maymon - Digilander

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maymon - Digilander
MAYMON
un racconto dell'insolito
di Federico Arduino
Edizioni Freebooks
In copertina: Hemiargus Isola - titolo della foto: twins
Contact link: [email protected]
Vagando attraverso le mie letture, scrivendo qualche breve racconto lievemente pervaso di accenti
soprannaturali qua e là, alla metà degli anni novanta mi sono trovato con l'ispirazione giusta per tessere la
tela di Maymon, la storia che state per leggere.
Un divertissement à la Stoker, così lo definisco io. Nessuna pretesa particolare, se non quella
d'intrattenere al di là di qualsiasi considerazione d'ordine stilistico.
Per chi ha voglia di leggere...
Federico Arduino, 7 maggio 2001.
file:///C|/WINDOWS/Desktop/Vagando.htm [09/05/2001 19.43.51]
Maymon.
Racconto che svaria dalla descrizione del paesaggio delle interiorità, per cui conosciamo il nostro autore;
l'opera nasce con un registro narrativo che rende appetibile la lettura anche ad un pubblico meno
sofisticato.
Maymon rievoca un quadretto di inizio secolo in cui luce, ombre, misteri e suspance si intersecano,
focalizzandosi su riflessioni della relatività umana.
La redazione di Freebooks.
MAYMON
Un racconto dell'insolito
Qualora vi venisse chiesto se fosse possibile imbattersi nelle labbra gelide di una dama morta e
sepolta da oltre trecento anni senza veder compromesso l'equilibrio delle propria salda visione del mondo
conoscibile, voi rispondereste che un simile incontro sarà certamente frutto di una allucinazione,
sottolineando con un lieve sorriso ironico la vena di follia rivelata dal vostro interlocutore per mezzo
della sua domanda. Ebbene, un simile fatto capitò proprio a me, Cornelius Persson, entomologo
dell'Università di Uppsala che oggi rende tali confidenze a queste pagine non senza imbarazzo ed
apprensione profondi. Il fatto che io sia stato prepotentemente spinto ad annotare l'accaduto, indica
l'assoluta eccezionalità degli eventi occorsi; posso confermare di non essere abituato a tenere un diario:
gli appunti e gli schizzi di lepidotteri o di carabidi che devo costantemente tracciare sulle mie agende
tascabili, lungo i sentieri più o meno agevoli di campi aperti e macchie buie, tengono sufficientemente in
allenamento quotidiano la mia mano.
Non s'immaginerebbe, dal mare in secca del nostro positivismo, come la prepotenza delle irrazionali
galoppate mentali possa scardinare all'improvviso la più solida delle strutture psichiche, se così la si può
definire. Bene, non vi tedierò oltre con le mie impressioni e comincerò piuttosto a ricordare e a
trascrivere, con la maggior fedeltà e scorrevolezza che saranno possibili ad un vecchio solo e ormai pieno
di manie, come i campi sono disseminati di gramigna.
Dieci anni fa, più o meno in questo stesso periodo dell'anno, ricevetti una lettera piuttosto eccezionale
e che non avrei mai potuto dimenticare, neppure se avesse recato un banale messaggio, in quanto non
proveniva da nessuna contea della Svezia, né da altre regioni baltiche; non era cosa di ogni giorno per me
ricevere notizie da paesi lontani e fui subito spinto a pensare ad una Accademia che intendesse
sottopormi una consulenza circa gli insetti della regione artica: ma non ero così noto, né così brillante da
essere interpellato. La busta mostrava uno stupendo sigillo, al centro del quale campeggiava un'elegante
arpa stilizzata in mezzo ad altri simboli araldici ed io non potei reggere oltre alla curiosità, poichè il
nome del mittente non era riportato. Aprii, strappando la ceralacca quasi come una fiera affamata sbrana
la preda e lessi:
18 giugno 1890
Caro Professor Persson,
o dovrei forse dire 'Caro buon vecchio Cornelius'? So che godete buona salute, perciò non
mi dilungherò in vuote frasi di circostanza: ho ricevuto interessanti notizie recenti circa la Vostra
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proficua attività di ricerca dal Vostro 'Trattato sul comportamento riproduttivo di Lasiocampa quercus',
del quale mi sono procurato - non senza fatica - un costoso esemplare. Sapete, qui in Irlanda non è così
facile reperire trattati di entomologia, per giunta freschi di stampa e addirittura editi nella lontana
Scandinavia!
Se Vi ho scritto è perché qui, in quest'isola non meno verdeggiante ed incantata della Vostra selvaggia
patria, mi sono imbattuto in un esemplare di farfalla notturna assai peculiare e, con mia grande sorpresa,
proprio tra le rovine di un antico maniero che si trova nella mia proprietà. Il primo incontro con quel
grosso insetto ronzante tra i sambuchi rigogliosi di nettare fu naturalmente casuale ma non mancò certo
d'incuriosirmi: avvenne durante una delle mie lunghe passeggiate notturne che trascorrono nell'ansiosa
ricerca di Coleotteri Tenebrionidi nascosti fra le pietraie del mastio crollato. Mi riproposi subito di
studiarlo meglio, perché non mi riusciva proprio di classificarlo, né i miei volumi sono riusciti a
rinfrescarmi sufficientemente la memoria. E' senza dubbio una falena della famiglia delle Sphingidae:
rivela un corpo robusto e peloso dalle striature di un giallo e di un nero molto carichi e vellutati, proprio
come la celeberrima 'Sfinge testa di morto', che lo studente può talvolta confondere con una rara varietà
di Bombo, quando è in volo; comunque, la colorazione delle ali appare assai più spenta, in sorprendente
contrasto con l'addome, oserei quasi dire paragonabile a quella di una piccola parente della precedente, la
comunissima 'Sfinge del ligustro'. Premesso che in Irlanda non abbiamo arbusti delle coste mediterranee,
l'apertura alare della 'mia farfalla' è, permettetemi questa espressione, assolutamente impressionante
nella sua maestosità. Il doppio dell'apertura alare di una grossa Sfinge: circa undici pollici! E non sto
parlando di un esemplare unico, di un qualche ibrido eccezionale: ho potuto osservare uno sciame che
comprendeva una dozzina di falene dalle caratteristiche fisiche e dalle dimensioni tutte molto vicine a
quelle descritte, sia in eccesso che in difetto.
Voi direte che la mia lettera è una presa in giro, professore, e qualcosa di inaudito: ma avete la mia
parola di gentiluomo che non mi burlerei mai della Vostra buona fede di luminare della Scienza.
Vi prego piuttosto di raggiungermi qui, nella contea di Meath, dove sarò il Vostro umile ospite e dove
Voi, con la Vostra profonda esperienza e con l'aiuto di Linneo, potrete dissipare i veli che Madre Natura
ha steso sull'identità di questa creatura misteriosa.
Perdonatemi per non essermi ancora presentato: anch'io sono un entomologo come Voi, ma le vicende
della vita mi hanno riportato soltanto recentemente alla mia antica passione giovanile; per un lungo
periodo ho vissuto alla deriva, trascinato dalla corrente di un matrimonio che mi ha allontanato dalla mia
cara Inghilterra e che mi ha distolto tanto dai miei studi più cari quanto dalla più umana delle
preoccupazioni: quella di lavorare per vivere. Infatti, mia moglie ereditò dal padre una vasta tenuta nel
bel mezzo di una regione molto ricca delle Midlands irlandesi e, come saprete, attorno agli scapoli
incalliti corrono frequentemente voci che presto o tardi ne minano la reputazione in maniera irreparabile:
capirete il resto senza bisogno che io aggiunga altro. Confesso di essere stato un codardo come ve ne
siano molti; ma alla rinuncia alla libertà ne seguì ben presto un'altra, dolorosissima: quando m'ero
indissolubilmente affezionato alla mia buona e dolce Fanny, una lunga e penosa malattia me la sottrasse.
La ebbi accanto più da malata che da sana, caro amico!
