“I DISTURBI DEL LINGUAGGIO CATEGORIE PROF .SSA

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“I DISTURBI DEL LINGUAGGIO CATEGORIE PROF .SSA
“I DISTURBI DEL LINGUAGGIO:
CATEGORIE”
PROF.SSA GENEROSA MANZO
Università Telematica Pegaso
I disturbi del linguaggio: categorie
Indice
1
LE TRE CATEGORIE DEI DISTURBI DEL LINGUAGGIO ------------------------------------------------------- 3
2
I DISTURBI DELLA VOCE E DELLA PAROLA ---------------------------------------------------------------------- 4
2.1.
2.2.
2.2.1.
2.3.
3
DISTURBI DEL CODICE LINGUISTICO PRIMITIVI ------------------------------------------------------------- 13
3.1.
3.2.
3.3.
3.4.
4
DISFONIA ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 4
DISARTRIE ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 7
ALCUNE TIPOLOGIE DI DISARTRIE------------------------------------------------------------------------------------------- 8
BALBUZIE ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------10
RITARDO SEMPLICE DEL LINGUAGGIO -------------------------------------------------------------------------------------13
DISFASIA -----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------14
SINDROME AGNOSTICO-UDITIVA -------------------------------------------------------------------------------------------15
DISPRASSIA VERBALE --------------------------------------------------------------------------------------------------------16
DISTURBI DEL CODICE LINGUISTICO SECONDARI ----------------------------------------------------------- 17
4.1.
4.2.
4.3.
4.4.
4.5.
4.6.
4.7.
4.8.
LOGOPATIE DA ANOMALIE ORGANICHE -----------------------------------------------------------------------------------17
FRENULO LINGUALE CORTO ------------------------------------------------------------------------------------------------17
LABIOSCHISI ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------17
PALATOSCHISI ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------18
MACROGLOSSIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------18
MORSO ALTERATO -----------------------------------------------------------------------------------------------------------19
DEGLUTIZIONE ATIPICA -----------------------------------------------------------------------------------------------------19
L’IPOACUSIA ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------19
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 20
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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I disturbi del linguaggio: categorie
1 Le tre categorie dei disturbi del linguaggio
I disturbi del linguaggio possono essere suddivisi in tre categorie in base alla sintomatologia
che li caratterizza pertanto si riconoscono:
 Disturbi della voce e della parola (disfonie disartrie, balbuzie);
 Disturbi del codice linguistico primitivi (ritardo semplice del linguaggio, disfasia, sindrome
agnostico-uditiva, diprassia verbale);
 Disturbi del codice linguistico secondari ( logopatie da anomalie organiche e ipoacusia).
PATOLOGIE TRATTATE
Disfonia
I DISTURBI DELLA VOCE E
DELLA PAROLA
Disartrie
Balbuzie
Ritardo del linguaggio
Primitivi
Disfasia
I disturbi del codice linguistico
Sindrome Agosico-uditiva
Secondari
Ipoacusia
Disprassia verbale
Logopatie da anomalie
organiche
Immagine 1. I disturbi del linguaggio le patologie trattate nel capitolo.
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2 I disturbi della voce e della parola
2.1.
Disfonia
La disfonia è un’alterazione della voce che può colpire l’uomo in età infantile e adulta.
L’aria che inspiriamo è spinta forzatamente, attraverso la glottide sulle corde vocali, queste vibrano
e producono un suono interno che viene definito suono laringeo.
Immagine 2. La laringe durante l’inspirazione e durate l’emissione di suoni.
Il timbro, il volume e la qualità del suono possono essere cambiati dal grado di ampiezza e
tensione delle corde vocali e di pressione del volume aereo. Tale suono, modificato dalla risonanza
delle cavità nasali ed orofaringea e dai movimenti della lingua sul palato, denti e labbra, diventa
voce.
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Immagine 3. L’apparato fonatorio
Una qualsiasi modificazione delle caratteristiche superficiali delle corde vocali o della
capacità di vibrazione di quest’ultime, determina una alterazione del suono laringeo che viene
definita DISFONIA.
