la guerra asimmetrica
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LA GUERRA ASIMMETRICA I ‘modelli’ militari di un impero annunciato Col tempo, era divenuto un Impero universale e cioè un organismo che praticava apertamente l’assassinio, il saccheggio, l’oppressione, la rapina a spese degli altri popoli, finchè non sono arrivato io …. (Friedrich Dürrenmatt, Romolo il Grande, atto terzo). Queste sono le parole che Dürrenmatt fa pronunciare al suo Romolo, ultimo imperatore di Roma, definendolo ‘il Grande’ perché, consapevole della necessità che l’impero si dissolva, non si oppone all’implosione di un apparato di potere ed oppressione giunto al suo definitivo tramonto. Oggi tutto questo ci ammonisce: un ex impero economico mentre sta tentando di assumere il ruolo di potenza militare planetaria già deve preoccuparsi per il suo possibile declinare. Nel corso della storia gli imperi hanno tentato di rallentare la loro fine o osservando quasi impotenti la loro decadenza – lenta o repente che fosse (ma questo è accaduto raramente) – , oppure imboccando la strada delle guerre senza fine: “le potenze in via di declino, anziché regolarsi ed adattarsi, cercano di cementare il proprio barcollante predominio trasformandolo in un’egemonia rapace1”. Le attuali elite dirigenti degli Stati Uniti hanno imboccato con decisione questa strada, sognando un Nuovo Secolo Americano, e scartando persino l’ipotesi di passare il testimone dell’egemonia nell’arco di pochi decenni a un erede che continui la ‘missione americana’ nel mondo. Ha scritto Zbigniew Brzezinski: “l’America non soltanto è la prima e l’unica vera superpotenza mondiale, ma molto probabilmente sarà anche l’ultima …. Resta quindi da chiedersi se l’America sarà la prima superpotenza incapace di rinunciare alla propria egemonia o riluttante a fare un passo indietro. Questa è la principale incognita del futuro2”. Se la scelta è quella di non accettare il declino allora non resta che interrogarsi su quali saranno i funesti effetti collaterali della lotta disperata per evitare la decadenza, e in quali gangli del ‘potere imperiale’ quest’ultima attecchirà provocandone l’implosione. Chalmers Johnson ritiene che “se si scarta l’ipotesi di un movimento riformista, al momento non prevedibile, l’ipotesi più probabile è che l’impero americano sia destinato a restare vittima delle proprie contraddizioni economiche3”. Ma per gli Stati Uniti di oggi parlare di ‘contraddizioni economiche’ significa tenere nella debita considerazione anche le interrelazioni che legano la ‘sfera militare’, le sue dottrine, la sua dimensione ai criteri di allocazione delle risorse pubbliche e di organizzazione della produzione. Lo stesso Johnson ha sottolineato le analogie esistenti tra il militarismo espansionista statunitense dei nostri giorni e la postura dell’Urss nell’epoca brezneviana, sottolineando come “via via che crescono di dimensione e importanza, le forze armate di un impero tendono fatalmente a sostituirsi ad altri strumenti di politica estera, e insieme a esse cresce anche il militarismo un coacervo di abitudini, interessi, considerazioni di prestigio, azioni e pensieri associati agli eserciti e alle guerre e che tuttavia trascendono scopi e obiettivi prettamente militari4 “. Le note che seguono tentano di suggerire alcuni percorsi di approfondimento su 1 D. P. Calleo, Beyond American Hegemony: The Future of the Western Alliance, New York, 1987, p. 142. 2 Z. Brzezinski, La grande scacchiera, Milano, 1998, p. 278. 3 C. Johnson, Gli ultimi giorni dell’impero americano, Milano, 2001, p. 313. 4 Ibidem, p. 311. questi temi. L’EVOLUZIONE DEL ‘MODELLO’ KOSOVO Quanto sta accadendo in Iraq dimostra come si sia evoluta, dal 2001 ad oggi, la politica militare statunitense, messa a punto da Dick Cheney e Colin Powell tra il 1989 ed il 1993 e sostanzialmente confermata dall’ amministrazione Clinton. Nella sua formulazione dei primi anni Novanta essa si prefiggeva il compito di ristrutturare e razionalizzare la spesa militare (mantenendola sostanzialmente costante o addirittura riducendola), allo scopo di incrementare l’ efficienza degli apparati bellici per quanto riguardava la loro capacità di affrontare e vincere simultaneamente due conflitti di teatro5. Dopo il 1997, il banco di prova dell’i mpostazione maturata a partire dalla fine degli anni Ottanta fu l’ aggressione nei confronti della Iugoslavia. Il Kosovo Model è stato recentemente oggetto di un dibattito assai vivace6, incentrato sull’ esistenza di una new way of war concretatasi in quell’o ccasione mediante l’ applicazione stringente del calcolo costi/benefici alle operazioni militari. Tutto ciò è accaduto in una guerra che manifestava chiaramente il suo carattere ‘preventivo’ e imperiale volto a rafforzare la capacità di controllo statunitense nell’ area dei Balcani. Il ricorso al solo bombardamento aereo avrebbe garantito l’ efficacia coniugata con la breve durata dell’ azione mentre, sempre ricorrendo al potere aereo, era possibile condurre la seconda guerra di teatro in Iraq, sganciando, nel solo 1999, più di duemila bombe e missili. Ma la verifica sul campo del Kosovo Model ha evidenziato diversi limiti anche di rilievo. Si è messa in discussione la capacità di acquisire, prescindendo da una presenza militare sul terreno, quelle informazioni indispensabili per guidare gli attacchi aerei e missilistici di precisione7, la cui efficacia nei confronti di nemici nonstatali (ossia non dotati di infratrutture per il controllo delle popolazioni e del territorio) è stata contestata e perfino smentita sul campo durante le operazioni in Afghanistan: il Kosovo Model funzionerebbe quindi parzialmente solo contro la mezza dozzina di stati ‘canaglia’ nemici di Washington. In Afghanistan e in Iraq l’ illusione di poter sempre condurre guerre tecnologiche senza mettere a rischio la vita dei soldati è sfumata definitivamente; oggi si devono fare i conti con l’ esigenza di occupare e controllare almeno i nodi strategici di vastissimi territori e così, nell’i potesi realistica di perdite umane numerose, si è ‘preparata’ l’ opinione pubblica ad uno scenario ritenuto, per tutti gli anni Novanta, estremamente dannoso per la compattezza del fronte interno. Ma le critiche al Kosovo Model si sono spinte oltre; diversi analisti del mondo accademico hanno ripreso, seppure timidamente, alcune delle tesi fatte proprie nel 1999 dai movimenti contro la guerra. Questa new way of war basata sulla distruzione sistematica tramite il bombardamento terroristico delle infrastrutture che consentono lo svolgimento della vita quotidiana, dal punto di vista delle conseguenze sulle popolazioni civili ha creato volutamente una grande sofferenza impiegata quale strumento di pressione per far capitolare 5 A questa filosofia si ispirava anche la Quadrennial Defense Review presentata nel 1997, che tuttavia venne sottoposta a dure critiche e giudicata ‘irrealistica’ sia per quanto concerneva i vincoli di bilancio che per la dimensione delle forze armate proposti; inoltre furono mossi rilievi all’analisi delle ‘nuove minacce’ e alla politica militare-industriale che contemplava il finanziamento a programmi d’armamento ritenuti obsoleti di fronte alla nuova situazione geopolitica mondiale. I rilievi mossi dal partito ‘efficientista’ chiedevano una maggiore attenzione per gli aspetti logistici e operativi legati alla ‘proiezione di potenza’ nelle aree di crisi piuttosto che cedere alla logica delle lobby legate al complesso militare-industriale; cfr. W.E. Odom,Transforming the Military, “Foreign Affairs”, lug.-ago. 1997, pp. 54-64. 