Non abbandonatemi adesso,
'Cambridge, 1865'
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P.S.: quando riceverete questa lettera sarò ormai luglio inoltrato, un'ottima stagione per viaggiare
attraverso i mari freddi. ImbarcateVi sul primo steamer che partirà da Oslo con rotta verso Dublino.
Giunto là, dai moli lungo la foce del Liffey occupate uno dei tanti brums che aspettano sempre i forestieri
e chiedete di farVi condurre alla tenuta di Fernhill Homestead, nei pressi di Enfield. Ritroverete un
Vostro vecchio compagno di stanza dell'Università. A presto."
Una settimana più tardi, dal molo sul Pipervika, mentre abbracciavo mia figlia Kristina ripensavo
all'isola remota dove mi stavano aspettando una presunta farfalla sconosciuta, e Graham Johnston - a
giudicare dallo stile del messaggio non poteva trattarsi che di lui, vecchio compagno dei tempi in cui
vissi in Inghilterra per quasi un anno. Spiegai il tono formale del suo messaggio con una perdita di
confidenza causata dal tempo passato e dai molti eventi trascorsi in esso: e mi sorpresi a riflettere sulle
opportunità che poteva inaspettatamente offrire la paternità di un trattato dalla discreta fortuna; mi
sarebbe però costato molto lasciare quella cara donna la quale aveva deciso, molti anni prima, di
dedicarsi interamente alla cura di un genitore difficile e bizzarro come me. Kristina mi aveva
incoraggiato a partire e si era subito offerta di restare per prendersi cura della grande casa fredda e vuota,
stretta tra le betulle, il prato erboso ed il fiume: fu con grande riluttanza che mi decisi ad abbandonarla
per chissà quanto tempo, ma la curiosità dello scienziato ed anche quella dell'uomo finalmente mi
travolsero. Solo Dio poteva sapere di quanta gioia mi stessi privando, separandomi da lei.
Il viaggio attraverso il Mare del Nord fu inaspettatamente tranquillo: lo steamer navigò non lontano
dalle coste dello Jylland e della Frisia, fendendo veloce le acque verdastre senza che alcun avvenimento
rimarchevole venisse a turbarci e la mia mente potè concentrarsi sulla destinazione di quella traversata
senza distrazioni di sorta. Il mare si fece bizzoso quando ci trovavamo già sulla Manica e lo scalo a
Southampton fu considerato davvero provvidenziale.
Non scesi a terra, ma incaricai un giovane ufficiale di bordo, Rennison, di acquistare per me alcuni
volumi; egli accettò di buon grado dopo che, durante alcune brevi conversazioni serali, scoprii in lui un
amante ed un intenditore di libri e gli affidai con fiducia l'incarico di procurarmi qualche guida che mi
potesse iniziare agli usi, ai costumi ed alla geografia dell'Irlanda. Non amo arrivare in un paese nuovo
ignorandone completamente i tratti salienti, soprattutto perché questo può serbare sorprese sgradevoli. Il
sole splendeva freddo sulle onde grigie del porto e cullava l'attesa impaziente di un vecchio stanco che
stava tornando lentamente agli interessi della vita, chiamato ad un destino remoto; quella sera, mentre la
Nordfisk rollava ormai al largo della Cornovaglia, consumai la mia cena con una fretta inusuale e mi
rinchiusi nella mia cabina subito dopo, con l'intenzione di immergermi nella lettura di quei quattro o
cinque libri che giacevano sparsi sul letto.
Un paio illustravano pittoreschi appunti di viaggio in carrozzone attraverso le campagne
straordinariamente verdi dell'isola, dalle colline dolci e umide, fra anse di fiumi ampi, laghi dalle
magiche brume che rievocavano il mito di Avalon e lungo coste alte e rocciose tormentate dai marosi; un
altro raccontava della curiosa lingua locale, il gaelico e del carattere rustico ma ricco di fantasia degli
isolani, del loro modo di vivere come semplici pastori, contadini o pescatori, della loro cucina essenziale
e delle loro graziose abitazioni dai tetti ricoperti di paglia, che, a giudicare dalle illustrazioni, erano in
perfetta armonia con l'ambiente circostante. Un quarto descriveva con precisione la storia e la geografia
del paese: narrava gli eventi leggendari dell'epoca celtica e passava ben presto alle lotte sanguinose
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contro gli invasori vichinghi dapprima, poi contro gli inglesi - e questi ultimi, come ben si sa, vi restano
padroni a tutt'oggi; ma l'ultimo mi sorprese non poco: fino a quel tempo io ero stato un uomo razionale,
proprio perché avevo dedicato la mia vita al rigore del metodo scientifico di tipo assolutamente induttivo
e sfogliare un libro che trattava delle più improbabili superstizioni popolari di quei luoghi riusciva a
trasmettermi soltanto un senso di repulsione inconscia. Fu tuttavia l'edizione pregevole, senz'altro antica,
ad affascinarmi: un bel marocchino scuro caricato con un elegante giglio stilizzato, per niente sciupato
nonostante dimostrasse ben oltre cinque generazioni di esistenza, si apriva su un frontespizio ornato da
preziose incisioni floreali con capitelli e colonne avviluppati da festoni d'edera antica e riportava la
seguente dicitura: "Di come Messer Edoardo Kelly ebbe modo di incontrare le fate ed altre chimere
meravigliose durante la Sua visita alla terra di Hibernia" e più sotto "Londra, MDCXX". Alla fine non
potei che soffermarmi a lungo su quelle pagine: i fogli di cartapecora ben conservata mostravano disegni
rinascimentali di esseri grotteschi, cavalli redivivi che trascinavano i malcapitati cavalieri verso
galoppate mortali, esseri dalle sembianze femminili che venivano a funestare le famiglie annunciando
una morte imminente, gatti che ritornavano ad infestare in forme di fiere gigantesche i luoghi frequentati
da vivi. Edward Kelly! Ricordavo bene che egli era stato il ruffiano di John Dee, negromante ciarlatano
alla corte di Elisabetta Tudor! Si presumeva che i due evocassero le ombre dell'aldilà per trarre auspici
favorevoli alla sovrana. Come si poteva prestar fede ad opere simili o, peggio, stamparle? Scagliai il libro
in un angolo della cabina e, prima di coricarmi, mi riproposi di fare un appunto al mio giovane amico, il
mattino seguente.
Mi ritrovai in una valletta buia, dove la luna delineava ombre vaghe di cespugli.
Enorme, stupì la sagoma slanciata di un rudere molto antico: preda di un'emozione piacevolissima,
tentai di muovere un passo verso quella vaga costruzione ma non mi riuscì a causa d'una paura del buio
a me prima sconosciuta; percepii soltanto una leggera ventata fresca sul viso, sebbene nessuna brezza
soffiasse. Portai le mani alle guance ed una grossa farfalla urtò in volo la mia fronte, ma rimbalzò via
subito, scagliata dalla forza delle sue stesse ali nervosissime: per un attimo la luce della luna la illuminò
per intero: un'eleganza che ne cancellava la mole e ne faceva un'enigmatica, impareggiabile venustà
aerea; si mimetizzò quasi immediatamente fra i rami di quello che supposi essere un biancospino basso.
Inconsciamente, mi tuffai quasi su quella massa buia e, con mio grande orrore, la vidi scartarmi con
abilità felina e senza un fruscio: atterrai malamente sul prato che, per mia fortuna, non presentava alcuna
asperità ma mi ritrovai in piedi, come un animale guidato da un istinto misterioso. Mille falene
producevano un suono indescrivibile che nasceva nella mia stessa mente mentre davanti a me scorgevo
appena i lineamenti di una Afrodite candida e vestita di broccati dalle stoffe e dalle lavorazioni tra le più
rare e preziose: un dardo di sensazioni appassionate mi trapassò il ventre a quella vista, quando un
lamento modulato e disumano come la voce del mare richiamò con veemenza la mia attenzione alle
spalle: mi girai, colmo d'ira, ma strabuzzai gli occhi in quella specie di delirio da mangiatore d'oppio ed
ebbi il tempo di lanciarmi rapidamente da un lato, mentre qualcosa di enorme mi guatava, il corpo
raccolto, pronto a spiccare un balzo per attaccare.
