Seme di misericordia Testimonianza dal Gulag

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Seme di misericordia Testimonianza dal Gulag
Seme di misericordia
Testimonianza dal Gulag
Incontro con
Nijolė Sadūnaitė, Lituana, condannata nel 1974 al lager in
Siberia
intervengono
Francesco Braschi, Dottore della Biblioteca Ambrosiana
Marta Dell’Asta, Fondazione Russia Cristiana
In occasione della publicazione del libro e Docufilm IL CIELO NEL LAGER
ed. Itaca – La Casa di Matriona
Auditorium CMC
Largo Corsia dei Servi, 4 – Milano
Mercoledì, 16 novembre 2016
Largo Corsia dei Servi, 4 - 20122 Milano
tel. 02 86455162
E-Mail [email protected]
FRANCESCO BRASCHI: Quello che subito mi è venuto in mente quando ho letto il libro che è
presentato questa sera sono state le parole di papa Francesco nella lettera Misericordiae vultus relative
a quello che si aspetta dalla conclusione dell’Anno della Misericordia. Dice: «Alla conclusione
dell’Anno della Misericordia affideremo la vita della Chiesa, l’umanità intera, il cosmo alla signoria
di Dio perché effonda la Sua misericordia come la rugiada del mattino per una feconda storia da
costruire con l’impegno di tutti nel futuro. Come desidero che gli anni a venire siano intrisi di
misericordia per andare incontro ad ogni persona. A tutti, credenti e lontani, possa giungere il balsamo
della misericordia come segno ‒ e diremmo, pensando al titolo di questo incontro, come seme – del
regno di Dio già presente in mezzo a noi». Il papa è molto chiaro, dice: «Un futuro, una storia feconda
da costruire con l’impegno di tutti», ma questi tutti sono esattamente i vicini, i credenti e i lontani ai
quali si augura «possa giungere il balsamo della misericordia come segno di un regno di Dio già
presente». Siamo veramente fuori dagli schemi, come a volte li pensiamo e li immaginiamo. La
misericordia non è qualcosa che arriva su una situazione già stabilizzata, potremmo dire su un terreno
già dissodato. No. La misericordia arriva prima e per favorire la stessa richiesta di perdono, lo stesso
riconoscimento del male. Questa attesa di papa Francesco a me sembra che, quasi in un flashback, sia
già riscontrabile nella testimonianza di Nijolė Sadūnaitė perché nell’intervista che viene riportata nel
libro dice, ricordando la sua vicenda: «La miseria che c’è qui nel lager è veramente terribile eppure
alla sera tardi mi capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato e allora dal mio cuore
si innalza sempre una voce […] e questa voce dice: “La vita è una cosa splendida e grande, più tardi
dovremo costruire un mondo completamente nuovo. A ogni nuovo crimine e orrore dovremo opporre
un nuovo pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi”. […] E se sopravvivremo
intatti a questo tempo, corpo e anima, ma soprattutto anima, senza amarezza e senza odio, allora
avremo anche il diritto di dire la nostra parola a guerra finita». È questo duplice riconoscimento, di
una vita che si afferma, che si impone, una vita che parla la bellezza di Dio anche nella situazione più
avversa; ma ancora di più di questo, c’è la convinzione e la percezione immediata che soltanto
conquistando per sé stessi dei pezzettini di amore e di bontà, soltanto a questa stregua, con questo
lavoro sarà poi possibile ricostruire il mondo senza odio, senza amarezza. Ecco oggi abbiamo una
possibilità grande e per molti di noi ‒ penso soprattutto ai più giovani ‒ inedita: è quella di scoprire
come la strada che ci sta davanti, il post Giubileo della Misericordia, in realtà ci è già donata,
possiamo incontrarla nella testimonianza di persone che già hanno vissuto questa inondazione della
misericordia e che sono dunque per noi come la testimonianza evidente che siamo in un cammino di
Chiesa che sta continuando e che attinge anche alle radici più profonde dell’esperienza del secolo
XX, questo secolo drammatico ma anche così ricco di un buon tesoro che a noi spetta di riscoprire.