Le cause delle disfonie possono essere di :
 Origine organica se è individuabile una lesione di tipo organico;
 Origine funzionale se è da ricollegarsi ad un disturbo nervoso della laringe.
Non è sempre possibile operare una distinzione così marcata fra le due forme, può succedere
infatti, che una disfonia iniziata per una causa organica si trasformi in una funzionale e viceversa.
Tra le disfonie di tipo organico vi sono quelle prodotte dalla presenza di noduli (ovvero delle
neoformazioni situate generalmente sul bordo della corda vocale); o di polipi (neoformazioni che si
impiantano nel tessuto cordale), o conseguenti a traumi, forme infiammatorie o a paralisi della
laringe.
Tra le disfonie di tipo funzionale si riscontrano le disfonie ipocinetiche (le corde vocali
hanno difficoltà ad avvicinarsi), quelle ipercinetiche (le corde vocali si avvicinano forzatamente),
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quelle più specificamente psicogene (le corde vocali pur non presentando alcuna tipologia di
lesione sono come paralizzate) e quelle dovute ad alterazioni della muta vocale (la voce non si
adegua alle modificazioni dell’apparato vocale e/o del sistema endocrinologico)1 .
A seconda del tipo e della gravità dell’alterazione la voce può apparire stridula, rauca, con
alterazioni del ritmo e della melodia, fino a diventare afona.
L’intervento terapeutico delle disfonie in alcuni casi è inizialmente di tipo chirurgico o
farmacologico, ma deve in ogni modo essere affiancato ad un adeguato trattamento rieducativo
della voce. Si farà uso in questo caso, di esercizi mirati al ripristino di tutte le funzioni degli
apparati fonico, articolatorio e respiratorio.
Spesso si richiede anche l’intervento psicologico laddove si è di fronte a forme in cui la
componente psicogena è predominante2.
Potrebbe verificarsi che in un bambino la disfonia passi inosservata, poiché si pensa che la
voce si sia abbassata perché il bambino ha urlato troppo. Non bisogna affatto sottovalutare ogni
cambiamento della voce, soprattutto se essa cambia spesso, se il bambino mostra stanchezza nel
parlare o se respira a fatica e in modo scorretto quando parla.
Un’alterazione della voce può comportare nel bambino danni e difficoltà non solo in questo
specifico ambito, ma anche nelle competenze linguistiche. Spesso i bambini disfonici non sono
capaci di discriminare i suoni nelle componenti sorde e sonore, perché la voce rauca comporta delle
alterazioni quando essi li pronunciano, oppure perché gli atti respiratori sono modificati quando
parlano.
L’articolazione di tutti i fonemi e la distinzione fra suoni simili è un prerequisito
importantissimo ed indispensabile nell’apprendimento della lettura e della scrittura.
Se si ha un sospetto di disfonia è necessario effettuare un controllo foniatrico e se la
diagnosi viene confermata bisogna ricorrere a terapia logopedia.
Le disfonie infantili sono più frequenti del dovuto e spesso sono dovute a ad infiammazioni
o a noduli presenti sulle corde vocali.
Il trattamento logopedico con i bambini mira a ripristinare le funzioni pneumo-fonoarticolatorie, essa possono essere ripristinate servendosi di attività come il gioco.
1
2
Gosciu G., Pratelli M., L’insegnate specializzato, Editrice Tresei Scuola, Ancona 2000.
Ibidem
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Nei confronti di un bambino disfonico l’educatore o l’insegnante non devono mai chiedere
al bambino di sforzare le sue corde vocali chiedendo di aumentare il tono di voce se non si è
compreso ciò che è stato detto.
Per evitare che la disfonia peggiori è necessario che sia l’ambiente familiare che quello
scolastico siano liberi da sostanze irritanti a livello inalatorio che possono comportare difficoltà
nella respirazione.
Se il bambino disfonico già ha imparato a leggere il trattamento riabilitativo consiste nel far
sviluppare un nuovo metodi di lettura per aiutarlo a riportare in maniera ottimale la situazione del
suo apparato fono-respiratorio. Tale condizione di ripristino è possibile attraverso quella che prende
il nome di lettura con accordo pneumo-fonico.
