, incontri e dibattiti incentrati sull’importanza
del libro e della lettura. Alcuni tra i molti scrittori e studiosi, che sino ad ora
hanno aderito all’iniziativa, sono Edoardo Albinati, Eraldo Affinati, Luciano
Canfora, Pietro Citati, Arnaldo Colasanti, Benedetta Cravini, Antonio Debenedetti, Erri De Luca, Andrea Giardina, Giulio Giorello, Giulio Ferroni, Marco
Lodoli, Giorgio Montefoschi, Francesco Piccolo, Clara Sereni.
Nel 2002 il progetto, inaugurato con un convegno dal titolo Leggere tra i
libri, tenutosi nel Teatro dei Dioscuri, ha trattato il tema dell’organizzazione
delle biblioteche scolastiche ed è stato realizzato con quattro istituti storici
della capitale: il liceo classico “Ennio Quirino Visconti”, il liceo scientifico
“Cavour”, l’istituto tecnico “Leonardo da Vinci”, l’istituto magistrale “Margherita di Savoia”.
Nel 2003 l’iniziativa, che ha preso il nome Far leggere, si è incentrata sul
tema della obbligatorietà della lettura nel percorso formativo superiore e ha
visto coinvolti sette istituti superiori romani: i licei classici “Pilo Albertelli” e
“Plauto”, i licei scientifici “Ettore Majorana” e “Cavour”, gli Istituti di Istruzione
Superiore “Bertrand Russell” e “Leonardo da Vinci”. La settimana si è conclusa
con una tavola rotonda, che si è tenuta al Palazzo dei Congressi in occasione
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della seconda edizione della Fiera nazionale della piccola e media editoria
Più libri più lib(e)ri, con la partecipazione degli studenti, dei docenti e degli
scrittori coinvolti nell’iniziativa.
Nel 2004 la Settimana della lettura si è intitolata Leggere tra i classici
e ha avuto come obiettivo quello di risvegliare l’interesse dei giovani per
la tradizione classica, mettendo in evidenza il rapporto che lega i moderni
agli antichi. Gli istituti superiori coinvolti sono stati ancora quattro licei
romani, tra i più attivi nel campo della promozione della lettura anche
negli anni precedenti (“Pilo Albertelli”, “Bertrand Russell”, “Ettore Majorana” e “Plauto”). La tavola rotonda conclusiva della settimana si è tenuta al
Palazzo dei Congressi di Roma, il 9 dicembre, nell’occasione della terza
edizione della Fiera della piccola e media editoria, e ha visto, come sempre, la partecipazione degli studenti, dei professori, degli scrittori e degli
studiosi chiamati a discutere il tema e i libri letti.
Nel 2005 il titolo della Settimana della Lettura è Leggere i contemporanei e
ha l’obiettivo di mettere a fuoco la produzione letteraria del nuovo millennio
per individuarne gusti e tendenze, con il supporto, non solo degli scrittori
prescelti, ma anche dei critici e dei giornalisti che svolgono a vario titolo una
parte attiva nella segnalazione e nella promozione dei nuovi autori nei termini complessi dell’oggi e delle sue logiche. Logiche più o meno accettabili,
ma che vanno comunque chiarite per fornire se non altro strumenti critici
adeguati ai lettori in genere e soprattutto ai lettori più giovani.
La sala convegni della Biblioteca Nazionale ospita, il 12 dicembre, l’incontro conclusivo, durante il quale – alla presenza dei rappresentanti istituzionali
della Direzione generale, degli scrittori, dei critici, dei docenti e degli studenti
– viene esaminata la situazione della letteratura contemporanea e fatto il punto sullo stato di salute del libro.
Writers and Readers in the Book Market (by Anna Mattei)
The new edition of “Reading Week” offers an opportunity to reflect
on what is new in the book market at the moment. The most recent
novelty is the sale of books with newspapers, which has provoked much
discussion on the issue of the promotion of reading. The news kiosks are
selling not only the great classics but books by contemporary authors as
well, thus causing possible confusion between journalistic criticism and
academic criticism: the need to promote a book in any case diminishes
any value hierarchy. The promotion of reading must instead stimulate the
diffusion of the great writers, through close contact with the school. This
was the direction taken by “Reading Week” events, which included the
involvement of many successful Italian writers..
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