Io non voglio prolungare oltre questa introduzione. Prima di lasciare la parola a Marta Dell’Asta, che
farà un’introduzione storica sul contesto lituano e su cosa è stata la dissidenza e anche la lotta per una
Chiesa libera sotto il regime comunista, pongo una domanda che poi sarà Nijolė a riprendere: come
nella sua esperienza ha incontrato e ha visto la misericordia? Sia la misericordia incontrata su di sé
sia la misericordia donata anche nell’esperienza della detenzione.
Ora appunto ci lasciamo raccontare in che contesto si colloca la sua vicenda.
MARTA DELL’ASTA: È importante, soprattutto quando si parla di Lituania, capire che Paese è,
perché se noi ascolteremo poi Nijolė vedremo la personalità esplosiva forte che la caratterizza;
dobbiamo ben capire che si è nutrita di un’atmosfera spirituale e di una cultura che l’ha resa così
com’è, con tutta la parte personale che ci ha messo, ma sicuramente la sua terra ha voluto dire
qualcosa di importante per lei.
La Lituania è stata un Paese che è arrivato per ultimo nel novero dei Pesi cristiani in Europa. È stata
cristianizzata nel 1387 ma il senso religioso che era insito in questo popolo si è incontrato con il
cristianesimo in modo molto felice. Il cristianesimo è stato assorbito e si è integrato armoniosamente
con questo suo carattere nazionale, sin dalle origini è nata una cultura cristiana molto forte e molto
ricca, corale, partecipata da tutto il popolo. Un’altra caratteristica di questo piccolissimo Paese è
quella di avere una fortissima identità nazionale, anche se nazionale è un termine moderno. Nel corso
della storia è stato unito ad altri Paesi, a lungo con la Polonia a lungo con la Russia, e questo non ha
giovato ai buoni rapporti con questi Paesi, ma ha sempre conservato una fortissima individualità. Per
quanto riguarda il XX secolo la storia della Lituania è stata tra le più drammatiche e tragiche di tutto
il continente, che pure ha visto vicende molto tragiche, perché nel 1939 viene concluso il patto
Molotov-Ribbentrop e i tre Paesi baltici vengono considerati un terreno di conquista per l’Unione
Sovietica. La conquista avverrà con il beneplacito della Germania nazista e il 15 giugno 1940
l’Armata Rossa entra in Lituania e naturalmente non entra d’amica, ma da conquistatrice, dando il
via immediatamente ad una serie di repressioni, arresti, deportazioni. La Lituania è un paese
piccolissimo aveva allora 3.200.000 abitanti, come Milano, e quindi le migliaia di arresti sono
qualcosa che ferisce duramente il Paese. Quelli che si colpisco sono naturalmente degli obiettivi
mirati, sono gli intellettuali, gli studenti, i contadini che sono poi la base cattolica più vivace e quindi
il regime sovietico ha bene in mente che vuole smantellare l’identità e l’unità e la consistenza
nazionali di questo piccolo Paese. Le vicende della guerra poi, come sappiamo, si rovesciano
completamente: nel ’41 la Germania nazista attacca e invade l’Unione Sovietica e naturalmente anche
la piccola Lituania viene invasa a sua volta, per la seconda volta nel giro praticamente di un anno.
