la guerra asimmetrica

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la guerra asimmetrica
LA GUERRA ASIMMETRICA
I ‘modelli’ militari di un impero annunciato
Col tempo, era divenuto un Impero universale e cioè un organismo che praticava
apertamente l’assassinio, il saccheggio, l’oppressione, la rapina a spese degli altri
popoli, finchè non sono arrivato io …. (Friedrich Dürrenmatt, Romolo il Grande, atto
terzo).
Queste sono le parole che Dürrenmatt fa pronunciare al suo Romolo, ultimo
imperatore di Roma, definendolo ‘il Grande’ perché, consapevole della necessità che
l’impero si dissolva, non si oppone all’implosione di un apparato di potere ed
oppressione giunto al suo definitivo tramonto. Oggi tutto questo ci ammonisce: un ex
impero economico mentre sta tentando di assumere il ruolo di potenza militare
planetaria già deve preoccuparsi per il suo possibile declinare. Nel corso della storia
gli imperi hanno tentato di rallentare la loro fine o osservando quasi impotenti la loro
decadenza – lenta o repente che fosse (ma questo è accaduto raramente) – , oppure
imboccando la strada delle guerre senza fine: “le potenze in via di declino, anziché
regolarsi ed adattarsi, cercano di cementare il proprio barcollante predominio
trasformandolo in un’egemonia rapace1”. Le attuali elite dirigenti degli Stati Uniti
hanno imboccato con decisione questa strada, sognando un Nuovo Secolo Americano,
e scartando persino l’ipotesi di passare il testimone dell’egemonia nell’arco di pochi
decenni a un erede che continui la ‘missione americana’ nel mondo. Ha scritto
Zbigniew Brzezinski: “l’America non soltanto è la prima e l’unica vera superpotenza
mondiale, ma molto probabilmente sarà anche l’ultima …. Resta quindi da chiedersi
se l’America sarà la prima superpotenza incapace di rinunciare alla propria egemonia
o riluttante a fare un passo indietro. Questa è la principale incognita del futuro2”. Se la
scelta è quella di non accettare il declino allora non resta che interrogarsi su quali
saranno i funesti effetti collaterali della lotta disperata per evitare la decadenza, e in
quali gangli del ‘potere imperiale’ quest’ultima attecchirà provocandone l’implosione.
Chalmers Johnson ritiene che “se si scarta l’ipotesi di un movimento riformista, al
momento non prevedibile, l’ipotesi più probabile è che l’impero americano sia
destinato a restare vittima delle proprie contraddizioni economiche3”. Ma per gli Stati
Uniti di oggi parlare di ‘contraddizioni economiche’ significa tenere nella debita
considerazione anche le interrelazioni che legano la ‘sfera militare’, le sue dottrine, la
sua dimensione ai criteri di allocazione delle risorse pubbliche e di organizzazione
della produzione. Lo stesso Johnson ha sottolineato le analogie esistenti tra il
militarismo espansionista statunitense dei nostri giorni e la postura dell’Urss
nell’epoca brezneviana, sottolineando come “via via che crescono di dimensione e
importanza, le forze armate di un impero tendono fatalmente a sostituirsi ad altri
strumenti di politica estera, e insieme a esse cresce anche il militarismo un coacervo
di abitudini, interessi, considerazioni di prestigio, azioni e pensieri associati agli
eserciti e alle guerre e che tuttavia trascendono scopi e obiettivi prettamente militari4
“. Le note che seguono tentano di suggerire alcuni percorsi di approfondimento su
1
D. P. Calleo, Beyond American Hegemony: The Future of the Western Alliance, New York, 1987, p. 142.
2
Z. Brzezinski, La grande scacchiera, Milano, 1998, p. 278.
3
C. Johnson, Gli ultimi giorni dell’impero americano, Milano, 2001, p. 313.
4
Ibidem, p. 311.
questi temi.
L’EVOLUZIONE DEL ‘MODELLO’ KOSOVO
Quanto sta accadendo in Iraq dimostra come si sia evoluta, dal 2001 ad oggi, la politica
militare statunitense, messa a punto da Dick Cheney e Colin Powell tra il 1989 ed il 1993 e
sostanzialmente confermata dall’ amministrazione Clinton. Nella sua formulazione dei primi
anni Novanta essa si prefiggeva il compito di ristrutturare e razionalizzare la spesa militare
(mantenendola sostanzialmente costante o addirittura riducendola), allo scopo di
incrementare l’ efficienza degli apparati bellici per quanto riguardava la loro capacità di
affrontare e vincere simultaneamente due conflitti di teatro5. Dopo il 1997, il banco di prova
dell’i mpostazione maturata a partire dalla fine degli anni Ottanta fu l’ aggressione nei
confronti della Iugoslavia. Il Kosovo Model è stato recentemente oggetto di un dibattito assai
vivace6, incentrato sull’ esistenza di una new way of war concretatasi in quell’o ccasione
mediante l’ applicazione stringente del calcolo costi/benefici alle operazioni militari. Tutto
ciò è accaduto in una guerra che manifestava chiaramente il suo carattere ‘preventivo’ e
imperiale volto a rafforzare la capacità di controllo statunitense nell’ area dei Balcani. Il
ricorso al solo bombardamento aereo avrebbe garantito l’ efficacia coniugata con la breve
durata dell’ azione mentre, sempre ricorrendo al potere aereo, era possibile condurre la
seconda guerra di teatro in Iraq, sganciando, nel solo 1999, più di duemila bombe e missili.
Ma la verifica sul campo del Kosovo Model ha evidenziato diversi limiti anche di rilievo. Si è
messa in discussione la capacità di acquisire, prescindendo da una presenza militare sul
terreno, quelle informazioni indispensabili per guidare gli attacchi aerei e missilistici di
precisione7, la cui efficacia nei confronti di nemici non­statali (ossia non dotati di
infratrutture per il controllo delle popolazioni e del territorio) è stata contestata e perfino
smentita sul campo durante le operazioni in Afghanistan: il Kosovo Model funzionerebbe
quindi parzialmente solo contro la mezza dozzina di stati ‘canaglia’ nemici di Washington. In
Afghanistan e in Iraq l’ illusione di poter sempre condurre guerre tecnologiche senza mettere
a rischio la vita dei soldati è sfumata definitivamente; oggi si devono fare i conti con
l’ esigenza di occupare e controllare almeno i nodi strategici di vastissimi territori e così,
nell’i potesi realistica di perdite umane numerose, si è ‘preparata’ l’ opinione pubblica ad uno
scenario ritenuto, per tutti gli anni Novanta, estremamente dannoso per la compattezza del
fronte interno.
Ma le critiche al Kosovo Model si sono spinte oltre; diversi analisti del mondo accademico
hanno ripreso, seppure timidamente, alcune delle tesi fatte proprie nel 1999 dai movimenti
contro la guerra. Questa new way of war basata sulla distruzione sistematica tramite il
bombardamento terroristico delle infrastrutture che consentono lo svolgimento della vita
quotidiana, dal punto di vista delle conseguenze sulle popolazioni civili ha creato
volutamente una grande sofferenza impiegata quale strumento di pressione per far capitolare
5
A questa filosofia si ispirava anche la Quadrennial Defense Review presentata nel 1997, che tuttavia venne
sottoposta a dure critiche e giudicata ‘irrealistica’ sia per quanto concerneva i vincoli di bilancio che per la
dimensione delle forze armate proposti; inoltre furono mossi rilievi all’analisi delle ‘nuove minacce’ e alla politica
militare-industriale che contemplava il finanziamento a programmi d’armamento ritenuti obsoleti di fronte alla
nuova situazione geopolitica mondiale. I rilievi mossi dal partito ‘efficientista’ chiedevano una maggiore
attenzione per gli aspetti logistici e operativi legati alla ‘proiezione di potenza’ nelle aree di crisi piuttosto che
cedere alla logica delle lobby legate al complesso militare-industriale; cfr. W.E. Odom,Transforming the Military,
“Foreign Affairs”, lug.-ago. 1997, pp. 54-64.