La lettura con accordo pneumo-fonico è svolta prestando attenzione alle fasi respiratorie e la
tecnica applicata è la seguente: il bambino inspira prima di iniziare la frase, mentre espira legge la
frase, quando termina la frase fa fuoriuscire tutta l’aria, e poi segue lo stesso criterio per leggere le
altre frasi.
Un punto cardine del trattamento riabilitativo è la respirazione di tipo diaframmatico
(il diaframma si solleva in fase inspiratoria e si abbassa in fase espiratoria) ed è utilizzata dal
bambino in ogni momento della giornata. Di ciò si deve tenere conto anche quando si svolgono le
attività motorie nell’ambito della classe. Durante tutta la durata della terapia si deve consentire al
bambino di svolgere la respirazione in questo modo anche se gli altri fanno diversamente.
2.2.
Disartrie
Si definiscono disertrici una serie di disordini del linguaggio articolato dovuti a disturbi del
controllo muscolare per lesioni del sistema nervoso centrale e periferico.
Oggi molto frequentemente, al termine disartria si preferisce la forma plurale, disartrie.
È possibile, infatti, differenziare dal punto di vista clinico le varie patologie disartriche e
mettere a punto una classificazione nell’ambito di entità cliniche ben definite, con quadri
sintomatologici particolari.
Le forme più frequenti derivano da lesioni che riguardano il sistema piramidale, il sistema
extrapiramidale e il cervelletto.
Il sistema piramidale controlla i movimenti volontari fini e il sistema extrapiramidale.
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Il sistema extrapiramidale esercita la funzione di regolatore
del tono muscolare sui
movimenti automatici e involontari ed influisce anche sulla motilità volontari, rendendo corretto
l’inizio, la successione e la cessazione dei suddetti movimenti.
Il
cervelletto svolge una funzione regolatrice e di controllo sul tono muscolare e sui
movimenti volontari. La sua distruzione non comporta paralisi, né turbe della sensibilità, ma si
traduce in disturbi motori che comportano perdita di funzioni come quella coordinatrice,
modulatrice e regolatrice.3
A livello clinico è difficile trovare delle forme disartriche pure, in quanto sono più frequenti
quadri sintomatologici misti, in quanto la lesione neurologica interessa generalmente varie zone del
sistema nervoso centrale.
In un soggetto disartrico sono presenti a secondo dell’estensione della lesione, disturbi nella
funzione respiratoria, nel meccanismo della fonazione e nell’articolazione della parola.
In questi soggetti il numero degli atti respiratori appare diminuito ed il muscolo
diaframmatico è poco mobile, si denota, inoltre, uno scarso controllo dei muscoli intercostali e nei
casi più gravi manca addirittura il controllo respiratorio.
La difficoltà nella respirazione contribuisce ad alterare notevolmente il tono di vocale può
essere in questo caso, debole, forzato o fluttuante4.
I soggetti possono presentare anche difficoltà a succhiare, ingoiare e masticare e la loro
lingua non riesce a muoversi in tutte le direzioni ed impedisce pertanto la realizzazione della
maggior parte dei fonemi.
La produzione verbale, per le difficoltà citate, si presenta alterata anche nella velocità, nel
ritmo, nell’intonazione e nei caratteri del discorso.
2.2.1.
Alcune tipologie di disartrie
LA PARALISI CEREBRALE INFANTILE
È una forma di disartria che interessa il bambino perché il danno neurologico compare in età
precoce, alla nascita o nei primi mesi di vita.
3
4
Cippone De Filippis A., Le turbe del linguaggio e riabilitazione, Armando Editore, Roma 1993.
Gosciu G., Pratelli M., op.cit.,p.6.
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In questi casi è particolarmente coinvolto il movimento volontario, alla paralisi cerebrale
infantile possono associarsi altri quadri patologici che complicano inevitabilmente la situazione:
ritardo percettivo, disfasia, ipoacusia, disgrafia, ecc.
È particolarmente collegata a questa sindrome l’ipoacusia perché ha in comune gli stessi
fattori eziologici, può però aggravarsi per lo scarso controllo posturale: il bambino ha difficoltà di
orientamento verso la fonte sonora, i movimenti volontari non inibiscono i rumori di fondo ed
inoltre, non sa controllare il respiro per favorire le condizioni interne di ascolto.
