Sicurezza alimentare – fondamentale nella protezione dei rifugiati

Transcript

Sicurezza alimentare – fondamentale nella protezione dei rifugiati
No. 37 – Marzo 2006
Servir
Sicurezza alimentare – fondamentale
nella protezione dei rifugiati
In questo numero: i resoconti di Germania, Colombia,
Thailandia, Tanzania, Sudan e Namibia.
SERVIR No. 37 – Marzo 2006
Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati
1
EDITORIALE
Sì all’autosostentamento!
Ma non attraverso i tagli alimentari
Lluís Magriñà SJ
L
’interruzione degli aiuti alimentari costringe i migranti forzati a
prendere decisioni che hanno poi
un impatto negativo sulle loro vite.
Questo numero di Servir esamina la
questione della sicurezza alimentare di
rifugiati e migranti forzati. In molti casi
le difficoltà nel procurarsi cibo sono all’ordine del giorno. I Governi e la comunità internazionale in generale hanno abbandonato chi si trova in difficoltà,
privandolo del diritto di coltivare la terra o lavorare. Il JRS porta avanti progetti e campagne di advocacy che mitigano gli effetti di tali politiche, ma ciò
non basta quando i beneficiari hanno
paura di non farcela a sopravvivere.
Stefan Keßler ci parla di Ali, vittima di
una disputa tra due stati. Non può ottenere cibo e alloggio senza un permesso
di soggiorno. Per ottenere il permesso
deve essere in possesso di un documento
che gli viene negato in quanto sprovvisto di permesso di soggiorno. Non si tratta di un semplice errore burocratico. La
Germania, come altri stati industrializzati, sta adottando nuove politiche per
scoraggiare l’arrivo di rifugiati, sfruttando le difficoltà di accesso al cibo come
parte di una politica preventiva.
Juan Manuel Bustillo ci spiega come,
senza l’aiuto di amici, famiglie e organizzazioni come il JRS, la sopravvivenza di molti sfollati interni (IDP) in
Colombia sarebbe in serio pericolo. La
situazione è complessa. Il governo colombiano ha il compito di proteggere gli
IDP, ma è allo stesso tempo responsabile del loro sfollamento, negando loro il
supporto necessario e incoraggiando il
rientro verso aree non sicure.
Vera den Otter esamina i recenti sviluppi della politica sui rifugiati dell’UNHCR,
l’agenzia ONU per i rifugiati, in Thai-
2
Cucina di rifugiati, confine tra Venezuela e Colombia
landia. L’agenzia promuove l’autosostentamento dei rifugiati, ma il governo
thailandese non consente loro di lavorare. L’UNHCR si trova ad affrontare tagli
finanziari e ha diminuito l’assistenza ai
rifugiati. I più fortunati lavorano in nero
rischiando sanzioni governative e sfruttamento. Altri, i bambini in particolare,
sopravvivono come meglio possono.
In Tanzania, Minh-Chau Le evidenzia
le contraddizioni tra le politiche sui rifugiati a livello nazionale e quelle a livello
internazionale. I rifugiati burundesi di cui
ci parla, dipendono quasi interamente dal
Programma Alimentare Mondiale dell’ONU. Razioni insufficienti li costringono a lavorare illegalmente. Dopo 12
anni ne hanno abbastanza e molti sono
pronti a rischiare la vita tornando a casa.
Ovviamente le razioni dovrebbero essere aumentate, ma la cosa più importante sarebbe consentire loro di lavorare contribuendo così allo sviluppo della
economia locale.
Le conseguenze del non agire sono chiaramente illustrate da Emer Kerrigan e
Suor Joanne Whitaker. Sono i più vulnerabili a farne le spese. L’insicurezza
alimentare impedisce ai bambini di andare a scuola. Li costringe a lavorare
per aiutare le famiglie. Quelli che invece frequentano la scuola hanno spesso
difficoltà a concentrarsi e apprendono
più lentamente.
Questi sono solo alcuni esempi dei disastrosi effetti che alcune politiche, deliberatamente o no, hanno sui profughi
nel mondo. Le carenze alimentari possono causare disgregazione familiare
e malnutrizione, in particolare nei bambini il cui sviluppo fisico e psicologico
può essere seriamente compromesso.
Per questo preghiamo nostro Signore:
“Dacci oggi il nostro pane quotidiano”.
Lluís Magriñà SJ, direttore
internazionale del JRS
GERMANIA
Senza cibo e casa, per legge
Stefan Keßler
S
econdo l’ultimo rapporto dell’ONU sullo Sviluppo Umano, la Germania è tra i paesi più ricchi del mondo.
Tuttavia sono in molti a non avere né casa né cibo.
In alcuni casi è la legge stessa a privarli di questi beni.