6
Si segnalano a questo riguardo: A.J. Bacevich, E.A. Cohen, War over Kosovo, New York, 2001; B.S. Lambert,
Nato’s Air War for Kosovo, Santa Monica, RAND, 2001. di grande interesse anche la recensione di queste due
pubblicazioni di S. Biddle, The New Way of War? Debating the Kosovo Model, “Foreign Affairs”, mag.-giu.
2002, pp. 138-144.
7
Si veda al riguardo J. Matsumura et al., Preparing for Future Warfare with Advanced Technologies. Prioritizing
the Next Generation of Capabilities, RAND-Arroyo Center, 2002.
il governo dello stato colpito8. Inoltre, il modello di azione militare, condizionato dal timore
di una forte opposizione dell’ opinione pubblica, lasciava la strada aperta ad una serie di
‘operazioni semicoperte’ condotte da soldati divenuti ormai ‘mercenari’ , con conseguenze
inquietanti per i rapporti tra il sistema di rappresentanza democratica e le forze armate.
Infine, la ricerca volta a rendere meno dispendiosa l’ azione bellica (making war cheaper) ha
fatto crescere a dismisura il rischio di rendere facile il ricorso alla forza, senza che intervenga
un’ adeguata giustificazione e l’ opportuna riflessione sulle conseguenze9. Tali dubbi e
perplessità non hanno condizionato la pianificazione statunitense delle azioni belliche in
Afghanistan e Iraq, che viceversa sono state notevolmente influenzate dalle difficoltà
incontrate nel 1999 nella gestione di una campagna condotta alla guida di una coalizione di
stati all’ interno della quale non esisteva unità d’i ntenti e di visioni strategiche, limite a cui si
è tentato di porre rimedio mediante il ricorso ai ‘volonterosi’ sotto il comando assoluto degli
Stati Uniti. A quanto avvenuto sul campo è corrisposta una evoluzione nell’i mpostazione
teorico­politica, che tra notevoli contrasti interni al mondo politico e militare, ha completato
e aggiornato, la visione clintoniana della guerra a basso costo ed elevata efficacia. LA SVOLTA NELLA POLITICA MILITARE
Nel giugno del 2001 Donald Rumsfeld diede disposizioni tassative affinché gli organismi
preposti del Pentagono (DoD) stringessero i tempi per la presentazione della Quadrennial
Defense Review 2001 (QDR 2001), e presentassero le linee guida della politica militare Usa
per gli anni successivi; linee che avrebbero definito la dimensione e la struttura delle forze
armate. Le prime indiscrezioni sui desiderata del segretario alla Difesa lasciavano intendere
come si stesse mettendo a punto una strategia complessiva che ampliava i concetti di
incertezza ed imprevedibilità, sia per quanto riguardava i possibili impieghi delle forze
armate Usa che per i rischi ad essi associati10. Veniva messa in discussione la dottrina della
capacità di combattere e vincere due guerre contemporaneamente, generando una serie di
scontri all’ interno degli apparati politico­militari interessati ai programmi d’ armamento che
sarebbero stati eventualmente cancellati in seguito all’ abbandono di tale scenario e
all’ adozione dell’o pzione ‘una guerra più altro’ 11. La possibilità di ricomposizione dei
contrasti era comunque presente e si giocava tutta sulla rinnovata spartizione di un budget
sostanzialmente incrementato. L’a umento delle spese militari avrebbe dovuto essere
giustificato da una nuova visione politico­strategica; si poteva già intuire che accostando ai
soliti nemici ben identificati (gli ‘stati canaglia’) un insieme di minacce dai contorni incerti e
imprevedibili, avrebbero avuto via libera le richieste di nuovi stanziamenti per far fronte a
tutte le evenienze.
Poi venne la guerra planetaria contro il terrorismo, ovvero l’ amministrazione Bush decise di
rispondere agli attacchi dell’ 11 settembre adottando una strategia militare a tutto campo che,
secondo molti giudizi critici12, ha sortito ben scarsi risultati nei confronti delle reti
8
Questa tesi è fortemente sostenuta da P.S. Meilinger, dirigente di rilievo di una delle aziende maggiormente
interessate allo sviluppo di sistemi d’arma adatti alla guerra ‘chirurgica’ (la Science Applications International
Corportaion), che giunge a sostenere la ‘maggiore umanità’ dei bombardamenti mirati rispetto all’adozione dei
regimi di sanzioni nei confronti dei paesi ‘canaglia’; cfr. P. S. Meilinger,A Matter of Precision. Why air power
may be more humane than sanctions, “Foreign Policy”, mar.-apr. 2001, pp. 78-79.
9
Si vedano si saggi di Bacevich e Coll in A.J. Bacevich, op. cit. Se si escludono alcuni rari casi, in Italia si deve
sottolineare un desolante e preoccupante silenzio tra gli esponenti di alcune forze della sinistra, che nel 1999 erano
al governo, relativamente al bilancio della guerra contro la Iugoslavia.
10
Rumsfeld orders Quadrennial Defense Review speed up, “Defence-data.com”, 20 giu. 2001.
11
Pentagon to scrap two-war readiness, “The Washington Times”, 20 giu. 2001.
12
“Il terrrorismo non si può affrontare facilmente con forze convenzionali o nucleari. La minaccia terroristica
potrebbe aumentare in futuro, ma si tratta di un problema diverso che richiederà risposte e forze diverse”, con
queste parole D. Bandow, esponente del Cato Institute (istituto di ricerca di orientamento conservatore vicino ad
alcuni esponenti del partito repubblicano), ha recentemente espresso il proprio giudizio sui mezzi impiegati nella
terroristiche. Il 30 settembre 2001 è stata presentata la QDR 2001. Il documento, che sarà aggiornato nel
2005, esprime una evoluzione rispetto all’i mpostazione messa a punto fin dai primi anni
Novanta. Le nuove forze armate Usa dovranno essere in grado di affrontare sia le minacce
prevedibili che quelle inattese, i fronti d’ impiego saranno due: al classico scenario
internazionale delle due guerre di teatro combattutte contemporaneamente (una delle quali
potrebbe essere quella globale contro il terrorismo), si aggiunge il fronte interno. Nonostante
le critiche iniziali, la teoria dei due conflitti non solo è stata confermata ma viene ampliata
qualitattivamente e quantitattivamente. Infatti è assai contraddittorio inserire la ‘guerra totale
contro il terrorismo’ nella categoria delle guerre ‘di teatro’ , in quanto la sua estensione
geografica giunge a dimensioni planetarie. Inoltre la QDR 2001 assegna alle forze armate la
nuova ‘missione’ internazionale, prefigurazione del conflitto con l’I raq, che prevede la
sconfitta ‘definitiva’ di uno dei due ‘avversari di teatro’, l’ occupazione del suo territorio e/o
la creazione delle condizioni per un rovesciamento del governo locale13. Il secondo pilastro politico della dottrina militare Usa conferma e istituzionalizza il ruolo
sempre più importante svolto dai militari nella gestione della ‘sicurezza interna’. Questa
svolta si può interpretare come la risposta concreta ai rischi associati ad uno scenario già
enunciato con chiarezza da Clinton a metà degli anni Novanta, quando l’ allora presidente
affermò che “ per la prima volta non c’ è più differenza tra la politica interna e la politica
estera” 14. Già nell’ aprile del 2001, uno studio dell’ United States Congressional Research Service, dopo
aver rimarcato la ‘vulnerabilità’ degli Usa nei confronti di attacchi terroristici, si era
pronunciato in modo assai critico sulle leggi e le regole esistenti in materia di
coinvolgimento dei militari in operazioni interne; il rispetto di tali norme veniva giudicato
alla stregua di un intralcio nel processo amministrativo ca pace di danneggiare l’ efficacia
della risposta operativa15.
