il suono come terapia tra corpo e psiche

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il suono come terapia tra corpo e psiche
IL SUONO COME TERAPIA TRA CORPO E PSICHE
A. Norsa
ORIGINI DELLA MUSICOTERAPIA E NUOVE PROSPETTIVE
In tutte le culture dell’antichità, musica e medicina erano praticamente
una cosa sola. Il “sacerdote medico” (lo sciamano) sapeva che il mondo
è costituito secondo principi musicali, che la vita del cosmo, ma anche
quella dell’uomo, è dominata dal ritmo e dall’armonia. Sapeva che la
musica ha un forte potere “coinvolgente” della parte irrazionale, che
procura benessere e che nei casi di “malattia” può aiutare a ricostituire
l’“armonia perduta”.
Platone riteneva che le arti del ritmo contribuissero a migliorare la calma
interiore e la serenità.
Aristotele affermava che la musica ha un potere liberatorio, alleviante e
catartico delle tensioni psichiche.
Per Pitagora gli orientamenti della musica erano tre: il primo di
adattamento, in quanto la musica deve inizialmente adattarsi alla
personalità dell’individuo; nel contempo l’individuo deve saper
lentamente adattarsi a musiche diverse e lontane dalla sua personalità,
accettandole.
Il secondo orientamento è di cambiamento: la musica può infatti
modificare lo stato d’animo profondo dell’individuo, consentendogli una
maggiore accettazione di sé ed un maggiore uso delle proprie capacità e
possibilità.
Il terzo è di purificazione, poichè la musica può liberare l’anima e il
corpo dalle tensioni giornaliere.
Dai tempi antichi fino ai nostri giorni, il concetto di musica come
possibilità benefica o terapica si è tramandato prevalentemente grazie ai
monaci ed ai medici; questo anche per rinforzare l’idea di musicoterapia
come un sistema di cura del corpo e dell’anima, come territorio di
confine tra il somatico e lo spirituale (ricordiamo ad esempio Nokter
Balbulus, monaco, terapeuta e musicologo dell’abbazia di San Gallo in
Svizzera; Richard Brockiesby, medico e musicista londinese, che nel
1700 scrisse il primo trattato di musicoterapia; S. Porgeter, suo collega
coevo, che tra i primi utilizzò la musica nella cura dei disturbi mentali).
Attualmente sono di riferimento cinque modelli: quello
comportamentista, quello di Nordoff- Robbins, di Benenzon, di M.
Prietsly ed il modello GIM (immaginario guidato e musica) di H. Bonny.
I campi di intervento principali sono due: quello ad orientamento
psicopedagogico e quello clinico e psichiatrico.
Nello specifico la musicoterapia viene impiegata nella cura dei disturbi
emotivi e relazionali del bambino e dell’adulto, nei corsi di preparazione
al parto, nella cura dei disturbi mentali e dell’handicap fisico e
sensoriale, negli esiti del coma, nella senescenza normale e patologica
(demenza senile, morbo di Alzheimer, disturbi relazionali dell’anziano).
La varietà dei campi di applicazione della musicoterapia trova
giustificazione nel fatto che i vari orientamenti di questa disciplina
perseguono obiettivi differenti.
Nel lavoro che stiamo trattando descriverò due campi di intervento
diversi: la musicoterapia di gruppo con pazienti psicotici in ambito
istituzionale, e quella col paziente nevrotico in ambito ambulatoriale.
Nel primo caso l’approccio alla musica è attivo (il paziente partecipa
attivamente al canto), nel secondo è passivo (ascolta un brano musicale).
MUSICOTERAPIA DI GRUPPO
Nella nostra esperienza, l’attività di musicoterapia è programmata dal
Centro di Salute Mentale del I Servizio di Psichiatria di Verona, ed è
strutturata in incontri settimanali della durata di circa 60 minuti
ciascuno.
Gli utenti sono una quindicina di pazienti psicotici tra i 27 e i 40 anni.
L’équipe professionale è composta da un maestro di canto, uno
psicologo, un’educatrice, ed un infermiere.
