daL LABORATORIO - Azienda Ulss 12 veneziana

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n.5 – 2014
Laboratorio Analisi ULSS 12 Veneziana
Direttore Dr. Massimo Gion
daL LABORATORIO
n.5, giugno 2014
NOTIZIARIO DI INFORMAZIONE CONTINUA IN MEDICINA
DI LABORATORIO
a cura di
Ruggero Dittadi
Indice
Introduzione nel referto della velocità di filtrazione glomerulare stimata .......................... 2
La definizione di insufficienza nella misura della vitamina D ……………………………… 3
Modifiche ed introduzione di nuovi dosaggi
Nuovo dosaggio della gastrina ………………………………………………………. 8
Introduzione del dosaggio di -2proPSA e dell’algoritmo PHI …………………….. 9
Il file di questo Notiziario sarà disponibile nel sito aziendale, alla pagina “Materiale scaricabile/pubblicazione
per i medici” al seguente link
http://www.ulss12.ve.it/117_0/default.ashx
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INTRODUZIONE NEL REFERTO DELLA VELOCITÀ di FILTRAZIONE GLOMERULARE
STIMATA
Concetta Forestieri
La malattia renale cronica (MRC) sta diventando uno dei maggiori problemi sanitari nel mondo
occidentale. La sua prevalenza è in continuo aumento sia per l'allungamento dell'aspettativa di
vita sia per la migliorata sopravvivenza dei soggetti affetti da malattie metaboliche e/o
cardiovascolari.
La gestione dell'MRC richiede una forte integrazione tra tutti gli attori coinvolti, a cominciare dal
medico di medicina generale, per una precoce individuazione dei fattori di rischio ed un
tempestivo ed appropriato invio alle strutture specialistiche.
E' stata recentemente pubblicata una nuova linea guida emanata dalla KDIGO (Kidney Disease
Improving Global Outcomes) sulla gestione della MRC (1), che costituisce un aggiornamento
della LG del 2002. Lo scopo della nuova linea guida è quello di chiarire la definizione e la
classificazione di MRC e di fornire una guida per la gestione del paziente. Tra i destinatari è
riportato anche il laboratorio, per il ruolo fondamentale che le relative indagini hanno nella
individuazione e gestione della malattia (2).
La MRC viene definita come “danno renale o ridotta funzionalità, presenti da più di tre mesi, che
abbiano implicazioni per la salute dell'individuo”.
Il danno renale viene definito dalla presenza di albuminuria (≥ 30 mg/g di creatinina) e/o
sedimento urinario patologico e/o anomalie degli elettroliti plasmatici o altre anomalie dovute a
disfunzione tubulare e/o anomalie istologiche e/o anomalie rilevate con tecniche di “imaging” e/o
storia di trapianto renale.
La funzione ridotta è definita come una velocità di filtrazione glomerulare (GFR) < 60
ml/min/1,73m2.
Aderendo alle raccomandazioni della linea guida abbiamo inserito nel referto il valore di GFR
calcolato (eGFR) usando la formula CKD-EPI, associato al valore della creatinina plasmatica. Si
ricorda che la formula è valida nei soggetti da 18 a 75 anni, e al di fuori di questo range di età
non viene fornita. Inoltre eGFR non è applicabile nelle donne in gravidanza, nei soggetti defedati
e/o affetti da patologie multiple.
Inoltre, sempre secondo le raccomandazioni della linea guida, si abbandonerà il termine
“microalbuminuria” riportando la dizione “albumina urinaria”, la cui concentrazione viene espressa
in rapporto alla concentrazione di creatinina nel campione non temporizzato. Per questa
determinazione si raccomanda di utilizzare il mitto intermedio del primo campione del mattino,
che non risente degli effetti della postura e dell'esercizio fisico (2).
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Bibliografia
1. KDIGO 2012 clinical practice guideline for the evaluation and management of chronic Kidney
disease. Kidney Int Supp 2013;3:1-150.
2. Graziani MS. Un aggiornamento delle linee guida internazionali per la valutazione e la
gestione della malattia renale cronica. Biochim. Clin. 2014;38:32-38.