Sul fronte internazionale l’ apparato statale statunitense manteneva il monopolio
dell’e sercizio della violenza ‘legittima’ , mentre sul versante interno tale monopolio,
associato allo smantellamento dell’ edificio delle libertà democratiche fondamentali ed alla
trasformazione dei due partiti in ‘comitati d’a ffari’ della corporate America unica reale forza
politica16, finiva per essere impiegato (con la giustificazione della lotta al terrorismo ed al
narcotraffico) per tenere sotto controllo i flussi di immigrazione17 e il malcontento generato
dall’i mmisermento progressivo di vasti strati di popolazione, dalla scomparsa del welfare
state e dalle conseguenze dell’ avventurismo guerrafondaio. Il facile e pieno coinvolgimento delle forze armate nella gestione dell’ ordine pubblico,
condizionato al consenso del Congresso o del presidente dal Posse Comitatus Act nel lontano
1878, era già stato giuridicamente preparato alla metà degli anni Novanta18; in quel periodo
‘guerra al terrorismo’; cfr. D. Bandow, It is Time to Temper Our Excessive Interventionism, “Naval War College
Review”, vol. LV, n. 4, autunno 2002, p. 77.
13
US Departement of Defense, Quadrennial Defense Review report, 30 set. 2001, p. 21.
14
Citato in M. Augé, Diario di guerra, Torino, 2002, pp. 45-46.
15
J. D. Brake, Terrorism and the Military’s Role in the Domestic Crisis Management: background and Issues for
Congress, “CRS Report for Congress”, 19 apr. 2001, p. 22.
16
Si veda G. Vidal, La fine della libertà: verso un nuovo totalitarismo?, Roma, 2001. In una recente intervista lo
scrittore ha affermato che l’attuale governo degli Stati Uniti ha fatto strame della Costituzione ed è ‘totalmente
militarizzato’ e pronto a combattere una guerra continua su scala planetaria; cfr. G. Vidal, The Erosion of the
American Dream. It's Time to Take Action Against Our Wars on the Rest of the World, “Counter Punch”, 14 mar.
2003.
17
Questo impiego delle forze armate è stato suggerito nel giugno del 2001 dal segretario di Stato Colin Powell;
cfr. R. Windrem, Military role grows on home front, “NBC News”, 20 giu. 2001.
18
In seguito agli attacchi terroristici all’edificio federale di Oklahoma City (di matrice ‘interna’) e al World Trade
Center (riferibile al fronte internazionale).
la legge in vigore venne emendata, consentendo al ministro della Giustizia di chiedere
l’ intervento delle forze armate nelle città statunitensi in caso di gravi eventi di natura
terroristica. Concretamente, a cominciare dalle operazioni dirette ad intercettare il traffico di
stupefacenti lungo le frontiere effettuate durante la presidenza Reagan e passando per il
sempre maggior coinvolgimento delle forze armate in operazioni interne di polizia deciso
negli anni di Clinton, il ruolo dei militari – stando alle dichiarazioni di molti dirigenti
dell’F BI, del Servizio Sanitario e dell’ Agenzia federale della Protezione Civile (FEMA) – era
già cresciuto in maniera ‘sconcertante’ anche prima dell’ 11 settembre19. In seguito la ‘guerra
contro il terrorismo’ ha reso ancora più incerto il discrimine tra attività militari e civili nel
settore della ‘sicurezza interna’ e questo orizzonte artatamente offuscato ha avuto la sua
importanza anche quando si è trattato di definire le attribuzioni nel bilancio federale20,
scatenando diatribe e lotte tra settori degli apparati dello stato. Un coinvolgimento sul fronte
interno così ampio dei militari, soprattutto della Guardia Nazionale ma anche dell’a viazione,
nella gestione delle operazioni antiterrorismo e antidroga (come proposto da Rumsfled) sta
suscitando un vivace dibattito21 anche all’i nterno del Pentagono, dove una parte dei vertici
militari è riluttante a svolgere compiti di polizia interna ed è assai critica per quanto riguarda
la militarizzazione delle frontiere statunitensi22.
ASIMMETRIA DELLE GUERRE E ‘RIVOLUZIONE NEGLI AFFARI MILITARI’
Sul fronte interno e su quello internazionale la QDR 2001 si prefigge di affrontare minacce di
carattere ‘asimmetrico’ , categoria concettuale che ha fatto la sua comparsa nella dottrina
militare Usa solo a partire dal 1997. Il testo si limita ad una elencazione generica di tali
minacce; del resto non esiste nessuna definizione che chiarisca completamente che cosa si
debba intendere per ‘guerra asimmetrica’ e, forse, mai si arriverà a formularla perché così
facendo essa troverebbe i suoi limiti, perdendo la caratteristica che oggi appare più
interessante agli occhi dei vertici politico­militari delle maggiori potenze mondiali: la sua
natura olistica. Stando a quanto si legge sul Joint Warfare of the Armed Forces of the United States, lo
scontro asimmetrico è quello che coinvolge due forze dissimili (dissimilar forces), mentre la
US Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA) sostiene che la guerra
asimmetrica è caratterizzata da azioni con pochi obiettivi di difficile individuazione, condotte
con mezzi che, se paragonati agli effetti finali delle operazioni, appaiono estremamente
limitati23. Esitono teorie che senza fare distinzione di sorta annoverano tra le minacce
asimmetriche a livello tattico terrorismo, disordine economico, disobbedienza civile e
crimine organizzato, ritenuti tutti mezzi ‘asimmetrici’ per opporsi ad un nemico militarmente
più potente. Un simile punto di vista, adottato da molti ‘teorici’ anche in Europa, in Russia
ed in Cina, accomuna di fatto la protesta non violenta ad una tattica di guerra24, premessa
concettuale che potrebbe giustificare la reazione militare nei confronti della disobbedienza
19
R. Windrem, cit., l’autore fa riferimento ad un piano del DoD, denominato Garden Plot, che prevederebbe, su
ordine del presidente, il controllo delle attività civili da parte delle forze armate in caso di un ‘evento
catastrofico’. Tale evenienza è classificata con l’espressione assai significativa di Civilian Disorder Condition
(CIDCON) ed è stata sperimentata, a livello di esercitazione, a Filadelfia nell’estate del 2000.
20
Nel novembre del 2001, il Center for Strategic and Budgetary Assessments di Washington, centro di studi
indipendente, ha caclolato in 100 milioni di dollari al mese il costo associato all’impiego di 40.000 uomini della
Guardia Nazionale in operazioni antiterrorismo interne.
21
Secondo E.A. Cohen il frequente ricorso alla Guardia Nazionale non rappresenta un mezzo efficace, e sarebbe
preferibile sostituire i militari con contract guards (guardie a contratto); cfr. E.A. Cohen, A tale of Two
Secretaries, “Foreign Affairs”, mag.-giu. 2002, p. 44.
22
Pentagon debates Homeland Defense Role, “Washington Post”, 11 feb. 2002.
23
Citato in K. O’Brein, J. Nusbaum, Intelligence gathering on asymmetric threats, “Jane’s Intelligence Review”,
ott. 2000, p. 51.
24
Ivi.
civile. Fanno riflettere al riguardo alcune considerazioni lette sulla stampa statunitense dopo il
successo delle manifestazioni contro la guerra in Iraq del 15 febbraio scorso. In un articolo
del New York Times25 si annunciava la nascita di un’ altra ‘superpotenza’ che si oppone su
scala mondiale agli Usa: l’ opinione pubblica. Un avversario tenace, che non teme di
affrontare l’e lite dirigente Usa a viso aperto, mentre quest’u ltima, per il momento, ha scelto
di ignorare la portata del movimento interno ed internazionale contro la guerra.