6 Si segnalano a questo riguardo: A.J. Bacevich, E.A. Cohen, War over Kosovo, New York, 2001; B.S. Lambert, Nato’s Air War for Kosovo, Santa Monica, RAND, 2001. di grande interesse anche la recensione di queste due pubblicazioni di S. Biddle, The New Way of War? Debating the Kosovo Model, “Foreign Affairs”, mag.-giu. 2002, pp. 138-144. 7 Si veda al riguardo J. Matsumura et al., Preparing for Future Warfare with Advanced Technologies. Prioritizing the Next Generation of Capabilities, RAND-Arroyo Center, 2002. il governo dello stato colpito8. Inoltre, il modello di azione militare, condizionato dal timore di una forte opposizione dell’ opinione pubblica, lasciava la strada aperta ad una serie di ‘operazioni semicoperte’ condotte da soldati divenuti ormai ‘mercenari’ , con conseguenze inquietanti per i rapporti tra il sistema di rappresentanza democratica e le forze armate. Infine, la ricerca volta a rendere meno dispendiosa l’ azione bellica (making war cheaper) ha fatto crescere a dismisura il rischio di rendere facile il ricorso alla forza, senza che intervenga un’ adeguata giustificazione e l’ opportuna riflessione sulle conseguenze9. Tali dubbi e perplessità non hanno condizionato la pianificazione statunitense delle azioni belliche in Afghanistan e Iraq, che viceversa sono state notevolmente influenzate dalle difficoltà incontrate nel 1999 nella gestione di una campagna condotta alla guida di una coalizione di stati all’ interno della quale non esisteva unità d’i ntenti e di visioni strategiche, limite a cui si è tentato di porre rimedio mediante il ricorso ai ‘volonterosi’ sotto il comando assoluto degli Stati Uniti. A quanto avvenuto sul campo è corrisposta una evoluzione nell’i mpostazione teoricopolitica, che tra notevoli contrasti interni al mondo politico e militare, ha completato e aggiornato, la visione clintoniana della guerra a basso costo ed elevata efficacia. LA SVOLTA NELLA POLITICA MILITARE Nel giugno del 2001 Donald Rumsfeld diede disposizioni tassative affinché gli organismi preposti del Pentagono (DoD) stringessero i tempi per la presentazione della Quadrennial Defense Review 2001 (QDR 2001), e presentassero le linee guida della politica militare Usa per gli anni successivi; linee che avrebbero definito la dimensione e la struttura delle forze armate. Le prime indiscrezioni sui desiderata del segretario alla Difesa lasciavano intendere come si stesse mettendo a punto una strategia complessiva che ampliava i concetti di incertezza ed imprevedibilità, sia per quanto riguardava i possibili impieghi delle forze armate Usa che per i rischi ad essi associati10. Veniva messa in discussione la dottrina della capacità di combattere e vincere due guerre contemporaneamente, generando una serie di scontri all’ interno degli apparati politicomilitari interessati ai programmi d’ armamento che sarebbero stati eventualmente cancellati in seguito all’ abbandono di tale scenario e all’ adozione dell’o pzione ‘una guerra più altro’ 11. La possibilità di ricomposizione dei contrasti era comunque presente e si giocava tutta sulla rinnovata spartizione di un budget sostanzialmente incrementato. L’a umento delle spese militari avrebbe dovuto essere giustificato da una nuova visione politicostrategica; si poteva già intuire che accostando ai soliti nemici ben identificati (gli ‘stati canaglia’) un insieme di minacce dai contorni incerti e imprevedibili, avrebbero avuto via libera le richieste di nuovi stanziamenti per far fronte a tutte le evenienze. Poi venne la guerra planetaria contro il terrorismo, ovvero l’ amministrazione Bush decise di rispondere agli attacchi dell’ 11 settembre adottando una strategia militare a tutto campo che, secondo molti giudizi critici12, ha sortito ben scarsi risultati nei confronti delle reti 8 Questa tesi è fortemente sostenuta da P.S. Meilinger, dirigente di rilievo di una delle aziende maggiormente interessate allo sviluppo di sistemi d’arma adatti alla guerra ‘chirurgica’ (la Science Applications International Corportaion), che giunge a sostenere la ‘maggiore umanità’ dei bombardamenti mirati rispetto all’adozione dei regimi di sanzioni nei confronti dei paesi ‘canaglia’; cfr. P. S. Meilinger,A Matter of Precision. Why air power may be more humane than sanctions, “Foreign Policy”, mar.-apr. 2001, pp. 78-79. 9 Si vedano si saggi di Bacevich e Coll in A.J. Bacevich, op. cit. Se si escludono alcuni rari casi, in Italia si deve sottolineare un desolante e preoccupante silenzio tra gli esponenti di alcune forze della sinistra, che nel 1999 erano al governo, relativamente al bilancio della guerra contro la Iugoslavia. 10 Rumsfeld orders Quadrennial Defense Review speed up, “Defence-data.com”, 20 giu. 2001. 11 Pentagon to scrap two-war readiness, “The Washington Times”, 20 giu. 2001. 12 “Il terrrorismo non si può affrontare facilmente con forze convenzionali o nucleari. La minaccia terroristica potrebbe aumentare in futuro, ma si tratta di un problema diverso che richiederà risposte e forze diverse”, con queste parole D. Bandow, esponente del Cato Institute (istituto di ricerca di orientamento conservatore vicino ad alcuni esponenti del partito repubblicano), ha recentemente espresso il proprio giudizio sui mezzi impiegati nella terroristiche. Il 30 settembre 2001 è stata presentata la QDR 2001. Il documento, che sarà aggiornato nel 2005, esprime una evoluzione rispetto all’i mpostazione messa a punto fin dai primi anni Novanta. Le nuove forze armate Usa dovranno essere in grado di affrontare sia le minacce prevedibili che quelle inattese, i fronti d’ impiego saranno due: al classico scenario internazionale delle due guerre di teatro combattutte contemporaneamente (una delle quali potrebbe essere quella globale contro il terrorismo), si aggiunge il fronte interno. Nonostante le critiche iniziali, la teoria dei due conflitti non solo è stata confermata ma viene ampliata qualitattivamente e quantitattivamente. Infatti è assai contraddittorio inserire la ‘guerra totale contro il terrorismo’ nella categoria delle guerre ‘di teatro’ , in quanto la sua estensione geografica giunge a dimensioni planetarie. Inoltre la QDR 2001 assegna alle forze armate la nuova ‘missione’ internazionale, prefigurazione del conflitto con l’I raq, che prevede la sconfitta ‘definitiva’ di uno dei due ‘avversari di teatro’, l’ occupazione del suo territorio e/o la creazione delle condizioni per un rovesciamento del governo locale13. Il secondo pilastro politico della dottrina militare Usa conferma e istituzionalizza il ruolo sempre più importante svolto dai militari nella gestione della ‘sicurezza interna’. Questa svolta si può interpretare come la risposta concreta ai rischi associati ad uno scenario già enunciato con chiarezza da Clinton a metà degli anni Novanta, quando l’ allora presidente affermò che “ per la prima volta non c’ è più differenza tra la politica interna e la politica estera” 14. Già nell’ aprile del 2001, uno studio dell’ United States Congressional Research Service, dopo aver rimarcato la ‘vulnerabilità’ degli Usa nei confronti di attacchi terroristici, si era pronunciato in modo assai critico sulle leggi e le regole esistenti in materia di coinvolgimento dei militari in operazioni interne; il rispetto di tali norme veniva giudicato alla stregua di un intralcio nel processo amministrativo ca pace di danneggiare l’ efficacia della risposta operativa15. Sul fronte internazionale l’ apparato statale statunitense manteneva il monopolio dell’e sercizio della violenza ‘legittima’ , mentre sul versante interno tale monopolio, associato allo smantellamento dell’ edificio delle libertà democratiche fondamentali ed alla trasformazione dei due partiti in ‘comitati d’a ffari’ della corporate America unica reale forza politica16, finiva per essere impiegato (con la giustificazione della lotta al terrorismo ed al narcotraffico) per tenere sotto controllo i flussi di immigrazione17 e il malcontento generato dall’i mmisermento progressivo di vasti strati di popolazione, dalla scomparsa del welfare state e dalle conseguenze dell’ avventurismo guerrafondaio. Il facile e pieno coinvolgimento delle forze armate nella gestione dell’ ordine pubblico, condizionato al consenso del Congresso o del presidente dal Posse Comitatus Act nel lontano 1878, era già stato giuridicamente preparato alla metà degli anni Novanta18; in quel periodo ‘guerra al terrorismo’; cfr. D. Bandow, It is Time to Temper Our Excessive Interventionism, “Naval War College Review”, vol. LV, n. 4, autunno 2002, p. 77. 