LA DEFINIZIONE di INSUFFICIENZA NELLA MISURA DELLA VITAMINA D
Ruggero Dittadi
La concentrazione sierica di 25 idrossi-vitamina D (25OH-D) è considerata il migliore indice della
riserva di vitamina. Tuttavia quale sia la concentrazione ottimale di vitamina D è un aspetto
tuttora molto controverso e ampiamente dibattuto.
Nel nostro laboratorio i limiti di riferimento per la vitamina D sono stati impostati secondo le
indicazioni della consensus conference sull’argomento svoltasi nel 2009 (1). Tuttavia, proprio a
causa del numero di soggetti con concentrazioni apparentemente insufficienti di vitamina D, il
problema è stato nuovamente affrontato sia dal punto di vista analitico che epidemiologico, con
parallelamente una revisione della recente letteratura.
I valori di riferimento di un analita sono generalmente identificati sulla base di un campione
rappresentativo della popolazione sana. Tuttavia la vitamina D è un analita piuttosto peculiare,
anche a causa della particolare modalità di produzione. Infatti il colecalciferolo (vitamina D3), la
forma più abbondante di vitamina D, è prodotto soprattutto mediante esposizione ai raggi UV dal
7-deidrocolesterolo, e nei paesi temperati questa forma di produzione assicura circa l’80% del
fabbisogno giornaliero (2). Così i valori “normali” possono variare fortemente a seconda dell’età,
del luogo di residenza, della stagione e dell’esposizione al sole, che fra l’altro con i cambiamenti
dello stile di vita ha subito una progressiva diminuzione nel tempo con conseguente riduzione dei
livelli di vitamina. Inoltre i disturbi causati da difetto di vitamina D possono essere poco evidenti,
se non del tutto misconosciuti.
Fare quindi riferimento ai valori “usuali” diventa poco utile quando si voglia conoscere l’eventuale
necessità di prescrizione.
I criteri per stabilire le concentrazioni ottimali sono numerosi, tanto più che gli effetti pleiotropici
della vitamina D stanno indirizzando gli studi verso scenari molto diversi, che forniscono risultati
differenti a seconda del tipo di funzione e patologia valutate.
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Criteri per la valutazione delle concentrazioni ottimali
Misurando le concentrazioni di 25OH-D trovate in popolazioni che vivono e lavorano in condizioni
di alta esposizione al sole si è visto che si raggiungono livelli medi di oltre 120 nmol/L,
corrispondenti a 48 ng/L (3,4).
Tuttavia, andando a valutare gli effetti direttamente legati alle funzioni della vitamina D, le
concentrazioni sufficienti sembrano essere significativamente inferiori, pur con notevoli differenze
fra i diversi studi. Si è riscontrato che i livelli necessari a prevenire osteomalacia e rachitismo
risultano circa 35 nmol/L (5), ma le concentrazioni tali da escludere con sicurezza la patologia
possono raggiungere le 75 nmol/L (6) .
Negli studi che hanno associato la concentrazione di 25OH-D con il rischio di fratture si è sempre
evidenziata una associazione inversa tra i due parametri, ma i valori di vitamina sopra i quali non
si osservano più miglioramenti sono estremamente variabili, e vanno da 40 a 70 nmol/L (7-9).
Altri approcci hanno considerato la massimizzazione dell’assorbimento di calcio a livello
intestinale, che è stato inizialmente riportato avvenire sopra gli 80 nmol/L (10,11). Un recente
studio particolarmente accurato avrebbe però dimostrato un plateau di assorbimento già a 20
nmol/L di 25OH-D (12).
Anche la valutazione dei livelli di 25OH-D associati alla normalizzazione delle concentrazioni di
PTH porta a risultati variabili (da 32 nmol/L fino ad oltre 78 nmol/L) a seconda del modello
statistico usato, della selezione della casistica, dei valori di riferimento e dei metodi utilizzati per
la definizione e la determinazione dei due parametri (13-15).