Se si assume come punto di riferimento lo studio dei colonnelli cinesi Qiao Liang e Wang
Xiangsui sulle caratteristiche della guerra asimmetrica26 e si considera che gli Usa si
ritengono superiori a tutti gli altri stati in materia di potenzialità militari – quindi de facto
sempre protagonisti di scontri asimmetrici –, le condizioni d’ impiego dell’ apparato militare
statunitense nei prossimi anni saranno contraddistinte dalla combinazione di ‘un’ inesauribile
varietà di metodi operativi’ 27 militari, trans­militari e non­militari (cfr. Tabella 1). Nella guerra asimmetrica moltissime attività e settori civili si trasformano in entità
ripetutatmente soggette alla pianificazione di azioni militari flessibili ed interconnesse. Le
dottrine ed i mezzi militari classici dello stato nazione si completano e potenziano mediante
l’ innesto sulle ‘filosofie’ e sulle modalità operative delle guerre per bande, sfruttando il loro
ciclo economico di rapina e la loro capacità (espressa in più occasioni nel corso degli anni
Novanta) di fare implodere intere compagini sociali ed ecosistemi. Ma l’ innesto tra mondo
civile e guerre asimmetriche si realizza anche con le concezioni aggressive dell’a ziendalismo
imperante: “a nche le organizzazioni o gli individui che conducono attività imprenditoriali o
commerciali o finanziarie o qualsiasi altra attività che comporti il perseguimento di un fine in
un ambiente ostile o soltanto competitivo possono trarre spunti di riflessione e innovazione
dalla teorizzazione [della guerra asimmetrica]” 28. Se portata alle estreme conseguenze questa
‘filosofia’ del conflitto condizionerebbe, stravolgendoli, tutti gli aspetti ed i momenti della
vita, un vero e proprio delirio bellico olistico nel quale vige la ‘legge della giungla’ dai costi
umani ed economici inimmaginabili. Ma questi ultimi non compaiono mai nelle valutazioni
dei sostenitori della ‘guerra senza limiti’ . Il generale statunitense David L. Grange, ben saldo
nel riaffermare lo ‘spirito pratico’ di una certa cultura statunitense, non esita a ritenere la
risposta data nel recente passato dalle forze armate Usa alle azioni ostili asimmetriche
eccessivamente difensiva, caratterizzata da ‘decisioni prese in preda al panico’ e d incentrata
sulla strategia del bombardamento terroristico, poco efficace contro i nemici e devastante dal
punto di vista ‘dell’ immagine’ a causa degli ‘effetti collaterali’ , ovvero dell’ assassinio di
civili inermi. Il difetto principale della dottrina e della prassi adottata risiede però nelle
limitazioni imposte alle azioni di guerra tramite “ irrealistiche regole d’i ngaggio” che
prescindono dalla situazione. Sostiene Grange: “i nganno, operazioni psicologiche, guerra
dell’i nformazione, disinformazione, soft war sono tutti ingredienti che non prevedono l’u so
della forza ma che sono disponibili per la quarta generazione di guerrieri, e questi strumenti
dovrebbero essere usati. Dobbiamo capire che la forza relativa è situazionale; è basata sul
tempo, sulla velocità, sulla posizione e sulle condizioni del momento”29. Il combattente
sprovvisto di grandi mezzi e di network di comando, controllo, comunicazione ed
intelligence (ossia tutti coloro che potenzialmente si possono opporre agli Usa) sopperirà,
osserva Grange, “ con maggiore astuzia, forza morale, atteggiamento offensivo, sicurezza,
sorpresa, flessibilità e capacità organizzativa” , tutte attitudini e comportamenti capaci di
25
Si veda Patrick E. Tyler, A New Power in the Streets, “New York Times”, 17 feb. 2003.
26
Qiao Liang, Wang Xiangsui, Guerra senza limiti. L’arte della guerra asimmetrica fra terrorismo e
globalizzazione, Gorizia, 2001.
27
Qiao Liang, Wang Xiangsui, cit., p. 127.
28
F. Mini, Guerra senza limiti : il quarto libro, introduzione all’opera di Qiao Liang e Wang Xiangsui.
29
D.L. Grange, Asymmetric warfare: old method, new concern, “National Strategy Forum Review”, inverno
2000, citato da F. Mini, Guerra senza limiti … cit., pp. 31-32.
mettere in forte crisi le tecnostrutture complesse e vulnerabili, civili30 e militari, degli Stati
Uniti e dei loro alleati31. Per impedire che le azioni ‘asimmetriche’ del nemico abbiano
successo è necessario agire preventivamente attaccandone la coesione ed il ciclo operativo: “
per infliggere una sconfitta più rapida ed efficace dobbiamo perseguire obiettivi asimmetrici
(negare, distruggere, disorganizzare, disgiungere, degradare
negare, distruggere, disorganizzare, disgiungere, degradare) nei confronti dell’as setto
organizzativo e morale avversario … ; prevenendo l’ avversario nell’a cquisizione del
controllo sulla popolazione, impedendo alle organizzazioni l’ uso di ‘santuari’ , sconvolgendo
il flusso del denaro e dei rifornimenti, negando l’u so dei media, denunciando la corruzione,
svergognando la leadership, rompendo le relazioni di potere si costringerebbe l’ avversario
alla difensiva e se ne romperebbe l’ equilibrio” 32. Come si può facilmente intuire, in questa
visione la linea di demarcazione tra attività militari di natura difensiva e azioni aggressive
sfuma nel vago o addirittura scompare a tutto vantaggio di un atteggiamento che in primo
luogo intende perseguire la piena libertà spazio­temporale d’ offesa. Se gli obiettivi sono
quelli di distruggere, disorganizzare, disgiungere e degradare, se si deve acquisire prima
dell’a vversario il controllo sulla popolazione, se si mira a sconvolgere il flusso del denaro e
dei rifornimenti allora è chiaro che la popolazione inerme diventa il ‘naturale’ campo di
battaglia dello scontro asimmetrico. Ad esempio, nel caso dell’ attacco all’I raq i metodi trans­
militari e non­militari della guerra asimmetrica (cfr. Tabella 1) assumeranno un’ importanza
enorme quando si tratterà di occupare e presidiare il paese e ‘governare’ il mutamento di
regime per un periodo assai più prolungato rispetto a quello della campagna militare vera e
propria. Del resto la situazione sul campo esistente oggi in Afghanistan sembra avvalorare
tale ipotesi. La complessità di questi probabili eventi ed i rischi ad essi correlati fanno sì che
non ci sia una valutazione unanime all’ interno dell’ amministrazione Usa sulle strategie da
adottare in Iraq per gestire la fase immediatamente successiva all’ esaurirsi dello scontro
militare ‘tradizionale’ , quando è probabile che si avvierà una guerra di guerriglia e si
manifesterà appieno tutto l’a mpio ventaglio delle opzioni del conflitto asimmetrico,
nonostante le intenzioni manifestate dai vertici Usa vadano nella direzione di eliminare con
tutti i mezzi disponibili le forze del governo iracheno e tutte le possibili sacche di resistenza
presenti tra la popolazione civile, impiegando in questo caso anche la tattica dell’ assedio
prolungato simile a quella praticata dalle parti in lotta durante le guerre balcaniche.
In sintonia con la visione totalizzante della guerra asimmetrica, Donald Rumsfeld ha
sottolineato come “ le guerre del ventunesimo secolo richiederanno in misura sempre
maggiore la partecipazione di tutti gli elementi del potere nazionale e non solo della
componente militare. Esse richiederanno l’ impiego congiunto delle capacità in campo
economico, diplomatico, finanziario, della difesa dell’ ordine pubblico e dell’intelligence” 33;
questo sforzo, diretto da un global command politico­militare sarà volto a raggiungere gli
obiettivi che gli Stati Uniti si saranno prefissati, senza farsi condizionare da limiti temporali
e dai desiderata di eventuali alleati, giacché, come ha dichiarato John Hulsman della
30
Chiamate Critical National Infrastructures (CNI), termine che ricomprende una vastissima area di settori non
solo produttivi ma anche dei servizi: dalle anagrafi informatizzate degli enti locali, alle banche dati, ai sistemi in
rete per la gestione di acquedotti e reti per la distribuzione dell’energia elettrica e del gas, ai sistemi informatizzati
per la gestione dei trasporti, dell’assistenza sanitaria, del risparmio e del credito, ecc.
31
Il ministero della Difesa britannico, in un suo documento, sostiene che “l’integrazione dei sistemi informatici
nelle operazioni militari offre significativi vantaggi, ma introduce anche nuove vulnerabilità”, citato in K.
O’Brein, J. Nusbaum, Intelligence gathering on asymmetric threats, “Jane’s Intelligence Review”, ott. 2000, p.
52. Negli Usa la situazione è ancora più delicata in quanto la massiccia introduzione delle tecnologie informatiche
all’interno del DoD ha messo in rete più di due milioni e mezzo di computer.
32
33
D.L. Grange, Asymmetric warfare …, cit.
