Cap. 1 - Sistemi Editoriali

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Cap. 1 - Sistemi Editoriali
T = temperatura termodinamica di cui si è detto;
P = pressione;
V = volume della massa gassosa unitaria considerata;
— sia l’ipotesi di Avogadro, da tempo sperimentalmente verificata, che come noto
afferma che volumi uguali di gas, nelle stesse condizioni di temperatura e pressione, contengono lo stesso numero di molecole.
È stato infatti appurato che in una grammo-molecola o mole di un generica sostanza
allo stato aeriforme, vale a dire in una quantità in peso della sostanza considerata
numericamente corrispondente al suo peso molecolare, sono contenute 6,02x1023
molecole, il cui volume - allo stato aeriforme e alla temperatura termodinamica di
273,16 K, (ossia di 0°C) e alla pressione ordinaria di 1 bar – è di dm3 22,4.
1.13.1
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Scala termodinamica e zero assoluto
Lo zero della scala Kelvin è detto assoluto perché è il livello energetico, sperimentalmente individuato, in corrispondenza del quale, come abbiamo già rilevato, cessano le reciproche collisioni degli atomi e delle molecole di tutte le sostanze conosciute.
Infatti, non potendo mai essere V = 0, giacché non è concepibile materia senza
volume, quando T = 0 è anche PV = 0, per cui, necessariamente P = 0.
Il che significa che a quella temperatura l’aeriforme considerato non ha pressione,
e ciò avviene perché le particelle che lo costituiscono cessano di collidere con quelle
dello strumento mediante il quale misuriamo la pressione.
Dilatazione e fusione - Calore di fusione
Il fenomeno fisico della dilatazione cui sono variamente soggetti tutti i sistemi
materiali, è strettamente dipendente dall’energia cinetica media posseduta dagli atomi
e dalle molecole che li costituiscono, quindi dalla loro temperatura.
Il modello cinetico del calore afferma che le particelle delle sostanze nello stato
solido sono fra loro rigidamente vincolate dalle forze di coesione, per cui solo agli
atomi è consentito oscillare e vibrare attorno ad un determinato centro di equilibrio.
L’elongazione o ampiezza di tali movimenti può ovviamente variare in più o in meno
per effetto della quantità di moto ricevuta o ceduta, sia per impatti diretti con atomi
e molecole di altre sostanze solide, liquide o aeriformi, sia per assorbimento o rilascio
di fotoni, in dipendenza del meccanismo che è stato illustrato in precedenza.
Quando l’urto ha luogo con atomi e molecole dotate di elevata energia cinetica
media, quindi con particelle più calde, l’ampiezza delle oscillazioni degli atomi del
solido mediamente si accresce, cresce quindi anche il volume dello spazio che le
particelle elementari cui gli atomi appartengono impegna, talché il fenomeno diviene
macroscopicamente percepibile come aumento di volume, ossia come dilatazione
conseguente al suo aumento di temperatura.
1. Orientamenti di base per la valutazione del rischio incendio
1.14
Prevenzione incendi
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Tutti i corpi solidi infatti, come ben noto, aumentano di volume quando vengono
riscaldati, e altrettanto accade, di regola, anche per i liquidi. Ciò peraltro ha luogo
fino a quando le quantità di moto assorbite dalle particelle del solido non superano
un determinato valore, caratteristico per ogni sostanza solida di definita composizione chimica.
Superata una certa soglia, infatti, il moto oscillatorio degli atomi si propaga anche alle
molecole costituenti la sostanza solida considerata. Quando l’energia cinetica da esse
assorbita supera la forze di coesione, le molecole della sostanza acquistano mobilità e
possono scorrere le une rispetto alle altre: la sostanza quindi fonde e transita allo stato
liquido.