La cadenza degli incontri è regolare nel giorno e nell’ora
dell’appuntamento.
La regolarità dell’appuntamento, insieme al luogo dell’incontro, che nel
tempo rimane lo stesso, ed il gruppo sono per il paziente un punto di
riferimento stabile nelle coordinate spazio-temporali e per questo
l’attività di musicoterapia è di per sé un contenitore delle ansie
psicotiche di confusione e disorientamento.
Il percorso terapeutico consiste essenzialmente in tre fasi:
1) una prima fase di osservazione ed accertamento, dove si inizia a
conoscere la persona ed a creare una relazione per stabilire efficaci
piani di cura.
2) Si delineano poi degli obiettivi da raggiungere, tenendo conto anche
delle informazioni sociali, familiari, storiche e mediche riguardati la
persona stessa. È molto utile conoscere il passato musicale degli
utenti: canti conosciuti sono spesso legati a momenti importanti che
è utile ricordare.
3) In base alle notizie ottenute il terapista elaborerà poi un’anamnesi
iniziale ed un percorso da attuare partendo dalle esigenze e dalle
potenzialità di chi ha davanti, basandosi sulle “parti sane” e
iniziando appunto da queste.
Al centro di ogni seduta c’è il percorso musicale, che nel nostro caso
specifico consiste di canti corali, dopo aver selezionato canzoni
significative per i pazienti. A questi si aggiungono canoni e canti che
riteniamo utili per una buona acquisizione del ritmo, delle pause e del
volume.
Una delle caratteristiche della psicosi è il ritiro in sé, da alcuni chiamato
“ritiro narcisistico”. Questa dimensione della patologia determina il
distanziamento dal mondo, dalla realtà ed anche dal corpo, tanto che
anche la mimica, la produzione verbale e la postura assumono aspetti
dissociativi. Ad esempio, il paziente concentrato sul delirio può avere
uno sguardo assente o reazioni decontestualizzate di tipo impulsivo o
esplosivo. Lo strumento del coro produce una possibilità di spostare la
concentrazione dal sé agli altri, dal mondo intrapsichico al mondo reale.
Per quanto ho potuto osservare, sono tre le componenti in gioco: il
processo imitativo, le dinamiche dell’aspetto della risonanza del corpo
umano, e come il clima del gruppo influenza la conduzione.
L’imitazione può essere considerata la riproduzione conscia o inconscia
di un modello comportamentale.
I processi imitativi si ricollegano sicuramente ad età evolutive primitive,
che hanno la funzione di far acquisire al bambino le modalità di
comportamento necessarie alla sopravvivenza. Piaget descrive cinque
tappe evolutive dell’imitazione, evidenziando nell’ultima un processo
conoscitivo cosciente e volontario.
Anche nel coro potrebbe a mio avviso avvenire un processo analogo,
cioè il passaggio da una imitazione inconscia- quando il soggetto inizia
ad adeguarsi con la sua tonalità a quella del gruppo- ad una più
consapevole, che lo porta a spostare consapevolmente l’attenzione da sé
agli altri, adeguandosi al tono del maestro o del gruppo.
La verifica data dal sentire che il proprio prodotto è uguale a quello del
gruppo, sortisce in questi casi effetti decisivi.
Sarebbe questo processo a rinforzare il passaggio dall’imitazione
inconscia o naturale a quella consapevole e volontaria.
Non bisogna a questo punto dimenticare un altro punto importante
perché avvenga l’imitazione: la simpatia e l’interesse che l’oggetto
imitato esercita sul soggetto. A tal proposito D. Katz scrive che: “Alla
base delle azioni imitative si trova sempre una specie di simpatia. Il
comportamento delle altre persone diventa attivo in forma di uno stimolo
che induce l’imitazione quando corrisponde ad un interesse anche
passeggero (…). La persona o l’azione che si imita deve avere un valore
per il soggetto”. A questo proposito non va sottovalutato l’interesse dei
pazienti per l’attività.
La seconda componente di un processo terapeutico nel coro consiste
nella risonanza del corpo.