Queste affermazioni accompagnarono un discorso tenuto da Rumsfeld alla National Defense University nel
gennaio del 2002, nel corso del quale vennero politicamente ‘giustificati’ i notevoli aumenti nel bilancio del DoD
che l’amministrazione si preparava a richiedere; cfr. Rumsfeld: Prepare for Surprise Attacks, “Washington Post”,
31 gen. 2002.
Heritage Foundation, “ non possiamo permettere che paesi più piccoli ci possano fermare”34.
L’ unilateralismo arrogante e greve espresso dai circoli che hanno preso il sopravvento a
Washington ha destato parecchie perplessità e preoccupazioni in settori importanti delle elite
dirigenti statunitensi. Pur senza mettere in discussione il ‘diritto’ alla leadership mondiale,
alcuni ritengono che essa dovrebbe essere esercitata con grande ‘magnanimità’ ricorrendo al
soft power piuttosto che alla violenza ed alla guerra continua35. Ma, a ben considerare queste
posizioni, anche il soft power potrebbe rientrare a pieno titolo nella visione totalizzante di
uno scontro asimmetrico per l’e gemonia mondiale e così appaiono più fondate le
argomentazioni di chi ritiene che la forza militare Usa e il potere di ricatto economico non
riusciranno ad assicurare alcuna egemonia stabile36.
Tabella 1
I METODI DELLA GUERRA ASIMMETRICA
Fonte: Qiao Liang, Wang Xiansui, op. cit., parzialmente modificato da A. Lodovisi
Metodi operativi
militari
Metodi operativi
Trans­militari
Metodi operativi
Non­miliatri
Guerra atomica
(A)
Guerra diplomatica
Guerra finanziaria
Guerra
convenzionale
Guerra di network (cyberwar,
Computer Network Operation)
Guerra commerciale e per il controllo
delle tecnologie di punta37
Guerra biochimica Guerra di intelligence
Guerra di risorse (resource war) e
demografica
Guerra ecologica Guerra psicologica
Guerra di aiuto economico
Guerra spaziale
Guerra normativa
Guerra tattica
Guerra elettronica Guerra di contrabbando e
(B)
pirateria38
Guerra di sanzioni
Guerra di
guerriglia (C)
Guerra mediatica
Guerra di droga e di traffici
illeciti (D)
34
“Sole 24 ore”, 19 nov. 2002, p. 9. l’Heritage Foundation è uno dei centri di ‘elaborazione’ della ‘politica’ estera
propugnata dai circoli neoconservatori statunitensi.
35
Si veda S.G. Brooks e W.C. Wohlforth, American Primacy in Perspective, “Foreign Affairs”, lu.-ago. 2002, pp.
20-33.
36
Si veda M. Mandelbaum, The Inadequacy of American Power, “Foreign Affairs”, set.-ott. 2002. pp. 61-73.
37
Un rapporto pubblicato nel 2001 dal Technology Policy Center del RAND National Defense Research Institute
e finanziato dal National Intelligence Council ha preso in esame i diversi scenari che si potrebbero concretare
entro il 2015 per quanto riguarda la ‘rivoluzione tecnologica globale’ e le sue conseguenze sociali, culturali,
economiche e nel campo delle applicazioni militari e della conduzione della guerra. La collocazione
dell’evoluzione tecnologica nell’ambito di categorie quali la conquista della supremazia politica (cfr. M. Borrus e
J. Zysman, Industrial Competitiveness and American National Security, in W. Sandholtz et. al. The Highest
Stakes, New York-Oxford, 1992, pp. 7-52) o la condotta di una guerra asimmetrica sgombra il campo da ogni
dubbio. Gli argomenti di una propaganda secondo la quale l’applicazione delle tecnologie informatiche, dei nuovi
materiali, dell’ingegneria genetica, delle nanotecnologie e del remote sensing consentirebbero di risparmiare vite
umane nel corso delle azioni militari appaiono assai discutibili.
38
Su questo argomento si veda: R. Gunaratna, Transnational threats in the post-Cold War era, “Jane’s
Intelligence Review”, gen. 2001, pp. 46-50.
Guerra terroristica Guerra virtuale (di deterrenza)
Guerra ideologica (‘scontro tra civiltà’,
conflitti per motivi ‘religiosi’,
‘culturali’, diffusione di sette)
(A) L’i potesi di un impiego di armi nucleari di nuovo tipo in conflitti asimmetrici è quanto mai realistica e
probabilmente si concreterà nel corso dell’a ttacco all’Ira q. A livello politico già è stato chiesto l’i mpiego di small,
specialized nuclear weapons contro le postazioni talebane e di Al­Qaida in Afghanistan (dichiarazione
dell’es ponente repubblicano Steve Buyer, 18 ott. 2001, “d ailynews.yahoo.com”). Negli Usa le ricerche per la
messa a punto di ordigni nucleari di questo tipo da impiegare nell’a ttacco contro caverne o bunker è in fase
avanzatissima; in uno studio di Geoffrey Forden del Massachusetts Institute of Technology si descrivono gli
effetti di queste bombe atomiche ‘in miniatura’ il cui impiego avrebbe gravi conseguenze per le popolazioni e
l’a mbiente circostante e finirebbe per legittimare la proliferazione di armi nucleari39. Gli Stati Uniti hanno già
dichiarato, attraverso l’u ltima revisione della politica nucleare, che queste armi potrebbero essere impiegate contro
nazioni che non sono dotate di ordigni atomici (Iran, Siria, Libia, Iraq), rovesciando in tal modo la tradizionale
impostazione secondo la quale gli Usa prevedevano l’i mpiego dell’arma atomica solo in caso di conflitto con
un'
altra potenza nucleare40
(B) L’impiego di sistemi d’arma a frequenze radio (RF) o a microonde ad elevata potenza capaci di distruggere,
mediante la creazione di campi magnetici estremamente potenti, i sistemi elettronici ed elettrici è un esempio di
‘attacco elettronico’. Contrariamente a quanto vuol far credere una certa propaganda, l’i mpiego di queste armi può
avere effetti devastanti per le popolazioni civili, private di energia elettrica e della possibilità di utilizzare
generatori, sistemi di controllo, attrezzature sanitarie, ecc. Nell’at tacco all’Ira q si sperimenterà una nuova
generazione di queste armi41.
(C) Coloro che vengono attaccati da forze superiori in mezzi e logistica sono portati ad adottare questo tipo di
strategia, sia nelle zone rurali che urbane, raffinando in particolare tutte le tattiche di deception (inganno,
disinformazione, creazione di situazioni confuse, camouflage, ecc.) ed applicandole sistematicamente alle
relazioni con le popolazioni civili.
(D) Si fa riferimento ai traffici illegali di armi, esseri umani, denaro, materie prime, rifiuti tossici, materiali
nucleari, opere d’art e, capaci di avere un effetto fortemente destabilizzante, di creare e alimentare guerre senza
fine e di mettere a repentaglio persino l’e sistenza degli stati ed i meccanismi di espansione finanziaria e
produttiva42. Sulla guerra di droga si rimanda all’o ttimo e documentatissimo lavoro di A. Cockburn e J. St. Clair,
Whiteout. The CIA, Drugs and the Press, Londra­New York, 1998. Un esempio estremamente attuale di guerra di
droga è quello dell’A fghanistan dove, secondo le Nazioni Unite, nel 2002 si è avuto un raccolto di oppio pari a
3.400 tonnellate (contro le 3.276 del 2000) i cui proventi sono gestiti dai signori della guerra locali, da ufficiali e
funzionari del governo Karzai e dalle bande talebane43. GUERRA ECOLOGICA
La modificazione degli ecosistemi allo scopo di distruggere, disorganizzare, disgiungere e
degradare rappresenta forse la forma più ‘totale’ di guerra asimmetrica. Le conseguenze sugli
ecosistemi di una nuova guerra in Iraq, sovente sottovalutate o addirittura ignorate, assumono
tinte apocalittiche se si tenta di delinearle basandosi su quanto accadde nel 1990­1991.