Uno di loro è Ali Mansour (nome di fantasia). Nell’estate
del 2003 il ventitreenne rifugiato palestinese è arrivato dal
Libano in Germania. A Berlino la sua richiesta di permesso di soggiorno è stata rifiutata. Tuttavia, non è stato espulso
poiché sprovvisto della documentazione appropriata. Le
autorità libanesi spesso rifiutano di rilasciare i documenti
di viaggio necessari all’espulsione a palestinesi non in possesso di un permesso di soggiorno tedesco.
La definizione ufficiale della condizione di Ali è Duldung,
vale a dire che la sua presenza è tollerata. Come stabilito
nel rapporto della Commissione indipendente per l’immigrazione, fondata dal Ministero federale tedesco degli interni e guidata dall’ex Presidente del Parlamento federale
tedesco, prof.ssa dott.ssa Rita Sueßmuth: “un Duldung non
è un permesso di soggiorno, ma una sospensione temporanea del procedimento di espulsione... e sebbene non
costituisca uno status legale, esonera una condizione illegale dall’essere considerata reato”.
Fortunatamente il governo regionale di Berlino ha promesso
un nuovo decreto che consentirà a persone come Ali di
ricevere perlomeno viveri e un luogo dove stare. Non é
però certo che il decreto promesso offrirà ai “tollerati”
alloggio e viveri a sufficienza, né altri beni di prima necessità come abiti e assistenza medica.
Il caso di Ali non è unico. Il JRS Germania si occupa di
molte persone in fuga da situazioni di abuso dei diritti umani
che ricevono un supporto minimo, o come nel caso di Ali
Mansour, non hanno diritto a casa e cibo per colpa della
legge stessa.
Stefan Keßler,
responsabile legale,
JRS Germania
Supermercato a basso costo, Germania
Quando nel 2003 Ali richiese il permesso di soggiorno, non
aveva denaro, il documento gli fu rifiutato, e di conseguenza anche il diritto a un lavoro. L’Ufficio immigrazione gli
disse che aveva bisogno di un passaporto libanese per poter
richiedere cibo e un luogo dove stare fino al momento
della sua espulsione. L’ambasciata libanese invece, sostenne che in quanto palestinese non poteva ricevere un
passaporto senza un permesso di soggiorno tedesco.
Senza un permesso di soggiorno non poteva avere un passaporto, e senza passaporto la sicurezza sociale gli rifiutava
assistenza finanziaria o di qualsiasi altra natura. Senza gli amici
che lo hanno accolto e hanno condiviso con lui quel poco che
avevano, Ali Mansour sarebbe vissuto per la strada.
Il JRS Germania ha assistito Ali nel ricorso del verdetto
che gli negava l’assistenza primaria, ma il tribunale ha confermato il rifiuto. Le disposizioni relative si trovano nella
legge tedesca sull’assistenza sociale dei richiedenti asilo
(Asylbewerberleistungsgesetz). Questo atto regola inoltre i benefici sociali per i ‘tollerati’ stranieri. Secondo questo atto alcuni gruppi di cittadini stranieri dovrebbero ricevere il 20% in meno della cifra normalmente accordata ai
tedeschi; inoltre, l’articolo 1a consente che l’assistenza possa
essere ridotta fino al minimo necessario per sopravvivere.
SERVIR No. 37 – Marzo 2006
3
COLOMBIA
Rifugiata
colombiana
in Venezuela
Costretti a rientrare,
ma senza protezione
Juan Manuel Bustillo
Q
uando non è attaccata da gruppi armati o dall’esercito, la popolazione è
danneggiata dal governo che cerca
di effettuare suffumigazioni con acidi velenosi
sulle piantagioni di coca. Di conseguenza in
molti fuggono verso quelle aree che considerano più sicure. Solo negli ultimi tre anni, oltre
tre milioni di persone (circa il 7% della popolazione colombiana) sono stati sfollati a causa
del conflitto armato nel paese. Più della metà
degli sfollati hanno meno di diciotto anni.
Nonostante la Colombia sia tra i paesi che hanno approvato la legislazione sulla protezione degli
sfollati interni (IDP), tuttavia a questi ultimi vengono spesso negati cibo e assistenza. Nel 2003
quasi un quarto dei bambini sfollati risultava a
rischio di malnutrizione, soprattutto quelli nella
fascia di età compresa tra uno e due anni.
L’assistenza da parte del governo, quando concessa, è limitata solo agli sfollati ufficialmente
registrati. Il processo di registrazione e richiesta di assistenza umanitaria richiede diversi
mesi. L’assistenza è normalmente fornita per
un periodo che va dai tre a un massimo di sei
mesi, ma nella maggior parte dei casi viene
interrotta allo scadere dei primi tre mesi.
Impossibilitati a farcela, e senza valide alternative, spesso gli sfollati interni si vedono costretti
4
a tornare a casa. L’assistenza che ricevono da
parte dello Stato una volta rientrati, benché inadeguata, è comunque superiore a quella destinata agli sfollati. Il sostegno alimentare è previsto
per un massimo di 60 giorni. Ogni famiglia riceve inoltre circa 157 dollari USA al mese, che
sono comunque insufficienti all’acquisto dei viveri necessari fino alla stagione del raccolto.