In uno studio di popolazione del 2004 (16) è risultato un cut-off di 75 nmol/L come livello
necessario per il raggiungimento di un’ottimale densità ossea in adulti di meno di 50 anni. Lo
stesso limite è risultato in alcuni studi randomizzati e controllati sulla prevenzione di cadute e
fratture negli anziani (17). Recenti revisioni di studi effettuati su adulti (18) e bambini e
adolescenti (19) hanno però evidenziato una scarsa rilevanza della supplementazione di vitamina
sulla densità ossea, almeno in soggetti non a rischio e con 25OH-D >35 nmol/L.
La carenza di vitamina D è stata associata anche ad un gran numero di altre patologie (10, 17),
ma, trattandosi di studi epidemiologici, trovano relazioni statistiche significative ma non
dimostrano chiaramente un rapporto causale tra vitamina D e le patologie indagate. Quindi le
evidenze di un reale effetto protettivo della vitamina D, sebbene siano molto suggestive, non
sono ancora considerate del tutto sufficienti (20,21).
Problemi nella individuazione di un limite ottimale ed indicazioni ufficiali
Bisogna innanzitutto ricordare, dal punto di vista metodologico, che l’incertezza intrinseca nella
misura della 25OH-D, e la diversità dei metodi usati per la sua determinazione sono aspetto
rilevante, in quanto è ancora scarsa l’armonizzazione fra i diversi dosaggi. Questi problemi da
soli sarebbero in grado di vanificare il tentativo di stabilire un cut-off assoluto, cosa peraltro
sempre ardua in medicina di laboratorio.
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Ma bisogna soprattutto rilevare che per sistemi complessi, come appunto il caso dei processi nei
quali la vitamina D è coinvolta, non è facile reperire lavori dai contenuti inoppugnabili.
Numerosissimi sono i fattori che intervengono nella produzione e nell’attività biologica della
25OH-D e degli ormoni correlati. L’assunzione di calcio è uno dei più importanti, e a questo
proposito va ricordato come gli effetti positivi della vitamina D siano meno evidenti se
l’assunzione di calcio è sufficiente. Altri aspetti sono la funzionalità renale, i livelli di fosforo e
magnesio, l’età, il sesso, l’assunzione di farmaci, il colore della pelle, l’indice di massa corporea,
per arrivare alla stagione in cui viene effettuato lo studio, ad aspetti legislativi (supplementazione
dei cibi in atto in alcuni paesi), a parametri geografici, alla cultura ed allo stile di vita (mobilità,
esposizione al sole, abbigliamento, tipo di attività, uso di filtri solari,…..).
Riuscire ad orientarsi fra questa moltitudine di effetti confondenti, distinguendoli in ciascuno
studio ed estrapolando le corrette indicazioni da risultati spesso contraddittori non è facile.
Non sorprende quindi che le procedure di selezione dei numerosi studi pubblicati e l’analisi e
l’interpretazione degli stessi portino a diverse considerazioni finali sulle raccomandazioni relative
alla definizione di carenza e alle modalità di supplementazione.
Al momento le linee di indirizzo principali sono sostanzialmente due. L’Institute of Medicine
statunitense (20) stabilisce il livello di 50 nmol/L come limite sufficiente, corrispondente
all’assunzione che copre le necessità del 97.5% della popolazione.
D’altro canto una linea guida della Endocrine Society (21) stabilisce il livello di 50 nmol/L come
limite di carenza, ma considera ancora insufficiente un valore di vitamina fino a 75 nmol/L. Oltre
le 250 nmol/L ci può essere rischio di intossicazione. Indicazioni simili vengono anche da altri
gruppi di lavoro (1,22).
Le revisioni del 2012 delle rispettive linee guida hanno sostanzialmente mantenuto invariate le
indicazioni originali, non senza qualche rispettiva polemica (23,24).