Secondo molte analisi l’ intera regione non si è ancora ripresa dalle devastazioni ecologiche
prodotte dalla prima Guerra del Golfo. A causa dell’ embargo, che ha provocato più di un
milione di vittime, l’ Iraq non ha avuto accesso alle risorse necessarie per riparare gli ingenti
danni ambientali. Nel corso del conflitto le forze armate irachene praticarono la guerra
ecologica distruggendo, facendo esplodere e incendiando 1.164 pozzi di petrolio in Kuwait,
spargendo sul terreno 60 milioni di barili di petrolio che inquinarono 900 km2 di territorio
39
USA looks at nuclear role in bunker busting, “Jane’s Intelligence Review”, gen. 2002, pp. 36-38.
40
R. Cornwell, America wants to turn the unthinkable into usable tools of warfare, “The Independent”, 12 mar.
2002.
41
M. Knights, Options for electronic attack in the Iraq scenario, “Jane’s Intelligence Review”, dic. 2002, pp. 5253.
42
43
M. Naìm, The Five Wars of Globalization, “Foreign Policy”, gen-feb. 2003, pp. 29-37.
A. Davis e P. A. Chouvy, Afghanistan’s opium production rises post-Taliban, “Jane’s Intelligence Review”,
dic. 2002, pp. 28-29.
kuwaitiano e riversando nelle acque del Golfo 4 milioni di barili di greggio, che provocarono
la morte della fauna e della flora marina in una vastissima area. Le polveri sviluppate dagli
incendi ricoprirono migliaia di ettari di terreno fertile in Kuwait e nella zona di Bassora
rendendoli sterili, e piogge acide causarono danni alle coltivazioni in aree distanti circa 2000
chilometri dai luoghi degli incendi. Il petrolio incombusto formò una nebbia che avvolse la
regione provocando l’a vvelenamento di piante e bestiame, la contaminazione delle acque e
malattie tra la popolazione. A questi effetti si devono poi aggiungere quelli correlati alla
disseminazione da parte irachena di circa 2 milioni di mine antipersona ed anticarro. Se gravi
furono le responsabilità del governo di Baghdad, altrettanto si può affermare a proposito dei
crimini ambientali commessi dalle forze armate Usa e dai loro alleati, anch’e ssi coinvolti in
una guerra ecologica: nel corso della campagna di bombardamento furono distrutte numerose
raffinerie di petrolio e stabilimenti petrolchimici, causando la formazione e la dispersione
nell’a mbiente di nubi tossiche e di grandi quantità di inquinanti; vennero massicciamente
impiegate le bombe a grappolo e si stima che un numero compreso tra 1,2 e 1,5 milioni di
questi ordigni inesplosi sia disseminato sul territorio iracheno; inoltre l’i mpiego intensivo di
munizioni anticarro ha sparso ben 320 tonnellate di uranio impoverito sul suolo. Anche nel
corso dei bombardamenti contro la Iugoslavia del 1999 fu pianificata una aggressione
ecologica simile a quella praticata nel 1991. In uno studio recente44 è stato sottolineato come
non manchino le norme ed i mezzi per sanzionare i paesi che violano il Protocollo
Aggiuntivo I della Convenzione di Ginevra adottato nel 197745, che vieta espressamente ai
belligeranti di provocare danni di rilievo, diffusi e permanenti all’a mbiente naturale,
indipendentemente dalle motivazioni di carattere militare addotte per giustificare tali azioni.
Quello che manca è la volontà politica di applicare quanto previsto dalle convenzioni a tutte
le parti in conflitto, vinti e vincitori. Nall’a ttuale aggressione contro l’I raq già si profilano
esempi di guerra ecologica che avranno gravissime conseguenze per le popolazioni civili e
per gli ecosistemi. Oltre agli incendi di alcuni pozzi e di trincee riempite di petrolio, nel
corso dei bombardamenti – sia prima che durante la guerra – sono stati colpiti numerosi
acquedotti e centrali elettriche, mentre non risulta che sia stato approntato alcun piano per
difendere la popolazione dai nefasti effetti ecologici della guerra e per avviare il risanamento
ambientale nel dopoguerra. La devastazione è già in corso in una vasta regione. Infatti le fasi
preparatorie del conflitto hanno comportato manovre militari in territorio kuwaitiano, turco e
giordano, con un impatto ambientale notevolmente negativo: le esercitazioni di tiro, i test di
nuove armi, le attività di routine delle basi militari, la presenza in esse di prodotti chimici
tossici comportano la dispersione nell’ ambiente di carburanti, solventi, metalli pesanti,
pesticidi, PCB, fenoli, acidi, alcali, propellenti ed esplosivi. A tutto ciò si deve aggiungere il
consumo elevatissimo di energia non rinnovabile: a titolo di confronto, le forze armate Usa
in un anno (non di guerra) inceneriscono una quantità di energia sufficiente ad azionare per
14 anni il sistema dei trasporti di massa degli Stati Uniti46. La letteratura scientifica ha
evidenziato alcuni casi conclamati di gravi conseguenze ambientali e per la salute delle
popolazioni correlate con la presenza di poligoni di tiro e di basi militari; nel caso delle
installazioni Usa all’ estero, non esistono leggi statunitensi che impongano il rispetto di
norme volte a salvaguardare gli ecosistemi dei paesi che ospitano le installazioni militari
americane47. Ma anche quando le leggi esistono e ci si trova sul territorio degli Usa, il
Pentagono tenta di ottenere, in nome della necessità di garantire l’ addestramento delle truppe
44
J.E. Austin e C. E. Bruch, Epilogue: The Kossovo Conflict: a case study of unresolved issues, in J.E. Austin e
C. E. Bruch (a cura), The Environmental Consequences of War, Cambridge, 2000, pp. 647-664.
45
Gli Usa non hanno ratificato questo protocollo.
46
V.W. Sidel, The impact of military preparedness and militarism, in J.E. Austin e C. E. Bruch (a cura), op. cit.,
p. 441.
47
Cfr. J. Lindasy-Poland e N. Morgan, Overseas Military Bases and Environment, in “Foreign Policy in Focus”,
(1998), pp. 1-4.
e la loro prontezza operativa per affrontare la ‘guerra al terrorismo’ , la completa impunità per
quanto riguarda i reati commessi contro l’ ambiente come ad esempio abbandonare le
munizioni impiegate nelle esercitazioni, avvelenare le acque con gli scarichi delle basi ed
inquinare l’ aria. Nel corso del 2002 gli adempimenti correlati alla legislazione vigente in
materia di tutela ecologica hanno comportato per il Pentagono un esborso di 28 miliardi di
dollari. Nel mettere a punto il bilancio per l’ anno fiscale 2004, i vertici politici del DoD
stanno cercando di essere esentati dal pagamento di questi indennizzi e di non essere tenuti a
rispettare vincoli di natura ambientale nello svolgimento delle attività48
L’ agroterrorismo, probabilmente già praticato in passato contro l’ Iraq, ossia la diffusione di
agenti patogeni e parassiti che provocano epidemie tra il bestiame e danneggiano gravemente
i raccolti, è un’a ltra forma di guerra ecologica che unisce in sé i caratteri della guerra
biochimica, della guerra terroristica e dei conflitti di carattere commerciale e per le risorse
fondamentali (suolo, acqua, aria e cibo). La messa in atto di queste azioni ha effetti
devastanti soprattutto nei paesi poveri, che non hanno raggiunto una solida sicurezza negli
approvvigionamenti alimentari e non sono dotati di presidi sanitari diffusi capillarmente sul
territorio. Nel 2002, l’ amministrazione Bush ha stanziato 140 milioni di dollari per progetti
di ricerca per ridurre la vulnerabilità dell’ agricoltura di fronte all’ agroterrorismo. Anche in
questo caso l’ acquisizione di conoscenze da applicarsi per azioni ‘difensive’ può costituire
un ottimo patrimonio d’ informazioni indispensabile per condurre azioni offensive; inoltre, da
più parti si sottolinea come la diffusione delle manipolazioni genetiche in campo agricolo
abbia aumentato la vulnerabilità del bestiame e delle piante nei confronti degli agenti
patogeni49.