Tornare a casa significa anche tornare in aree
non sicure dove la vita quotidiana è minacciata da combattimenti e suffumigazioni delle piantagioni di coca. Poiché il ritorno è visto come
l’unica scelta possibile, l’integrazione in aree
più sicure è fortemente scoraggiata. Nonostante il pericolo, il Piano di Sviluppo Nazionale del
governo colombiano per il 2002/2006, cerca di
persuadere 30.000 famiglie sfollate a rientrare
nelle aree di provenienza. Gli orientamenti del
governo indicano che il costo sociale ed economico dello sfollamento si riduce quanto più
rapidamente essi scelgono di rientrare.
Una volta a casa in molti si trovano ad affrontare restrizioni alla libertà di movimento. Ciò si
traduce praticamente nell’impossibilità di accedere a cibo e cure mediche, ponendo inoltre
a rischio la loro sicurezza. Nel 2004 almeno 70
villaggi in tutto il paese hanno subito la minaccia da parte di paramilitari e gruppi ribelli. Tuttavia, le forze di sicurezza dello stato sono sta-
te accusate di limitare la libertà di movimento
degli abitanti di paesi e villaggi colombiani, con
la pretesa di impedire loro di assistere paramilitari e gruppi ribelli.
Il 1 maggio, a causa dei combattimenti tra paramilitari, ribelli e gruppi armati, 42 famiglie di
Cerro Azul (Colombia settentrionale) sono state
costrette allo sfollamento. Una bambina di 18
mesi è stata uccisa e suo padre è rimasto ferito. Gli abitanti sono fuggiti. Poco dopo sono
stati incoraggiati a tornare a Cerro Azul con la
promessa di supporto da parte dello stato per i
tre mesi successivi, le famiglie rientrate tuttavia, hanno ricevuto soltanto un pacco di viveri.
Il 20 agosto il governo colombiano ha dato il
via alle suffumigazioni delle piantagioni di coca
a base di glifosfato, un acido velenoso. Questa
sostanza brucia e disidrata tutto ciò con cui
viene a contatto. Una piantagione nei pressi di
una scuola è stata suffumigata mediante velivoli leggeri, e il vento ha trasportato il glifosfato verso l’istituto bruciando la pelle di diversi
bambini. Anche le piante del giardino si sono
seccate. I piloti non sono molto attenti all’area
che devono trattare, poiché temono gli attacchi dei paramilitari. A volte neanche colpiscono le piantagioni di coca, ma case, persone e
animali.
Sono state così gravemente danneggiate piantagioni destinate alla sussistenza, causando
crisi alimentari e difficoltà economiche. Il fallimento delle autorità nel fornire cibo e supporto alle popolazioni locali è stato causa di
ulteriori sfollamenti.
Benché a conoscenza di tale realtà, il governo
colombiano ha fallito ripetutamente. Nel 2004
l’UNHCR, l’agenzia ONU per i rifugiati, ha
esortato il governo colombiano a non assoggettare l’assistenza umanitaria alla disponibilità finanziaria, ma a stanziare le risorse necessarie a impedire lo sfollamento forzato. Lo
stesso anno, la Corte Costituzionale della Colombia ha dichiarato incostituzionale il sistema
di assistenza agli sfollati gestito dal governo,
sottolineando l’obbligo da parte dello stato di
fornire assistenza umanitaria agli sfollati interni incapaci di provvedere a sé stessi. Nel settembre 2005, la Corte ha giudicato le azioni
condotte dal governo per assolvere alle sue funzioni, insufficienti sia in termini di risorse che
di volontà istituzionale.
SERVIR No. 37 – Marzo 2006
Ciononostante, il processo di assistenza agli
IDP continua a essere eccessivamente burocratico e privo di trasparenza, e a ignorare chi
è in attesa della registrazione ufficiale. È evidente che la decisione di tornare non sia mai
volontaria. Gli sfollati interni non hanno informazioni sulla sicurezza nelle aree di provenienza e immaginano che il governo fornirà loro
supporto socio-economico per una sicurezza a
lungo termine. La scelta che gli sfollati si trovano regolarmente a dover affrontare é sempre quella tra il patire la fame o tornare a casa,
anche se rientrare può significare vivere nei
pressi di campi minati, costantemente sotto la
minaccia di attacchi armati, reclutamento forzato di bambini, e assistenza insufficiente da
parte delle organizzazioni che si occupano di
diritti umani. Sebbene privi di garanzie circa il
supporto finanziario dopo il rientro, i legami
sociali e familiari, così come organizzazioni
quali il JRS a Cerro Azul, rendono la sopravvivenza in qualche modo possibile, di settimana
in settimana.