L’opposto avviene quando gli urti degli atomi e delle molecole di una sostanza allo
stato liquido hanno luogo con particelle dotate di minore energia cinetica, oppure
per effetto di una considerevole emissione di fotoni non compensata da un parallelo
assorbimento di energia raggiante. In questo caso le particelle del liquido perdono
gradualmente energia cinetica, i loro urti reciproci diventano sempre più deboli,
talché a un certo punto le forze di coesione prevalgono e la sostanza transita allo
stato solido.
Nel caso delle sostanze chimicamente definite, il fenomeno ha luogo solo allorquando l’energia cinetica media delle particelle che le costituiscono scende sotto una ben
determinata soglia o livello, ossia al di sotto di una ben precisa temperatura, caratteristica e diversa da sostanza a sostanza.
Di estrema rilevanza è aver ben presente che per vincere le forze di coesione che
determinano lo stato solido occorre spendere energia. Fintantoché tutte le molecole
del sistema allo stato solido non hanno ricevuto la quota di energia cinetica occorrente per vincere dette forze, l’energia cinetica media del sistema, ossia la sua
temperatura, non può variare, come l’esperienza conferma.
Fig. 1.18. - Rappresentazione della curva di riscaldamento di un solido Ca, e di raffreddamento di un liquido Cb
Analogamente avviene nel corso del fenomeno inverso della solidificazione, durante
il quale viene liberata o restituita la medesima quantità di energia termica che il
sistema aveva assorbito nel corso della fusione.
La temperatura delle sostanze chimicamente definite non varia pertanto nel corso dei
passaggi di stato.
Discende logicamente da tutto quanto sin qui rilevato che per fondere una determinata quantità di una sostanza solida occorre somministrargli una ben definita quantità di energia termica di livello non inferiore a un ben preciso valore, correntemente
chiamato temperatura di fusione.
L’energia occorrente per fondere l’unità di peso della sostanza solida considerata è
chiamato calore di fusione.
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Tensione di vapore - Evaporazione
Nei liquidi non solo gli atomi, ma anche le molecole sono in perenne disordinato
movimento, con velocità istantanee molto diverse l’una dall’altra come, per una
generica temperatura, mostra il grafico di figura 1.15.
In prossimità della superficie libera del liquido possono trovarsi o pervenire, ad
ogni istante, molecole dotate di energia cinetica talmente elevata da consentire di
vincere le forze di attrazione su di loro agenti. Tali molecole possono pertanto
fuoriuscire dal liquido e mescolarsi con le molecole dell’aeriforme soprastante,
collidere con le medesime e quindi acquisire ulteriore energia cinetica oppure
perderla (figura 1.19).
Effetti dell’aria o di altro gas inerte sull’equilibrio liquido-vapore
Tali molecole, una volta penetrate nella fase aeriforme di cui si è detto, si comportano infatti come ogni altra molecola allo stato gassoso. Collidendo contro le pareti
del recipiente contenente il liquido, supposto chiuso, esse generano, come sappiamo,
pressione.
L’esperienza però insegna che, a parità di temperatura, liquidi diversi hanno tensioni
di vapore assai differenti. Essa insegna altresì che con l’aumento della temperatura
aumenta parallelamente anche la tensione di vapore dei liquidi.
Il fenomeno, pienamente prevedibile in base alla teoria cinetica del calore, è
dovuto all’aumento dell’energia cinetica media posseduta dalle molecole del liquido per effetto del calore assorbito che comporta, per quanto già sappiamo
sulla distribuzione delle velocità fra le singole molecole, un parallelo aumento del
numero delle molecole dotate di energia cinetica sufficiente a vincere le forze
attrattive che le vincolano alle altre molecole del liquido. Talché aumenta il
numero delle molecole che fuoriescono dal liquido e transitano nella fase aeriforme di vapore.
1. Orientamenti di base per la valutazione del rischio incendio
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Se il recipiente contenente il liquido è chiuso, accade inevitabilmente che talune
molecole in fase vapore urtino, nel loro disordinato movimento, contro le molecole
costituenti la superficie del liquido, perdendo energia cinetica. Tali molecole possono
pertanto tornare ad essere intrappolate nella fase liquida, a differenza di altre che
possono invece liberamente fuoriuscire evaporando.