L'aria fredda e umida della notte sul mare aperto s'insinuava attraverso l'oblò spalancato della mia
cabina: io mi ritrovai steso sul pavimento di legno, impacciato dal lenzuolo mentre mi tastavo il capo
contuso quando qualcuno bussò concitatamente alla porta. Fu un grande sforzo per me riuscire ad alzarmi
e raggiungere la maniglia: ero completamente indolenzito. Davanti a me stava il giovane secondo
Rennison con una espressione di visibile preoccupazione sul viso: "State bene, Professore? Mi sono
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permesso di svegliarvi nel cuore della notte per via di quell'urlo..."
"Sto benissimo, giovane amico, e vi ringrazio per la vostra premura" risposi prontamente mentre
realizzavo di essere stato la vittima d'un incubo molto realistico, "piuttosto, voi non dovreste sottoporre
letture soprannaturali ad un vecchio positivista come me, caro Rennison! A quanto pare il vostro libro
sulle superstizioni irlandesi si è dimostrato davvero indigesto per una mente ormai irrigidita come la
mia!"
Rennison replicò con un velo di perplessità nella voce: "Ma... non ho desiderato altro che soddisfare la
vostra richiesta di documentarvi sull'Irlanda! All'Old Monk's Bookshop ho trovato quattro libri a mio
giudizio interessanti e nessuno che trattasse di argomenti soprannaturali: non certo un genere che io
conosca! Ha qualcosa a che fare con l'aldilà, vero Professore?"
Per tutta risposta gli mostrai il misterioso volume mentre mi massaggiavo il capo dolorante. Il giovane
fu alquanto sorpreso e negò di averlo mai visto prima.
"E' molto strano" furono le uniche parole che mi riuscì di proferire prima di congedare l'ufficiale in
maniera piuttosto brusca. Per un attimo i miei pensieri si erano distolti dalla meta del mio viaggio per
vagare sulle distese di un mondo onirico che mi era appena riuscito di intravedere.
Il trotto dei cavalli spezzava il tedio di un viaggio fra le tenebre ed era accompagnato di tanto in tanto
da potenti folate di vento e spruzzi di pioggia copiosa. Non mi riusciva di scorgere la campagna intorno
alla carrozza data l'ora tarda e quel frangente di attesa favoriva un'accozzaglia di emozioni indefinibili.
La carrozza virò e rallentò fino a fermarsi: misi una mano sul mio cappello e mi sporsi. Dietro alla
cortina di pioggia intravidi le finestre illuminate di un palazzo squadrato; finalmente ero arrivato a
Fernhill Homestead.
All'improvviso si aprì il portone centrale ed apparve sull'uscio la figura di un uomo imponente che
scese in fretta le scale e mi volò incontro nonostante la tempesta al grido di "Finalmente!" Era proprio la
voce del vecchio Graham che mi accoglieva.
Mi strinse d'una stretta tanto energica che questa mi parve il richiamo disperato di un naufrago che si
appigli alla tavola d'un relitto in mezzo all'oceano: una reazione piuttosto esagerata, pensai. "Graham
Johnston!" dissi per liberarmi da quella situazione piuttosto imbarazzante, mentre la pioggia mi colava
già lungo il cilindro dallo spolverino e fino alle scarpe, "Himmel! Perché tutto questo mistero, e quel
tono formale della tua lettera, gamle vaen?" Non mi lasciò il tempo di aggiungere altro, né di ricevere
risposta a questa domanda e mi avrebbe trascinato nel grande cottage tenendomi sottobraccio, se non lo
avessi seguito spontaneamente e volentieri. Nell'atrio piuttosto raccolto mi colpì subito il fatto che tutto
rispondesse quasi perfettamente alle doviziose descrizioni di un tipico interno irlandese e che, in
generale, si immaginano tanto ideali quanto difficilmente reperibili nella realtà. L'arredamento era sobrio
e funzionale: c'erano pochi mobili, ma di qualità, a giudicare dal buon legno. Notai con gioia il
rassicurante contrasto tra l'ambiente interno, caldo e protettivo, e l'esterno, dal sibilo sardonico delle
intemperie, molto diverso da quello del mio glaciale paese; ripensavo alla nostra isola di Gotland dove la
forza dei venti baltici modella meravigliosamente le rocce: ma mi dovevo sforzare, e non mi riuscì
comunque di trovare il giusto paragone tra una regione a me familiare e questa.
Subito un uomo con vistosi favoriti neri, smilzo, non troppo alto e che si era già occupato del mio
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bagaglio, mi aiutò a togliere spolverino, cappotto, cappello e giacca mentre il mio ospite mi condusse
nell'ampio salone che si apriva sulla nostra destra: Graham mi invitò ad accomodarmi in un'alta poltrona
rivestita d'una stoffa ingentilita da ricchi motivi floreali che era rivolta verso un grande caminetto
incorniciato da begli stucchi classici; poi si sedette di fronte a me, al crepitio del focolare dove ardeva
lentamente un grosso ciocco. Nell'intera stanza, immersa in una penombra dagli effimeri bagliori
rossastri, venivano continuamente proiettate le ombre inquiete degli arbusti che fremevano, come protesi
verso la casa, alla ricerca d'un tranquillo rifugio.
"Cornelius!" fu tutto quello che gli riuscì di dire dapprima, ed io notai un uomo profondamente
cambiato: non troppo appesantito dagli anni, si era tuttavia incanutito in maniera evidente; profonde
rughe sull'espressione cascante, tipica del depresso, denotavano il precoce travaglio causato da un dolore
non lontano nel tempo. Ma, più d'ogni altra cosa, capii che il mio antico compagno di stanza inglese
necessitava del conforto di una vecchia compagnia per poter sopravvivere; la farfalla non era forse
null'altro che un pretesto per attirarmi in Irlanda? Oppure esisteva veramente? Ero un pò frastornato dal
viaggio e mi trovai con una tazza di tè fumante in mano, senza rendermi bene conto di chi l'avesse
servita. Bevvi, assaporando il calore dell'esotica bevanda e fissai Graham con uno sguardo interrogativo,
attendendo che continuasse a parlare.
"E' davvero qualcosa di incredibile" disse con visibile emozione e tralasciando di farmi le cortesi
domande di circostanza, peraltro ben giustificabili nel caso di due persone che non si frequentino da anni;
quindi proseguì, dopo aver preso fiato con foga "come avrai letto nella lettera!" In contrasto con la forma
usata nel suo messaggio mi dava del tu, in maniera tipicamente anglosassone, "Una colonia di farfalle
mai viste, all'antico mastio! Hai fatto bene a partire secondo il mio consiglio." disse fregandosi le mani,
"Ci sarà da lavorare sodo e presto, in nome della Scienza!"
Deluso, pensai di avere a che fare con un uomo esausto o, peggio, con un pazzo. Si alzò di scatto, e,
guardandomi con occhi fissi che quasi gli trasbordavano dalle orbite, continuò, la fronte imperlata per il
sudore: "Ancora ieri notte sono stato lì, sotto la pioggia battente e le ho riviste!" Lo fissai incredulo,
rannicchiato nella poltrona, la tazza semivuota appoggiata su di un soffice tappeto color salmone ai miei
piedi, mentre si sporgeva sul mio capo con tutto l'impeto che lo spingeva a parlare quasi come in preda
ad una febbre delirante. Adesso potevo confermare a me stesso la ragione per cui Johnston mi aveva
richiamato a sé: follia! Sposatosi per conformismo, come egli stesso aveva ammesso nel suo racconto, o
peggio, per egoistico interesse, ma mai per amore, aveva finito per affezionarsi alla moglie, con il
tempo: null'altro. E la punizione divina aveva steso la sua mano su di lui per privare la debolezza della
sua carne umana d'un piacere assaporato troppo tardi e suo malgrado, pertanto indegnamente!