GUERRA DI NETWORK
Un sinonimo comune di questa espressione è quello di netwar, che identifica un’ampia
gamma di operazioni nel campo della gestione delle informazioni (Information Operations)
da condurre sugli scenari dei conflitti. Conquistare la superiorità in questo settore è
considerata una priorità nella strategia di sicurezza nazionale adottata dagli Usa. Anche la
NATO, quantomeno a livello progettuale, dal giugno 2001 sta cercando di adottare questo
tipo di approccio mediante un’ iniziativa denominata The Vulnerability of the Interconnected
Society50. Dal canto loro i dirigenti statunitensi hanno dichiarato che potrebbero reagire
militarmente agli eventuali attacchi via Internet provenienti da Iran, Iraq, Corea del Nord,
Cina, Russia ed altri paesi51.
I ‘territori’ d’i nteresse della guerra di network, secondo una recente analisi52 preparata dalla
RAND su commissione del DoD, sono essenzialmente tre: il cyberspace, l’ infosfera e la
noosfera53; le loro caratteristiche sono descritte dalla Tabella 2.
Tabella 2
I CAMPI D’ INTERESSE DELLA INFORMATION STRATEGY
Fonte: J. Arquilla e D. Ronfeldt, parzialmente modificato da A. Lodovisi
Cyberspace
Infosfera
Noosfera
48
A. Gumbel, Pentagon seeks freedom to pollute land, air and sea, “Independent”, 13 mar. 2003.
49
P. Chalk, US increase agro-terrorism research, “Jane’s Intelligence Review”, mar. 2002, p. 4.
50
NATO considers netwar, “Jane’s Intelligence Review”, mar. 2002, pp. 52-53.
51
Dichiarazione del consigliere in materia di tecnologia della Casa Bianca Richard Clarke; cfr.White House
expert says U.S. may retaliate with military if terrorists try online attacks, “siliconvalley.com”, 13 feb. 2002.
52
J. Arquilla e D. Ronfeldt, The Emergence of Noopolitik. Toward an American Information Strategy, Santa
Monica, 1999.
53
Il termine deriva dal termine greco noos (mente) ed è stato coniato dal teologo e scienziato francese Pierre
Teilhard de Chardin nel 1925, cfr. P. Teilhard de Chardin, Le direzioni del futuro, Torino, 1996.
Dottrine
ideative
Interconnessione e
democrazia
Prosperità e
interdipendenza
Modelli
organizzativi
La comunità di
CNN, Disney, Time­
Internet, EFF, CPSR Warner
Organizzazioni non governative
pacifiste, università, Nazioni Unite,
varie espressioni culturali e
organizzative della società civile
Mezzi
tecnologici
Internet, Web
Sistemi educativi e formativi
Radio, TV,
comunicazioni via cavo
Condivisione delle idee
La noosfera ricomprende concettualmente gli altri due campi ma le relazioni che esistono
all’ interno di questo sistema, creato dalla circolazione delle informazioni nell’ epoca attuale,
possono contribuire sia alla integrazione che alla frammentazione; in quest’ ultimo caso ci si
colloca automaticamente nella filosofia disgiuntiva dei conflitti asimmetrici. Gli Stati Uniti
occupano una posizione predominante come progettisti e costruttori del cyberspace e
dell’i nfosfera, anche se per gestire tutte le comunicazioni necessarie per pianificare e
svolgere azioni militari nei diversi scacchieri mondiali devono far ricorso alle reti satellitari
civili. Entro il 2010 il Pentagono avrà bisogno di una capacità di trasmissione pari ad una
larghezza di banda di 16 Gigabits per secondo e, sulla base degli attuali programmi di
sviluppo ed acquisizione di satelliti per le telecomunicazioni militari, riuscirà a gestirne
direttamente solo un ottavo54. Questo limite potrebbe essere superato facendo ricorso al
settore commerciale civile anche estero, generando una maggior ‘intrusione’ delle
trasmissioni militari con tutte le conseguenze che ne possono derivare in quanto ad
accessibilità e libertà di trasmissione. Tuttavia nessuno può pensare di controllare
direttamente e completamente la noosfera, nemmeno gli Stati Uniti; se lo facessero
peccherebbero di hubris55; il loro obiettivo massimo può essere solamente quello di un
condizionamento flessibile di tipo culturale, economico e politico, in una parola il soft power,
ossia la capacità di conseguire i propri obiettivi puntando sull’ attrazione piuttosto che sulla
coercizione. Secondo gli autori dello studio della RAND la dimensione militare dell’information strategy,
soprattutto quando si tratta di affrontare la tutela della sicurezza nel controllo dei flussi di
informazione all’i nterno di un’ alleanza o di una qualsiasi coalizione, presuppone l’ esistenza
di una reale ‘difesa comune’ , ovvero della condivisione tra tutti i membri, senza eccezione
alcuna, di un gran numero di informazioni ‘sensibili’ . Ovviamente questo fatto espone al
rischio di improvvisi cambiamenti di fronte e del ‘doppio gioco’, ma la strada
dell’u nilateralismo è ancora più rischiosa56. Nel caso della battaglia contro il terrorismo
l’ incongruenza e la limitatezza della strategia adottata dalle attuali elite dominanti negli Usa
risalta in maniera eclatante. In una lunga intervista Arquilla e Ronfeldt hanno dichiarato che
nella netwar (sistema di combattimento e di organizzazione adottato dalle organizzazioni
terroristiche e da altri ‘attori’ non­statali) “v ince chi ha le informazioni migliori, non chi ha
le bombe più grosse” 57. Proprio per questo il problema Saddam – se considerato dal punto di
vista del presunto possesso delle armi di distruzione di massa – non andava assolutamente
54
M.G. Mattock, The Dynamics of Growth in Worldwide Satellite Communications Capacity, RAND, Santa
Monica, 2002.
55
Tracotanza che porta alla disfatta.
56
J. Arquilla e D. Ronfeldt, op. cit., pp. 59-61.
57
F. Pisani, La netwar, nuova dottrina militare per un nemico diffuso, “Le Monde Diplomatique”, giu. 2002, pp.
6-7.
confuso con la questione dell’ abbattimento del governo di Baghdad. Consentire a Saddam di
restare al proprio posto in cambio di una rinuncia al possesso di armi chimiche, nucleari e
batteriologiche e di una apertura costante degli arsenali iracheni alle ispezioni, avrebbe
comportato una concessione di poco peso e risparmiato l’ occupazione dell’ Iraq “ per un
periodo indeterminato, che si misurerebbe comunque nell’ ordine di decenni” . Quanto alla
lotta contro le organizzazioni terroristiche, riconosciuta la sconfitta della strategia messa in
atto in Afghanistan, la proposta avanzata è quella di integrare nella lotta condotta con mezzi
tradizionali “ le organizzazioni non governative” che godono di “u na posizione privilegiata”
tale da consentire loro “ di rispettare entrambe le parti e di fungere da intermediari per
facilitare la comunicazione” 58, soprattutto con le strutture sociali che appoggiano o
simpatizzano con il terrorismo a causa delle condizioni di povertà e oppressione che vivono.