13 US Departement of Defense, Quadrennial Defense Review report, 30 set. 2001, p. 21. 14 Citato in M. Augé, Diario di guerra, Torino, 2002, pp. 45-46. 15 J. D. Brake, Terrorism and the Military’s Role in the Domestic Crisis Management: background and Issues for Congress, “CRS Report for Congress”, 19 apr. 2001, p. 22. 16 Si veda G. Vidal, La fine della libertà: verso un nuovo totalitarismo?, Roma, 2001. In una recente intervista lo scrittore ha affermato che l’attuale governo degli Stati Uniti ha fatto strame della Costituzione ed è ‘totalmente militarizzato’ e pronto a combattere una guerra continua su scala planetaria; cfr. G. Vidal, The Erosion of the American Dream. It's Time to Take Action Against Our Wars on the Rest of the World, “Counter Punch”, 14 mar. 2003. 17 Questo impiego delle forze armate è stato suggerito nel giugno del 2001 dal segretario di Stato Colin Powell; cfr. R. Windrem, Military role grows on home front, “NBC News”, 20 giu. 2001. 18 In seguito agli attacchi terroristici all’edificio federale di Oklahoma City (di matrice ‘interna’) e al World Trade Center (riferibile al fronte internazionale). la legge in vigore venne emendata, consentendo al ministro della Giustizia di chiedere l’ intervento delle forze armate nelle città statunitensi in caso di gravi eventi di natura terroristica. Concretamente, a cominciare dalle operazioni dirette ad intercettare il traffico di stupefacenti lungo le frontiere effettuate durante la presidenza Reagan e passando per il sempre maggior coinvolgimento delle forze armate in operazioni interne di polizia deciso negli anni di Clinton, il ruolo dei militari – stando alle dichiarazioni di molti dirigenti dell’F BI, del Servizio Sanitario e dell’ Agenzia federale della Protezione Civile (FEMA) – era già cresciuto in maniera ‘sconcertante’ anche prima dell’ 11 settembre19. In seguito la ‘guerra contro il terrorismo’ ha reso ancora più incerto il discrimine tra attività militari e civili nel settore della ‘sicurezza interna’ e questo orizzonte artatamente offuscato ha avuto la sua importanza anche quando si è trattato di definire le attribuzioni nel bilancio federale20, scatenando diatribe e lotte tra settori degli apparati dello stato. Un coinvolgimento sul fronte interno così ampio dei militari, soprattutto della Guardia Nazionale ma anche dell’a viazione, nella gestione delle operazioni antiterrorismo e antidroga (come proposto da Rumsfled) sta suscitando un vivace dibattito21 anche all’i nterno del Pentagono, dove una parte dei vertici militari è riluttante a svolgere compiti di polizia interna ed è assai critica per quanto riguarda la militarizzazione delle frontiere statunitensi22. ASIMMETRIA DELLE GUERRE E ‘RIVOLUZIONE NEGLI AFFARI MILITARI’ Sul fronte interno e su quello internazionale la QDR 2001 si prefigge di affrontare minacce di carattere ‘asimmetrico’ , categoria concettuale che ha fatto la sua comparsa nella dottrina militare Usa solo a partire dal 1997. Il testo si limita ad una elencazione generica di tali minacce; del resto non esiste nessuna definizione che chiarisca completamente che cosa si debba intendere per ‘guerra asimmetrica’ e, forse, mai si arriverà a formularla perché così facendo essa troverebbe i suoi limiti, perdendo la caratteristica che oggi appare più interessante agli occhi dei vertici politicomilitari delle maggiori potenze mondiali: la sua natura olistica. Stando a quanto si legge sul Joint Warfare of the Armed Forces of the United States, lo scontro asimmetrico è quello che coinvolge due forze dissimili (dissimilar forces), mentre la US Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA) sostiene che la guerra asimmetrica è caratterizzata da azioni con pochi obiettivi di difficile individuazione, condotte con mezzi che, se paragonati agli effetti finali delle operazioni, appaiono estremamente limitati23. Esitono teorie che senza fare distinzione di sorta annoverano tra le minacce asimmetriche a livello tattico terrorismo, disordine economico, disobbedienza civile e crimine organizzato, ritenuti tutti mezzi ‘asimmetrici’ per opporsi ad un nemico militarmente più potente. Un simile punto di vista, adottato da molti ‘teorici’ anche in Europa, in Russia ed in Cina, accomuna di fatto la protesta non violenta ad una tattica di guerra24, premessa concettuale che potrebbe giustificare la reazione militare nei confronti della disobbedienza 19 R. Windrem, cit., l’autore fa riferimento ad un piano del DoD, denominato Garden Plot, che prevederebbe, su ordine del presidente, il controllo delle attività civili da parte delle forze armate in caso di un ‘evento catastrofico’. Tale evenienza è classificata con l’espressione assai significativa di Civilian Disorder Condition (CIDCON) ed è stata sperimentata, a livello di esercitazione, a Filadelfia nell’estate del 2000. 20 Nel novembre del 2001, il Center for Strategic and Budgetary Assessments di Washington, centro di studi indipendente, ha caclolato in 100 milioni di dollari al mese il costo associato all’impiego di 40.000 uomini della Guardia Nazionale in operazioni antiterrorismo interne. 21 Secondo E.A. Cohen il frequente ricorso alla Guardia Nazionale non rappresenta un mezzo efficace, e sarebbe preferibile sostituire i militari con contract guards (guardie a contratto); cfr. E.A. Cohen, A tale of Two Secretaries, “Foreign Affairs”, mag.-giu. 2002, p. 44. 22 Pentagon debates Homeland Defense Role, “Washington Post”, 11 feb. 2002. 23 Citato in K. O’Brein, J. Nusbaum, Intelligence gathering on asymmetric threats, “Jane’s Intelligence Review”, ott. 2000, p. 51. 24 Ivi. civile. Fanno riflettere al riguardo alcune considerazioni lette sulla stampa statunitense dopo il successo delle manifestazioni contro la guerra in Iraq del 15 febbraio scorso. In un articolo del New York Times25 si annunciava la nascita di un’ altra ‘superpotenza’ che si oppone su scala mondiale agli Usa: l’ opinione pubblica. Un avversario tenace, che non teme di affrontare l’e lite dirigente Usa a viso aperto, mentre quest’u ltima, per il momento, ha scelto di ignorare la portata del movimento interno ed internazionale contro la guerra. Se si assume come punto di riferimento lo studio dei colonnelli cinesi Qiao Liang e Wang Xiangsui sulle caratteristiche della guerra asimmetrica26 e si considera che gli Usa si ritengono superiori a tutti gli altri stati in materia di potenzialità militari – quindi de facto sempre protagonisti di scontri asimmetrici –, le condizioni d’ impiego dell’ apparato militare statunitense nei prossimi anni saranno contraddistinte dalla combinazione di ‘un’ inesauribile varietà di metodi operativi’ 27 militari, transmilitari e nonmilitari (cfr. Tabella 1). Nella guerra asimmetrica moltissime attività e settori civili si