In presenza di ritardo cognitivo gravissimo i soggetti rimangono allo stadio senso-motorio o
preoperatorio fino all’età adulta. Quando il ritardo mentale è più lieve, è difficile stabilire se sia
legato agli esiti della lesione oppure è la conseguenza del ritardo percettivo e linguistico.
Anche il ritardo percettivo è collegato alla scarsa efficienza visiva, uditiva e soprattutto
anche del linguaggio.
Il bambino cerebroleso può sviluppare il linguaggio normalmente, in rapporto alla
localizzazione della lesione.
Non bisogna però dimenticare che soggetti in questo caso, sul versante della comprensione
sono in una condizione di quasi integrità e ciò rappresenta un fattore favorevole per le possibilità di
recupero delle funzioni che si presentano alterate.
L’intervento che va messo a punto per tale condizione è di tipo educativo, in esso il bambino
va guidato al superamento delle organizzazioni percettive.
In tale intervento rientra l’operato di più figure: logopedista, fisioterapista ed educatore, tra i
vari specialisti è necessaria una proficua collaborazione.
Anche la scuola deve avere uno stretto rapporto con le differenti figure sopra citate, al fine
di consentire al bambino cerebroleso di svolgere le esperienze che generalmente non può svolgere
da solo. Insegnante, educatore, logopedista e fisioterapista devono fissare mete ed obiettivi a breve
e lungo termine.
Dal punto di vista logopedico l’intervento è incentrato soprattutto al ripristino delle capacità
articolatorie, attraverso esercizi respiratori e vocali che vanno ripetuti più volte fino a che la
produzione verbale non risulti sufficientemente chiara.
Importante è anche il controllo della respirazione, perchè essa permette al bambino di
raggiungere una grande conquista non solo per le sue competenze verbali ma anche per le
possibilità di recupero motorio.
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Gli interventi da programmare devono essere effettuati in relazione alle effettive capacità del
bambino stesso, infatti, in rapporto alle sue capacità, il bambino disartrico può seguire il ritmo della
classe, ma deve svolgere comunque un programma ridotto.
Dove è possibile è necessario che si raggiunga l’acquisizione soprattutto del linguaggio
scritto, perché l’uso della scrittura si rivela molto utile nelle situazioni in cui la produzione verbale è
fortemente compromessa.
Nelle forme gravi le possibilità articolatorie sono fortemente ridotte e la comunicazione non
può avvenire nella forma verbale, potrebbe essere utile in tal caso l’uso di cartelloni comunicativi
sui quali il bambino può indicare messaggi.
L’inserimento di apparecchiature multimediali offre numerose opportunità di recupero a
questi soggetti, nel personal computer, ad esempio, vi è l’esistenza di tastiere normali ma più ampie
, che si possono manovrare con molta facilità, oltre ad appositi sensori azionabili anche con un sol
movimento.
2.3.
Balbuzie
La balbuzie rappresenta un disturbo funzionale della fluenza verbale, essa infatti, può essere
caratterizzata da ripetizioni, pause tese, prolungamenti sillabici o fonemici.
Dal punto di vista sintomatologico vi sono tre tipologie di balbuzie: tonica, mista e clonica.
La forma tonica è caratterizzata da difficoltà fonica o dal prolungamento di una sillaba
all’inizio di una frase. I blocchi iniziali variano a secondo del grado di ansia del soggetto,
solitamente la persona affetta da questo disturbo si presenta molto timida, schiva verso i rapporti
umani, introversa e riflessiva. Quando lo spasmo che produce la balbuzie si arresta la parola si
presente precipitosa.
La forma clonica è caratterizzata dalla ripetizione di un fonema all’interno della frase sia
all’inizio che all’interno della parola o frase difficile da pronunciare.
La forma mista comprende sia la forma tonica che clonica della balbuzie ma con un
atteggiamento molto più grave del problema. Il soggetto con tale tipologia di problema appare
socialmente dinamico come se fosse poco condizionato dal sintomo e tende a primeggiare e a porsi
al centro dell’attenzione5.