GUERRA DI INTELLIGENCE
Le operazioni ‘coperte’ , basate su network impiantati dalle agenzie di spionaggio e
intelligence, acquistano nella guerra asimettrica un’import anza molto maggiore rispetto a
quella che avevano in passato. Come dimostrano le operazioni condotte in Afghanistan ed in
Asia Centrale, i reparti paramilitari delle agenzie stanno acquisendo un’ importanza operativa
forse mai avuta in passato e verranno dotati di sistemi d’a rma quali il Predator, un velivolo
senza pilota capace sia di raccogliere informazioni (immagini, dati, ecc.) sul terreno, che di
lanciare missili Hellfire, accorciando i tempi della catena di comando, con esiti assai
controversi in quanto caratterizzati da numerosi ‘errori’ di valutazione che hanno portato
all’ uccisione di persone innocenti59. Questa evoluzione operativa delle agenzie di
intelligence – che sta scatenando una competizione con i vertici militari – comporterà
l’ investimento di nuove ingenti risorse delle quali beneficieranno le circa cinquanta agenzie
dell’ intelligence statunitense e in particolare le più importanti60; ma nessuno conosce con
precisione a quanto ammontino le risorse impiegate in questo settore poiché i dati sono tenuti
segreti; alcune stime tuttavia parlano di un bilancio complessivo compreso tra i 30 ed i 35
miliardi di dollari61. Ma i problemi non finiscono qui; ormai è evidente che negli scenari
delle guerre asimmetriche i servizi di spionaggio e raccolta di informazioni non sono più da
considerare ‘ausiliari’ rispetto alle forze armate ed alla diplomazia, ma costituiscono essi
stessi un settore fondamentale per la conduzione dell’ intera politica estera, dai rapporti con
nemici ed alleati sino allo spionaggio tecnologico­industriale. Se da un lato non è pensabile
un controllo unilaterale del flusso di informazioni legato alle attività di intelligence, e quindi
diventano importanti le collaborazioni e le ‘alleanze’ tra servizi, dall’ altro proprio
l’ alterazione del flusso diventa un’ arma a disposizione di chiunque per indirizzare secondo i
propri piani le azioni di amici, alleati temporanei e nemici. Gli Usa si trovano oggi a
cooperare fianco a fianco con ex­nemici62 e nessuno può dare garanzie sulla ‘fedeltà’ dei
nuovi alleati giacché è problematico garantire la lealtà persino dei propri organi di
intelligence. Il ricorso alle tattiche ‘sporche’ nel lavoro di intelligence è stato richiesto anche
da uno studio, presentato nel 2000 al Congresso statunitense, sulla cui coprtina
58
Ivi.
59
Si veda il documementato reportage di Der Spiegel del 3 marzo 2003.
60
Oltre alla Central Intelligence Agency, la National Security Agency (specializzata nel settore delle
comunicazioni), il National Reconnaisance Office (che progetta e gestisce la rete di satelliti spia e la National
Imagery and Mapping Agency (che interpreta le immagini inviate dai satelliti e appronta le carte per uso militare).
61
CIA Gets Big Boost in Bush Budget, “Associated Press”, 24 feb. 2002; da più parti si richiede che venga reso
noto l’ammontare delle risorse destinate alle agenzie di spionaggio e intelligence affinché possa essere sottoposto
al controllo del Congresso; ma, nonostante i pareri favorevoli e le raccomandazioni in tal senso espressi negli
anni passati dalle commissioni parlamentari che si occupano di questo settore, tali informazioni restano ancora
classificate; cfr. Federation of American Scientists, Project on Government Secrecy, Vol. 2002, issue n. 46, 23
mag. 2002.
62
Cfr. Adversaries become allies, “Jane’s Intelligence Review”, feb. 2002, pp. 50-51.
campeggiavano significativamente le Twin Towers e che lanciava l’ allarme a proposito di un
possibile attacco terroristico catastrofico contro gli Usa63; il 17 settembre 2001, poi, il
presidente Bush ha fatto chiaro riferimento ad un contesto operativo nel quale non ci sono
regole. Non è possibile però mettere in atto efficacemente queste strategie se continuano ad
esistere duplicazioni, sotterranee e sordide ‘competizioni’ tra diversi servizi ed una
sostanziale debolezza nelle attività di intelligence svolte dagli uomini, settore nel quale gli
Usa sono in forte difficoltà. Il prevalere di una visione ‘tecnocentrica’ dell’intelligence,
fortemente voluta dal Pentagono allo scopo di raccogliere i dati per consentire il dominio
completo del campo di battaglia e la guida del munizionamento di precisione, ha fatto sì che
gli Usa abbiano fatto ricorso alle informazioni trasmesse da servizi stranieri per conoscere la
situazione politica e sociale di interi scacchieri, dall’ Africa all’ Afghanistan.
GUERRA MEDIATICA
Un esempio di guerra mediatica è rappresentato dalla competizione per il controllo dell’e tere,
ovvero dalla lotta che le potenze occidentali devono intraprendere per ‘difendersi’ dai
network ‘asimmetrici’ quali Al­Jazeera. Per ostacolarli il vecchio sistema della diffusione
delle stesse notizie ‘filtrate’ in arrangiamenti e lingue diverse, ovvero l’ imposizione di
un’ unica linea informativa, non funziona più; non è più pensabile ricorrere allo sbrigativo
sistema di bollare come ‘propaganda nemica’ quanto diffuso dai network ‘asimmetrici’ .
Occorre invece competere con essi, individuando con precisione le caratteristiche dei bacini
d’ utenza delle informazioni e diffondendo messaggi ‘personalizzati’ destinati al pubblico più
‘sfumato’ e variegato che si incontra nella periferia del sistema mondiale dei media, allo
scopo di imbrigliare l’i nfluenza esercitata dai network avversari o semplicemente critici, già
definiti ‘asimmetrici’ quindi assimilati a uno strumento di guerra64. La propaganda relativa alla guerra combattuta in nome della diffusione della democrazia
diviene così un mezzo da impiegare nelle strategie asimmetriche combinate; questo è
particolarmente evidente nel caso dell’ Iraq in cui le promesse di ‘democrazia’ e benessere
associate alla conquista angloamericana sono talmente prive di fondamento da suscitare
perplessità persino negli ambienti del Dipartimento di Stato65, convinti che non esistano le
condizioni per avviare un processo di nation building incentrato sul modello statunitense. In
realtà, qualunque sia l’ esito, la popolazione irachena – che già ha pagato un tributo di sangue
e miseria spaventoso – dovrà portare sulle proprie spalle il peso enorme di più di vent’a nni di
guerre.
Sul fronte interno è indispensabile che l’ intrusione generalizzata della logica bellicista e
militare nelle attività civili non entri in contraddizione con lo svolgimento di queste ultime.
Devono essere smussate e ricomposte anche le eventuali contraddizioni che possono
insorgere tra gruppi d’ interesse di diverso orientamento66 . Gli ostacoli, sui fronti interno ed
esterno, devono essere rimossi, eventualità quasi impossibile da realizzare senza l’i mpiego
congiunto di un sistema di degradazione delle informazioni e di un apparato censorio e
repressivo, entrambi impegnati nella diffusione della paura e dell’ angoscia. Il controllo e la degradazione dei sistemi informativi (disattivazione dei sistemi informatici
che controllano l’ erogazione dell’e nergia, le reti di trasporto, il sistema finanziario ed
amministrativo, ecc.) e la ‘diluizione’ nel tempo degli effetti negativi sulla popolazione di
63
Citato in R. J. Aldrich, Dangerous Liaisons, “Harvard International Review”, autunno 2002, p. 52.
64
Cfr. Competing for media control in an age of asymmetric warfare, “Jane’s Intelligence Review”, mag. 2002,
pp. 20-23.
65
66
G. Miller, Democracy domino plan won’t work: secret report, “Los Angeles Times”, 15 mar. 2003.
Si vedano ad esempio le dichiarazioni del presidente della Federal Reserve Alan Greenspan a proposito della
situazione dei conti pubblici (“Sole 24 ore”, 13 feb. 2003, p. 6) e le pesanti critiche mosse alla politica di
espansione del deficit federale e all’aumento delle spese militari da alcuni ambienti del partito repubblicano e dai
dirigenti democratici.
questo tipo di conflitto (insorgere di epidemie, deprivazioni di tutti i generi, diffusione del
controllo di tipo mafioso, sudditanza culturale, ecc.), faranno sì che tutte le conseguenze in
termini di perdita di vite umane, di coesione sociale e di qualità dell’a mbiente verranno in un
primo momento negate, poi trasformate in un confuso ‘rumore di fondo’ nel caos odierno
delle informazioni mediatiche e, in seguito, completamente rimosse: si procederà
“ all’a bolizione degli esseri umani in quanto tali” 67. Achille Lodovisi
67
Nell’ipotizzare questo tremendo futuro Paul Virilio aggiunge un altro quesito che potremmo porre in relazione
coll’asimmetria della guerra: “la guerra di tutti contro tutti avrà un ruolo sempre più grande all’interno di una
nuova ideologia sanitaria, che si presenta come umanitarismo?” (P. Virilio, L’incidente del futuro, Milano, 2002,
p. 90.