trasformano in entità ripetutatmente soggette alla pianificazione di azioni militari flessibili ed interconnesse. Le dottrine ed i mezzi militari classici dello stato nazione si completano e potenziano mediante l’ innesto sulle ‘filosofie’ e sulle modalità operative delle guerre per bande, sfruttando il loro ciclo economico di rapina e la loro capacità (espressa in più occasioni nel corso degli anni Novanta) di fare implodere intere compagini sociali ed ecosistemi. Ma l’ innesto tra mondo civile e guerre asimmetriche si realizza anche con le concezioni aggressive dell’a ziendalismo imperante: “a nche le organizzazioni o gli individui che conducono attività imprenditoriali o commerciali o finanziarie o qualsiasi altra attività che comporti il perseguimento di un fine in un ambiente ostile o soltanto competitivo possono trarre spunti di riflessione e innovazione dalla teorizzazione [della guerra asimmetrica]” 28. Se portata alle estreme conseguenze questa ‘filosofia’ del conflitto condizionerebbe, stravolgendoli, tutti gli aspetti ed i momenti della vita, un vero e proprio delirio bellico olistico nel quale vige la ‘legge della giungla’ dai costi umani ed economici inimmaginabili. Ma questi ultimi non compaiono mai nelle valutazioni dei sostenitori della ‘guerra senza limiti’ . Il generale statunitense David L. Grange, ben saldo nel riaffermare lo ‘spirito pratico’ di una certa cultura statunitense, non esita a ritenere la risposta data nel recente passato dalle forze armate Usa alle azioni ostili asimmetriche eccessivamente difensiva, caratterizzata da ‘decisioni prese in preda al panico’ e d incentrata sulla strategia del bombardamento terroristico, poco efficace contro i nemici e devastante dal punto di vista ‘dell’ immagine’ a causa degli ‘effetti collaterali’ , ovvero dell’ assassinio di civili inermi. Il difetto principale della dottrina e della prassi adottata risiede però nelle limitazioni imposte alle azioni di guerra tramite “ irrealistiche regole d’i ngaggio” che prescindono dalla situazione. Sostiene Grange: “i nganno, operazioni psicologiche, guerra dell’i nformazione, disinformazione, soft war sono tutti ingredienti che non prevedono l’u so della forza ma che sono disponibili per la quarta generazione di guerrieri, e questi strumenti dovrebbero essere usati. Dobbiamo capire che la forza relativa è situazionale; è basata sul tempo, sulla velocità, sulla posizione e sulle condizioni del momento”29. Il combattente sprovvisto di grandi mezzi e di network di comando, controllo, comunicazione ed intelligence (ossia tutti coloro che potenzialmente si possono opporre agli Usa) sopperirà, osserva Grange, “ con maggiore astuzia, forza morale, atteggiamento offensivo, sicurezza, sorpresa, flessibilità e capacità organizzativa” , tutte attitudini e comportamenti capaci di 25 Si veda Patrick E. Tyler, A New Power in the Streets, “New York Times”, 17 feb. 2003. 26 Qiao Liang, Wang Xiangsui, Guerra senza limiti. L’arte della guerra asimmetrica fra terrorismo e globalizzazione, Gorizia, 2001. 27 Qiao Liang, Wang Xiangsui, cit., p. 127. 28 F. Mini, Guerra senza limiti : il quarto libro, introduzione all’opera di Qiao Liang e Wang Xiangsui. 29 D.L. Grange, Asymmetric warfare: old method, new concern, “National Strategy Forum Review”, inverno 2000, citato da F. Mini, Guerra senza limiti … cit., pp. 31-32. mettere in forte crisi le tecnostrutture complesse e vulnerabili, civili30 e militari, degli Stati Uniti e dei loro alleati31. Per impedire che le azioni ‘asimmetriche’ del nemico abbiano successo è necessario agire preventivamente attaccandone la coesione ed il ciclo operativo: “ per infliggere una sconfitta più rapida ed efficace dobbiamo perseguire obiettivi asimmetrici (negare, distruggere, disorganizzare, disgiungere, degradare negare, distruggere, disorganizzare, disgiungere, degradare) nei confronti dell’as setto organizzativo e morale avversario … ; prevenendo l’ avversario nell’a cquisizione del controllo sulla popolazione, impedendo alle organizzazioni l’ uso di ‘santuari’ , sconvolgendo il flusso del denaro e dei rifornimenti, negando l’u so dei media, denunciando la corruzione, svergognando la leadership, rompendo le relazioni di potere si costringerebbe l’ avversario alla difensiva e se ne romperebbe l’ equilibrio” 32. Come si può facilmente intuire, in questa visione la linea di demarcazione tra attività militari di natura difensiva e azioni aggressive sfuma nel vago o addirittura scompare a tutto vantaggio di un atteggiamento che in primo luogo intende perseguire la piena libertà spaziotemporale d’ offesa. Se gli obiettivi sono quelli di distruggere, disorganizzare, disgiungere e degradare, se si deve acquisire prima dell’a vversario il controllo sulla popolazione, se si mira a sconvolgere il flusso del denaro e dei rifornimenti allora è chiaro che la popolazione inerme diventa il ‘naturale’ campo di battaglia dello scontro asimmetrico. Ad esempio, nel caso dell’ attacco all’I raq i metodi trans militari e nonmilitari della guerra asimmetrica (cfr. Tabella 1) assumeranno un’ importanza enorme quando si tratterà di occupare e presidiare il paese e ‘governare’ il mutamento di regime per un periodo assai più prolungato rispetto a quello della campagna militare vera e propria. Del resto la situazione sul campo esistente oggi in Afghanistan sembra avvalorare tale ipotesi. La complessità di questi probabili eventi ed i rischi ad essi correlati fanno sì che non ci sia una valutazione unanime all’ interno dell’ amministrazione Usa sulle strategie da adottare in Iraq per gestire la fase immediatamente successiva all’ esaurirsi dello scontro militare ‘tradizionale’ , quando è probabile che si avvierà una guerra di guerriglia e si manifesterà appieno tutto l’a mpio ventaglio delle opzioni del conflitto asimmetrico, nonostante le intenzioni manifestate dai vertici Usa vadano nella direzione di eliminare con tutti i mezzi disponibili le forze del governo iracheno e tutte le possibili sacche di resistenza presenti tra la popolazione civile, impiegando in questo caso anche la tattica dell’ assedio prolungato simile a quella praticata dalle parti in lotta durante le guerre balcaniche. In sintonia con la visione totalizzante della guerra asimmetrica, Donald Rumsfeld ha sottolineato come “ le guerre del ventunesimo secolo richiederanno in misura sempre maggiore la partecipazione di tutti gli elementi del potere nazionale e non solo della componente militare. Esse richiederanno l’ impiego congiunto delle capacità in campo economico, diplomatico, finanziario, della difesa dell’ ordine pubblico e dell’intelligence” 33; questo sforzo, diretto da un global command politicomilitare sarà volto a raggiungere gli obiettivi che gli Stati Uniti si saranno prefissati, senza farsi condizionare da limiti temporali e dai desiderata di eventuali alleati, giacché, come ha dichiarato John Hulsman della 30 Chiamate Critical National Infrastructures (CNI), termine che ricomprende una vastissima area di settori non solo produttivi ma anche dei servizi: dalle anagrafi informatizzate degli enti locali, alle banche dati, ai sistemi in rete per la gestione di acquedotti e reti per la distribuzione dell’energia elettrica e del gas, ai sistemi informatizzati per la gestione dei trasporti, dell’assistenza sanitaria, del risparmio e del credito, ecc. 31 Il ministero della Difesa britannico, in un suo documento, sostiene che “l’integrazione dei sistemi informatici nelle operazioni militari offre significativi vantaggi, ma introduce anche nuove vulnerabilità”, citato in K. O’Brein, J. Nusbaum, Intelligence gathering on asymmetric threats, “Jane’s Intelligence Review”, ott. 2000, p. 52. Negli Usa la situazione è ancora più delicata in quanto la massiccia introduzione delle tecnologie informatiche all’interno del DoD ha messo in rete più di due milioni e mezzo di computer. 