Dall’osservazione naturale della percezione fisica del suono degli
strumenti musicali sul corpo, ho pensato che le onde sonore dovessero
agire sui corpi come agiscono sulle casse di risonanza degli strumenti
musicali.
La mia idea è che il corpo faccia da “cassa di risonanza” e che la
vicinanza delle altre persone ne crei una maggiore, soprattutto se queste
sono molto vicine fra loro.
Più coeso è il gruppo, più vicine sono le persone e più il suono si
avvicina all’unisono.
Queste mie osservazioni sono in parte convalidate da tre autori: Roger,
medico francese, nel 1748 affermò che il nostro corpo è composto da
solidi (ossa, muscoli, e cartilagini) e liquidi (sangue ed altri umori) e che
questi due insiemi rispondono alle onde sonore in unisono con il suono
originario; la sua dimostrazione si basava sull’analisi della rispondenza
alle onde musicali di ogni singolo componente ed infine del corpo in
toto. Mc Clellan, riconobbe “una validità all’ipotesi che la musica crei
strutture vibratorie che interagiscono con il nostro corpo attraverso il
principio di risonanza” e ancora che “l’esposizione al suono o alla
musica causa all’interno dei nostri corpi fisici mutamenti che possono
avvenire sia a livello conscio sia a livello inconscio. Il fatto che questo
tipo di consapevolezza o consenso nei confronti di detti mutamenti possa
non essere necessario, è un aspetto significativo. La responsabilità
dell’effetto fisico della musica, quindi, ricade essenzialmente sui suoi
esecutori poiché la musica non richiede un consenso cosciente da parte
dell’ascoltatore per poterlo influenzare a livello fisico. Durante una
qualsiasi esecuzione musicale, i musicisti dovrebbero capire che tutto
quello che creano fisicamente risuona in ogni ascoltatore presente e che
il livello di risonanza può essere intensificato in base al numero di
persone presenti”.
Ed infine Tomatis, noto musicoterapeuta, affermò che le corde vocali dei
coristi entrano in risonanza le une con quelle degli altri.
Per quello che riguarda le implicazioni psicologiche dell’effetto della
risonanza, sembra che questa possa incrementare una maggiore coesione
di gruppo e nuovamente spostare l’attenzione dall’intrapsichico al reale.
La percezione di aver raggiunto un buon risultato di gruppo, favorisce la
gratificazione e l’autostima, ed in secondo luogo la motivazione al
proseguire gli incontri, poiché agevola un clima positivo che favorisce la
socializzazione e l’interazione.
La terza dinamica che ho potuto osservare nel gruppo di musicoterapia è
il clima del gruppo. Quest’ultimo esercita una potente influenza sui
partecipanti e orienta l’andamento dell’attività.
In molte circostanze, il gruppo sembra funzionare -come abbiamo già
avuto modo di osservare- come una unità o un tutto, per quanto tale unità
si manifesti attraverso apporti individuali.
Bion afferma che, quando varie persone si riuniscono per svolgere un
compito, possono individuarsi due tendenze: una diretta alla
realizzazione del compito, l’altra che sembra opporsi ad esso.
Sempre secondo Bion il concetto di cultura di gruppo include quello di
struttura acquisita dal gruppo in un determinato momento, i compiti che
si propone, e l’organizzazione che adotta per la loro gestione.
Gli assunti di base qualificano la mentalità di gruppo e si manifestano
nel comportamento e nel modo con cui affronta il compito.
In generale secondo Bion gli assunti di base sono tre : di dipendenza, di
attacco-fuga, di accoppiamento.
Oltre a questi assunti vi possono essere modalità di gruppo che minano o
ostacolano la crescita e la terapia: sono le tonalità affettive dei singoli
partecipanti che per struttura o per situazione contingente volgono verso
il basso; ci stiamo riferendo alla situazione del “gruppo depresso”.
LA SITUAZIONE: il gruppo fin dai primi momenti di un incontro si
presenta senza quella carica vitale ed energetica che lo caratterizza
abitualmente. Il conduttore cerca di attivare e sollecitare i singoli, ma
questi non rispondono.
