La sacrestia di San Barnaba - Associazione Culturale Francesco
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La sacrestia di San Barnaba - Associazione Culturale Francesco
LA SACRESTIA DI SAN BARNABA A MILANO Tratto da: TESI DI LAUREA DI MONIA ALDIERI ANNO ACCADEMICO 1999-2000 RELATORE: PROF. EUGENIO RICCOMINI CORRELATORE: PROF. GIULIO BORA PAGG. 103-106 www.assofrancescosforza.it Dopo aver lasciato Crema, Gerolamo e Giovanni Battista Grandi fanno ritorno a Milano, ancora una volta documentati in contrada Due Muri (come risulta dalle carte dell’Accademia di San Luca)1. Sempre presenti nelle liste dell’Accademia, compiono anche generose donazioni, come quella del 24 agosto 1707 con la quale offrono una cartella di 600 lire avuta dal Banco di Sant’Ambrogio2: è questa una testimonianza del benessere di cui godono grazie alle importanti committenze che li impegnano nelle chiese lombarde; collaborano nuovamente con il Gianolo nel 1700-1704 affrescando coro e anticoro della chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Biumo Inferiore3, e con il Pusterla e il Cazzaniga nella volta di San Francesco a Varese, nel 17064. Tutte queste opere sono purtroppo andate distrutte; la loro analisi avrebbe favorito una maggior comprensione dello sviluppo dell’arte dei Grandi in un momento caratterizzato da un decisivo mutamento stilistico in direzione della pittura barocchetta. L’opera forse più significativa di questo periodo è quindi rappresentata dagli affreschi della sacrestia della chiesa dei Santi Paolo e Barnaba a Milano. A tutt’oggi esistono pochissime pubblicazioni relative ai lavori compiuti nella sacrestia di questa importante chiesa milanese; tranne la citazione fattane dalla Carubelli all’interno dell’analisi sulla pittura dei Grandi5, la decorazione della chiesa è stata solo oggetto di un lavoro di schedatura condotto dalla Sovrintendenza alle gallerie di Milano nel 1976, con l’analisi degli affreschi dei nostri da parte della Palamidese6; nelle guide antiche, inoltre, la chiesa viene semplicemente indicata per le quadrature settecentesche del Castellino e del Mariani nelle cappelle7, senza alcuna informazione riguardo agli affreschi compiuti in sacrestia dai Grandi e da Carlo Preda. Di una certa rilevanza è stato quindi il contributo dato dal Caprara8, che nella sua analisi degli affreschi della sacrestia cita i Grandi fra i pittori che potrebbero aver contribuito, con il Castellino e i Mariani, allo svecchiamento della quadratura barocca e all’avvicinamento “a quella più aggraziata e piana barocchetta”9. Fondamentale è inoltre il ritrovamento dei documenti d’archivio, a testimonianza della presenza dei tre artisti nella chiesa dalla fine del 1707 al 1708, quando in data 27 maggio venne inaugurata la sacrestia: “il giorno della Pentecoste fu inaugurato il sacrarium chiuso nei sette mesi passati per comodità di scelti artifici per ornarlo, a apparve in ogni parte ornato in maniera elegantissima con una pittura architettonica alle pareti, illuminata da lampade auree per opera dei signori Giovanni Battista e Gerolamo fratelli de Grandi, e figurata in parti scelte e con antiche tavole ornate da ogni parte con cerchi aurei in modo di allietare gli animi di coloro che guardano. Nel fornice di mezzo degnamente è rappresentato San Paolo fino al terzo cielo opera del signor Carlo Preda di cui nulla diresti possa essere più conveniente e 1 Accademia di San Luca di Milano 1688-1748 ossia documenti varii intorno all’origine, progresso e scioglimento dell’Accademia di Pittori, Scultori e Architetti stabilita nel luogo di San Luca dirimpetto alla B. Vergine presso San Luca, dall’anno 1688 al 1748, Tomo I, ms. L 25 Suss.; Biblioteca Ambrosiana Milano 2 Id. Ibid. pagg. 264 - 279 3 S. COLOMBO Varese in tasca, Varese 1981; pagg. 71 -72 4 G. ADAMOLLO L. GROSSI Cronaca di Varese 1723 – 1846, a cura di A. Mantegazza, Varese 1931; pagg. 84 - 85 5 L. CARUBELLI per il quadraturismo lombardo fra barocco e barocchetto: i fratelli Grandi in “Arte Lombarda” 50, 1978, pagg. 104-115; pag. 113 6 G. PALAMIDESE Scheda 121 18 dicembre 1976, n. 03/0004237, Sovrintendenza alle gallerie di Milano - 27 7 N. SORMANI, Giornata prima de’ passeggi storico-topografico critici nella città, indi nella Diocesi di Milano, Milano 1751; vol. I, pagg. 8-9 8 V. CAPRARA, Dipinti settecenteschi in San Barnaba a Milano, in “Archivio storico lombardo” CIII 1979; pagg. 212-221 9 Id. Ibid. pag. 213; l’articolo del Caprara è inoltre importante perché per primo trascrive l’atto di morte di Gerolamo Grandi, conservato all’Archivio di Stato di Milano (Fondi di religione 154) favorevole ed eccitare la pietà. Padre Giuseppe Gaslano della pia opera e munifico promotore con opportune spese di elemosine raccolte per tutto per una somma di 224 filippi…”10 L’opera rappresenta un momento fondamentale per la carriera dei nostri, momento che aveva