32 33 D.L. Grange, Asymmetric warfare …, cit. Queste affermazioni accompagnarono un discorso tenuto da Rumsfeld alla National Defense University nel gennaio del 2002, nel corso del quale vennero politicamente ‘giustificati’ i notevoli aumenti nel bilancio del DoD che l’amministrazione si preparava a richiedere; cfr. Rumsfeld: Prepare for Surprise Attacks, “Washington Post”, 31 gen. 2002. Heritage Foundation, “ non possiamo permettere che paesi più piccoli ci possano fermare”34. L’ unilateralismo arrogante e greve espresso dai circoli che hanno preso il sopravvento a Washington ha destato parecchie perplessità e preoccupazioni in settori importanti delle elite dirigenti statunitensi. Pur senza mettere in discussione il ‘diritto’ alla leadership mondiale, alcuni ritengono che essa dovrebbe essere esercitata con grande ‘magnanimità’ ricorrendo al soft power piuttosto che alla violenza ed alla guerra continua35. Ma, a ben considerare queste posizioni, anche il soft power potrebbe rientrare a pieno titolo nella visione totalizzante di uno scontro asimmetrico per l’e gemonia mondiale e così appaiono più fondate le argomentazioni di chi ritiene che la forza militare Usa e il potere di ricatto economico non riusciranno ad assicurare alcuna egemonia stabile36. Tabella 1 I METODI DELLA GUERRA ASIMMETRICA Fonte: Qiao Liang, Wang Xiansui, op. cit., parzialmente modificato da A. Lodovisi Metodi operativi militari Metodi operativi Transmilitari Metodi operativi Nonmiliatri Guerra atomica (A) Guerra diplomatica Guerra finanziaria Guerra convenzionale Guerra di network (cyberwar, Computer Network Operation) Guerra commerciale e per il controllo delle tecnologie di punta37 Guerra biochimica Guerra di intelligence Guerra di risorse (resource war) e demografica Guerra ecologica Guerra psicologica Guerra di aiuto economico Guerra spaziale Guerra normativa Guerra tattica Guerra elettronica Guerra di contrabbando e (B) pirateria38 Guerra di sanzioni Guerra di guerriglia (C) Guerra mediatica Guerra di droga e di traffici illeciti (D) 34 “Sole 24 ore”, 19 nov. 2002, p. 9. l’Heritage Foundation è uno dei centri di ‘elaborazione’ della ‘politica’ estera propugnata dai circoli neoconservatori statunitensi. 35 Si veda S.G. Brooks e W.C. Wohlforth, American Primacy in Perspective, “Foreign Affairs”, lu.-ago. 2002, pp. 20-33. 36 Si veda M. Mandelbaum, The Inadequacy of American Power, “Foreign Affairs”, set.-ott. 2002. pp. 61-73. 37 Un rapporto pubblicato nel 2001 dal Technology Policy Center del RAND National Defense Research Institute e finanziato dal National Intelligence Council ha preso in esame i diversi scenari che si potrebbero concretare entro il 2015 per quanto riguarda la ‘rivoluzione tecnologica globale’ e le sue conseguenze sociali, culturali, economiche e nel campo delle applicazioni militari e della conduzione della guerra. La collocazione dell’evoluzione tecnologica nell’ambito di categorie quali la conquista della supremazia politica (cfr. M. Borrus e J. Zysman, Industrial Competitiveness and American National Security, in W. Sandholtz et. al. The Highest Stakes, New York-Oxford, 1992, pp. 7-52) o la condotta di una guerra asimmetrica sgombra il campo da ogni dubbio. Gli argomenti di una propaganda secondo la quale l’applicazione delle tecnologie informatiche, dei nuovi materiali, dell’ingegneria genetica, delle nanotecnologie e del remote sensing consentirebbero di risparmiare vite umane nel corso delle azioni militari appaiono assai discutibili. 38 Su questo argomento si veda: R. Gunaratna, Transnational threats in the post-Cold War era, “Jane’s Intelligence Review”, gen. 2001, pp. 46-50. Guerra terroristica Guerra virtuale (di deterrenza) Guerra ideologica (‘scontro tra civiltà’, conflitti per motivi ‘religiosi’, ‘culturali’, diffusione di sette) (A) L’i potesi di un impiego di armi nucleari di nuovo tipo in conflitti asimmetrici è quanto mai realistica e probabilmente si concreterà nel corso dell’a ttacco all’Ira q. A livello politico già è stato chiesto l’i mpiego di small, specialized nuclear weapons contro le postazioni talebane e di AlQaida in Afghanistan (dichiarazione dell’es ponente repubblicano Steve Buyer, 18 ott. 2001, “d ailynews.yahoo.com”). Negli Usa le ricerche per la messa a punto di ordigni nucleari di questo tipo da impiegare nell’a ttacco contro caverne o bunker è in fase avanzatissima; in uno studio di Geoffrey Forden del Massachusetts Institute of Technology si descrivono gli effetti di queste bombe atomiche ‘in miniatura’ il cui impiego avrebbe gravi conseguenze per le popolazioni e l’a mbiente circostante e finirebbe per legittimare la proliferazione di armi nucleari39. Gli Stati Uniti hanno già dichiarato, attraverso l’u ltima revisione della politica nucleare, che queste armi potrebbero essere impiegate contro nazioni che non sono dotate di ordigni atomici (Iran, Siria, Libia, Iraq), rovesciando in tal modo la tradizionale impostazione secondo la quale gli Usa prevedevano l’i mpiego dell’arma atomica solo in caso di conflitto con un' altra potenza nucleare40 (B) L’impiego di sistemi d’arma a frequenze radio (RF) o a microonde ad elevata potenza capaci di distruggere, mediante la creazione di campi magnetici estremamente potenti, i sistemi elettronici ed elettrici è un esempio di ‘attacco elettronico’. Contrariamente a quanto vuol far credere una certa propaganda, l’i mpiego di queste armi può avere effetti devastanti per le popolazioni civili, private di energia elettrica e della possibilità di utilizzare generatori, sistemi di controllo, attrezzature sanitarie, ecc. Nell’at tacco all’Ira q si sperimenterà una nuova generazione di queste armi41. (C) Coloro che vengono attaccati da forze superiori in mezzi e logistica sono portati ad adottare questo tipo di strategia, sia nelle zone rurali che urbane, raffinando in particolare tutte le tattiche di deception (inganno, disinformazione, creazione di situazioni confuse, camouflage, ecc.) ed applicandole sistematicamente alle relazioni con le popolazioni civili. (D) Si fa riferimento ai traffici illegali di armi, esseri umani, denaro, materie prime, rifiuti tossici, materiali nucleari, opere d’art e, capaci di avere un effetto fortemente destabilizzante, di creare e alimentare guerre senza fine e di mettere a repentaglio persino l’e sistenza degli stati ed i meccanismi di espansione finanziaria e produttiva42. Sulla guerra di droga si rimanda all’o ttimo e documentatissimo lavoro di A. Cockburn e J. St. Clair, Whiteout. The CIA, Drugs and the Press, LondraNew York, 1998. Un esempio estremamente attuale di guerra di droga è quello dell’A fghanistan dove, secondo le Nazioni Unite, nel 2002 si è avuto un raccolto di oppio pari a 3.400 tonnellate (contro le 3.276 del 2000) i cui proventi sono gestiti dai signori della guerra locali, da ufficiali e funzionari del governo Karzai e dalle bande talebane43. GUERRA ECOLOGICA La modificazione degli ecosistemi allo scopo di distruggere, disorganizzare, disgiungere e degradare rappresenta forse la forma più ‘totale’ di guerra asimmetrica. Le conseguenze sugli ecosistemi di una nuova guerra in Iraq, sovente sottovalutate o addirittura ignorate, assumono tinte apocalittiche se si tenta di delinearle basandosi su quanto accadde nel 19901991. Secondo molte analisi l’ intera regione non si è ancora ripresa dalle devastazioni ecologiche prodotte dalla prima Guerra del Golfo. A causa dell’ embargo, che ha provocato più di un milione di vittime, l’ Iraq non ha avuto accesso alle risorse necessarie per riparare gli ingenti danni ambientali. Nel corso del conflitto le forze armate irachene praticarono la guerra ecologica distruggendo, facendo esplodere e incendiando 1.164 pozzi di petrolio in Kuwait, spargendo sul terreno 60 milioni di barili di petrolio che inquinarono 900 km2 di territorio 39 USA looks at nuclear role in bunker busting, “Jane’s Intelligence Review”, gen. 2002, pp. 36-38. 