Nel giugno del ’41 viene invasa dai nazisti e questa occupazione segue quasi le stesse modalità di
quella sovietica: altri arresti, altre deportazioni con in più gli arresti in massa degli ebrei. Vilnius era
una città, per esempio, con una grossa popolazione ebraica che viene praticamente distrutta. Quindi
una tragedia nella tragedia che non finisce però con il finire della guerra, perché quando l’armata
rossa riconquista i suoi territori e nel ’44 ritorna in Europa puntando a Berlino, rioccupa per la seconda
volta la Lituania. Siamo nel luglio del ’44. Ancora una volta questa nuova occupazione è
accompagnata da dure repressioni, ma qui avviene qualcosa di singolare: la popolazione lituana
reagisce, forma delle squadre partigiane ed incomincia una vera e propria guerra partigiana. Una
guerra partigiana che è assolutamente anomala rispetto a quello che avviene in tutti gli altri paesi
della fascia orientale d’Europa che subiscono più o meno lo stesso destino, cioè vengono occupati
dall’Armata Rossa e poi resteranno praticamente sempre in questo blocco socialista dove il
cambiamento di regime avviene secondo una sceneggiatura di tipo politico. Soltanto in due Paesi
questo non avviene e c’è una vera lotta partigiana di resistenza, sono la piccolissima Lituania e
l’Ucraina occidentale. In questi due Paesi, e questo dice molto del carattere e dello spirito di questa
gente, la certezza è che non è accettabile questo regime di violenza, e visto che le armi sono già state
sguainate, bisogna combattere fino in fondo per la buona causa. Questo esercito di partigiani si chiama
“I fratelli della foresta” e lotteranno, in questa lotta assolutamente impari con l’esercito sovietico, per
ben nove anni, faranno una resistenza accanita che ha successo per tanto tempo perché ha un supporto
totale da parte della popolazione e da parte della Chiesa. Questo è un altro elemento importantissimo
caratteristico della Lituania: il fatto che popolo e Chiesa sono veramente una cosa sola e in qualsiasi
momento delle vicende, durante la prima occupazione sovietica, durante quella nazista e poi la
seconda sovietica i vescovi e i sacerdoti sono sempre con il popolo, con la gente, non si tirano indietro,
si espongono, al punto addirittura che negli anni successivi, parliamo del ’46 in piena guerra
partigiana, tutti i vescovi della Chiesa lituana, tranne uno, vengono arrestati e mandati in lager, tutti!
Quindi, immaginatevi, erano proprio con il popolo e pronti a testimoniare fino in fondo la loro fedeltà
a Cristo e alla Chiesa. Di fronte a quest’esempio la gente si sente rincuorata, per cui questa guerra
può proseguire così tanto, fino al 1953, proprio per la coralità di questa resistenza.
Ma una cosa che colpisce nella storia lituana è che ci sono diverse fasi ed ogni volta la Chiesa e tutto
il popolo rispondono in una maniera diversa. La guerra partigiana necessariamente finisce per essere
conclusa nel sangue con tantissime di vittime, si parla alla fine di 670mila vittime fra tutto compreso.
Capite che in un Paese di 3milioni di abitanti è una cifra altissima. Finita questa fase la gente e la
Chiesa affrontano una nuova situazione, che se non si può chiamare di pace, almeno di tranquillità:
non ci sono più scontri armati, bisogna portare avanti la resistenza secondo modalità nuove, diverse
e la Chiesa ancora dà sempre il buon esempio. Quando muore Stalin c’è un breve momento di
speranza che le cose vadano meglio, ma con l’avvento di Chruščëv subito c’è invece una stretta dal
punto di vista religioso, la persecuzione religiosa riprende molto forte ed anche in Lituania, tanto più
che era un Paese dichiaratamente cattolico. L’attacco del totalitarismo incomincia ad avvenire su un
altro piano che è quello culturale, o meglio, propagandistico, quindi si fa una forte pressione
psicologica e propagandistica e si lavora molto sui bambini, nella scuola. La risposta della Lituania è
quella di una insistenza sull’educazione, sul dare sin dalla più giovane età ai lituani la coscienza di
cosa sono, di cosa portano e perché il totalitarismo non è la risposta per loro. Si organizzano scuole
di catechismo clandestine, ci sono varie forme e molti sacerdoti finiranno in lager semplicemente per
aver insegnato il catechismo ai bambini, che era uno dei delitti principali. In questo c’è una unità tra
la Chiesa e le famiglie molto forte. In tutto questo nuovo approccio della resistenza la cosa che
incomincia a illuminare le coscienze è che la libertà non è un dono che scende dall’alto, ma è un
lavoro che la gente deve fare per guadagnarsi questo dono dall’alto; non viene semplicemente chiesta
e attesa passivamente. Tanto è vero che negli anni Settanta e Ottanta la Lituania nel consesso delle
Repubbliche Sovietiche è veramente un’isola felice, una zona di particolare “libertà religiosa”, perché
i lituani si erano conquistasti con la loro decisone e con la loro fermezza degli spazi che nelle altre
parti dell’Unione Sovietica non c’erano, per cui, per esempio, molti ortodossi andavano a cercarsi un
padre spirituale in Lituania. Questo era uno dei primi esiti di una coscienza molto chiara e molto forte.