Abbandonato a se stesso, inutile dopo la perdita della consorte, non gli era rimasto che riflettere sulla
propria colpa. E i fatti dimostravano come non fosse riuscito a reggere.
Mi feci forza e replicai calmo: "Amico mio, farfalle? Con un simile tempo da lupi? E a sciami, per di
più?"
"Sì!" replicò digrignando i denti e agitando il pugno davanti a me "Sì. Ne dubiti? Perché tu?" Disse
con un tono singhiozzante e nascondendo il volto con un braccio, come un fanciullo che cerchi di
ripararsi invano dalle busse. Poi vacillò e cadde a terra, all'indietro, esausto: mi alzai subito, sentendomi
sorpreso ed inoltre colpevole di aver scatenato quella reazione accesa, inaspettata, con tutte le spiacevoli
conseguenze. Mi avvicinai svelto a lui per prestargli soccorso. Sapevo che l'irlandese era un popolo dai
sentimenti violenti e passionali e pensai che il mio amico doveva averne assimilato alcuni tratti peculiari
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in tutti quegli anni.
"Non si turbi, Professore" disse alle mie spalle una voce di donna priva di particolare emozione,
"succede spesso ultimamente. Il signor Johnston è provato dalle sue bizzarre veglie al vecchio castello e
ci è sempre più difficile curarlo ed accudirlo appropriatamente. Purtroppo il calesse del dottor O'Connell
si vede molto spesso, qui, a Fernhill Homestead. Sono mesi che va avanti in questo modo: e non faceva
che parlare concitatamente di quelle strane farfalle e del suo arrivo". Mi volsi e vidi una donna di circa
sessant'anni, ben eretta e asciutta, dalle guance rugose, incavate, i capelli grigi raccolti sul capo, che
muoveva decisa in un austero abito grigio verso Graham, tenendo in mano un flacone. "Mi chiamo
Muldoon, e sono la governante del padrone di casa". Aggiunse mentre avvicinava la boccetta alle narici
dello svenuto con una mano, mentre con l'altra gli sollevava leggermente il capo, sostenendogli la nuca.
"Brian, la pezzuola." Con sorpresa mi trovai accanto la figura muta ed apatica, quasi rassegnata, dello
smilzo che reggeva una pezzuola umida e che porse subito alla governante; questa, con palese distacco,
forse causato dall'abitudine a situazioni simili, la appoggiò sulla fronte di Graham.
Il mio amico si riebbe quasi subito, farfugliando e tossendo al forte aroma dei sali e lasciò che Brian
lo sorreggesse a fatica verso la scala, mentre la spigolosa figura della governante dirigeva davanti a loro.
Ella si voltò di scatto, reggendosi alla balaustra, e si rivolse a me con un tono enfatico: "La camera degli
ospiti destinata a lei, Professore, si trova al secondo piano: la prima porta alla sua destra, dirimpetto alla
sommità della scala. Buonanotte. Spero che il suo soggiorno qui sia tanto breve quanto piacevole, sir".
Rimasi solo per un poco, in fondo alla scala, con lo sguardo rivolto verso i ritratti antichi che
troneggiavano dappertutto sulle pareti, succube di un silenzio infestato dal brusio delle fiamme nel
camino, dal rombo dei tuoni che ormai si stavano allontanando e dal pesante ticchettio di un vetusto
orologio a piede: questo pareva squadrarmi, da una nicchia opposta all'entrata principale, come un
guardiano sinistro che si preparasse ad uscire da quell'insolita garitta per acciuffarmi. Fui colto da una
sensazione di disagio e salii subito: ma non ero giunto neppure al pianerottolo che subito un'altra
sensazione - questa molto più forte per il cuore - mi avviluppò completamente, fino ad ottenebrarmi il
cervello; confesso con vivo imbarazzo che quasi venni meno e dovetti richiamare tutto il mio
autocontrollo di freddo uomo di scienza per reggermi in piedi. La bellissima dama del sogno fatto a
bordo della Nordfisk mi stava di fronte, inquadrata in un ritratto così realistico da farla sembrare in piena
vita! Mi riebbi subito e pensai ad un caso di déjà-vu, sebbene questa spiegazione mi paresse non poco
debole; quindi mi avvicinai, pensando ad esaminare meglio il dipinto: esso raffigurava senz'ombra di
dubbio una nobildonna nel fiore della gioventù, dal portamento e dallo sguardo fieri, per nulla altezzosa
nell'aspetto: pensai che il pittore era stato abilissimo a riprodurre il vero, poiché non mi riuscì di
percepire con l'occhio la trama della tela; soprattutto, fui colpito da quella carnagione fresca e rosea, dal
vivido vermiglio di quelle labbra che, dolcemente arcuate, esprimevano una sensuale dolcezza e fragilità
le quali risvegliarono in me la brevissima seppur piacevole sensazione vissuta nell'incubo sulla nave. I
suoi capelli erano una fiaccola prigioniera di una reticella d'oro, e tutto pareva risplendere genuinamente,
come i suoi occhi bruni e profondi che paragonai a pozzi cosmici: il mio raziocinio venne potentemente
minacciato quando notai i medesimi abiti preziosi che avevo già visto. Non sussistevano dubbi di sorta:
la mia teoria del déjà-vu si era sgretolata! Ma doveva pur esserci una spiegazione accettabile per la mente
umana e giurai a me stesso che l'avrei trovata.
Mi ritrovai al normale livello d'attenzione tipico dello stato di veglia e stavo per riprendere a salire,
quando percepii chiaramente un flebile respiro di chi inspiri maggiore aria del solito: mi bloccai,
girandomi e rigirandomi ai lati, ma naturalmente non mi riuscì di scorgere nessuno. Avrei potuto giurare
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che fosse provenuto dalla parete alla quale era appeso il ritratto. Ero davvero solo, sebbene in quella
venissi smentito dal rumore di una porta che si chiudeva con leggerezza al piano di sopra: poi qualcuno
scivolò lungo il corridoio, verso la scala e presto vidi la governante che mi fissava dall'alto al basso,
piena d'uno sguardo interrogativo, in attesa di una plausibile spiegazione: "A quanto pare il viaggio non è
stato molto faticoso per lei," insinuò con una vena apparentemente rispettosa, ma in realtà carica d'ironia
risentita, "sono appena passate le due, ed io le consiglierei di riposarsi perché domani avrà una giornata
piuttosto lunga".
"La ringrazio per la sua premura, Mrs. Muldoon", replicai sicuro, sebbene mi sentissi lo sguardo
colpevole di un monello colto a rubare nella dispensa, "ma poche ore di sonno sono di solito sufficienti
ad un mio pieno ristoro; sa," aggiunsi per alleggerire quell'atmosfera greve "il gelo della Svezia non
permette di essere sonnacchiosi. Piuttosto," mi voltai verso la parete con un cenno della mano "stavo
osservando questo dipinto di indubbio interesse e a mio parere finissimo..."
"Ms. Muldoon," precisò. "Non mi dica che lei è un intenditore d'arte, perché" abbassò ulteriormente la
voce sporgendosi in avanti sul collo, come un uccello petulante e strizzò gli occhi, aggrottando la fronte,
"Quello non ha alcun valore artistico!" gracchiò. "Troppo freddo, privo di un moto interiore dell'artista
per essere apprezzabile! E' semplicemente il ritratto di una bella antenata della povera signora defunta!"
"Vedo che lei è un'intenditrice. Comunque buonanotte, signorina..." feci per interrompere il dialogo, e
salii fino a passarle oltre; ma venni nuovamente interrotto dal suo tono inquisitorio: "Dica, Professor
Persson: lei si interessa alle manifestazioni medianiche come la signorina Estella Wolfe, per caso?"