Viene in tal modo rapidamente a determinarsi la condizione per la quale il numero
delle molecole che evaporano nell’unità di tempo è esattamente uguale a quello delle
molecole che rientrano nel liquido. Il sistema liquido-vapore raggiunge quindi uno
stato di equilibrio, talché non si manifesta alcuna variazione macroscopicamente
percettibile fra la fase liquida e quella aeriforme, malgrado il fenomeno descritto
prosegua ininterrottamente.
Prevenzione incendi
Fig. 1.19. - Effetti di una atmosfera inerte sull’equilibrio liquido-vapore
Il grafico di figura 1.20 mostra come varia la tensione di vapore di talune sostanze
al variare della temperatura della fase liquida.
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Fig. 1.20. - Tensione di vapore di alcuni liquidi al variare della temperatura
Calore di vaporizzazione
Le molecole che abbandonano il liquido sono, come abbiamo visto, quelle dotate di
più elevata energia cinetica, ossia quelle più veloci o calde. Nel liquido pertanto
rimangono, mano a mano che l’evaporazione progredisce, molecole dotate di energia
cinetica sempre più bassa, ossia più fredde.
Decresce pertanto l’energia cinetica media delle molecole del liquido che collidono
con le molecole dell’elemento sensibile del dispositivo di misura della temperatura,
che segnalerà pertanto un abbassamento della medesima.
Possiamo quindi dire, usando termini poco ortodossi ma più intuitivi, che le molecole
più veloci o calde della sostanza passano allo stato aeriforme, o di vapore, mentre
quelle più lente o fredde rimangono allo stato liquido.
Il progressivo raffreddamento delle sostanze che, allo stato liquido e alle ordinarie
condizioni di temperatura e pressione mostrano di evaporare con continuità, come
è il caso di numerose sostanze suscettibili di formare miscele aeriformi infiammabili,
è di regola compensato dal calore ceduto alle sostanze stesse dall’ambiente in cui si
trovano. Se così non fosse tali sostanze si raffredderebbero progressivamente e la loro
evaporazione verrebbe ad un certo punto a cessare.
Quando l’ambiente non è in grado di fornire tutto il calore occorrente, come accade
nell’utilizzo di taluni combustibili gassosi alle ordinarie temperature e pressioni,
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conservati sotto pressione allo stato liquido in appropriati contenitori, quali ad
esempio i gas di petrolio liquefatti o GPL, occorre infatti fornire loro, per vaporizzarli,
l’occorrente calore mediante appropriati dispositivi, detti vaporizzatori.
L’energia termica all’uopo occorrente, che è naturalmente diversa per le diverse
sostanze, quando riferita all’unità di peso della sostanza stessa, è detta calore di
vaporizzazione del liquido considerato.
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Punto di ebollizione
Prevenzione incendi
La temperatura alla quale la tensione di vapore di un liquido eguaglia esattamente
la pressione atmosferica gravante su di esso è detta temperatura o punto di ebollizione.
La teoria cinetica ci consente, al solito, di comprendere compiutamente la meccanica
del fenomeno che interessa non solo, come nel caso dell’evaporazione, la sola
superficie dei liquidi, bensì l’intero loro volume.
Consideriamo una bolla di vapore che si trovi immediatamente sotto la superficie del
proprio liquido (figura 1.21)
In essa le molecole in fase vapore, essendo dotate di energia cinetica molto più
elevata delle molecole della fase liquida, urtano incessantemente e con veemenza le
molecole del liquido site in corrispondenza della superficie di separazione fra le due
fasi, mentre in concomitanza la bolla, per effetto della spinta archimedea su di essa
agente, si sposta verso la superficie del liquido, aumentando sempre più di volume
per la diminuita pressione su di essa agente.