Poi arriva la primavera della Chiesa quando questa coscienza della diversità della cultura sovietica
per il cristiano incomincia a fiorire in nuove iniziative, prima impensabili. Per esempio la gente
incomincia a sottoscrivere appelli e a firmare proteste. Questa era una cosa fuori dalla norma perché
in Unione Sovietica c’era la legge non scritta che nessuno doveva esporsi, nessuno doveva mettere il
proprio nome su nessuna forma di documento e di protesta perché poi si pagava. La Lituania è
assolutamente anomala in questo senso perché per le varie proteste che si fanno per l’arresto di un
sacerdote o per la proibizione di un catechismo, i motivi possono essere svariati, ci sono 6 mila o 5
mila firme. Quando arrestano padre Svarinskas raccolgono in pochi giorni 17 mila firme, quando lo
arresteranno per la terza volta raccoglieranno 50 mila firme, sono delle proporzioni assolutamente
fuori dalla logica sovietica. Questo indica una libertà della coscienza che era già un dato di fatto.
In questo progressivo conquistarsi spazi di libertà, pur restando nella realtà sovietica, c’è un grande
faro luminoso che è la nascita della Cronaca della Chiesa Cattolica in Lituania di cui Nijolė sarà una
delle fautrici più attive, poi lei penso ci racconterà di questo. È una rivista clandestina che viene
battuta a macchina e diffusa clandestinamente, ma che arrivava in tutta l’Unione Sovietica e penso
anche all’estero e che viene pensata nel 1972 a imitazione di un’altra del samizdat, Cronaca degli
avvenimenti correnti, che era nata nel ’68 a Mosca. Questo è un elemento molto importante perché la
piccola Lituania cattolica in questo mare sovietico e con la vicinanza russa ortodossa con cui non
aveva ottimi rapporti è come se alzasse la testa e guardasse oltre i propri confini e il proprio mondo
e si riconoscesse in quelli che erano diversi ed erano stati lontani; c’è un riconoscimento del fatto che
l’aver cara la persona umana come valore supremo e magari la fede in Dio – ma non esclusivamente
la fede in Dio, quanto proprio il rispetto per la libertà dell’uomo – li affratellava con tanti altri con
cui prima si sentivano lontani. Questo riconoscimento con tutto il movimento del dissenso è un grande
passo che i lituani fanno proprio seguendo questo cammino che la coscienza e la libertà interiori
dettava loro e portava a fare queste grandi cose.
Negli anni successivi ci saranno altri gruppi che nasceranno, come il Comitato Cattolico per la difesa
dei diritti dei credenti, creato da sacerdoti che poi per questo andranno in lager, e sarà una catena
infinita: per ogni comitato che nasceva avvenivano degli arresti, poi c’erano proteste popolari con la
raccolta di migliaia di firme in difesa loro, qualcuno prendeva il posto degli arrestati ed era, come
diceva Bukovskij, una orchestra senza direttore che però suonava all’unisono come un cuore solo e
un’anima sola.