40 R. Cornwell, America wants to turn the unthinkable into usable tools of warfare, “The Independent”, 12 mar. 2002. 41 M. Knights, Options for electronic attack in the Iraq scenario, “Jane’s Intelligence Review”, dic. 2002, pp. 5253. 42 43 M. Naìm, The Five Wars of Globalization, “Foreign Policy”, gen-feb. 2003, pp. 29-37. A. Davis e P. A. Chouvy, Afghanistan’s opium production rises post-Taliban, “Jane’s Intelligence Review”, dic. 2002, pp. 28-29. kuwaitiano e riversando nelle acque del Golfo 4 milioni di barili di greggio, che provocarono la morte della fauna e della flora marina in una vastissima area. Le polveri sviluppate dagli incendi ricoprirono migliaia di ettari di terreno fertile in Kuwait e nella zona di Bassora rendendoli sterili, e piogge acide causarono danni alle coltivazioni in aree distanti circa 2000 chilometri dai luoghi degli incendi. Il petrolio incombusto formò una nebbia che avvolse la regione provocando l’a vvelenamento di piante e bestiame, la contaminazione delle acque e malattie tra la popolazione. A questi effetti si devono poi aggiungere quelli correlati alla disseminazione da parte irachena di circa 2 milioni di mine antipersona ed anticarro. Se gravi furono le responsabilità del governo di Baghdad, altrettanto si può affermare a proposito dei crimini ambientali commessi dalle forze armate Usa e dai loro alleati, anch’e ssi coinvolti in una guerra ecologica: nel corso della campagna di bombardamento furono distrutte numerose raffinerie di petrolio e stabilimenti petrolchimici, causando la formazione e la dispersione nell’a mbiente di nubi tossiche e di grandi quantità di inquinanti; vennero massicciamente impiegate le bombe a grappolo e si stima che un numero compreso tra 1,2 e 1,5 milioni di questi ordigni inesplosi sia disseminato sul territorio iracheno; inoltre l’i mpiego intensivo di munizioni anticarro ha sparso ben 320 tonnellate di uranio impoverito sul suolo. Anche nel corso dei bombardamenti contro la Iugoslavia del 1999 fu pianificata una aggressione ecologica simile a quella praticata nel 1991. In uno studio recente44 è stato sottolineato come non manchino le norme ed i mezzi per sanzionare i paesi che violano il Protocollo Aggiuntivo I della Convenzione di Ginevra adottato nel 197745, che vieta espressamente ai belligeranti di provocare danni di rilievo, diffusi e permanenti all’a mbiente naturale, indipendentemente dalle motivazioni di carattere militare addotte per giustificare tali azioni. Quello che manca è la volontà politica di applicare quanto previsto dalle convenzioni a tutte le parti in conflitto, vinti e vincitori. Nall’a ttuale aggressione contro l’I raq già si profilano esempi di guerra ecologica che avranno gravissime conseguenze per le popolazioni civili e per gli ecosistemi. Oltre agli incendi di alcuni pozzi e di trincee riempite di petrolio, nel corso dei bombardamenti – sia prima che durante la guerra – sono stati colpiti numerosi acquedotti e centrali elettriche, mentre non risulta che sia stato approntato alcun piano per difendere la popolazione dai nefasti effetti ecologici della guerra e per avviare il risanamento ambientale nel dopoguerra. La devastazione è già in corso in una vasta regione. Infatti le fasi preparatorie del conflitto hanno comportato manovre militari in territorio kuwaitiano, turco e giordano, con un impatto ambientale notevolmente negativo: le esercitazioni di tiro, i test di nuove armi, le attività di routine delle basi militari, la presenza in esse di prodotti chimici tossici comportano la dispersione nell’ ambiente di carburanti, solventi, metalli pesanti, pesticidi, PCB, fenoli, acidi, alcali, propellenti ed esplosivi. A tutto ciò si deve aggiungere il consumo elevatissimo di energia non rinnovabile: a titolo di confronto, le forze armate Usa in un anno (non di guerra) inceneriscono una quantità di energia sufficiente ad azionare per 14 anni il sistema dei trasporti di massa degli Stati Uniti46. La letteratura scientifica ha evidenziato alcuni casi conclamati di gravi conseguenze ambientali e per la salute delle popolazioni correlate con la presenza di poligoni di tiro e di basi militari; nel caso delle installazioni Usa all’ estero, non esistono leggi statunitensi che impongano il rispetto di norme volte a salvaguardare gli ecosistemi dei paesi che ospitano le installazioni militari americane47. Ma anche quando le leggi esistono e ci si trova sul territorio degli Usa, il Pentagono tenta di ottenere, in nome della necessità di garantire l’ addestramento delle truppe 44 J.E. Austin e C. E. Bruch, Epilogue: The Kossovo Conflict: a case study of unresolved issues, in J.E. Austin e C. E. Bruch (a cura), The Environmental Consequences of War, Cambridge, 2000, pp. 647-664. 45 Gli Usa non hanno ratificato questo protocollo. 46 V.W. Sidel, The impact of military preparedness and militarism, in J.E. Austin e C. E. Bruch (a cura), op. cit., p. 441. 47 Cfr. J. Lindasy-Poland e N. Morgan, Overseas Military Bases and Environment, in “Foreign Policy in Focus”, (1998), pp. 1-4. e la loro prontezza operativa per affrontare la ‘guerra al terrorismo’ , la completa impunità per quanto riguarda i reati commessi contro l’ ambiente come ad esempio abbandonare le munizioni impiegate nelle esercitazioni, avvelenare le acque con gli scarichi delle basi ed inquinare l’ aria. Nel corso del 2002 gli adempimenti correlati alla legislazione vigente in materia di tutela ecologica hanno comportato per il Pentagono un esborso di 28 miliardi di dollari. Nel mettere a punto il bilancio per l’ anno fiscale 2004, i vertici politici del DoD stanno cercando di essere esentati dal pagamento di questi indennizzi e di non essere tenuti a rispettare vincoli di natura ambientale nello svolgimento delle attività48 L’ agroterrorismo, probabilmente già praticato in passato contro l’ Iraq, ossia la diffusione di agenti patogeni e parassiti che provocano epidemie tra il bestiame e danneggiano gravemente i raccolti, è un’a ltra forma di guerra ecologica che unisce in sé i caratteri della guerra biochimica, della guerra terroristica e dei conflitti di carattere commerciale e per le risorse fondamentali (suolo, acqua, aria e cibo). La messa in atto di queste azioni ha effetti devastanti soprattutto nei paesi poveri, che non hanno raggiunto una solida sicurezza negli approvvigionamenti alimentari e non sono dotati di presidi sanitari diffusi capillarmente sul territorio. Nel 2002, l’ amministrazione Bush ha stanziato 140 milioni di dollari per progetti di ricerca per ridurre la vulnerabilità dell’ agricoltura di fronte all’ agroterrorismo. Anche in questo caso l’ acquisizione di conoscenze da applicarsi per azioni ‘difensive’ può costituire un ottimo patrimonio d’ informazioni indispensabile per condurre azioni offensive; inoltre, da più parti si sottolinea come la diffusione delle manipolazioni genetiche in campo agricolo abbia aumentato la vulnerabilità del bestiame e delle piante nei confronti degli agenti patogeni49. GUERRA DI NETWORK Un sinonimo comune di questa espressione è quello di netwar, che identifica un’ampia gamma di