Fig. 1.21. - Bolla di vapore in un liquido in ebollizione. Le frecce superiori indicano la pressione o forza
unitaria esercitata dall’atmosfera soprastante il liquido, quelle inferiori la pressione globale agente sulla bolla.
Fig. 1.22. - Curva temperatura tempo dell’acqua
Fin che dura il processo di ebollizione tutta l’energia cinetica mano a mano somministrata alle molecole del liquido è utilizzata per vincere le forze attrattive su di
esse agenti. A causa di ciò la temperatura media del liquido rimane costante e pari
a quella che caratterizza il suo punto di ebollizione.
È per tal motivo, ad esempio, che è possibile lasciar bruciare l’etere etilico nel cavo
della mano senza scottarsi: la temperatura di ebollizione di tale sostanza infatti è di
circa 35 °C, e fintantoché nel cavo della mano vi è liquido che evapora per alimentare la fiamma tale valore non può essere superato.
All’esaurirsi del liquido la fiamma ovviamente si spegne e quindi, usando attenzione,
si possono facilmente evitare scottature.
1.19
Frantumazione delle strutture molecolari per cracking termico o
pirolisi
Procedendo nel riscaldamento di una sostanza allo stato di gas o vapore formata da
molecole composte da molti atomi, si arriva ad uno stato in cui l’energia cinetica
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1. Orientamenti di base per la valutazione del rischio incendio
Sulla superficie libera del liquido che ingloba la bolla di vapore preme ovviamente
l’aria atmosferica; tale pressione si trasmette in tutte le direzioni all’interno del
liquido, aggiungendosi alla pressione esercitata sulla bolla dal liquido.
Se la somma delle suddette pressioni è superiore alla tensione di vapore del liquido,
la bolla può essere schiacciata ed eliminata.
Se invece la pressione interna alla bolla, che è poi quella di tensione del vapore del
liquido a quella temperatura, è superiore, sia pur di poco a quella atmosferica, la
bolla sale per spinta archimedea fino alla superficie ed esplode, liberando sotto forma
di vapore le molecole che racchiudeva.
Prevenzione incendi
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correlata ai movimenti di vibrazione, di rotazione e di traslazione degli atomi che
la costituiscono, di cui meglio diremo in seguito13, può raggiungere livelli comparabili e addirittura superiori a quelli posseduti dalle forze di legame interatomico che,
agendo sui differenti atomi costituenti le molecole coinvolte nel fenomeno, ne assicurano la stabilità e il comportamento perfettamente elastico nel corso degli incessanti reciproci urti.
Cosicché agli alti livelli di temperatura di cui si è detto, un certo numero di molecole
può, per effetto dei reciproci violentissimi urti, frantumarsi e scindersi in altre conformazioni molecolari, costituite da un minor numero di atomi, ossia in sostanze
chimicamente diverse da quelle originarie, che per l’alta temperatura alla quale si
formano si mantengono, di regola, allo stato aeriforme.
Tali nuove sostanze possono ovviamente reagire, quando in esse sono presenti atomi
di elementi ossidabili, con gli eventuali atomi di ossigeno con i quali dovessero
collidere con sufficiente violenza, con conseguente rilascio di energia termica in
quantità sufficiente a sostenere il prosieguo del fenomeno.
Il processo descritto si produce in via ordinaria nel corso di tutti gli incendi coinvolgenti materiali solidi, perché la combustione con fiamma può verificarsi, come
abbiamo ripetutamente affermato e dimostrato, e come la teoria cinetica consente di
prevedere, solo quando le sostanze combustibili che alimentano il fuoco sono allo
stato di gas o di vapore.
Solo in tale stato, infatti, è possibile l’intimo generalizzato contatto fra l’ossigeno
dell’aria e le molecole ossidabili, che con esso reagendo, alimentano la velocissima
reazione di ossidazione a catena che macroscopicamente percepiamo come fiamma.
