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Ugo Pirro, tra i più grandi scrittori per il cinema, è morto il 18 gennaio scorso. Firmò alcuni tra i capolavori del cinema italiano e realizzò anche un film ambientato in Sardegna.
Ovviamente, al di sopra di ogni sospetto. di Elisabetta Randaccio
Aveva anche realizzato una sceneggiatura per un film ambientato in Sardegna Ugo Pirro, uno tra i più grandi scrittori per il cinema, morto a 87 anni il 18 gennaio scorso.
Infatti, nel 1968, aveva elaborato il soggetto per Sequestro di persona di Gianfranco Mingozzi, un’opera di buona fattura in cui si possono ritrovare le caratteristiche delle storie predilette da Pirro: una struttura narrativa d’azione intersecata con uno sguardo acuto e mai banale sulla realtà sociale.
Pirro, come i suoi amici registi Elio Petri e Carlo Lizzani per cui scrisse sceneggiature notevoli, amava il cinema di genere, che, a volte, stravolgeva oppure contaminava con forti messaggi politici impregnati di ironia crudele.
Anche Sequestro di persona affronta il tema del banditismo in Sardegna con un’ottica, per l’epoca, non scontata, frutto di letture e inchieste sul tema: veniva messo in evidenza come, dietro alcuni sequestri eccellenti, si nascondevano mandanti “in
doppiopetto” interessati a sporche speculazioni economiche di vario tipo. Il cast di divi (Franco Nero, Charlotte Rampling) probabilmente non era azzeccato, ma la protagonista Cristina travolta in un intrigo grondante problemi ancestrali e drammi moderni, rimane, comunque, una bella figura femminile, un’eccezione nel cinema “maschile” di ambiente sardo.
Il capolavoro di Pirro rimane, però, Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1971) di Elio Petri, per cui vinse il suo primo Oscar. La collaborazione con Petri e con lo straordinario interprete Gian Maria Volontè portarono a un risultato perfetto, assolutamente originale nel panorama del cinema italiano.
Indagine è, nello stesso tempo, un “poliziesco” anomalo (noi spettatori sappiamo sin dalle prime sequenze chi è l’assassino), una commedia di costume - in certi momenti assai divertente -, un ironico pamphlet politico, un conte philosophique di sapore kafkiano. Sicuramente lo studioso che vuole ripercorrere le contraddizioni storico sociali e di costume dell’Italia post sessantotto può trovare nelle sequenze del film di Petri materiale su cui documentarsi e riflettere.
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Il
secondo
Oscar
lo
vince
nel
1972
con
lo
script
per
Il
giardino
dei
Finzi
Contini
di
De
Sica
tratto
dal
testo
di
Giorgio
Bassani,
un
film
sicuramente
apprezzato
più
all’estero
che
nel
nostro
paese.
Ma
Pirro,
oltre
trae il materiale per Mio figlio non sa leggere, testo assai intenso, ma il cinema diventò sfondo per un altro dei suoi libri più famosi: Celluloide. In quest’opera, contaminando documentata e vissuta realtà a un pizzico di mitologia filmica, ricostruisce l’avventurosa genesi della pellicola che cambiò la storia del cinema del dopoguerra, cioè Roma città aperta di Rossellini.
Il capolavoro del neorealismo non è raccontato semplicemente nel suo backstage ricco di aneddoti colorati sul regista geniale e sregolato, sulla protagonista capricciosa e passionale (la Magnani), sulle disavventure tecniche e economiche, ma assurge a storia simbolica di un’Italia che ebbe la necessità di mutare pagina, ridotta allo stremo, ma con una incredibile energia creativa. Celluloide è un libro accattivante anche per chi non avesse mai visto Roma città aperta. Carlo Lizzani ne trasse un film nel 1995. La frase conclusiva del testo è indicativa degli umori di Pirro nei
confronti della produzione filmica italiana di questi ultimi anni, un mondo incapace di utilizzare la sua straordinaria creatività e lucidità analitica: “Così, paisà, è cominciata la fortuna del cinema italiano, ma chi se ne ricorda?”.
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a
una
episodica
parentesi
come