5
Caruso E., Balbuzie, aiutiamoci con 100 risposte, Franco Angeli, Milano 2005.
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In quasi tutti i balbuzienti si riscontra un alterazione più o meno marcata di tutto il
meccanismo pneumo-fono-articolatorio.
La respirazione può essere scoordinata a causa degli spasmi che si verificano
improvvisamente e si modifica in base alle diverse situazioni o agli stati di tensione del soggetto,
può accadere che il soggetto parli in fase inspiratoria o trattenga il respiro, e in certi casi invece,
prolunghi l’espirazione più del necessario.
Nei momenti in cui il soggetto si blocca anche la voce può apparire modificata, ciò accade
perché ad esempio la laringe subisce bruschi movimenti di elevazione e abbassamenti, oppure
perché le corde vocali si avvicinano forzatamente provocando una contrazione dei muscoli vicini.
Nella forma tonica la voce può essere rauca e con attacco forzato, in quella clonica invece,
essa può essere tremula e intermittente.
I disturbi dell’articolazione possono riguardare sia le vocali sia le consonanti , solitamente
quelle labiali, che si posizionano all’inizio di parola e i gruppi consonantici complessi.
Spesso i soggetti affetti da balbuzie, sia in maniera conscia che inconscia, possono far uso di
strategie per mascherare il problema, pensando così, di favorire una corretta produzione.
Tra queste strategie vi sono le sincinesie, esse consistono in movimenti convulsivi di altri
gruppi muscolari che sono lontani da quelli fonatori, manifestando ad esempio, contrazioni delle
mani, delle braccia, delle gambe, delle spalle e di altre parti del corpo, nonché movimenti di tipo
mimico del naso e delle palpebre.
Il balbuziente può usare come strategia anche le perifrasi, ovvero i cosiddetti giri di parole,
ciò avviene quando essi devono pronunciare un fonema o una parola di cui ha vero e proprio
“terrore”, tale parole innesca nel soggetto un evitabile stato d’ansia. Dall’utilizzo delle perifrasi
deriva spesso la produzione di frasi stereotipate e con turbe grammaticali.
Infine essi possono far uso delle embolofrasie, esse si manifestano con interruzioni del ritmo
espressivo attraverso l’introduzione di suoni, brevi parole o fonemi che vengono intrappolate nel
discorso, al fine di superare l’ostacolo fonatorio.
Le balbuzie si manifestano solitamente nell’età infantile, e le cause che le generano possono
essere numerose e concatenate, ma sicuramente esiste una componente familiare molto elevata.
Anche la componente emotiva ha un peso notevole nella maggior parte dei balbuzienti,
l’ansia si proietta nel modo di parlare , nelle parole, che molto spesso per il sono per il soggetto
balbuziente oggetto di terrore.
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Di fronte ad un bambino che si blocca mentre pronuncia una parola, spesso si innescano
reazioni ed atteggiamenti sbagliati, infatti o lo si sgrida e lo si incita a parlare più lentamente, questi
atteggiamenti sono negativi e possono favorire l’insorgenza di balbuzie anche in soggetti non
predisposti. Importante è quindi l’atteggiamento dei genitori e di chi ruota intorno al bambino
balbuziente, essi devono controllare le reazioni perché se il bambino diventa cosciente delle sue
difficoltà, la situazione può diventare pericolosa.
Nei confronti del bambino balbuziente il docente, l’educatore, il genitore devono assumere
un atteggiamento calmo e rilassato, devono evitare di concludere la frase a posto del bambino anche
quando quest’ultimo si trova in evidente difficoltà. Bisogna conferire al bambino la possibilità di
prendersi tutto il tempo per esprimere il suo pensiero.
È opportuno evitare commenti o domande sul suo modo di esprimersi, a meno che non sia il
bambino stesso a manifestarlo.
Quando la balbuzie è particolarmente evidente si consiglia di effettuare una terapia
specifica, se l’intervento è messo a punto quando il disturbo non è ancora strutturato, è possibile
apprezzare a lungo termine dei risultati favorevoli. L’intervento deve essere sia psicologico che
logopedico.