La teoria cinetica del calore lascia anche prevedere che fino a quando il numero delle
molecole combustibili non raggiungerà un certo valore rispetto alle molecole di
ossigeno presenti nell’aria, non vi potrà essere reazione a catena, quindi combustione
con fiamma e incendio.
Una considerevole parte dell’incremento di energia cinetica derivante dai processi di
ossidazione va infatti disperso in urti parassiti con atomi e molecole non suscettibili
di reagire con l’ossigeno dell’aria, quali l’azoto, l’anidride carbonica, l’acqua ed altre
sostanze, per cui solo quando il numero di reazioni di ossidazione supera un certo
livello si rende disponibile l’energia cinetica occorrente per l’attivazione delle successive reazioni di ossidazione.
È quindi logico attendersi che non potranno aversi reazioni di ossidazione a catena
sia quando è scarso il numero di molecole combustibili coinvolgibili nei fenomeni
di ossidazione, ossia quando la miscela aeriforme è povera in particelle combustibili
rispetto all’ossigeno disponibile, sia quando le particelle combustibili sono troppe
rispetto all’ossigeno disponibile, ossia quando la miscela è troppo ricca.
13 Vedi precedente nota 3.
Il processo di demolizione termica occorrente per trasformare le sostanze solide in
sostanze aeriformi chimicamente differenti da quelle originarie richiede, ovviamente,
la spesa di una ragguardevole quantità di energia termica, per cui l’innesco della
combustione dei solidi di grossa pezzatura è, di norma, tutt’altro che facile e rapido,
come l’esperienza comune insegna e come avremo modo di meglio chiarire nel
seguito.
Ricordiamo, data l’occasione, che la demolizione termica di talune sostanze solide e
liquide, effettuata ovviamente fuori dal contatto con l’aria ambiente per evitare
possibili disastrose accensioni ed esplosioni, è largamente praticata nei processi
industriali di gasificazione del legno e del carbone, di raffinazione del petrolio e in
altri particolari processi chimici.
Energia interna delle molecole secondo il modello cinetico
Poiché in natura nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma, è evidente che
il calore prodotto dalla combustione delle diverse sostanze suscettibili di bruciare
proviene dal transito in energia cinetica di una equivalente quantità dell’energia
potenziale posseduta dagli atomi e dalle molecole delle sostanze che partecipano alle
reazioni di combustione.
Il modello cinetico, al solito, consente di comprendere quali possono essere i meccanismi che determinano il fenomeno.
A tal fine il modello assimila gli atomi delle diverse molecole che compongono le
differenti sostanze a piccole sfere, ognuna delle quali dotata di massa di valore
appropriato, collegate fra loro da molle onde tenere conto delle forze di legame
intercorrenti fra i diversi atomi che le compongono.
È infatti in tal modo possibile, come il semplice modello illustrato in figura 1.23
mostra, porre in evidenza quali sono i transiti di energia da una forma all’altra che
hanno luogo in seno alle molecole.
La molecola rappresentata in figura 1.23 è quella dell’anidride carbonica che, come
già sappiamo, è formata da un atomo di carbonio e da due atomi di ossigeno .
Imprimendo ad essa un urto avverrà, in via generale, che gli atomi che la compongono saranno assoggettati a tre tipi di moto e precisamente:
— moto di traslazione delle sfere, rappresentabile come moto del loro baricentro, cui
è associata la energia cinetica di traslazione presa in considerazione nel modello
cinetico dei gas;
— moto di rotazione associato ai testa-coda che la molecola compie mentre ruota
nello spazio, cui è associata una energia cinetica di rotazione;
— moto di vibrazione derivante dalle oscillazioni delle sfere vincolate fra loro dalle
molle, che interpretano il legame chimico agente fra gli atomi, cui è annessa una
energia di vibrazione.
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Fig. 1.23. - Tipi di moto cui è soggetta una molecola di anidride carbonica
Il modello, che rappresenta abbastanza bene i movimenti degli atomi entro le molecole delle sostanze allo stato gassoso e di vapore, si presta ad una facile estensione
anche agli stati condensati delle diverse sostanze, ossia agli stati liquido e solido.