La discussione finale con il gruppo, e quella successiva al momento di
attività tra gli operatori, dà la possibilità di confrontarsi sugli aspetti
depressivi del gruppo e di individuare per l’incontro o gli incontri
successivi modalità per potere uscire da questo clima di “impasse”.
La lettura degli eventi nel nostro caso è facilitata dalla possibilità di
confrontarci in una équipe più estesa, in cui sono presenti anche altri
operatori che seguono il paziente in altre attività o in altri contesti, e che
riescono per questo a dare ulteriori spiegazioni o informazioni sulla
situazione.
Nella musicoterapia è proprio questo strumento, oltre alle naturali
potenzialità o parti sane dei pazienti, a favorire la possibilità di
individuare risorse possibili alla gestione della situazione.
A volte può essere sufficiente ad esempio un brano significativo per i
contenuti scelto da un paziente, o un canone scelto dal terapeuta perché
l’alternarsi delle voci e l’aumento del volume porti il singolo ed in
definitiva il gruppo a modificare qualche cosa.
MUSICOTERAPIA CON IL PAZIENTE SINGOLO
I pazienti che seguo nell’attività ambulatoriale hanno diagnosi diverse da
quelle in ambito istituzionale: generalmente la loro struttura di
personalità è iscrivibile tra le nevrosi ed i disturbi di personalità; le
problematiche più frequenti sono nevrosi strutturate, problematiche
depressive di diversa specie e natura, disturbi di personalità, disturbi
psicosomatici e disagio psicologico da situazione. Nel percorso
terapeutico generalmente mi oriento alla scelta o meno della musica
come strategia terapeutica in sede di anamnesi, quando tra le altre
informazioni riguardanti fatti antichi e recenti della vita del paziente,
cerco di capire anche quale via percettiva/sensoriale sia in lui più
sviluppata.
In ognuno di noi, infatti, è più rappresentata una delle 5 vie
percettive/sensoriali: visiva, uditiva, olfattiva, tattile e cinestesica.
Ciascuna di queste è da mettersi in relazione con un diverso stile di
personalità.
A seconda del prevalere dell’una sull’altra o della compartecipazione
delle une con le altre, gli strumenti che scelgo per l’intervento sono
differenti.
Mi oriento all’utilizzo della musicoterapia quando mi accorgo che il
canale uditivo è particolarmente sviluppato o che c’è un particolare
interesse per la musica ed il suono.
A questo punto lascio che sia il paziente ad indicarmi il genere di musica
che preferisce e ricavo una breve storia dei suoi gusti musicali, come si
siano eventualmente modificati nel tempo e se coincidano o divergano
da quelli dei suoi parenti o amici.
È interessante notare se siano gusti naturali o indotti ed è significativo ad
esempio se la persona abbia ereditato la passione della musica classica
dai genitori (dove per esempio la madre era cantante lirica), o da giovane
abbia fatto il disk jokey (divenendo così molto popolare tra i coetanei).
A questo punto si avrà la possibilità di inserire l’aspetto della musica
nell’insieme delle caratteristiche della persona e di comprendere come
questa influenzi i ricordi, o viceversa come i vissuti influenzino la
piacevolezza dell’ascolto di un genere musicale piuttosto di un altro.
Dopo aver compiuto questa breve anamnesi musicale, chiedo al paziente
la disponibilità di condividere in seduta dei brani per lui significativi.
A differenza della situazione istituzionale, in ambito ambulatoriale
prediligo la musicoterapia recettiva; questa tecnica si basa sull’ascolto
guidato dei brani musicali.
E’ stato dimostrato che i neurotrasmettitori, deputati alla regolazione del
comportamento e dell’affettività dell’essere umano, durante l’ascolto
della musica possono subire in alcune situazioni modificazioni nella loro
elicitazione; questo sarebbe più realistico quando l’individuo ascolta la
musica da lui preferita o più emozionante.