Juan Manuel Bustillo,
responsabile dell’advocacy,
JRS Colombia
Granturco,
elemento
principale
della dieta
colombiana
Sfollato
interno
ritornato
a casa,
Colombia
5
THAILANDIA
Lottare per sop
Vera den Otter
L
a vita non è facile per Xiong Pa (nome
di fantasia), un rifugiato laotiano. La sua
famiglia, ci dice, non ha cibo sufficiente
per fare colazione ogni giorno. Il resto dei pasti è solitamente a base di solo riso.
Xiong Pa ricorda: “Chiedemmo al Centro per i
Rifugiati di Bangkok (una ONG locale partner
dell’UNHCR, l’agenzia ONU per i rifugiati)
di darci un po’ di denaro, in quanto il sussidio
che già ricevevamo non era sufficiente a comprare da mangiare. Dei 3.500 baht (circa • 70)
che io e mio fratello riceviamo, 2.500 servono
per l’affitto, mentre gli altri 1.000 per sapone,
trasporti ecc. Non possiamo permetterci di
spenderli per il cibo. Gli ultimi 10 giorni del mese
sono i peggiori, il denaro va via velocemente, e
siamo costretti a saltare molti pasti. Dal momento che non abbiamo denaro per i vestiti,
andiamo al JRS e ce ne vengono dati alcuni”.
La cucina di Xiong
Il soggiorno di Xiong
Xiong Pa vive in una stanza affollata con gli
altri otto membri della sua famiglia: tre dei suoi
fratelli con mogli e bambini. I bambini non hanno
a disposizione la varietà di cibi necessari alla
loro crescita. Come Xiong, i due più grandi (12
e 15 anni) mangiano solo riso due volte al giorno. Hanno imparato ad accontentarsi e non si
lamentano. Il suo nipote più giovane invece
piange giorno e notte a causa della fame, e
tutta la famiglia non può che dargli zuppa di
riso con un po’ di zucchero.
Secondo Xiong la sua famiglia ha però una
fortuna: vivere sopra il ristorante di proprietà
dei padroni di casa. Di tanto in tanto riescono
ad avere cibo diverso dal riso in cambio di lavoro. Hanno anche parenti che occasionalmente danno loro un po’ di denaro extra quando
possono. Conosce almeno altre 10 famiglie che
non ricevono nessun extra e sono molto più
infelici di loro.
Prima che gli assegni di sussistenza fossero
tagliati del 30% (31 agosto 2005), l’UNHCR
consegnava a lui e suo fratello 5.400 baht, e la
vita, ci dice, era migliore: poteva comprare cibo
e qualche vestito. Quando seppe che l’UNHCR
stava per effettuare i tagli, sperò almeno che
lo avrebbero aiutato a trovare un lavoro, ren-
6
THAILANDIA
pravvivere in una grossa città
dendo così la situazione meno grave. Dopo circa 4 mesi di silenzio, lo scorso dicembre un
rappresentante del Centro per i Rifugiati di
Bangkok arrivò per intervistarlo. Xiong disse
che avrebbe volentieri lavorato da casa, ma
da quel momento non ebbe più notizie.
Ora ci sono voci circa un taglio totale dell’assistenza ai rifugiati da parte dell’UNHCR nel
2006. Xiong non riesce a trovare lavoro e non
sa cosa fare. Naturalmente è preoccupato per
la sua famiglia e per gli altri nella sua stessa
condizione.
gio e assistenza alimentare al fine di soddisfare le esigenze primarie dei rifugiati.
Il JRS Thailandia è a conoscenza degli studi
intrapresi sull’impatto delle strategie di autosostentamento dell’UNHCR per i rifugiati di
Nuova Delhi, Il Cairo e Mosca; nessuno studio simile è stato effettuato in Thailandia. Non
esiste una conoscenza così approfondita dei
rifugiati di Bangkok e di altre aree urbane thailandesi. Tuttavia le esperienze dei beneficiari
del JRS testimoniano come la situazione sia
estremamente preoccupante.
“Conosco famiglie con 13 figli. Soffriranno
seriamente senza assistenza finanziaria. Dove
vivranno? Cosa mangeranno?”
Il governo thailandese non è signatario della
Convenzione dell’ONU sui Rifugiati del 1951
né del Protocollo del 1967. Proprio per questo
i rifugiati riconosciuti dall’UNHCR non hanno
uno status legale in Thailandia, né diritto al lavoro. Bangkok, una sempre più costosa città a
medio reddito in via di sviluppo, offre ai rifugiati ben poche opportunità di guadagnarsi da
vivere. La maggior parte di loro è pessimista
rispetto al futuro.
Dopo i tagli molti rifugiati si misero freneticamente alla ricerca di cibo. Si rivolsero al JRS
per richiedere assistenza, soprattutto cambogiani e laotiani con famiglie numerose. I rifugiati africani, per i quali è sempre più difficile
trovare un lavoro in nero, hanno disperatamente cercato di essere reinsediati in un paese terzo. Il Programma per i Rifugiati Urbani del JRS,
fondato per assistere i richiedenti asilo, ha risposto nel miglior modo possibile all’atroce situazione di tanti rifugiati.