Basta all’uopo tenere conto, come già si è detto in precedenza, che negli stati liquido
e solido della materia non tutti i movimenti descritti sono permessi.
Il modello può altresì essere esteso anche al moto degli elettroni e delle altre particelle subatomiche esistenti nell’ambito delle complesse strutture degli atomi.
Ecco quindi che tutte le sostanze possiedono una specifica energia potenziale interna,
di regola non percepibile macroscopicamente.
È di regola una quota parte di tale energia potenziale che transita in energia cinetica,
per effetto dell’assetto di minima energia potenziale assunto dalle nubi elettroniche
periferiche delle nuove molecole che si formano, a seguito della condivisione in una
medesima nube elettronica degli elettroni periferici degli atomi che le compongono,
a determinare lo sviluppo di calore che caratterizza le reazioni di ossidazione.
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Entalpia
La somma dell’energia potenziale interna, per lo più indicata con il simbolo U, e delle
altre forme macroscopicamente percepibili di energia possedute dalle sostanze e
corpi, prende il nome di entalpia e si indica in genere con il simbolo I.
Nel caso dei gas, aggiungendo all’energia interna U l’energia data dal prodotto della
pressione p per il volume v, l’entalpia è data dalla relazione:
Prevenzione incendi
I = U + pv (14)
Le minuziose sperimentazioni effettuate nel tempo hanno sempre confermato che
l’energia resa disponibile dalle reazioni chimiche di combustione corrisponde esattamente alla differenza fra l’entalpia, come in precedenza definita, posseduta dalle
sostanze reagenti prima del loro coinvolgimento nelle reazioni di combustione, e
quella contenuta nei prodotti finali della reazione stessa. In simboli:
I = I1 - I2
nella quale:
I1 = entalpia globale prima della combustione
I2 = entalpia globale dopo la combustione
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Il transito dell’energia potenziale in questione in energia cinetica determina, come
ovvio, non solo un incremento dell’energia cinetica media delle particelle elementari
direttamente coinvolte nelle reazioni chimiche di combustione, ma anche di quelle
site nell’intorno della zona di reazione e, in concomitanza, l’emissione di rilevantissime quantità di energia raggiante, ossia elettromagnetica, che per il tramite della
emissione e cattura di fotoni illustrata in precedenza, provoca a sua volta consistenti
incrementi dell’energia cinetica delle particelle che ne sono investite e che possono
appartenere a sistemi situati anche oltre il vuoto e a distanze incommensurabili dalla
fonte di emissione.
È del resto su tale fenomeno che sono basati i vari sistemi di radiocomunicazione
correntemente utilizzati.
Forze che governano le reazioni chimiche
Richiamando la conformazione degli atomi e delle molecole in precedenza descritta
e quanto detto in ordine all’incessante movimento che caratterizza l’intimo della
materia, è evidente che taluni elettroni siti in corrispondenza dello strato più esterno
di un atomo, quindi soggetti a una minor forza di attrazione da parte del nucleo
dell’atomo cui appartengono rispetto a quelli più interni, possono per effetto di urti
e di altre interazioni, essere strappati via.
L’atomo in cui un tale evento si verifica, e di riflesso la molecola cui l’atomo
appartiene, vengono ad acquisire carica elettrica diversa da zero.
Le particelle elementari che si trovano in un tale stato sono chiamate ioni e, per
effetto della carica posseduta, possono esercitare forze di attrazione elettrostatica nei
confronti di altre particelle, del pari ionizzate, quando queste ultime sono dotate di
carica elettrica di segno opposto.
Venendo casualmente a contatto, ossia pervenendo a distanza reciproca tale da
consentire alle mutue forze di attrazione elettrostatica di agire, le particelle in questione tendono ad associarsi e a dare origine a strutture molecolari sufficientemente
stabili.