Il trattamento logopedico prevede anche l’uso di tecniche correttive, che generalmente si
applicano alla lettura, come aprire bene la bocca sulle vocali (iperarticolazione), addolcire le iniziali
di una parola, legare le parole e leggere con la giusta respirazione.
Queste tecniche dovrebbero esser conosciute sia dagli insegnanti che dai genitori per
consentire che il soggetto si eserciti sempre ed in ogni contesto.
Il bambino balbuziente può ricavare molti benefici dalla recitazione, essa porta giovamento
al soggetto con balbuzie perché implica che si debba prestare maggiore attenzione alla sua capacità
interpretativa piuttosto che alle parole intese come entità fonetiche. Quando recita, il soggetto metto
in atto, inconsapevolmente, le indicazioni che si applicano con le tecniche correttive, per questo
motivo la recitazione è divenuta parte integrante dell’azione logopedica.
Il docente deve mettersi in contatto con gli specialisti , tale contatto è necessario per venire a
conoscenza delle tecniche correttive attuate.
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3 Disturbi del codice linguistico primitivi
I disturbi del codice linguistico primitivi rappresentano un insieme di quadri sindromici in
cui è presente un ritardo o un disordine, in uno o più ambiti dello sviluppo linguistico.
La comprensione, la produzione e l’uso del linguaggio presentano difficoltà di vario genere
in una o in tutte le componenti linguistiche.
Essi sono definiti anche come disturbi specifici del linguaggio perché non possono essere
attribuiti ad altri fattori, come la sordità, l’insufficienza mentale, deficit motori ecc.
Le cause di questi disturbi non sono semplici da identificare e probabilmente risultano
dall’interazione di numerosi fattori.
Nella maggioranza dei casi i deficit sembrano attribuiti ad una disfunzione cerebrale di
natura imprecisata. Tra tali patologie e la dislessia esistono forti correlazioni, per ciò che concerne i
dati neuro anatomici.
Per una comprensione ed una chiara identificazione del disturbo è opportuno osservare le
caratteristiche delle sindromi più frequenti e facilmente riconoscibili.
3.1.
Ritardo semplice del linguaggio
In questo caso lo sviluppo fonologico è colpito in maniera predominante.
Il linguaggio è fluido ma non comprensibile, acquisizione dei fonemi segue un andamento
normale seppur in ritardo.
Le difficoltà fonologiche sono facilmente identificabili all’orecchio attento, il bambino
affetto da questo disturbo produce suoni in maniera anomala, sostituisce o omette alcuni fonemi ed
ha serie difficoltà nell’articolazione quest’ultimi. Tali soggetti non hanno deficit di tipo uditivo e
nessuna disfunzione neurologica rilevante. Il meccanismo di produzione verbale è integro e la
comprensione verbale è adeguata.
Il ritardo semplice del linguaggio è inserito in un quadro più ampio di ritardo generalizzato
anche ad altre funzioni non specificamente linguistiche, come quella propriocettiva.
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3.2.
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Disfasia
La disfasia può essere definita anche come sindrome da deficit fonologico-sintattico.
È uno dei più gravi e frequenti disturbi specifici del linguaggio, esso presenta deficit
prevalentemente nel versante espressivo interessando molte o tutte le componenti del linguaggio in
maniera più o meno stesa e con una evoluzione piuttosto rapida.
La comprensione dei messaggi verbali appare migliore della produzione, ma raramente è del
tutto indenne.
L’evoluzione del linguaggio espressivo segue in questi soggetti un ritmo rallentato: la parola
frase può durare fino a 4 anni, e le prime frasi di due parole mantengono caratteristiche telegrafiche.
Nella frase , l’ordine delle parole è anomalo e caratteristico, gli articoli, le preposizioni e gli
ausiliari spesso sono assenti o usati impropriamente.
Le produzioni verbali sono brevi e sintatticamente rudimentali, possono verificarsi
distorsioni foniche, inversioni e omissioni foniche.
Quando esistono deficit sia fonologici che morfo-sintattici il linguaggio è fortemente
disturbato ed è molto simile al modo di parlare di un bambino più piccolo.