La forma di assistenza che promuoveva l’autosostentamento dei rifugiati è stata tagliata;
in questo modo si impedisce di fatto ai rifugiati
di accedere a un regolare lavoro retribuito. In
risposta alle atroci circostanze in cui molti rifugiati si sono trovati, l’UNHCR sembra aver
rivisto la sua posizione. Una bozza della sua
nuova politica dà credito ai precedenti fallimenti, e impegna l’organizzazione a fornire allogSERVIR No. 37 – Marzo 2006
Attualmente il supporto fornito dal programma per i rifugiati urbani dell’UNHCR Thailandia è insufficiente, e nel caso fossero applicati
i tagli al budget annunciati per il 2006, inevitabilmente i sussidi per i rifugiati subirebbero ulteriori diminuzioni. Negando un reddito proporzionato alle necessità di base, come nel caso
di Xiong Pa, i rifugiati rischiano di essere costretti a ridurre quantità e qualità del cibo. Chiaramente i rifugiati più vulnerabili, i bambini,
saranno maggiormente colpiti.
Bambini
laotiani
rifugiati in
Thailandia
Vera den Otter, responsabile
della comunicazione e
dell’advocacy, JRS Thailandia
7
TANZANIA
Tra
fame
e casa
Una donna
rifugiata raccoglie
legna da ardere
Minh-Chau Le
U
n gruppo di donne rifugiate burundesi attende pazientemente il proprio capo gruppo per presentare la
carta che dà diritto alla razione di cibo e
ritirare il pacco viveri. Nei campi della Tanzania nord-occidentale i rifugiati non ricevono le razioni individualmente. In ogni
strada sono raggruppati in base all’estensione familiare. Di solito, quando il capo riceve il cibo, i membri del gruppo lo assistono
trasportando sacchi e contenitori fuori dall’area recintata destinata alla distribuzione.
Mani indaffarate nel versare olio in contenitori individuali, misurare il granturco e chiudere sacchi di fagioli. Messa insieme la
propria razione, Gloriose (nome di fantasia)
si allontana dal gruppo per bilanciare sulla
testa i 34kg di granturco per la sua famiglia.
Con una lattina di olio in una mano e il suo
bambino di 16 mesi legato sulla schiena, conduce sua figlia di nove anni, Jackie (nome di
fantasia) verso la loro casa di mattoni di fango. Jackie cammina lentamente, affaticata
dai 10kg di fagioli e crema di latte e farina
appoggiati sulla sua testa. Ogni due settimane, il giorno della distribuzione, deve saltare
la scuola per aiutare la madre. “Non mi importa del peso – sorride Gloriose – vorrei
che fosse più pesante, molto più pesante!”.
8
Quando la famiglia di Gloriose riceve l’intera razione alimentare, ha una quantità di calorie inferiore al minimo giornaliero per persona raccomandato (2.100Kcal). Persino
l’agenzia ONU del Programma Alimentare
Mondiale (PAM) ammette che non è possibile sopravvivere con una dieta simile.
La legge e le politiche tanzanesi proibiscono
ai rifugiati di lavorare, intraprendere una qualsiasi attività o allontanarsi di oltre 4 Km dal
campo. Rispettare queste leggi per i rifugiati
è praticamente impossibile. Dato che non
vengono riforniti di legna per cucinare i viveri delle razioni, per procurarsela o comprarne, sono costretti a rischiare arresti, abusi
da parte della polizia, assalti e persino violenze sessuali come punizione per avere lasciato i campi. In oltre il granturco fornito,
l’alimento fondamentale della loro povera
dieta, non è consegnato in una forma commestibile, deve essere prima macinato e trasformato in farina.
Per l’alimentazione della sua famiglia Gloriose ha a disposizione circa 2.500 scellini
(poco più di •2) per la legna da ardere, e 700
scellini per macinare il grano ogni due settimane. Per queste spese un rifugiato privo di
reddito sarebbe costretto a vendere parte
TANZANIA
delle sue razioni. L’olio è la prima cosa a
essere venduta, e Gloriose potrebbe guadagnare 1.200 scellini con la sua razione di olio.
Per i restanti 2.000 scellini dovrebbe vendere circa 10kg della sua farina di granturco.
Se Gloriose lo facesse, le sarebbe praticamente impossibile sopravvivere con la quantità di
cibo restante. Per questo la sua famiglia infrange regolarmente la legge tanzanese. Suo
marito lavora per agricoltori tanzanesi locali
e guadagna 600 scellini al giorno. Nonostante
il loro reddito sia inferiore ai •10 mensili, è
sufficiente a comprare legna da ardere e
pagare la macinazione del granturco.
Occasionalmente Gloriose si avventura anche fuori del campo, per oltre 10 km, a cercare legna, soprattutto quando la famiglia ha
bisogno di risparmiare denaro per pagare
vestiti, mobili o tasse scolastiche. Il denaro
serve anche a comprare cipolle e pomodori
per lo stufato di fagioli che mangiano quasi
ogni giorno, ma anche manioca e banane che
gli permettono di variare un po’.