Prevalenza di bassi livelli di 25OH-D
Il riscontro di bassi livelli di 25OH-D è particolarmente comune, sebbene (e non potrebbe essere
altrimenti considerando l’eterogeneità dei cut-off) anche in questo caso i risultati siano quanto
mai variabili. Dati ricavati da studi effettuati in diverse parti del mondo nell’ultimo decennio
mostrano come la frazione di individui con livelli di 25OH-D inferiori a 50 nmol/L superi
mediamente il 50% (24), con incrementi delle percentuali nei pazienti anziani, meno esposti al
sole o con scarsa mobilità, e intrinsecamente con produzione più ridotta. Negli Stati Uniti si è
inoltre riscontrata tra l’inizio degli anni ’90 e l’inizio del 2000 una diminuzione dei valori di circa 510 nmol/L, al netto degli aggiustamenti per le differenze tra dosaggi. Fattori più importanti della
diminuzione sembrano essere stati l’incremento del BMI e della protezione dal sole e la
diminuzione del consumo di latte (25).
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In Italia circa il 30% di giovani adulti mostrano livelli inferiori a 50nmol/L e il 65% inferiori a 75
nmol/L, con un peggioramento durante l’inverno. Inoltre l’80% delle donne con più di 70 anni
hanno concentrazioni più basse di 25nmol/L (22).
Valutazioni presso il nostro laboratorio
Per quanto riguarda il nostro centro, dopo aver verificato l’allineamento della nostra
strumentazione con altre dello stesso tipo mediante la rivalutazione del controllo di qualità
esterno, è stata effettuata una verifica dei dosaggi negli anni 2012 e 2013, per accertare la
stabilità analitica del nostro metodo e l’allineamento delle percentuali di casi che presentano
“insufficienza” rispetto ai dati della letteratura.
Sono stati considerati i dati di pazienti ambulatoriali e che abbiano eseguito solo un prelievo negli
anni considerati (per ridurre i casi presumibilmente in monitoraggio). Dopo eliminazione degli
outliers, sono stati selezionati 6901 casi, con età da 1 a 102 anni e livelli di vitamina da 10 a 179
nmol/L. Il 73% dei casi mostrava livelli <75nmol/L e il 41% concentrazioni <50nmol/L.
La valutazione per classi di età mostra in generale livelli più elevati in bambini e adolescenti e
livelli più bassi negli adulti sopra i 75 anni. Altrettanto atteso risulta che in ambedue gli anni i livelli
di vitamina siano più alti in estate ed autunno e più bassi in inverno e primavera.
Quindi, sempre considerando che questa valutazione resta grossolana, non avendo a
disposizione notizie clinico-anamnestiche, pure non risultano discrepanze rispetto ai dati che si
possono ricavare dalla letteratura.
Conclusioni
Il nostro metodo appare stabile e i risultati coerenti con quelli finora pubblicati. Dall’esame della
letteratura più recente sembra abbastanza consolidato che valori al di sotto di 20-30 nmol/L sono
indice di rilevante carenza, e concentrazioni superiori a 75-80 nmol/L possono considerarsi livelli
di sostanziale sicurezza, ma nei range intermedi forse le indicazioni potrebbero essere mitigate.
Pur non potendo autonomamente discostarci dalle indicazioni ufficiali finora più seguite, si è
pensato di arrivare ad un quasi “semantico” compromesso. Mantenere un livello di “insufficienza”
al di sotto del limite di 50 nmol/L, che vede l’accordo di quasi tutte le opinioni, ed un livello
ottimale sopra le 75 nmol/L. La fascia di popolazione nel mezzo, più che “insufficiente”
(espressione che, sottendendo certezze peraltro non del tutto provate, suggerirebbe comunque
la necessità di una supplementazione) potrebbe essere considerata a concentrazioni “non
ottimali” ma, almeno allo stato attuale delle conoscenze, non a rischio generalizzato. Questo
potrebbe lasciare più libera la decisione sull’opportunità di interventi sostitutivi, da effettuare sulla
base di altri fattori, fra cui l’età, la dieta e lo stile di vita.
Si propone quindi questa piccola modifica, che potrà essere applicata nei referti nei prossimi
mesi, e si attendono nel frattempo eventuali commenti relativi a questa proposta.