"Manifestazioni medianiche? Per nulla!" dissi sorpreso, girando lievemente la testa sul collo per
rivolgermi a quella sussiegosa interlocutrice: "Inoltre arrivo per la prima volta in questo paese proprio
oggi e non penso di aver avuto il tempo materiale, né il piacere, di sentire parlare di questa signorina
Estella se non da lei, adesso, né tantomeno di incontrarla: questo è certo!" replicai con sicurezza.
"Oh, non sarebbe necessario tutto ciò per conoscerla!" rispose seccamente, "Lei ha viaggiato
abbastanza ed ha visitato anche la Scandinavia poco tempo fa. Sa, lei è un'americana!" sussurrò
avvicinandosi al mio orecchio.
"Confesso di non capire", dissi scuotendo il capo. "Sarò indiscreto a chiederle di spiegarmi meglio chi
sia questa donna?" sottolineai alzando la voce, piuttosto irritato e confuso.
La governante mi fissò con un sorriso di superiorità appena accennato sul viso, poi concluse con le
braccia conserte: "Lei dev'essere davvero molto stanco, professore: forse sbaglia a pensare che poche ore
di sonno le siano sufficienti per ristorarsi. Non tema: domani stesso avrà il piacere di conoscere Estella
Wolfe personalmente. Buonanotte." e si allontanò. Era una donna molto acida ed alquanto curiosa.
Il mattino seguente un sole materno accarezzò il mio viso attraverso la finestra e mi calò dolcemente
in un risveglio che profumava del trionfo assoluto della vita sulle tenebre. Scostando i tendaggi potei
assicurarmi che la tempesta era cessata davvero. Ai miei occhi stupiti si svelava un paesaggio degno dei
migliori soggetti di Reynolds: dolcissime ondulazioni verdi erano pennellate qua e là con macchie scure che indovinavo essere alberi maestosi - punteggiate da minuscole conche le quali riproducevano
perfettamente l'intera serenità celeste del cielo.
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Avevo dormito benissimo, nonostante il lamento delle intemperie ed al mio risveglio ero pronto ad
affrontare una giornata che immaginavo certo singolare. Scesi dabbasso dove trovai un Graham
apparentemente rigenerato, come ebbro della manna solare suggerita dallo splendido mattino. Tutto in lui
appariva positivo, dalla capigliatura al colorito vivo, dall'espressione lucida alla posa decisa che
assumeva, composto sulla propria sedia mentre consumava i resti di una forte colazione.
"Hai un robusto appetito, Graham" esordii spezzando la pace di cinguettii lontani "e me ne
compiaccio".
"Ma ho molta più fretta, amico mio! Buon giorno! E spero che un vero breakfast britannico possa
completare in te l'opera di fascinazione che questa terra esercita su ogni forestiero! E' successo anche a
me!" Tutto il suo entusiasmo confermava le mie prime impressioni.
"Per essere maggiormente precisi c'è un dipinto in questa casa che mi ha colpito profondamente".
"Via, la mia farfalla ti stupirà in maniera insuperabile e su questo punto non ammetto discussioni!
Avevo appunto accennato alla mia fretta perché stiamo per recarci alle rovine e non sarà una breve
passeggiata né piacevole, per via del fango!"
Mi ritrovai poco dopo a tenergli dietro, non senza fatica, lungo il sentiero che partiva dal parco,
mentre egli canticchiava, ansimava, guardava attorno a sè entusiasta, incespicando regolarmente ad ogni
miglio mentre mi esortava a procedere spedito. Il suo delirio pareva riaffiorare a mano a mano che ci
inoltravamo nella bellezza selvaggia di querce e tassi secolari, intercalata dai richiami oscuri d'una
moltitudine di animali selvatici, celata tra le spesse macchie dei cespugli che ci sovrastavano. Dopo un
paio d'ore di questa marcia forzata ed incerta, l'oscurità del bosco venne improvvisamente squarciata e mi
ritrovai in cima ad un promontorio spoglio e dolce, in mezzo al quale si notavano i resti di un poderoso
muro di cinta e, circondato da questo, il rudere d'un mastio cilindrico. Tra noi e quello che indovinai
essere l'antico castello notai una distesa di felci e arbusti prostrati dal vento costante. Mentre ci
avvicinavamo in silenzio, l'unico suono udibile era ancora quello prodotto dai nostri stivali che
continuavano a sprofondare nel terreno.
"Ecco!" ansimò Graham con visibile emozione, "Erano qui, dappertutto!" E cominciò a vorticare su se
stesso, a braccia aperte, gli occhi rivolti al cielo. Temetti che sarebbe caduto nuovamente vittima della
sua alterazione mentale e fantasticai brevemente su una fortunosa marcia di ritorno, dove io immaginavo
me stesso sorreggere a fatica quel poveretto, privo di coscienza, fino a Fernhill Homestead.
Un'osservazione attenta dell'ambiente circostante riconfermò la mia radicata convinzione
dell'inverosimilità di quanto Graham aveva sostenuto a riguardo delle falene. Tuttavia non trovai il
coraggio necessario per replicare negativamente, paralizzato dal suo sguardo implorante, ancora di un
bambino rievocato all'improvviso nei suoi occhi e che adesso pretendeva da me un'assoluta
rassicurazione paterna riguardo ai propri timori. "Graham, questo desolato dominio dei venti gelidi sulle
macerie della storia mi opprime il cuore. Ti prego, rincasiamo. Parleremo al ritorno". Queste furono le
poche parole che riuscii a pronunciare, quasi balbettando.
"Hai ragione, amico mio! E' il mistero, più dell'inclemenza del nostro clima, che può sconvolgere uno
straniero, soprattutto se arriva dal paese degli orsi bianchi, non è così? Rincasiamo pure: il tragitto sarà
più duro al ritorno per via della stanchezza ed è indubbio che si ragiona meglio davanti ad una buona
tazza di tè fumante, perbacco!" replicò il mio amico con un bagliore estatico negli occhi.
Per la prima volta avevo paura. La marcia di ritorno pareva interminabile e, quando giungemmo in
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vista del viottolo che conduceva al parco, il crepuscolo era stato anticipato da pesanti nembi che
minacciavano un'altra tempesta. Riuscii a malapena ad intravedere la sagoma d'uno scudo araldico che
oscillava con strepiti rugginosi dal grande ramo frondoso di un rovere altissimo: il cimiero tradiva i
contorni dell'ala membranosa di un pipistrello protesa verso il cielo. Incuriosito, chiesi a Graham
l'origine di quel blasone, che a tutta prima mi guardai bene dal definire inquietante ed egli mi spiegò di
come quello fosse lo stemma araldico dei Brannan, la famiglia della sua povera moglie, Fanny, mutato in
quella guisa per volontà di re Enrico VIII in seguito ad episodi d'intolleranza nei confronti
dell'imposizione dello scisma in Irlanda. Durante i moti, il sovrano giunse a far accusare gli irreprensibili
Brannan dapprima di papismo, quindi di stregoneria: la tenuta venne messa a ferro e fuoco e razziata
mentre nel contado si consumarono atroci violenze e fu proprio in quell'occasione che l'antico castello
venne devastato e mai più ricostruito, mentre i pochi superstiti della schiatta vennero imprigionati nella
capitale; pochi anni dopo vennero riabilitati mercé l'abiura e riuscirono ad inserirsi nel tessuto sociale
della vita londinese. Fu dopo due secoli di vicissitudini che le sorti della famiglia si risollevarono per
mezzo di cospicue fortune realizzate con il commercio di materie prime dalla Virginia verso la
madrepatria: tuttavia, inquieti per l'instabilità del clima politico, i Brannan fecero ritorno nell'isola avita
proprio mentre la rivoluzione americana stava per esplodere e qui, non lontano dai luoghi antichi, il
nonno di sua moglie edificò la nuova magione. M'incuriosì ascoltare ancora Graham che spiegava di
come per secoli la famiglia avesse implorato i vari sovrani che si avvicendavano sul trono di riabilitare
l'antico blasone di famiglia, ma invano: quel marchio sinistro era sempre rimasto, inattaccabile. Io non
potei trattenermi dallo stupirmi ancora, ricordando quanto simili inconsistenti superstizioni potessero
tramutarsi in reali sventure lungo il cammino di tante esistenze e sentii la rabbia impotente di uno
scienziato, cosciente di non saper risalire il tempo per rimettere ordine in tutto quel grave dissesto
morale. Era impossibile fare qualcosa! Mentre osservavo la rigida, sottile sagoma di Ms. Muldoon che si
stagliava in nostra attesa, come l'ombra della realtà oscura in netto contrasto con il bagliore dell'uscio
spalancato, mi sentii preda d'un vago sentimento di rassicurazione suggerito dall'incombente atmosfera
perversa di cui percepivo adesso il complesso e fine meccanismo che si stava stringendo intorno a me: mi
ero appena reso conto di essere prigioniero quando questa coscienza mi fece ripiombare all'improvviso
nella memoria dell'incubo occorsomi a bordo della nave: quelle 'cose' che frusciavano nel buio...