Lo sviluppo lessicale è presente, ma procede lentamente perché il soggetto ha difficoltà ad
organizzarlo nelle frasi: il bambino manifesta di voler dire tante cose ma non sa realizzarle
verbalmente.
L’approccio diagnostico non è molto semplice per via delle strategie che questi soggetti
hanno e che non sempre è facile controllare.
I soggetti disfasici sono consapevoli delle loro difficoltà e ad ogni richiesta verbale mettono
a punto delle strategie attraverso le quali riuscire a svincolarsi.
Altre caratteristiche che si denotano riguardano difficoltà nello sviluppo percettivo e a
livello psicomotorio. La laterizzazione è incerta e mal definita, è presente anche un ritardo marcato
nella grafo-motricità.6
Il grado intellettivo di un disfasico può essere stabilito solo con l’osservazione sistematica
effettuata con test che non richiedono il linguaggio verbale. Non è semplice stabilire le effettive
capacità uditive di tali soggetti perché sono particolarmente incostanti nella risposta ai suoni che gli
si presentano, nei casi più gravi il linguaggio è assente.
6
Gosciu G., Pratelli M., op.cit., p.6.
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I disturbi del linguaggio: categorie
La disfasia richiede un intenso trattamento logopedico con obiettivi a breve termine che
richiedono continue verifiche.
Il disfasico è un bambino difficile da trattare e questo è dovuto ai suoi repentini cambi di
umore e agli atteggiamenti aggressivi che ostacolano la possibilità di scambio relazionale e
comunicativo. Il bambino disfasico non sa comunicare con noi ed è opportuno che glielo si insegni
con pazienza e disponibilità, anche e soprattutto senza far uso della forma verbale, dimostrandogli
che può farsi comprendere anche dagli altri.
Il bambino disfasico pensa come un bambino della sua età ma parla come uno più piccolo
quindi, per aiutarlo a formarsi il concetto delle parole che pronuncia, bisogna far uso di materiali
concreti e tale uso non deve essere mai abbandonato.
Tra gli strumenti di cui ci possiamo servire, rilevanza notevole ha l’attività pittorica, la
musica, l’educazione fisica; tutti questi strumenti sono importanti per la veicolazione delle proposte
che costituiscono l’intervento educativo7 .
L’intervento educativo deve essere graduale e si deve realizzare partendo da esercizi che il
bambino sa svolgere , per giungere gradatamente ad esercizi più complessi.
I bambini disfasici sono consapevoli delle loro difficoltà e rifuggono tutto ciò che riguarda
un loro coinvolgimento di tipo verbale , ma richiedono e si applicano con dedizione ad attività di
tipo pratico.
3.3.
Sindrome agnostico-uditiva
Rappresenta un disturbo raro ed estremamente grave in cui il soggetto ha difficoltà a
decodificare i messaggi verbali e di conseguenza anche la produzione verbale è fortemente alterata.
È evidente, nel soggetto con tale sindrome, la mancanza di attenzione e di interesse al linguaggio.
Tale mancanza porta ad ipotizzare che vi sia la presenza di un deficit uditivo grave o di una
patologia relazionale.
7
Ibidem .
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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3.4.
I disturbi del linguaggio: categorie
Disprassia verbale
Il soggetto affetto da questa sindrome ha una serie di difficoltà a programmare i movimenti
necessari per la produzione delle parole, pur non presentando deficit a livello degli apparati neuromuscolari o alterazioni strutturali nell’apparato bucco-fonatorio.
La produzione verbale non è molto comprensibile e si compiono molti errori nella
produzione di caratteri atipici.
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4 Disturbi del codice linguistico secondari
4.1.
Logopatie da anomalie organiche
In un numero di casi minore le difficoltà fonologiche possono essere dovute anche ad
alterazioni
antomo-funzionali
dell’apparato
bucco-fonatorio.
Tali
disturbi
concernono
prevalentemente l’articolazione dei suoni, la suzione e la deglutizione, ma in molti casi sono
associati ad altri quadri patologici.
Le situazioni più comuni sono: frenulo linguale corto, labioschisi, palatoschisi,
macroglossia, morso alterato, deglutizione atipica.
4.2.