Le vibrazioni captate dall’orecchio interno, penetrando a varie
profondità, provocano trasformazioni nei processi elettrobiochimici
all’interno della mente e dell’organismo (effetto diapason della fisica),
per cui si entra in vibrazione quando si vibra sulla stessa lunghezza
d’onda del suono.
Anche in questo caso vediamo, quindi, come la musica eserciti
un’influenza sulla mente e sul corpo.
Nelle fasi successive della terapia, perseguo l’obiettivo di estendere e
potenziare l’apertura di nuovi canali espressivi, che sono collegati con
diversi stili di personalità (A. Norsa, 2004); questo per dare la possibilità
ai pazienti di uscire dalla loro tendenza naturale a riprodurre
continuamente sé stessi in ogni occasione, mettendo in atto modalità di
comportamento e meccanismi difensivi sempre uguali. Sono convinto
che sia questo il motivo per cui a volte le modalità comportamentali o gli
stili caratteriali si strutturano a tal punto da trasformarsi in sintomi e
questi si intensificano in modo tale da determinarne una patologia.
Al contrario, più c’è mobilità tra uno stile comportamentale ed un altro,
e maggiori sono i meccanismi difensivi messi a disposizione del
paziente, grazie alle possibilità di affrontare le cose in modo diverso. A
sostegno della mia ipotesi terapeutica ricordo che, nelle varie epoche,
differenti autori hanno individuato una certa mobilità delle tipologie e
come questo fosse da considerarsi in termini di salute (mi riferisco in
particolare alla teoria degli elementi di Ippocrate, a quella dei tipi
psicologici di Jung ed al modello sufico dell’enneagramma).
Quindi, dopo essermi concentrato sulla musica e sul suo aspetto
evocativo, inizio a sondare quale altro canale espressivo sia possibile
aprire; a tal proposito attivo tecniche di diversa natura a seconda del
caso. Ad esempio posso far ascoltare al paziente un brano musicale
mentre conduco una induzione ipnotica e lasciarlo immaginare in questa
situazione eventi e ricordi della propria vita (canale uditivo e visivo);
oppure fargli rappresentare attraverso la tecnica della scultura corporea
l’emozione che gli trasmette quel determinato brano musicale (canale
uditivo e cinestesico); o ancora fargli disegnare quello che associa alla
musica (canale uditivo e visivo), o unire ad una delle tecniche
precedentemente descritte l’aspersione dell’incenso o di un altro
profumo (canale olfattivo).
La stimolazione e la successiva apertura di un nuovo canale danno la
possibilità di attivare nuovi ricordi o associazioni e quindi aumentare lo
spazio di conoscenza.
IL CASO: Anita è una donna di 45 anni argentina.
Ha lasciato il suo Paese 19 anni fa alla ricerca di una situazione
economica più stabile e così è stato; giunta in Italia ha avviato un’attività
commerciale che, dopo un inizio non particolarmente brillante, sta ora
dando i suoi frutti.
È sposata da 7 anni con Ilias, un uomo della Moldavia russa. Si sono
conosciuti in un momento ancora pieno di incertezze da un punto di vista
economico, ma, poiché fortemente attratti l’uno dall’altra, hanno deciso
di unirsi in matrimonio.
Il primo incontro mi rivela che la sua problematica è di natura
psicosomatica; ha una forte emicrania che in alcuni momenti la riduce a
letto con le persiane abbassate, perché anche la luce le aumenta il dolore.
Per questo motivo ha fatto tutta una serie di indagini mediche, ma senza
riuscire ad individuare qualche riscontro positivo.
Durante la seduta spazia su altri argomenti e, subito prima di congedarsi,
mi racconta di avere partorito l’anno prima un bambino morto. A questo
punto scoppia a piangere e porta le mani al volto intrecciandole le une
sulle altre, ma subito si contiene, smette di piangere e mi chiede di
concludere l’incontro cambiando discorso.
Qualche mese dopo inizio con la paziente un percorso di ipnoterapia. In
questi casi, inizialmente conduco delle “visualizzazioni guidate”, che
consistono nel far evocare al paziente delle immagini sotto la guida del
terapeuta, in una condizione di trance ipnotica.