l'agguato... cosa mai significava quel turbinio di sensazioni sgradevolmente sconvolgenti?
"Cominciavo ad essere molto preoccupata che non sareste rientrato prima della pioggia, sir". Disse la
governante.
"E' tutto a posto Ms. Muldoon. Piuttosto: abbiamo ricevuto visite, oggi?"
"Certamente: verso mezzogiorno è passato il dottore per salutarvi. Mi ha ricordato che sarebbe stato
puntuale per il tè di questa sera: adesso è qui, con Miss Wolfe".
"Anche Miss Estella è arrivata. Perfetto! In tempo per il tè ed anche per la seduta", disse con una
strizzata d'occhi indirizzata a me: il silenzio si era impadronito della mia mente, vincendo la mia enorme
curiosità, perciò non riuscii a chiedere di quale tipo di seduta si trattasse. Entrati, ci togliemmo gli
spolverini ingombranti e ci ritirammo per metterci in libertà prima della cena.
Le presentazioni scivolarono veloci mentre la cena che seguì fu stranamente priva di argomenti. Il
suono delle posate con cui urtai inavvertitamente il piatto un paio di volte risuonarono nella profondità
della sala da pranzo, dove la gravità del silenzio pareva ammantare ogni cosa. Il dottore era un signore
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ormai sulla settantina a giudicare dal suo aspetto - emaciato, le rughe come petroglifi su quel viso che
appariva lievemente corrucciato dal sussiego - risucchiato com'era da quell'atmosfera priva di segnali
d'umanità, si faceva comparsa d'un inedito pezzo teatrale; Miss Wolfe, una minuta giovane dai capelli e
dagli occhi scuri in un abito bianco dai candidi pizzi, incontrò brevemente il mio sguardo e parve tentare
di risucchiarlo a sè con l'accenno di un sorriso penetrante - misterioso quanto un cartiglio geroglifico ed io non potei fare a meno di associarne l'immagine con quella di un colubro il quale stia tentando
d'ipnotizzare la preda. Il mio ospite consumò la sua cena con nervosismo, presago di ciò che la mia
mente non avrebbe potuto neppure sfiorare ed io mi sentii ben presto escluso in mezzo a una misteriosa
cricca di adepti dall'atteggiamento complice, quasi che io ne fossi stato la vittima sacrificale designata.
Confesso che non mi sentii assolutamente a mio agio dopo un pò e ricordo che desiderai ardentemente
che quel consesso avesse termine. All'improvviso la voce di Graham lacerò l'incanto: "Bene, è tempo di
passare alla biblioteca, signori!" Un forte scoppio di tuono ci colse impreparati ed annunciò lo scroscio
della nuova pioggia che seguì.
Nella biblioteca, sommersa dai libri consumati dal tempo e da altissime piante annerite - indovinai - da
lunghi pomeriggi pieni del fumo di una pipa o di un sigaro, ci attendeva un tavolino rotondo, a tre gambe
che mi lasciò individuare il tipo di esperienza al quale stavo andando incontro - qualcosa di
profondamente contrario ai miei principi - e dal quale soltanto l'educazione verso i presenti non mi
permetteva di esimermi. Talvolta avevo letto distrattamente dei dubbi esperimenti con le 'turning tables'
che da qualche decennio imperversavano soprattutto in America e che erano infine approdati anche in
Inghilterra: pensai che sarebbe stata un'esperienza interessante assistere - mio malgrado - ad un esempio
di ciarlatana esibizione d'una qualche personalità nevrotica in cerca di affermazione, ma dentro di me
fremevo al solo pensiero di come il mio fragile ospite avrebbe potuto essere vittima di tanta malafede.
Comunque in cuor mio decisi che al momento opportuno non avrei esitato ad interrompere una simile
messinscena, se ce ne fosse stato bisogno. E pensai che senz'altro ci sarebbe stato bisogno di un mio
intervento.
Fu poco dopo che mi ritrovai seduto tra Graham e il dottore, mentre Miss Wolfe, di fronte a me,
sembrava guardare qualcosa che si trovasse oltre le mie spalle di una fissità che iniziava a preoccuparmi
per quanto mi appariva ignota. Avvertii il fruscio di un abito lungo dietro di me, subito seguito da una
lieve corrente d'aria fredda ed io mi voltai di scatto, con l'istintività dell'animale braccato che fiuti il
pericolo a pochi palmi dalla propria coda; non potei fare a meno di tirare un sospiro di sollievo nel
vedere Ms. Muldoon che si avvicinava alle lampade della stanza per abbassare le luci: quel sinistro
ectoplasma si muoveva scivolando davanti alle bacheche alte e zeppe di libri severi simile ad
un'inquietante medusa che si avvicini al malcapitato naufrago con rassicurante leggerezza, emergendo
sullo sciabordio delle acque come l'improbabile caricatura della dea Venere.
"Appoggiate i polpastrelli sulla superficie del tavolo, tenendo le mani ben aperte e congiungete le dita
in una indissolubile catena: desiderate ardentemente che le anime dei nostri congiunti trapassati vengano
a questo cerchio microcosmico, richiamate da uno splendido fiore di maggio che spanda i profumi della
giovinezza eterna al di là delle barriere fisiche. Il seme che si era assopito nel torpore del suolo sbocci in
un'opera meravigliosa" scandì la voce della medium con un accento americano privo di inflessioni il
quale non mi rammentava le sconfinate praterie né le maestose opere della natura per le quali il suo
giovane paese andava famoso: c'era un che di polveroso, addirittura di tombale in quelle poche parole
che intrecciavano immagini di vita e di morte in maniera così perfetta ed indissolubile, tanto da suonare
terrificanti. Quindi quella voce atona e stantia riprese: "Sento la vibrazione vitale di un'entità che permea
la struttura del tavolo. Silenzio! Eccola tra noi!"
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La porta della biblioteca si richiuse nella penombra ed io indovinai che la governante ci avesse
abbandonati al destino della nostra inconsueta pratica. Potevo sentire la mano di Graham che fremeva
accanto alla mia quando mi parve che egli lanciasse un gemito profondo. A quel punto temetti per il suo
equilibrio e, convinto che la misura fosse ormai colma, lanciai un'esclamazione d'incredulità: "Assurdo!