“Dovremmo mangiare fagioli bolliti e ugali
(pane di granturco) ogni giorno, a volte senza neanche il sale. Ce la faresti così per 12
anni?”. Infrangere la legge è l’unico modo
per sopravvivere. Ma recentemente Gloriose e suo marito hanno considerato un’altra alternativa. “La situazione sta diventando
insopportabile – afferma scuotendo la testa – Il campo non è sicuro. I bambini muoiono di malaria, le razioni aumentano e
diminuiscono, e siamo sempre gli ultimi a
saperlo”. Suo marito Zenon (nome di fantasia) la interrompe: “Forse dobbiamo lasciare il campo e tornare in Burundi”.
grosso fattore di spinta: sebbene la natura
del rimpatrio dovrebbe essere volontaria, le
razioni alimentari insufficienti costringono i
rifugiati a considerare il rientro come uno strumento di sopravvivenza, piuttosto che una libera scelta. Uno dei vicini di Gloriose ha commentato: “È meglio tornare e morire per un
colpo di pistola che rischiare costantemente
la morte per fame...” Non si tratta solo di
calorie, le razioni inadeguate costituiscono una
minaccia molto più ampia per i rifugiati. I responsabili dei servizi comunitari nei campi
hanno avvertito il personale del JRS che lo
stress provocato dalla scarsità di cibo incrementa abusi e violenze domestiche.
Un incremento nelle razioni del PAM verrebbe certamente in aiuto alla situazione,
lasciando comunque casi come quello di Gloriose e della sua famiglia in una situazione
di bisogno. I leader dei rifugiati concordano con l’opinione secondo cui permettere
ai rifugiati di lavorare e diventare autonomi
rappresenti la soluzione migliore. Ciò eviterebbe un’eccessiva dipendenza dagli aiuti
alimentari internazionali, che non sono poi
stati mai così affidabili.
Minh-Chau Le, responsabile
delle relazioni pubbliche,
Radio Kwizera, JRS Tanzania
Un bambino
rifugiato
trasporta cibo
Sebbene alcune famiglie riescano a risparmiare considerevoli somme di cibo e denaro, e ad affittare e coltivare terre fuori del
campo, la famiglia di Gloriose sopravvive
grazie alla distribuzione di viveri, e non ha
sicurezze nei periodi di diminuzione delle
razioni. Nel 2005, quando le razioni sono
state ridotte al 67%, Gloriose ricorda: “Chiedevamo prestiti per il cibo. Io andavo ogni
giorno a raccogliere legna da ardere per
venderla. È stato un brutto momento”.
Anche se ora le razioni sembrano stabili non
esistono certezze. Per i rifugiati come Gloriose l’insicurezza alimentare rappresenta un
SERVIR No. 37 – Marzo 2006
9
SUDAN
Cibo o
Emer Kerrigan
L
obone, a sette chilometri dal confine con
l’Uganda settentrionale, è oggi la casa di
molte comunità sfollate a causa della guerra durata 21 anni, e recentemente conclusasi,
tra il governo sudanese e l’SPLM/A (Sudan People’s Liberation Movement/Army).
La guerra del 1994 costrinse molti dinka a rifugiarsi a Lobone. I quattro quinti dei 33.000 sfollati interni (IDP) presenti a Lobone sono dinka.
Intere famiglie furono costrette a lasciare il proprio bestiame e dedicarsi all’agricoltura come
fonte principale di sussistenza. Metodi agricoli
inadeguati e un’eccessiva fiducia su tre dei raccolti hanno avuto effetti dannosi sull’alimentazione della comunità. La percentuale di malnutrizione è aumentata a tal punto che i bambini erano
continuamente ricoverati negli ospedali locali e
le madri assenti dai corsi di alfabetizzazione per
adulti, per prendersi cura dei parenti malati.
Nel 2001 il JRS ha iniziato a occuparsi delle comunità attraverso istruzione e servizio pastorale, e fornendo direzione, materiali scolastici e
supporto finanziario agli insegnanti. Ne è conseguito, in questi ultimi anni, uno sviluppo positivo
del livello di istruzione nell’area. Gli standard si
sono alzati di anno in anno e attualmente Lobone
ospita 7 scuole elementari, 1 scuola secondaria,
11 asili e 9 centri per l’alfabetizzazione per adulti, per un totale di circa 8.000 studenti.
Gulu, Uganda
settentrionale,
vicino al Sudan
Nonostante l’abbondanza di terre fertili e la sempre più ampia offerta di istruzione a Lobone, l’insicurezza alimentare rimane una minaccia per la
comunità. Colpisce tutti gli ambiti dell’istruzione
influenzando la partecipazione ai corsi di giovani
e adulti, e lo sviluppo intellettuale dei bambini.