Per arrivare alla conclusione di questo, quando siamo ormai agli sgoccioli del regime sovietico, siamo
già nel ’89 – ed è un triste anniversario perché è l’anniversario del patto Molotov-Ribbentrop – i
lituani insieme con i loro fratelli baltici, estoni e lettoni fanno un’azione che è veramente un po’ il
simbolo di tutta la loro resistenza che era diventata civile e spirituale: fanno una catena umana e la
chiamano “La via baltica”, sono quasi due milioni di persone che il 23 agosto, cioè il giorno della
firma del trattato, si prendono per mano per seicento chilometri da una capitale all’altra volendo
indicare con il proprio corpo che erano un’unità, a dispetto di quello che il totalitarismo voleva far di
loro. Questo ha fatto precipitare le cose fino a che è venuta l’indipendenza, finalmente guadagnata
senza più versare sangue, ma con una resistenza civile che è stata sicuramente un esempio per tutti
gli altri Paesi dell’Unione Sovietica.
NIJOLĖ SADŪNAITĖ: Come ho riconosciuto la misericordia di Dio nella mia vita? Allora il Signore
è stato misericordioso non solo con me, è così con tutte le persone. Il Signore mi ha dato dei genitori
molto buoni che mi hanno sempre educato ad amare il Signore e il mio prossimo. Il loro esempio per
me è stato la lezione migliore su come amare il prossimo che è povero, che ha fame. Da noi si dice
che con le parole puoi insegnare, ma è solo l’esempio che può attirare, per cui per me è stato proprio
il loro esempio che ha condiviso con me questa vita. Il dono più grande del Signore è stato la fede dei
miei genitori e loro, come tanti altri dell’intelligenti di quell’epoca, sono stati credenti e proprio per
questo sono stati messi sull’elenco delle persone da deportare. Infatti quelle persone povere e affamate
di cui si prendevano cura i miei genitori ci hanno detto che una notte alle tre ci avrebbero deportati e
quindi noi abbiamo dovuto ritirarci. Allora mio padre ha dovuto lasciare il suo lavoro e ci siamo
spostati. Ci siamo trasferiti in un’altra parte della Lituania percorrendo un paio di centinaia di
chilometri, come sapete la Lituania è molto piccola, non come l’Italia, e quindi abbiam
completamente cambiato il posto dove vivevamo. Mio padre ha preso un nuovo lavoro come agrario
e tutte le domeniche andava a messa mentre tutti gli altri avevano paura di farlo. Per dieci anni i
lituani hanno combattuto questo regime molto apertamente e gli anni ’45, ’46, ‘47 sono stati proprio
di molto orrore per il Pese perché sono morti circa 23 mila giovani che facevano i partigiani e perché
loro dovevano combattere contro circa 22 milioni di sovietici. Allora i loro corpi morti venivano
esposti nelle piazze dei paesi e c’erano i poliziotti dell’Unione Sovietica che venivano a vedere come
reagiva la gente che passava lì, perché se uno passava e mostrava della compassione per quei corpi
veniva subito chiamato per un colloquio e magari anche deportato per questo motivo. I più grandi
nemici erano quelli che amavano Dio e il proprio popolo. Dopo questi dieci anni le famiglie, gli amici
di questi ragazzi partigiani anche loro sono stati deportati: insegnanti, contadini, politici, tutte le
persone che avevano una certa influenza oppure semplicemente che amavano la loro patria. Passati
questi dieci anni di grande orrore è cominciato un periodo di silenzio. Entrambi gli occupanti, sia
nazisti sia sovietici, come maggior nemico avevano proprio la religione e in particolar modo la fede
cattolica. Per divulgazione della fede e per dar da leggere la Bibbia e la Sacra Scrittura le persone
venivano condannate a due anni di prigione. Io portavo da leggere la Bibbia e potevo essere
condannata per questa cosa.