È in tal modo che si forma, ad esempio, il cloruro di sodio, simbolo NaCl, ossia il
comune sale da cucina. Questo tipo di legame è detto ionico.
L’esperienza mostra però che una fortissima tendenza ad associarsi ad altri atomi per
formare composti molto stabili, ossia una spiccatissima affinità chimica, manifestano
gli atomi elettricamente neutri degli elementi chimici che possiedono nello strato
elettronico più esterno della loro nube elettronica, ossia nell’orbitale di valenza, un
numero di elettroni diverso da quello posseduto dal gas raro a loro più prossimo nella
scala periodica degli elementi, che per gli elementi chimici prevalentemente coinvolti
1. Orientamenti di base per la valutazione del rischio incendio
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Prevenzione incendi
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nei processi di combustione, è il neon, caratterizzato da un orbitale esterno comprendente otto elettroni.
Nel caso specifico delle combustioni infatti, tale straordinaria affinità nei confronti
dell’ossigeno manifestano tutti gli elementi chimici i cui atomi possiedono, nello
strato elettronico più esterno, un numero di elettroni tale da consentire, mediante la
messa comune degli elettroni di uno o più loro atomi periferici con quelli periferici
dell’ossigeno, che sono 6, di aggregarsi in configurazioni molecolari nelle quali gli
elettroni periferici condivisi (ossia in condominio) raggiungono il numero di otto,
pari a quelli dello strato periferico della nube elettronica del neon, simbolo Ne.
Tale tipo di legame è detto covalente ed è uno dei più forti legami chimici conosciuti.
Alcuni esempi consentono di chiarire meglio quanto testé affermato.
Prendiamo all’uopo in considerazione la reazione di ossidazione dell’idrogeno che,
come ben noto, porta alla formazione dell’acqua, la cui ben nota formula chimica
è H2O.
L’idrogeno, simbolo H, è il primo elemento della tavola periodica degli elementi
perché possiede un nucleo contenente un solo protone dotato di carica elettrica
elementare positiva, bilanciata da quella negativa del solo elettrone presente nella
sua nube elettronica. Il suo numero atomico è pertanto 1.
Poiché, come abbiamo appena affermato, tutti gli atomi tendono ad associarsi fra
loro in modo da pervenire, ponendo in condominio gli elettroni periferici di cui
dispongono, alla formazione di molecole aventi una nube elettronica globale perifericamente formata da un numero di elettroni pari a quello del gas raro più prossimo a loro nella scala periodica degli elementi, gli atomi di idrogeno si raggruppano
due a due formando molecole biatomiche, ossia molecole dotate di una nube elettronica periferica costituita da due elettroni in condominio, pari a quella del gas raro
più prossimo all’idrogeno nella scala atomica degli elementi, che è l’elio, simbolo He
L’ossigeno, simbolo O, ha invece numero atomico 8 e possiede due strati elettronici
concentrici, uno interno all’altro. Nello strato più interno, che si indica con la lettera
K, possiede due elettroni, come l’elio, talché tale strato elettronico è saturo. I restanti
6 elettroni sono invece contenuti nel secondo strato più esterno, che è quello di
valenza, che i fisici contraddistinguono con la lettera L.
L’elemento chimico dotato di conformazione elettronica di minima energia ad esso
più prossimo è, come già sappiamo, il neon, numero atomico 10, due elettroni nello
strato interno K, otto in quello esterno L.
L’ossigeno tende pertanto a legarsi stabilmente, per quanto detto, con tutti gli atomi
che sono in grado di offrirgli in condominio due elettroni, perché in tal modo la
configurazione della nube elettronica periferica della molecola di minima energia
potenziale interna che si forma, con il concomitante transito dell’energia potenziale
liberata in energia termica e raggiante, viene a usufruire di otto elettroni come il neon.
Ecco quindi che quando idrogeno e ossigeno vengono in intimo contatto le loro
tendenze convergono: associandosi due atomi di idrogeno a uno di ossigeno si viene