La maggior parte delle persone in quest’area
sopravvive grazie a ciò che coltiva; in pochi sono
formati o istruiti per guadagnare in un’altro settore. Le stagioni di semina e raccolto sono fondamentali per la sopravvivenza delle famiglie.
In queste fasi i bambini e le madri, che costituiscono la maggioranza degli studenti adulti, saltano la scuola per lavorare. Inoltre tra maggio e
luglio, la presenza scolastica è comunque bassa
poiché il cibo della comunità comincia a scarseggiare e gli studenti sono costretti a recarsi in
Uganda in cerca di generi alimentari.
Un modo per affrontare l’insicurezza alimentare è rappresentato dal programma alimentare scolastico gestito congiuntamente dal Servizio
Cattolico di Assistenza e il JRS. Il programma
incoraggia i bambini a rimanere a scuola fino
all’ora di pranzo distribuendo alimenti che non
potrebbero altrimenti ricevere a casa. Questi
alimenti sono fondamentali per il loro sviluppo
cognitivo e migliorano il livello di attenzione degli scolari. Molti di loro sono orfani e vivono in
famiglie allargate per le quali fornire il pranzo
da portare a scuola costituisce uno sforzo eccessivo.
La consegna degli alimenti, inoltre, avviene spesso con ritardo. Il cibo proveniente dall’Uganda
può essere trasportato solo su una strada con un
alto rischio di attacchi da parte dei ribelli ugandesi
della Lord’s Resistance Army (Esercito di Resistenza del Signore). La frequenza scolastica ha
risentito notevolmente di tali violenze, riducendosi spesso fino a tre quarti.
Il futuro dell’istruzione della comunità di sfollati
interni a Lobone dipende interamente dalla sicurezza alimentare. Sebbene l’istruzione sia considerata per i suoi benefici a lungo termine, è la
necessità primaria e immediata del cibo a influire maggiormente sul successo del programma
di istruzione a Lobone.
Emer Kerrigan,
amministratrice,
JRS Sudan
10
NAMIBIA
scuola
Joanne Whitaker RSM
I
l campo di Osire (Namibia centrale) ospita
circa 23.000 rifugiati quasi tutti angolani. Un
giorno, durante l’anno scolastico, la nostra
squadra del JRS ha effettuato la consueta visita. Era tarda mattinata quando siamo arrivati e
ci siamo recati direttamente alla suola elementare. Abbiamo scoperto che molti dei bambini
erano assenti. La maggior parte di loro era in
fila per ricevere la propria razione mensile di
cibo o assisteva i familiari e altre persone nella
raccolta. Chi non era in fila era impegnato a lavorare, e trasportava pesanti carichi di granturco o cuoceva olio nel punto di distribuzione dietro
al campo. Di solito la distribuzione ha luogo una
volta al mese, ma può essere effettuata anche
più spesso.
per richiedere assistenza e sviluppare un progetto per le ragazze tra i 10 e i 20 anni di età
chiamato Club per Ragazze di Osire. Questa iniziativa voleva aiutare le ragazze a restare a scuola offrendo loro attività extracurriculari e rifornimenti alimentari supplementari da distribuire
alle loro famiglie. Questi sforzi, seppure non completamente riusciti, hanno ottenuto una significativa riduzione di assenze e ritiri scolastici da
parte delle ragazze.
Ci siamo sentiti impotenti. Le famiglie avevano
bisogno di assistenza. Molti studenti approfittavano dell’opportunità di aumentare le proprie
razioni. Dovevamo affrontare la realtà e programmare lezioni ed esami nei giorni in cui i bambini non avrebbero dovuto occuparsi dell’approvvigionamento di cibo.
Una realtà ancora più dura da accettare era l’abbandono scolastico definitivo soprattutto di bambine, che dovevano aiutare le famiglie a procurarsi da mangiare. Lavorano nel giardino di casa
o si occupano dei fratelli minori mentre gli adulti
cercano lavoro nelle fattorie vicine od ovunque
sia possibile trovare un lavoro temporaneo. Il
lavoro fuori del campo ha spesso procurato problemi ai rifugiati. Il governo lo vieta. In alcuni
casi gli agricoltori hanno cacciato i rifugiati senza pagarli minacciandoli di denunciarli alla polizia per violazione di proprietà e furto di bestiame. Le ragazze, soprattutto le orfane sole nel
campo, a volte finiscono per essere sfruttate sessualmente per denaro. Ciò accade anche a ragazze con i genitori, i quali, al limite della disperazione, spesso si vedono costretti ad accettare
la prostituzione della propria figlia. Quando ciò
accade, quasi mai le ragazze tornano a scuola.
Ancora una volta era difficile risolvere efficacemente i problemi. Il JRS ha incontrato insegnanti, genitori, e leader del campo al fine di
discutere l’importante questione.Abbiamo incontrato la polizia e l’amministrazione del campo
SERVIR No. 37 – Marzo 2006
Quello della Namibia non è però un caso isolato.
La scelta tra cibo e scuola ricorre in tutta l’Africa meridionale, e in altre aree del continente.
