Il Salvatore viene a liberarci dalle nostre tristezze e a restituirci le

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Il Salvatore viene a liberarci dalle nostre tristezze e a restituirci le
di Umberto Occhialini OFM
Il Salvatore viene a liberarci dalle nostre
tristezze e a restituirci le gioie perdute.
cco, appena la voce del tuo saluto è
È la gioia della salvezza. Se la venuta del Salvatore
giunta ai miei orecchi, il bambino ha
fa esultare di gioia, vuoi dire che egli viene a
esultato di gioia nel mio grembo" (Lc
liberarci dalle nostre tristezze, viene a restituirci le
1,44): sono le parole che Elisabetta,
gioie perdute. Vuoi dire ancora che senza di lui la
piena di Spirito Santo, rivolge a Maria entrata nella
tristezza rimane l'eredità dell'uomo decaduto,
sua casa. Il bambino che esulta di gioia è Giovanni
anche se nor: mancano le legittime, sia pure
ancora racchiuso nel grembo materno; causa della
fugaci, gioie della vita e al disotto della maschera
gioia è Gesù, anch'esso racchiuso nel grembo di
dell'allegria e della spensieratezza con cui si cerca
Maria.
di nascondere la precarietà o la tragicità della
Qual è la causa di tanta allegrezza? Lo dirà l'angelo
nostra condizione.
E
“
ai pastori, quando Gesù nasce a Betlemme: "Ecco
Ma quali sono le tristezze dalle quali è
vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il
assediata la vita umana e quali ne sono le cause?
popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un
salvatore che è il Cristo Signore" (Lc 2,10-11). La
gioia è portata dal Figlio di Dio che viene a salvarci.
Dobbiamo cercare la risposta in qualcosa
che ferisce la nostra esistenza, che la priva di
quella integrità di vita da cui dovrebbe sca-
turire uno stato abituale di gioia, dato che la vita per
se stessa è gioia, partecipazione della gioia infinita
del Creatore che ce la dona. Quali sono allora le
ferite, le cause principali delle nostre tristezze?
Al primo posto poniamo il peccato. Qualcuno
potrebbe stupirsi del fatto di considerare il peccato
prima fonte di tristezza, ma è indubbiamente così.
Il peccato rende triste chi lo commette e chi ne
riceve le conseguenze.
È più evidente l'effetto devastante per chi
subisce un atto peccaminoso: basta pensare a coloro
che vengono uccisi, percossi, derubati, sfruttati,
violentati, traditi, insultati, calunniati, disprezzati...
Non è vero che il più grave peso delle tristezze ha la
sua origine nel male ricevuto dagli altri?
Ma il peccato è anche causa di tristezza per chi lo
compie, perché, malgrado il piacere o la ricchezza
che produce, rende l'uomo cattivo, lo abbrutisce, lo
perverte, rendendo inquieto e indurito il suo cuore.
Per la Scrittura poi, il peccato introduce nel
mondo la morte, "perché il salario del peccato è la
morte" (Rm 6,32). E se il peccato è causa della
morte, è pure causa di tutte le tristezze provocate
dalle infermità fisiche che sono passi verso la morte
e, se non riparate, alla morte conducono.
Non è possibile qui esaminare il nesso peccato malattia - morte: se accettiamo quanto ci dice la
Scrittura, pensiamo allora ali' enorme carico di
sofferenza che va attribuito alle colpe
dell'umanità, a tutte le infermità che insidiano la vita, alla morte che inesorabilmente le assomma e conclude.
Dobbiamo inoltre considerare
le sofferenze interiori, quelle che
feriscono l'uomo nei suoi affetti e
nella sua dignità. Noi abbiamo un
bisogno vitale di essere amati e di
Il Figlio di Dio è venuto
a portarci la gioia della salvezza.
amare. Abbiamo bisogno che qualcuno ci dica e ci
dimostri che la nostra vita, dono dell'amore
creante di Dio, è degna di essere amata, voluta,
apprezzata. E abbiamo pure il dovere e il bisogno
di ripetere ad altre creature che sono buone,
amabili, che la loro vita è un bene, che ha
significato. Quando l'amore da ricevere e da
donare viene a mancare, la vita rimane sconvolta,
le viene inflitta una ferita profonda, le viene
provocata una sofferenza a volte insopportabile.