Sono state chiusi tutti i seminari e i monasteri, solo un seminario è rimasto aperto solo per far vedere
all’estero che comunque c’era la libertà della fede e del pensiero e che le chiese chiudevano solo
perché la gente non le frequentava, nessuno andava più in chiesa e allora non c’era più bisogno. Loro,
vedendo questa ingiustizia, vedendo queste informazioni errate che venivano trasmesse fuori
dall’Unione Sovietica, hanno deciso di iniziare con questa rivista clandestina. È stato il periodo in cui
un prete su tre è stato arrestato, tutti i vescovi tranne uno sono stati arrestati e per entrare nel seminario
c’era questa lezione fatta da KGB in cui loro sceglievano i ragazzi più deboli per poterli convincerli
a collaborare. Gli dicevano: Se lavori con noi puoi entrare nel seminario altrimenti non ti possiamo
accettare. In questo contesto eravamo coscienti che non potevamo fare tanti numeri di questa rivista,
era impossibile far uscire tanti numeri. Venivano ammessi al seminario cinque seminaristi all’anno,
mentre i preti che prima erano deportati e poi tornavano in Lituania morivano per la salute debole e
quindi circa venti o trenta preti ogni anno morivano. Dopo un certo periodo iniziarono a mancare. Il
Signore quindi ci ha dato questa idea di fondare un seminario clandestino dove venivano a studiare i
ragazzi più forti e più coraggiosi e dopo dai vescovi venivano fatti preti e poi andavano nei paesi più
piccoli dai parroci più coraggiosi che davano loro un lavoro. In quel periodo c’erano due vescovi, ma
anche loro erano arrestati e quindi non potevano fare il loro lavoro; ma nonostante questo c’erano
anche tanti nuovi preti clandestini. Allora gli agenti di KGB sono andati da uno di questi vescovi a
dire: «Questi nuovi preti non hanno fatto il seminario, tu gli devi dire di smettere di lavorare». Il
vescovo ha risposto: «Non so bene come fare con questo seminario clandestino perché, guarda caso,
Giovanni Paolo II ha fatto il seminario clandestino in Polonia e questo non gli ha impedito di fare
l’umile lavoro di Papa». Gli agenti di KGB praticamente hanno lasciato il vescovo lì e non sono più
tornati da lui con queste domande e di conseguenza è aumentato il numero di seminaristi nel seminario
clandestino. Ogni lotta che facevamo portava comunque il suo frutto per cui bisogna non avere paura
di lottare contro l’ingiustizia. Nel 1972 abbiamo avuto questa idea di iniziare la Cronaca della Chiesa
Cattolica in Lituania come una documentazione che faceva vedere le bugie dell’ateismo. Perché si
diceva che tutti sono uguali, che ci sono diritti per tutti, però poi nella vita noi venivamo perseguitati
e per il fatto che andavamo in Chiesa e venivamo battezzati magari qualcuno perdeva il lavoro.
Insomma c’erano tutte queste repressioni, questi tentativi di farci spaventare per allontanarci dalla
religione.
Siccome venivamo sempre perseguitati sapevamo che dopo due o tre riviste andavamo in prigione e
finiva lì. Comunque abbiamo deciso di farlo e questa Cronaca conteneva i puri fatti, non commenti.
E i fatti parlano. Allora qui è entrata proprio la misericordia di Dio, perché questa rivista usciva una
volta ogni due mesi per diciotto anni e veniva anche trasmessa e portata anche fuori dall’URRS,
andava in Europa e in America, veniva anche trasmessa sulla radio, magari radio vaticana e radio di
Washington. Il nostro lavoro così portava frutti. La cosa importante è che la verità di quello che
succedeva in Lituania ha raggiunto anche l’estero. Perché all’estero potevano andare solo quelle
persone che portavano le informazioni false riguardo alla libertà religiosa.