avuto il suo avvio una decina d’anni prima a Torino; si potrebbe dire che con gli affreschi della sacrestia di San Barnaba si conclude il periodo di “transizione” della pittura di Giovanni Battista e Gerolamo, ed inizia la fase totalmente settecentesca che caratterizza le loro ultime opere. Le parole di Licia Carubelli possono ben esemplificare questo passaggio: “[…] I fratelli varesini hanno lasciato un saggio a nostro avviso emblematico a definire il momento culminante di una stagione artistica in cui la quadratura abbandona la gravità settecentesca e si avvia ad acquistare la levità peculiare del barocchetto “11 Insieme a Carlo Preda i due fratelli decorano la volta della sacrestia, inquadrandola con un’ampia cornice di impianto ancora una volta bolognese nella sua magniloquenza12. Ma la tradizione qui è ormai presente solo come substrato culturale su cui innestare le novità settecentesche: ancora una volta, è soprattutto nei particolari che si nota l’aggiornamento dei Grandi; e principalmente, cosa inusuale, nelle novità apportate alla resa cromatica. Siamo qui di fronte ad affreschi ariosi, resi con colori freschi e luminosi di sapore completamente nuovo, insoliti finora nella produzione dei Grandi. Come al solito, predominano i gialli e i bianchi, ma resi con una lucentezza notevole ed accostati a rosa delicatissimi, fiori e vasi azzurri (mentre fino ad ora erano sempre stati dorati o bronzei). Anche il tratto è più vibrante, soprattutto nelle conchiglie cangianti e nei tralci floreali, ancor più numerosi del solito. La cornice bianca, decorata da intrecci e pendagli dorati, termina nelle pareti brevi con una sorta di mensolina arricchita da volute a cavatappi, mentre l’intradosso dell’arco ripete la stessa impostazione, con l’inserto di rosoni dorati. Nei pennacchi delle pareti brevi troviamo lunghi festoni di frutta di un grigio luminoso, ad imitare la solidità dello stucco. All’interno della cornice, sopra la mensola di raccordo alla parete si estende un bellissimo medaglione formato da una conchiglietta dorata circondata da volute e arricciola ture rese con il delicato contrasto di rosa e oro, ai cui lati sono raffigurate foglie e frutta dai colori cangianti. L’affresco nella volta è inquadrato da una sorta di massiccia balconata gialla scanalata di ricordo bolognese, ma ingentilita da collane di perle bianche e da piccole medaglie scure illuminate da lumeggiature bianche, medaglie da cui pendono fili di foglioline e pendagli dorati. La decorazione prosegue nelle vele, la cui cornice si raccorda attraverso una profonda nicchia dentellata ornata da arabeschi e pigne pendenti; le vele sono arricchite ancora una volta dal contrasto fra il giallo e il bianco, con l’aggiunta di conchiglie gialloverdi e delicate testine alate di putti, mentre nei pennacchi i nostri disegnano profonde nicchie dal soffitto a conchiglia, in cui si inseriscono brani di fiori rosa, rossi e bianchi entro vasi azzurri su mensole, alternati a semplici ovali con figurette a monocromo su sfondi gialli. All’interno delle vele, al di sopra delle tele che 10 Acta. Coll. SS Apost.: Pauli et Barnabae Mediolani ab anno 1688 ad annum 1748, Vol. III, Archivio Chiesa di San Barnaba a Milano; pag. 197 11 CARUBELLI, op. cit. pag. 113 12 Ead. Ibid. pag. 114 decorano la sacrestia ed intorno alle quali prosegue la decorazione a creare una ininterrotta cornice, cupolette sopra archi cassettonati e lunette in cui si hanno, alternativamente, semplici timpani dall’interno rosato e mensole affiancate da fiori e frutta. Il tutto è concluso dalle specchiature di finto marmo marezzato sulle pareti, con superbi riccioli bianchi e rosa abbelliti da testine di putti e festoni vegetali di un verde intensissimo. Come si vede, le quadrature decorano ogni parte della piccola sala, con un ruolo primario rispetto all’affresco centrale del Preda, creando uno spazio totalmente illusivo e ormai pienamente settecentesco; non si può ancora parlare di “rococò”, come fa la Palamidese13, ma certamente di barocchetto sì. C’è la grazia decorativa, l’utilizzo di elementi come fiori, pendagli e volute che caratterizzano lo stile settecentesco; elementi già visti più volte nelle decorazioni dei due fratelli, ma mai con un’abbondanza così notevole. I Grandi non dimenticano la lezione bolognese e lombarda che dà al realismo un ruolo primario, non creano mai architetture instabili e irreali come quelle che da qui a qualche anno si svilupperanno con la quadratura rococò;: tuttavia, anche in loro è ormai completamente evidente il gusto per il gioco ornamentale, per elementi non indispensabili ma che danno alla quadratura una nuova levità e una nuova grazia. 13 PALAMIDESE, op. cit. Licia Carubelli (op. cit. pag. 113) contesta assolutamente la definizione di rococò data dalla Palamidese, non ravvisando negli affreschi dei Grandi “i temi propri di tale movimento”