Questa farsa che offende la mia moralità di scienziato positivista perlomeno abusa della buona fede del
mio ospite! Dottore, la prego di fermare questa seduta con la sua autorità di medico o lo farò io,
abbandonando questa stanza immediatamente!" Il dottore si girò meccanicamente verso di me fissandomi
con un'espressione risentita e senza proferire parola: a quel punto io mi alzai di scatto, spezzando la
catena. Graham si alzò a sua volta con una mossa fulminea lanciando quello che mi parve un ruggito
bestiale nella mia direzione: io mi feci indietro, impressionato e vidi uno strano bagliore che emanava dai
suoi occhi colmi di odio . Pietrificato, cercai di guardare meglio, ma le fioche luci si spensero d'un sol
colpo e, piombato nell'oscurità potei notare che il corpo della donna si era fatto luminescente e adesso
levitava con lentezza verso l'alto soffitto. "May-mon...may-mo...n" gemeva la medium con un filo di
voce rauca mentre quella parola misteriosa sembrava provenire da una remota scatola ermetica. Mentre
la ripeteva ossessivamente, più e più volte, mi accorsi che il suo era il timbro di voce di una donna
anziana e certo non lasciava immaginare che l'avvenente Miss Wolfe stesse pronunciando quelle parole
con le sue labbra morbide.
"Frode!" gridai e mi lanciai verso la porta: ma, afferrata la maniglia mi accorsi che era stata chiusa a
chiave, sebbene non ricordassi di aver sentito lo scatto del chiavistello quando Ms. Muldoon era uscita.
Allora mi tuffai verso i pesanti tendaggi della finestra e tentai di aprirli, ma per quanto tirassi, qualcuno o
qualcosa opponeva una resistenza tale che essi parevano sigillati. Immerso nella tenebra tastai incredulo
la superficie di velluto per cercare un varco, quando sotto alle dita sentii qualcosa d'inconfondibilmente
umano: ripassai in quel punto e con sgomento riconobbi un naso, gli incavi di due occhi... una fronte!
C'era qualcuno davanti alla finestra! Mi parve di udire un flebile respiro e feci per accostare un orecchio,
ma fui paralizzato da due labbra gelide come il marmo che si erano improvvisamente appoggiate alle mie
e subito mi sentii soffocare: tentai di divincolarmi atterrito e mi ritrovai ad annaspare inutilmente. Ebbi la
netta impressione di sentire risate inumane ed incessanti intorno a me, ma, ciò che fu peggio, riconobbi la
voce di Graham e dei suoi ospiti dentro a quei lamenti bestiali. Impotente, mi sentii mancare. Poi più
nulla.
Un altro risveglio a Fernhill Homestead mi colse profondamente disorientato, colmo di dubbi che
mettevano in discussione i miei valori più profondi, risvegliando informi masse ancestrali dall'abisso
dell'inconscio.
Sprofondato nel morbido materasso del letto ampio ed avvincente, mi lasciai baciare pigramente dalla
luce grigia del mattino senza dimostrare la minima volontà d'interrompere quel naufragio in un limbo
insospettato.
Come il cadavere che si cerca disperatamente scrutando le acque limacciose di un lago ammantato
dalle brume riaffiora all'improvviso in lontananza, accompagnando una pugnalata di orrore vibrata nel
petto, tornò alla mia mente il pensiero più concreto che qualcuno stava circuendo con abilità il povero
Graham, approfittando della sua instabilità nervosa e che indubbiamente anch'io ero stato vittima
occasionale di una messinscena ben congegnata. Fu la volontà imperiosa di indagare e smascherare
quella ciarlataneria ad agire da molla che mi rimise immediatamente in piedi, carico di nuove forze.
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Pochi minuti più tardi, dopo una frettolosa toilette, indossai la mia giacca da camera di broccato
arancio e mi affrettai a scendere, impaziente di fare luce sulla questione, quando i miei occhi
incontrarono accidentalmente il ritratto dell'antica dama: ed ancora una volta ogni sensazione che mi
aveva pervaso fino a quel momento venne completamente obliterata dalla struggente, inconfondibile
malìa che sapeva circuire tutti i miei sensi sfidando ogni appello alla ragione.
Andai a sedermi quasi senza rendermene conto di fronte al mio ospite, senza una parola e morsi un
croissant con l'animo colmo di sconforto: la medium era là, al suo fianco e, stringendogli la mano con la
premura di una complice, mi fissava con gli occhi increduli di chi guarda con pietà mista a disprezzo.
Quello era il momento per dire tutto quello che pensavo in realtà: presi un grande respiro e, quasi come
un bambino che stia per singhiozzare, parlai: "Graham" dissi "... Graham..."
"Ebbene?" m'interruppe egli con un tono esasperatamente carico di rimprovero, come non avevo mai
udito prima dalle sue labbra e di cui non l'avrei ritenuto capace.
"...io ...preparerò i miei bagagli oggi stesso e domani partirò per Dublino, dove alloggerò in attesa del
prossimo steamer per la Scandinavia. Questo era tutto quello che volevo dirti" fu quanto mi riuscì di dire,
come se fossi stato guidato da una forza arcana che mi allontanava dai miei propositi. Dovevo
abbandonare Graham al suo destino? Ora il mio intimo mi ripeteva senza sosta di sì. La battaglia era
persa senza aver sparato un solo colpo di cannone.
Mi alzai lasciando sul tavolo la tazza di tè fumante che Ms. Muldoon aveva appena versato alle parole
di "Mr. Persson ci lascia? E' un vero peccato!" che mi sembrarono espresse con tono compiaciuto,
quando venni improvvisamente bloccato allo stipite della porta dalla voce seccata del mio ospite: "Come
desideri, Cornelius: in tal caso ci recheremo oggi stesso alle rovine per un'ultima volta. E sono convinto
che finalmente non potrai mancare di affrontare la realtà! Oggi vedrai senza dubbio il mio esemplare e
smetterai di compatirmi come se io fossi un pazzo! Tu e la tua dannata Accademia di Uppsala!" Una
folle eccitazione si era nuovamente impadronita della sua voce.
Mi voltai e replicai con decisione "Sta bene, Graham. I pazzi vanno assecondati, non è così? Il tempo
di prepararmi e sarò pronto a seguirti" trattenni a stento un fremito d'ira e mi diressi con decisione verso
il piano superiore accompagnato da un silenzio carico di disapprovazione.
Mentre mi preparavo, il mio pensiero era un agglomerato informe e contorto al quale non riusciva di
acquistare una forma coerente: a tratti, nella lotta riaffiorava alla mente l'immagine positiva e
rassicurante di Kristina che mi parlava e che, con mio immenso orrore, prendeva all'improvviso le
sembianze della dama misteriosa e mi baciava, facendomi preda inerme di un bacio dal sapore della
morte stessa. Un gusto di miele nauseabondo si mescolava al raccapricciante aroma del terriccio bagnato
ed io cercavo di ritrarmi ma, privo di forze, infine soccombevo. Spalancai la finestrella a losanghe
incorniciata dai viluppi d'una chioma di glicine che il vento scarmigliava con energia incessante in cerca
d'un barlume di realtà, ma l'aria ancora fredda di quell'estate capricciosa sembrò non essere sufficiente:
anzi, ebbi l'impressione di leggere il volto d'una fiera dalle fauci spalancate e dai denti affilatissimi nel
minaccioso vorticare dei cumulonembi che incombevano sul paesaggio, a perdita d'occhio. La richiusi in
fretta e, dopo pochi minuti, ridiscesi dabbasso.
Graham mi attendeva sul viottolo di ghiaia umida che crepitava sotto ai miei passi rapidi. Desiderai
davvero che le ultime ore del mio soggiorno in quel luogo passassero in fretta e sentivo l'impazienza
trapelare dai miei movimenti stessi. Vidi che il mio ospite portava con sé la reticella da entomologo a me
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tanto familiare e quell'oggetto ebbe il potere di rasserenarmi per un attimo: rividi in Graham lo studente
di Cambridge ansioso di bruciare nuove conoscenze sull'altare del progresso scientifico con il quale
avevo condiviso la parte formativa più importante della mia vita tanti anni prima, ma, scrutando il suo
volto, percepii chiaramente la maschera grottesca che aveva irreparabilmente eroso l'impavido giovanotto
inglese di quell'epoca spensierata.