Frenulo linguale corto
È un’anomalia congenita in cui il cordoncino posto sotto la lingua è troppo corto. Il soggetto
in questo caso, articola in modo errato i fonemi che implicano il sollevamento e l’appuntimento
della lingua (N-D-L-T-S-Z). In questo caso la cura primaria è di tipo chirurgica seguita poi da una
tempestiva rieducazione logopedica.
4.3.
Labioschisi
È definita comunemente come labbro leporino ed è una anomalia congenita del labbro
dovuta ad alterazioni dello sviluppo embrionario. I fonemi maggiormente coinvolti sono quelli
labiali (P-B-M). Essa è una anomalia congenita in cui i piani tessutali che formano il solco
sottonasale, non si fondono l’un con l’altro durante le prime fasi dello sviluppo8. Anche in questo
caso la cura primaria è chirurgica e in seguito logopedica.
8
Korf B.R., Genetica umana. Dal problema clinico ai principi fondamentali, Springer, Oxford 2000.
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Immagine 4. Labbro leporino
4.4.
Palatoschisi
È una malformazione del palato dovuta ad un arresto dei sviluppo che non ha permesso la
saldatura dei bottoni facciali primitivi. Spesso essa si associa alla labioschisi originando così, un
altro disturbo che prende il nome di labiopalatoschisi. Con la palatoschisi il soggetto non presenta
solo difficoltà fonologiche ma anche di deglutizione e nella suzione9.
I fonemi interessati possono essere diversi e dipendono dall’ampiezza del foro.
4.5.
Macroglossia
Corrisponde all’ingrossamento congenito della lingua che va ad occupare quasi tutto il cavo
orale procurando un linguaggio impastato e pieno di alterazioni fonologiche, soprattutto per quanto
concerne i fonemi Z e S. tale tipologia di malformazione è tipica della sindrome di Down. Anche
sulla macroglossia si effettuano interventi chirurgici, ma non sempre essi riescono a migliorare la
qualità della pronuncia del soggetto.
Immagine 5. Macroglossia
9
Gosciu G., Pratelli M., op.cit., p.6.
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4.6.
I disturbi del linguaggio: categorie
Morso alterato
Le arcate dentarie si trovano in posizione scorretta e no permettono la realizzazione dei
fonemi S-Z-CI-Gi.
4.7.
Deglutizione atipica
È dovuta al permanere della deglutizione infantile anche nell’età adulta. Il lattante pone la
lingua fra le arcate dentarie poiché mancano i denti, la posizione adulta corretta prevede invece la
collocazione della lingua all’interno della bocca. Se ciò non accade, il soggetto pronuncia in
maniera scorretta S-Z-CI-GI e con il passare del tempo si altera anche la posizione delle arcate
dentarie10.
4.8.
L’ipoacusia
L’apparato uditivo ha un ruolo rilevante per lo sviluppo del linguaggio, infatti, con l’udito il
soggetto è capace di dominare l’ambiente anche se non lo vede.
Il buon funzionamento dell’apparato uditivo è una prerogativa necessaria per imparare ad
usare la voce: il bambino ascolta e riconosce la voce della mamma, i rumori e le altre voci, e
quando inizia a parlare prova ad imitarli.
L’ipoacusia è una diminuzione della capacità uditiva, dovuta ad un danno o ad un cattivo
funzionamento dell’apparato uditivo.
La diminuzione della percezione uditiva comporta modifiche, non solo nella comunicazione
specializzata, ovvero quella linguistica, ma anche nelle dinamiche dei rapporti ambientali
dell’individuo, alterando così tutta la comunicazione in senso generale con l’ambiente.
10
Gosciu G., Pratelli M., op.cit.,p.6.
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Bibliografia
 Caruso E., Balbuzie, aiutiamoci con 100 risposte, Franco Angeli, Milano 2005.
 Cippone De Filippis A., Le turbe del linguaggio e riabilitazione, Armando Editore,
Roma 1993.
 Gosciu G., Pratelli M., L’insegnate specializzato, Editrice Tresei Scuola, Ancona
2000.
 Korf B.R., Genetica umana. Dal problema clinico ai principi fondamentali,
Springer, Oxford 2000.
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