operazioni nel campo della gestione delle informazioni (Information Operations) da condurre sugli scenari dei conflitti. Conquistare la superiorità in questo settore è considerata una priorità nella strategia di sicurezza nazionale adottata dagli Usa. Anche la NATO, quantomeno a livello progettuale, dal giugno 2001 sta cercando di adottare questo tipo di approccio mediante un’ iniziativa denominata The Vulnerability of the Interconnected Society50. Dal canto loro i dirigenti statunitensi hanno dichiarato che potrebbero reagire militarmente agli eventuali attacchi via Internet provenienti da Iran, Iraq, Corea del Nord, Cina, Russia ed altri paesi51. I ‘territori’ d’i nteresse della guerra di network, secondo una recente analisi52 preparata dalla RAND su commissione del DoD, sono essenzialmente tre: il cyberspace, l’ infosfera e la noosfera53; le loro caratteristiche sono descritte dalla Tabella 2. Tabella 2 I CAMPI D’ INTERESSE DELLA INFORMATION STRATEGY Fonte: J. Arquilla e D. Ronfeldt, parzialmente modificato da A. Lodovisi Cyberspace Infosfera Noosfera 48 A. Gumbel, Pentagon seeks freedom to pollute land, air and sea, “Independent”, 13 mar. 2003. 49 P. Chalk, US increase agro-terrorism research, “Jane’s Intelligence Review”, mar. 2002, p. 4. 50 NATO considers netwar, “Jane’s Intelligence Review”, mar. 2002, pp. 52-53. 51 Dichiarazione del consigliere in materia di tecnologia della Casa Bianca Richard Clarke; cfr.White House expert says U.S. may retaliate with military if terrorists try online attacks, “siliconvalley.com”, 13 feb. 2002. 52 J. Arquilla e D. Ronfeldt, The Emergence of Noopolitik. Toward an American Information Strategy, Santa Monica, 1999. 53 Il termine deriva dal termine greco noos (mente) ed è stato coniato dal teologo e scienziato francese Pierre Teilhard de Chardin nel 1925, cfr. P. Teilhard de Chardin, Le direzioni del futuro, Torino, 1996. Dottrine ideative Interconnessione e democrazia Prosperità e interdipendenza Modelli organizzativi La comunità di CNN, Disney, Time Internet, EFF, CPSR Warner Organizzazioni non governative pacifiste, università, Nazioni Unite, varie espressioni culturali e organizzative della società civile Mezzi tecnologici Internet, Web Sistemi educativi e formativi Radio, TV, comunicazioni via cavo Condivisione delle idee La noosfera ricomprende concettualmente gli altri due campi ma le relazioni che esistono all’ interno di questo sistema, creato dalla circolazione delle informazioni nell’ epoca attuale, possono contribuire sia alla integrazione che alla frammentazione; in quest’ ultimo caso ci si colloca automaticamente nella filosofia disgiuntiva dei conflitti asimmetrici. Gli Stati Uniti occupano una posizione predominante come progettisti e costruttori del cyberspace e dell’i nfosfera, anche se per gestire tutte le comunicazioni necessarie per pianificare e svolgere azioni militari nei diversi scacchieri mondiali devono far ricorso alle reti satellitari civili. Entro il 2010 il Pentagono avrà bisogno di una capacità di trasmissione pari ad una larghezza di banda di 16 Gigabits per secondo e, sulla base degli attuali programmi di sviluppo ed acquisizione di satelliti per le telecomunicazioni militari, riuscirà a gestirne direttamente solo un ottavo54. Questo limite potrebbe essere superato facendo ricorso al settore commerciale civile anche estero, generando una maggior ‘intrusione’ delle trasmissioni militari con tutte le conseguenze che ne possono derivare in quanto ad accessibilità e libertà di trasmissione. Tuttavia nessuno può pensare di controllare direttamente e completamente la noosfera, nemmeno gli Stati Uniti; se lo facessero peccherebbero di hubris55; il loro obiettivo massimo può essere solamente quello di un condizionamento flessibile di tipo culturale, economico e politico, in una parola il soft power, ossia la capacità di conseguire i propri obiettivi puntando sull’ attrazione piuttosto che sulla coercizione. Secondo gli autori dello studio della RAND la dimensione militare dell’information strategy, soprattutto quando si tratta di affrontare la tutela della sicurezza nel controllo dei flussi di informazione all’i nterno di un’ alleanza o di una qualsiasi coalizione, presuppone l’ esistenza di una reale ‘difesa comune’ , ovvero della condivisione tra tutti i membri, senza eccezione alcuna, di un gran numero di informazioni ‘sensibili’ . Ovviamente questo fatto espone al rischio di improvvisi cambiamenti di fronte e del ‘doppio gioco’, ma la strada dell’u nilateralismo è ancora più rischiosa56. Nel caso della battaglia contro il terrorismo l’ incongruenza e la limitatezza della strategia adottata dalle attuali elite dominanti negli Usa risalta in maniera eclatante. In una lunga intervista Arquilla e Ronfeldt hanno dichiarato che nella netwar (sistema di combattimento e di organizzazione adottato dalle organizzazioni terroristiche e da altri ‘attori’ nonstatali) “v ince chi ha le informazioni migliori, non chi ha le bombe più grosse” 57. Proprio per questo il problema Saddam – se considerato dal punto di vista del presunto possesso delle armi di distruzione di massa – non andava assolutamente 54 M.G. Mattock, The Dynamics of Growth in Worldwide Satellite Communications Capacity, RAND, Santa Monica, 2002. 55 Tracotanza che porta alla disfatta. 56 J. Arquilla e D. Ronfeldt, op. cit., pp. 59-61. 57 F. Pisani, La netwar, nuova dottrina militare per un nemico diffuso, “Le Monde Diplomatique”, giu. 2002, pp. 6-7. confuso con la questione dell’ abbattimento del governo di Baghdad. Consentire a Saddam di restare al proprio posto in cambio di una rinuncia al possesso di armi chimiche, nucleari e batteriologiche e di una apertura costante degli arsenali iracheni alle ispezioni, avrebbe comportato una concessione di poco peso e risparmiato l’ occupazione dell’ Iraq “ per un periodo indeterminato, che si misurerebbe comunque nell’ ordine di decenni” . Quanto alla lotta contro le organizzazioni terroristiche, riconosciuta la sconfitta della strategia messa in atto in Afghanistan, la proposta avanzata è quella di integrare nella lotta condotta con mezzi tradizionali “ le organizzazioni non governative” che godono di “u na posizione privilegiata” tale da consentire loro “ di rispettare entrambe le parti e di fungere da intermediari per facilitare la comunicazione” 58, soprattutto con le strutture sociali che appoggiano o simpatizzano con il terrorismo a causa delle condizioni di povertà e oppressione che vivono. GUERRA DI INTELLIGENCE Le operazioni ‘coperte’ , basate su network impiantati dalle agenzie di spionaggio e intelligence, acquistano nella guerra asimettrica un’import anza molto maggiore rispetto a quella che avevano in passato. Come dimostrano le operazioni condotte in Afghanistan ed in Asia Centrale, i reparti paramilitari delle agenzie stanno acquisendo un’ importanza operativa forse mai avuta in passato e verranno dotati di sistemi d’a rma quali il Predator, un velivolo senza pilota capace sia di raccogliere informazioni (immagini, dati, ecc.) sul terreno, che di lanciare missili Hellfire, accorciando i tempi della catena di comando, con esiti assai controversi in quanto caratterizzati da numerosi ‘errori’ di valutazione che hanno portato all’ uccisione di persone innocenti59. Questa evoluzione operativa delle agenzie di intelligence – che sta scatenando una competizione con i vertici militari – comporterà l’ investimento di nuove ingenti risorse delle quali beneficieranno le circa cinquanta agenzie dell’ intelligence statunitense e in particolare le più importanti60; ma nessuno conosce con precisione a quanto ammontino le risorse