Con questa paziente sono passato dalla visualizzazione di immagini
piacevoli e rilassanti, ad immagini ristrutturanti (a sostegno della
fragilità dell’Io), ad immagini energizzanti, date le componenti
depressive della paziente.
Successivamente, dalle visualizzazioni guidate siamo giunti a quelle
libere, dove lo stimolo dell’induzione della trance ipnotica parte da una
frase del paziente durante la seduta. È in questo contesto che
generalmente inserisco l’inizio della musicoterapia; i brani che vengono
scelti sono in riferimento ai contenuti palesi dell’incontro o agli aspetti
simbolici. Ad esempio ho scelto della musica new age con il sottofondo
del rumore di una cascata, sia per il ricordo dei suoni familiari alla
paziente, perché relativi al Paese di provenienza, sia perché
quest’immagine è rappresentazione da un punto di vista simbolico del
rapporto con il maschile, e quindi offre un luogo di confronto anche su
questo aspetto.
Lentamente l’umore di Anita inizia a migliorare, ma la situazione di
blocco emotivo relativo al lutto per la morte del bambino permane.
L’occasione per poterla affrontare si presenta spontaneamente dopo
qualche seduta, quando la paziente mi riferisce di avere in quell’istante
un dolore alla testa insopportabile.
Le chiedo di rappresentare il dolore con un gesto. Anita si copre il volto
con entrambe le mani, intrecciandole l’una sull’altra.
Riconosco in tale posizione quella che aveva assunto durante il racconto
doloroso del primo incontro. Le chiedo ora di conservare quella
posizione mentre le faccio ascoltare della musica.
Scelgo un brano musicale new age intitolato “Rain Dance”. Chiedo a
questo punto alla paziente di seguirne l’ascolto, lasciandosi trasportare
dalle immagini evocate dalla musica.
“Rain Dance”, la danza della pioggia, inizia con percussioni di tamburi e
un canto tribale molto ritmato ed il ritmo si fa sempre più incalzante man
mano che il tempo passa.
Il tamburo incalzante è simbolicamente la rappresentazione della
persistenza dei pensieri e delle emozioni dolorose ad essi collegate. La
paziente si copre di più il volto e la sua espressione di sofferenza
aumenta.
Il brano culmina con un tuono. A questo punto l’intensità del suono dei
tamburi si fa sempre più flebile ed inizia lo scroscio dell’acqua.
Anita fa scorrere le sue mani dal volto alle spalle e lungo il suo corpo
fino ai fianchi. A questo punto inizia a piangere, con un pianto dirotto.
Finalmente lo sblocco è avvenuto. Tutte le emozioni si sono liberate e lei
riesce a confidare le sue sensazioni di colpa per essere stata la causa
involontaria della morte del bambino e la sua rabbia per la non
partecipazione emotiva del marito.
È iniziata così la riparazione del lutto di Anita per la scomparsa di suo
figlio.
CONCLUSIONI
Ritengo che le finalità della musicoterapia di gruppo e di quella sul
paziente singolo in parte possano coincidere, anche se per altri aspetti si
distinguono.
Le caratteristiche in comune sono da una parte la centralità della musica
come elemento conduttore di ricordi, emozioni e sensazioni; dall’altra il
corpo come collettore fisico-emozionale.
Nello specifico, credo che per il percorso di gruppo sia necessario
individuare la situazione iniziale di ogni singolo paziente, valutarne gli
elementi di fragilità e di forza e facilitare la disponibilità delle
potenzialità in favore del gruppo, facendo altresì in modo che
quest’ultimo sia di sostegno al singolo quando si trova in difficoltà.
Con il paziente in terapia individuale le caratteristiche di personalità
possono essere intese come punto di partenza per un percorso che lo
porti dall’autoconoscenza delle proprie risorse e fragilità ed allo
sviluppo di altri aspetti di personalità o modalità differenti di stare con le
cose, che possano essergli d’aiuto a non reagire coattivamente agli
eventi.
Ritengo che la musica sia centrale in entrambe le modalità terapeutiche
come possibilità maieutica e trasformativa.
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