Nel vicino Zambia, per esempio, l’agenzia ONU
del Programma Alimentare Mondiale ha ridotto
le razioni di cibo per i rifugiati e stimato che, a
meno che non aumentino le donazioni, si vedranno costretti a cessare la distribuzione di cibo per
i rifugiati entro il marzo 2006. Si tratta di un vero
e proprio dilemma che non affligge soltanto rifugiati e richiedenti asilo, ma anche i molti giovani
poveri e gli orfani dell’AIDS.
Rifugiati sudanesi,
Kejokeji, Sudan
meridionale
Joanne Whitaker RSM,
direttrice regionale,
JRS Africa meridionale
11
Come aiutare una persona
L
• Fornire istruzione annuale a un
bambino in una scuola elementare di comunità a Yei, Sudan
a missione del JRS è quella
di accompagnare, servire e
difendere i diritti dei rifugiati
e degli sfollati, specialmente
coloro che sono dimenticati e
la cui situazione non attira
l’attenzione internazionale.
Lo facciamo attraverso i nostri
progetti in più di 50 paesi in
tutto il mondo, dando
assistenza tramite istruzione,
assistenza medica, lavoro
pastorale, formazione
professionale, attività
generatrici di reddito e molte
altre attività e servizi ai
rifugiati.
$30 USA
• Fornire consulenza legale per un
anno a un rifugiato o richiedente
asilo a Bangkok, Thailandia
$31 USA
Direttore:
Francesco De Luccia SJ
• Costruire una casa per una persona disabile a causa di mine
antiuomo in Cambogia
Produzione:
Stefano Maero
• Fornire un workshop sui diritti umani a sfollati interni in Colombia
Servir è disponibile
gratuitamente in italiano,
inglese, spagnolo e francese.
• Produrre e trasmettere un programma radiofonico su pace e riconciliazione per una settimana
in Tanzania nordoccidentale
e-mail:
$400 USA
$450 USA
Alcuni esempi di come
vengono utilizzati
i fondi del JRS:
$1.120 USA
SOSTIENI IL NOSTRO LAVORO CON I RIFUGIATI
Il vostro continuo sostegno rende possibile per noi l’aiuto ai rifugiati e richiedenti
asilo in più di 50 nazioni. Se desideri fare una donazione, compila per cortesia il
tagliando e spediscilo all’ufficio internazionale del JRS. Grazie per l’aiuto.
(Si prega di intestare gli assegni all’ordine del Jesuit Refugee Service)
Desidero sostenere il lavoro del JRS
Allego un assegno
Nome:
Indirizzo:
Città:
Codice postale:
Nazione:
Telefono:
Direttore Responsabile:
Vittoria Prisciandaro
Assistente alla produzione:
Sara Pettinella
[email protected]
indirizzo: Jesuit Refugee Service
C.P. 6139
00195 Roma Prati
ITALIA
tel:
fax:
+39 06 6897 7386
+39 06 6880 6418
Dispatches, un bollettino di
notizie quindicinale dell’Ufficio
Internazionale del JRS che
riporta notizie sui rifugiati e
aggiornamenti sui progetti e le
attività del JRS, è disponibile
gratuitamente via e-mail in
italiano, inglese, spagnolo
o francese.
Per abbonarsi a Dispatches:
http://www.jrs.net/lists/manage.php
Foto di copertina:
Tanzania.
Foto di Mark Raper SJ/JRS.
Ammontare della donazione
Cognome:
Il JRS, un’organizzazione
cattolica internazionale,
accompagna, serve e difende
la causa dei rifugiati e degli
sfollati.
• Fornire assistenza medica per un
anno a un rifugiato ad Harare,
Zimbabwe
$37 USA
Il JRS può contare soprattutto
su donazioni da parte di
privati, di agenzie di sviluppo
e organizzazioni ecclesiali.
Servir è pubblicato in marzo,
settembre e dicembre dal
Jesuit Refugee Service,
creato da P. Pedro
Arrupe SJ nel 1980.
Fax:
Email:
Foto di:
Francesco Spotorno (pp. 2 in alto, 4);
Nina Rücker (p. 3);
JRS Colombia (p. 5); Noparat
Thiannimitdomrong/JRS (p. 6);
Jan Cooney/JRS (p. 7);
Libby Rogerson IBVM/JRS (p. 8);
Mark Raper SJ/JRS (pp. 9, 12);
Don Doll SJ/JRS (pp. 10, 11).
Per trasferimenti bancari al JRS
12
Banca: Banca Popolare di Sondrio, Roma (Italia), Ag. 12
ABI: 05696 – CAB: 03212 – SWIFT: POSOIT22
Nome del conto: JRS
Numeri del conto: • per euro: 3410/05
IBAN: IT 86 Y 05696 03212 000003410X05
• per dollari USA: VAR 3410/05
IBAN: IT 97 O 05696 03212 VARUS0003410
www.jrs.net