Alla privazione di amore è connessa la
tristezza per la mancanza del giusto riconoscimento della nostra dignità. Non parliamo della
ricerca di vana gloria, ma dell'apprezzamento di
una esistenza, che ha un valore unico, irripetibile,
inalienabile, che viene calpestato dal disprezzo,
dalle umiliazioni, da tutte quelle forme di
disinteresse e di emarginazione che fanno sentire
alla persona di non essere presa in considerazione, di essere una persona inutile, superflua, o
indegna e spregevole. L'elenco qui abbozzato
delle tristezze umane e delle loro cause non è
esauriente, pensiamo però sia sufficiente per
comprendere come Cristo venga a liberarcene
e a restituirci ogni gioia smarrita. Egli viene a
guarirci dal male radicale che è il peccato. È
il Salvatore. Gesù risorto dice agli apostoli:
“Così sta scritto: il Cristo doveva patire e
risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo
nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e la remissione dei peccati" (Lc 24,46). E
Sotto la maschera dell’allegria
psichedelica si cerca di nascondere
la precarietà umana.
gli uomini: "Carissimi, amiamoci gli uni
gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque
ama è generato da Dio e conosce Dio" (1
Gv 4,7). E quando regna la carità nel cuore,
il nostro prossimo non verrà contristato, né
per il nostro disprezzo, né per i nostri
rancori, né per la nostra indifferenza, né
per la nostra durezza, né per la nostra ira.
una liberazione che inizia con la remissione, il
perdono da parte di Dio, ma è soprattutto una
liberazione progressiva che la grazia opera in noi,
facendo morire le passioni peccaminose,
spogliandoci "dell'uomo vecchio con le sue azioni
e rivestendoci del nuovo" che si rinnova "per una
piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore"
(Col 3,9-10).
Liberandoci dal peccato, Cristo ci dona pure la
speranza di essere liberati dalla morte e da tutti i
mali che ne sono causa: "Ora invece, Cristo è
risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono
morti" (1 Cor 15,10). Perciò i cristiani dovranno
essere "lieti nella speran za, forti nella
tribolazione" (Rom 12,12), in attesa di entrare
nella Gerusalemme celeste, dove "non ci sarà più
la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le
cose di prima sono passate" (Ap 21,4).
Alla nostra triste e tragica carenza di amore, Dio
viene in soccorso con la sua infinita carità: "In
questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio
ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo,
perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta
l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui
che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come
vittima di espiazione per i nostri peccati" (1 Gv
4,9-10). Come può rattristarsi chi riconosce e
crede di essere amato in modo così incredibile
da Dio? Non solo, ma l'amore che Dio riversa
in noi diventa in noi sorgente di amore per tutti
La carità, per chi la dona e per chi la riceve,
diventa fonte di serenità e di pace.
Infine Cristo eleva l'uomo alla sublime dignità a cui è stato chiamato: "A quanti però l'hanno
accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio"
(Gv 1,12). Figli amati dal Padre, figli nel suo
Figlio, perciò "anche eredi: eredi di Dio, coeredi
di Cristo" (Rm 8,17), predestinati alla gloria
eterna, all'eterna gioia nella casa del Padre.
Gesù ha dunque ragione di confortarci:
"Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e
la vostra gioia sia piena" (Gv 15,11).
Se crediamo alla sua parola, le inevitabili
prove della vita non potranno offuscarla. È lui
stesso che ce lo assicura: "Così anche voi, ora,
siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il
vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà
togliere la vostra gioia" (Gv 16,22-23).
E come cristiani non possiamo non far nostra
l'esortazione di Paolo: "Rallegratevi nel Signore
sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La
vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il
Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in
ogni necessità esponete a Dio e vostre richieste,
con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la
pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza,
custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo
Gesù" (Fil 4,4-7).