Certo, ogni lotta richiede le proprie vittime. Anche per noi è successo così, infatti in Lituania oggi si
dice: “felice chi è morto per la libertà”. Il KGB ha creato questa rete di agenti per poter arrestare tutti
gli editori della Cronaca. Il loro metodo principale era di far paura, spaventare le persone per
allontanarle. L’arresto era il primo metodo, come anche le deportazioni. Arrivavano anche ad
organizzare gli incidenti stradali, dove le persone morivano, o truppe di hooligan che uccidevano le
persone. Una delle nostre paure più grandi era quella di essere portati in “manicomio” dove ci
“curavano” dalla nostra fede.
Racconto un episodio come esempio di come il Signore viene in aiuto delle persone deboli. C’era
questo piano di arrestare l’editore delle Cronache che in quel momento era il parroco Tamkevičius,
che adesso è arcivescovo in Lituania. Lui era il parroco in un paese piccolo e allora gli agenti del
KGB venivano in quel paese a cercare le ragazze di tredici, quattordici, quindici anni che
frequentavano la Chiesa e le portavano una ad una nella milizia per fargli firmare questo documento
dove affermavano che il parroco Tamkevičius dava loro delle informazioni antisovietiche, ma queste
ragazze non firmavano. Allora gli agenti cercavano di spaventarle dicendogli che le avrebbero messe
in prigione per quindici anni, dove c’erano tanti ratti affamati e quando i ratti avrebbero assaggiato le
loro ossa avrebbero imparato a firmare. Ma le ragazze comunque non firmavano: erano lì da sole
senza genitori e insegnanti. Noi adulti avevamo paura di prigione e di torture, loro invece erano lì
ferme a non firmare questi documenti.
Quando sono stata arrestata, come succedeva in altri casi, venivano usati anche altri metodi come ad
esempio le radiazioni oppure la droga. Era una droga con cui uno perdeva la ragione e diceva tutto
quello che sapeva. Quando sono stata arrestata mi hanno dato questa droga ‒ allora non lo sapevo,
ma adesso ho tutti i documenti che confermano che alle 21 di quel giorno sono stata drogata ‒ e mi
han chiesto se conoscevo questa ragazza con un cognome particolare e io ho detto che era la prima
volta che sentivo questo cognome. In realtà era la mia migliore amica che conoscevo da vent’anni,
però la chiamavo sempre per nome ed effettivamente non conoscevo il suo cognome.
Adesso la Lituania è libera già da ventisei anni ed è una repubblica democratica ed è stato iniziato un
dialogo con le persone che lavoravano per il KGB. È uno scambio di lettere dove chiediamo che siano
ammessi tutti i metodi che sono stati usati, ma loro insistono che non ci fossero né droga né radiazioni
né torture, anche se dicevano sempre: «Adesso prendiamo tre persone, vi torturano, domani non ci
siete più». Adesso negano questa cosa e dicono che comunque agivano dentro quella che era la legge
dell’epoca. Anche i nazisti agivano secondo la legge che era in vigore in quel momento, però sono
stati comunque condannati e ci sono stati i processi. Io non voglio che adesso vadano in prigione
quelle persone lì, voglio solo che venga ammessa la verità su quello che ci è stato fatto.
Ho una richiesta per voi che stasera tutti quanti che siamo qua diciamo un’Ave Maria per quelle
persone che non riconoscono il male che hanno fatto. Perché senza la penitenza la porta del Paradiso
è chiusa per loro e io invece desidero che tutti quanti potessimo incontrarci nel Paradiso e proprio
oggi c’è la festività della Madre di Misericordia che c’è in Lituania. C’è questo quadro miracoloso a
Vilnius e proprio oggi cade la festività.
Ho parlato tanto! Chiedete alla Madonna che mi accorci un po’ la lingua.
M. DELL’ASTA: Con tutto quello che ha vissuto e sofferto non è mai stata tentata di odiare o di
avere rancore per quelli che vi hanno fatto tanto male e che ancora oggi non riconoscono il male che
han fatto?