impiegate in questo settore poiché i dati sono tenuti segreti; alcune stime tuttavia parlano di un bilancio complessivo compreso tra i 30 ed i 35 miliardi di dollari61. Ma i problemi non finiscono qui; ormai è evidente che negli scenari delle guerre asimmetriche i servizi di spionaggio e raccolta di informazioni non sono più da considerare ‘ausiliari’ rispetto alle forze armate ed alla diplomazia, ma costituiscono essi stessi un settore fondamentale per la conduzione dell’ intera politica estera, dai rapporti con nemici ed alleati sino allo spionaggio tecnologicoindustriale. Se da un lato non è pensabile un controllo unilaterale del flusso di informazioni legato alle attività di intelligence, e quindi diventano importanti le collaborazioni e le ‘alleanze’ tra servizi, dall’ altro proprio l’ alterazione del flusso diventa un’ arma a disposizione di chiunque per indirizzare secondo i propri piani le azioni di amici, alleati temporanei e nemici. Gli Usa si trovano oggi a cooperare fianco a fianco con exnemici62 e nessuno può dare garanzie sulla ‘fedeltà’ dei nuovi alleati giacché è problematico garantire la lealtà persino dei propri organi di intelligence. Il ricorso alle tattiche ‘sporche’ nel lavoro di intelligence è stato richiesto anche da uno studio, presentato nel 2000 al Congresso statunitense, sulla cui coprtina 58 Ivi. 59 Si veda il documementato reportage di Der Spiegel del 3 marzo 2003. 60 Oltre alla Central Intelligence Agency, la National Security Agency (specializzata nel settore delle comunicazioni), il National Reconnaisance Office (che progetta e gestisce la rete di satelliti spia e la National Imagery and Mapping Agency (che interpreta le immagini inviate dai satelliti e appronta le carte per uso militare). 61 CIA Gets Big Boost in Bush Budget, “Associated Press”, 24 feb. 2002; da più parti si richiede che venga reso noto l’ammontare delle risorse destinate alle agenzie di spionaggio e intelligence affinché possa essere sottoposto al controllo del Congresso; ma, nonostante i pareri favorevoli e le raccomandazioni in tal senso espressi negli anni passati dalle commissioni parlamentari che si occupano di questo settore, tali informazioni restano ancora classificate; cfr. Federation of American Scientists, Project on Government Secrecy, Vol. 2002, issue n. 46, 23 mag. 2002. 62 Cfr. Adversaries become allies, “Jane’s Intelligence Review”, feb. 2002, pp. 50-51. campeggiavano significativamente le Twin Towers e che lanciava l’ allarme a proposito di un possibile attacco terroristico catastrofico contro gli Usa63; il 17 settembre 2001, poi, il presidente Bush ha fatto chiaro riferimento ad un contesto operativo nel quale non ci sono regole. Non è possibile però mettere in atto efficacemente queste strategie se continuano ad esistere duplicazioni, sotterranee e sordide ‘competizioni’ tra diversi servizi ed una sostanziale debolezza nelle attività di intelligence svolte dagli uomini, settore nel quale gli Usa sono in forte difficoltà. Il prevalere di una visione ‘tecnocentrica’ dell’intelligence, fortemente voluta dal Pentagono allo scopo di raccogliere i dati per consentire il dominio completo del campo di battaglia e la guida del munizionamento di precisione, ha fatto sì che gli Usa abbiano fatto ricorso alle informazioni trasmesse da servizi stranieri per conoscere la situazione politica e sociale di interi scacchieri, dall’ Africa all’ Afghanistan. GUERRA MEDIATICA Un esempio di guerra mediatica è rappresentato dalla competizione per il controllo dell’e tere, ovvero dalla lotta che le potenze occidentali devono intraprendere per ‘difendersi’ dai network ‘asimmetrici’ quali AlJazeera. Per ostacolarli il vecchio sistema della diffusione delle stesse notizie ‘filtrate’ in arrangiamenti e lingue diverse, ovvero l’ imposizione di un’ unica linea informativa, non funziona più; non è più pensabile ricorrere allo sbrigativo sistema di bollare come ‘propaganda nemica’ quanto diffuso dai network ‘asimmetrici’ . Occorre invece competere con essi, individuando con precisione le caratteristiche dei bacini d’ utenza delle informazioni e diffondendo messaggi ‘personalizzati’ destinati al pubblico più ‘sfumato’ e variegato che si incontra nella periferia del sistema mondiale dei media, allo scopo di imbrigliare l’i nfluenza esercitata dai network avversari o semplicemente critici, già definiti ‘asimmetrici’ quindi assimilati a uno strumento di guerra64. La propaganda relativa alla guerra combattuta in nome della diffusione della democrazia diviene così un mezzo da impiegare nelle strategie asimmetriche combinate; questo è particolarmente evidente nel caso dell’ Iraq in cui le promesse di ‘democrazia’ e benessere associate alla conquista angloamericana sono talmente prive di fondamento da suscitare perplessità persino negli ambienti del Dipartimento di Stato65, convinti che non esistano le condizioni per avviare un processo di nation building incentrato sul modello statunitense. In realtà, qualunque sia l’ esito, la popolazione irachena – che già ha pagato un tributo di sangue e miseria spaventoso – dovrà portare sulle proprie spalle il peso enorme di più di vent’a nni di guerre. Sul fronte interno è indispensabile che l’ intrusione generalizzata della logica bellicista e militare nelle attività civili non entri in contraddizione con lo svolgimento di queste ultime. Devono essere smussate e ricomposte anche le eventuali contraddizioni che possono insorgere tra gruppi d’ interesse di diverso orientamento66 . Gli ostacoli, sui fronti interno ed esterno, devono essere rimossi, eventualità quasi impossibile da realizzare senza l’i mpiego congiunto di un sistema di degradazione delle informazioni e di un apparato censorio e repressivo, entrambi impegnati nella diffusione della paura e dell’ angoscia. Il controllo e la degradazione dei sistemi informativi (disattivazione dei sistemi informatici che controllano l’ erogazione dell’e nergia, le reti di trasporto, il sistema finanziario ed amministrativo, ecc.) e la ‘diluizione’ nel tempo degli effetti negativi sulla popolazione di 63 Citato in R. J. Aldrich, Dangerous Liaisons, “Harvard International Review”, autunno 2002, p. 52. 64 Cfr. Competing for media control in an age of asymmetric warfare, “Jane’s Intelligence Review”, mag. 2002, pp. 20-23. 65 66 G. Miller, Democracy domino plan won’t work: secret report, “Los Angeles Times”, 15 mar. 2003. Si vedano ad esempio le dichiarazioni del presidente della Federal Reserve Alan Greenspan a proposito della situazione dei conti pubblici (“Sole 24 ore”, 13 feb. 2003, p. 6) e le pesanti critiche mosse alla politica di espansione del deficit federale e all’aumento delle spese militari da alcuni ambienti del partito repubblicano e dai dirigenti democratici. questo tipo di conflitto (insorgere di epidemie, deprivazioni di tutti i generi, diffusione del controllo di tipo mafioso, sudditanza culturale, ecc.), faranno sì che tutte le conseguenze in termini di perdita di vite umane, di coesione sociale e di qualità dell’a mbiente verranno in un primo momento negate, poi trasformate in un confuso ‘rumore di fondo’ nel caos odierno delle informazioni mediatiche e, in seguito, completamente rimosse: si procederà “ all’a bolizione degli esseri umani in quanto tali” 67. Achille Lodovisi 67 Nell’ipotizzare questo tremendo futuro Paul Virilio aggiunge un altro quesito che potremmo porre in relazione coll’asimmetria della guerra: “la guerra di tutti contro tutti avrà un ruolo sempre più grande all’interno di una nuova ideologia sanitaria, che si presenta come umanitarismo?” (P. Virilio, L’incidente del futuro, Milano, 2002, p. 90.