Ci incamminammo nuovamente verso le rovine, avvolti da quel persistente silenzio che io
interpretavo ormai come un messaggio di aperta ostilità. Non pioveva, ma il tempo minacciava un
ennesimo temporale. Passammo oltre il sinistro scudo araldico della famiglia Brannan che il vento faceva
oscillare paurosamente insieme ai rami del massiccio albero al quale la catena pareva addirittura
avvinghiarsi. Mentre procedevo sprofondando nella fanghiglia, trovai la forza di rivolgere la parola al
mio ospite, mosso da una curiosità irresistibile e chiesi, a bruciapelo: "Che cosa mi è successo ieri sera,
dopo che ho perduto i sensi?" Vidi un'espressione di sorpresa dipinta sul suo volto "Che domande! Io e
Brian ti abbiamo trasportato nel tuo letto! E, credimi, hai davvero un bel peso, caro professore!"
"Tu credi ciecamente, Graham, ai poteri paranormali di quella donna, vero?" aggiunsi con tono
preoccupato. "Se credo ai poteri di Estella? Ah, allora non ti è bastato vedere e sentire? Sappi che io ho
visto e toccato la mia povera Fanny! E quando accadde il suo corpo era sceso già da lungo tempo in
quel... luogo orribile..." il suo tono era singhiozzante "Dio, perché mi tormenti in questo modo, amico
caro? Ti chiedo di restare al mio fianco e di sostenermi, almeno finché ti tratterrai: e spero che la tua
decisione di partire non sia irrevocabile".
"E' irrevocabile, Graham" dissi sommessamente, ma con una decisione che traeva origine dalla forza
della disperazione stessa "partirò domani. E preferirei non aggiungere altro al riguardo" conclusi. Quella
fu la nostra unica conversazione prima di giungere al promontorio oltre la foresta e senz'altro essa
contribuì a diradare la sensazione di forte disagio che avevo percepito dal mio risveglio in poi.
In lontananza vedevo la parte più alta del torrione in rovina squarciare la corolla di alberi antichi,
forse testimoni silenziosi della sua costruzione in tempi più felici per questi luoghi. Il passo di Graham
tentò di farsi più spedito: percepii il suo desiderio di incontrare nuovamente il raro esemplare di farfalla
come suo unico, vero interesse a tutto ciò che di reale poteva ancora trovare spazio nella sua vita
quotidiana. Provavo un'immensa pietà per quell'uomo, schiavo di un'oscura monomania: ma io non
potevo fare nulla per trarre in salvo il mio vecchio, brillante compagno di stanza! Ammesso che esistesse
ancora un anello di congiunzione tra due personalità così lontane nel tempo. Possiamo noi davvero
considerare di essere la stessa persona, a distanza di generazioni tra due episodi delle nostre vite? Le
cellule, i tessuti si rinnovano molto più rapidamente, tanto da non essere più gli stessi, dopo lungo tempo,
a sorreggere i nostri involucri. Apparenza. Tutto dev'essere fondato sull'apparenza in questo nostro
universo. Una colossale messinscena. Ma come mi è difficile credere di essere io a speculare, adesso, a
riguardo di argomenti che mi erano sempre stati così lontani, tanto da non essere mai stati degni di alcuna
mia considerazione.
All'improvviso percepii una lieve brezza fresca sul viso e mi accorsi che tutto si era fatto tenebra
intorno a me. Graham? Dov'era Graham? Cosa stava accadendo? Lo chiamai a piena voce più volte, ma
non ottenni risposta, mentre mi guardavo intorno senza scorgere nient'altro che sagome. Portai le mani
alle guance, d'istinto: la farfalla... come nel sogno... adesso ricordavo... urtò in volo la mia fronte e
rimbalzò via, scagliata dalla forza delle ali possenti. Un'improbabile luce lunare la illuminò interamente:
ma, ancora come avevo già 'visto' si mimetizzò fra i rami del biancospino. Decisi allora di affrontare il
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mio destino: mi lanciai sull'ombra enorme di fronte a me e questa, puntuale, mi scartò silenziosa. Io
ruzzolai sull'erba morbida e, nuovamente in piedi, risentii il suono che adesso potevo definire meglio:
ricordava uno sciame di cicale impazzito. Infine, come sorta da questo livido caleidoscopio, lei : la dama
misteriosa che divorava il mio cuore e la mia anima con la stessa avidità. Mi parve di leggere il caldo
bagliore dei suoi occhi per un attimo che durasse più dell'eterno. Alzai un braccio per tentare di attirarne
l'attenzione, quando sentii un miagolio selvaggio alle mie spalle: in quello sconvolgimento mi girai
appena in tempo per evitare un enorme gatto nero dagli occhi ardenti che stava spiccando un balzo nella
mia direzione. Atterrò su un'ombra più piccola: riconobbi subito dopo la voce di Graham che gridava di
dolore e lo vidi a malapena contorcersi sotto a quella fiera infernale la quale non gli lasciava tregua,
tenendolo fermo con le zampe anteriori. Aprii la bocca per urlare ma non mi riuscì: tentai allora di
correre verso l'animale senza potermi muovere. Paralizzato, sentii le forze tradirmi e poi l'oblio.
Una risata isterica saliva come un remoto gorgoglio ai miei timpani: prima debole, poi sempre più
chiara e forte, fino a strapparmi dal mio stato d'incoscienza. Era ancora giorno ed io giacevo carponi sul
prato della radura, gli occhi aperti: mi ci vollero forse un minuto o due prima di potermi rimettere in
piedi. D'istinto cercai Graham: era ferito? Che cosa gli era capitato? Oh, ancora quella folle risata!
Proveniva dai ruderi. Corsi subito in quella direzione e ritrovai il mio ospite seduto su di uno scranno di
pietra. Io presi per le spalle e lo scossi; pareva non riconoscermi. Si limitava a guardare davanti a sé, con
uno sguardo vacuo. "May...mon" sussurrava, "l'amante della dama... l'incantesimo dei folletti... il gatto...
la falena..."
Kristina Persson
Perssons Gamla Hus
Uppsala
Svezia
30 luglio 1890
"Cara figliola,
sono lieto di annunciarti il mio imminente rientro a casa. Mi rincresce sinceramente di essermi
allontanato, seppure brevemente, tanto più perché la ricerca dell'esemplare di falena così decantata dal
mio amico inglese si è rivelata totalmente infruttuosa. Ti prometto che ciò non accadrà ancora nel futuro.
Ho inoltre sofferto terribilmente per la pesantezza di un clima umido quale quello irlandese ed il
mio temperamento è stato messo a dura prova da sensazioni tanto sgradevoli quanto impossibili per me
da spiegare persino a voce, di questo sono sicuro.
Cara Kristina, la sola speranza di riabbracciarti mi ha sorretto durante questo mio malaugurato e
doloroso soggiorno che si è concluso con il ricovero del mio ospite in un ospedale psichiatrico di Dublino,
duramente provato da un delirio che lo ha perseguitato per lungo tempo. Tu certamente sai come tale
stato di sovraeccitazione mentale provochi con facilità fantasie perniciose nel subconscio umano.
Ti bacio.
Tuo padre
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E. J. Rennison
Derham House
Marine Parade
Southampton
31 luglio 1890
"Carissimo Rennison,
mi sento in dovere di scriverVi per scusarmi profondamente con Voi: sospettai ingiustamente
che mi aveste fornito il misterioso volume che oggi Vi invio insieme a questa mia.
L'Irlanda mi si è rivelata come una terra profondamente legata ai cicli della natura, ma in
maniera tanto viscerale da trascendere tutto ciò che è visibile al punto da scardinare molte mie
convinzioni maturate in decenni dedicati agli studi e confermando molto di quanto è sostenuto tra quelle
antiche pagine.
Ritengo che il libro in questione sia giunto tra le mie mani come un frutto del destino ed io,
oggi, comprendo che il destino va assecondato con estrema sensibilità. Fatene Voi buon uso da ora in
poi.
Vostro
Cornelius Persson
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