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Bibliografia
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MODIFICHE ED INTRODUZIONE DI NUOVI DOSAGGI
Ruggero Dittadi
Nuovo dosaggio della gastrina
Nell’ambito del rinnovo della strumentazione analitica e della riorganizzazione dell’offerta
diagnostica, si comunica che dall’inizio di giugno è stato cambiato il reagente per il dosaggio
della Gastrina. Nei referti è riportato l’avviso con la relativa data di attivazione.
Anche questo nuovo dosaggio reagisce con le principali forme molecolari di gastrina circolante
(gastrina-17 solfatata e non, Gastrina-34) e può essere utile quindi anche come ausilio per
diagnosi e monitoraggio di gastrinomi.
Pur essendo correlato con il metodo precedente, fornisce dati numericamente più bassi, anche
perché i risultati sono ora espressi in pmoli/L (precedentemente erano forniti in ng/L).
Si consiglia quindi di valutare i referti con speciale attenzione, e ove necessario si invita ad
interagire con il dirigente responsabile del settore (dr Dittadi) per considerazioni sui riscontri
clinici ed eventuali rivalutazioni, con particolare riguardo agli intervalli di riferimento adottati.
Introduzione del dosaggio di -2proPSA e dell’algoritmo PHI
La molecola [-2]proPSA è uno dei precursori del PSA libero, e deriva da una modificazione
proteolitica post-translazionale che probabilmente riflette una alterazione biochimica tumoreassociata.
Sebbene tale forma sembri particolarmente associata al tessuto prostatico canceroso, non è
chiaro se, usata come singolo dosaggio, possa fornire prestazioni significativamente migliori dei
marcatori finora in uso. È stata quindi recentemente sviluppata una associazione matematica dei
valori del [-2]proPSA con PSA totale, PSA libero (secondo l’equazione [-2]proPSA/free PSA) ×
√PSA) per formare un algoritmo chiamato PHI (Prostate Health Index).
Tale algoritmo fornisce migliori informazioni rispetto alle misure di PSA totale e libero. È ben
associato allo score Gleason, può essere utile nella stratificazione del rischio e risulta
discriminare meglio i pazienti da sottoporre a biopsia, riducendo il numero di biopsie negative.
Nella pratica clinica il PHI è utile in pazienti con un PSA totale tra 2 e 10 ng/mL.
Il nostro laboratorio ha iniziato ad eseguire il dosaggio del [-2]proPSA e produce nel referto
l’algoritmo PHI. Il risultato del PHI non viene espresso come cut-off ma come fasce di rischio.
Sono state identificate 3 fasce, una (con valori <21) che esprime una associazione con rischio di
neoplasia prostatica improbabile, una seconda (valori da 21 a 40) dove il rischio non è
determinabile ed una terza (valori >40) nella quale il rischio può essere significativo.
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L’esame non è presente nel Nomenclatore tariffario della Regione, e quindi deve essere richiesto
su “ricetta bianca”. La tariffa prevista è di 130€, che comprende il dosaggio di PSA totale, PSA
libero e pro-PSA. La richiesta dovrà essere riportata come “PHI”. Anche nel caso di richiesta di
“proPSA” o “p2PSA”, l’esame sarà ugualmente accettato come PHI, codice che produce
automaticamente l’inserimento di tutti e tre gli analiti necessari al calcolo.
Si ricorda che la molecola di [-2]proPSA è particolarmente instabile nel sangue intero. Di
conseguenza il prelievo potrà per il momento essere effettuato solo presso i Centri Prelievo
dell’Ospedale Civile di Venezia e dell’Ospedale dell’Angelo a Mestre, in modo da poter
processare in tempi rapidi il campione presso il vicino laboratorio. Di conseguenza per qualsiasi
richiesta di questo tipo l’utente dovrà essere indirizzato ai due Centri Prelievo sopracitati.
Bibliografia
Loeb S, Catalona WJ. The Prostate Health Index: a new test for the detection of prostate cancer
Ther Adv Urol 2014; 6: 74-7
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