N. SADŪNAITĖ: Quelle persone sono molto infelici e veramente ho pietà di loro. Proprio per quelle
persone Gesù si è incarnato ed è morto e se il Signore ama tanto quelle persone chi sono io per odiarle,
dobbiamo combattere il male, ma le persone dobbiamo aiutarle.
F. BRASCHI: Le è capitato qualche volta di avere questa grazia cioè di sentire qualcuno dei
persecutori, degli aguzzini che invece ha riconosciuto il male fatto e ha chiesto perdono o comunque
ha mostrato di aver capito il male che aveva commesso?
N. SADŪNAITĖ: Mi è successo quando ero in Siberia. C’erano due poliziotti ucraini che sono stati
veramente molto buoni con me e io credo che in fondo in fondo loro stiano vivendo la tragedia
dell’Ucraina, perché proprio in Ucraina c’è stato un orrore più grande. Invece tanti lituani non lo
riconoscono, soprattutto fra quelli che collaboravano con il KGB. Anzi ieri stesso ho ricevuto una
lettera dove era scritto che io sto mentendo contro di loro. Dall’altro canto gli agenti del KGB non
sono liberi di agire perché hanno paura anche loro. Ascoltando il telegiornale che arriva dalla Russia
ho sentito dire che non esiste l’ex-agente KGB perché o ci lavora ancora o è morto, ma siccome niente
è impossibile per il Signore noi dobbiamo chiedere per quelle persone che almeno nell’ultima ora
della loro vita possano convertirsi, che possano come il buon ladrone andare nel Paradiso almeno per
quell’ultimo momento. E allora saremo grati e ringrazieremo il Signore tutti noi e i nostri fratelli del
KGB per la misericordia del Signore.
F. BRASCHI: Un’ultima domanda. Guardando alla situazione attuale della Lituania, lei ha raccontato
prima di come i giovani del momento delle persecuzioni erano sereni, certi più di quanto gli adulti
pensassero. Lei che cosa è riuscita a comunicare e come sente i giovani lituani di oggi anche riguardo
a questa cosa?
N. SADŪNAITĖ: Come allora, così anche adesso chi ha dei genitori forti nella fede che mostrano un
buon esempio, anche loro sono delle persone forti. Però oggi sono rimasta colpita dai giovani italiani
perché stamattina ho avuto l’occasione di avere un colloquio con degli studenti italiani e loro erano
così pieni di curiosità, di stupore davanti alla mia storia che dalle 9 alle 3 del pomeriggio eravamo lì
a parlare. Non mi aspettavo che i ragazzi qua in Italia si interessassero di questa storia per loro così
sconosciuta. Quindi credo che l’Italia abbia il futuro perché i giovani sono il futuro e tutta l’Europa
potrebbe guardare i giovani italiani.
F. BRASCHI: Siamo molto grati di questa testimonianza, è anche interessante che ci venga restituito
uno sguardo sui nostri giovani, è forse anche molto diverso da quello che tante volte noi stessi
coltiviamo. Commentando la vicenda di papa Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, in una recente
intervista, diceva: «Giovanni Paolo II diceva di rendersi conto da un lato di tutta la crudeltà degli
uomini, ma dall’altro anche che la Misericordia è l’unica vera reazione contro la potenza del male e
dove c’è la Misericordia finisce la crudeltà, finiscono il male e la violenza». Questa rimane una
testimonianza autorevole, così come è autorevole la testimonianza che abbiamo ascoltato. Io penso
che sia una forma di amore verso noi stessi, innanzitutto di ciascuno verso di sé, quella di non
stancarci di verificare queste affermazioni, di non stancarci di cercare ciò che ne testimonia la verità.
Anche l’incontro di questa sera voleva essere un’occasione di questo genere e proprio per questo
vorrei ringraziare Marta Dell’Asta, vorrei ringraziare l’interprete che ha reso possibile questa serata,
e soprattutto grazie a Nijolė per questa testimonianza che ci ha offerto e grazie anche a tutti voi per
l’attenzione e la pazienza.