Seme di misericordia Testimonianza dal Gulag
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Seme di misericordia Testimonianza dal Gulag
Seme di misericordia Testimonianza dal Gulag Incontro con Nijolė Sadūnaitė, Lituana, condannata nel 1974 al lager in Siberia intervengono Francesco Braschi, Dottore della Biblioteca Ambrosiana Marta Dell’Asta, Fondazione Russia Cristiana In occasione della publicazione del libro e Docufilm IL CIELO NEL LAGER ed. Itaca – La Casa di Matriona Auditorium CMC Largo Corsia dei Servi, 4 – Milano Mercoledì, 16 novembre 2016 Largo Corsia dei Servi, 4 - 20122 Milano tel. 02 86455162 E-Mail [email protected] FRANCESCO BRASCHI: Quello che subito mi è venuto in mente quando ho letto il libro che è presentato questa sera sono state le parole di papa Francesco nella lettera Misericordiae vultus relative a quello che si aspetta dalla conclusione dell’Anno della Misericordia. Dice: «Alla conclusione dell’Anno della Misericordia affideremo la vita della Chiesa, l’umanità intera, il cosmo alla signoria di Dio perché effonda la Sua misericordia come la rugiada del mattino per una feconda storia da costruire con l’impegno di tutti nel futuro. Come desidero che gli anni a venire siano intrisi di misericordia per andare incontro ad ogni persona. A tutti, credenti e lontani, possa giungere il balsamo della misericordia come segno ‒ e diremmo, pensando al titolo di questo incontro, come seme – del regno di Dio già presente in mezzo a noi». Il papa è molto chiaro, dice: «Un futuro, una storia feconda da costruire con l’impegno di tutti», ma questi tutti sono esattamente i vicini, i credenti e i lontani ai quali si augura «possa giungere il balsamo della misericordia come segno di un regno di Dio già presente». Siamo veramente fuori dagli schemi, come a volte li pensiamo e li immaginiamo. La misericordia non è qualcosa che arriva su una situazione già stabilizzata, potremmo dire su un terreno già dissodato. No. La misericordia arriva prima e per favorire la stessa richiesta di perdono, lo stesso riconoscimento del male. Questa attesa di papa Francesco a me sembra che, quasi in un flashback, sia già riscontrabile nella testimonianza di Nijolė Sadūnaitė perché nell’intervista che viene riportata nel libro dice, ricordando la sua vicenda: «La miseria che c’è qui nel lager è veramente terribile eppure alla sera tardi mi capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato e allora dal mio cuore si innalza sempre una voce […] e questa voce dice: “La vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo. A ogni nuovo crimine e orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi”. […] E se sopravvivremo intatti a questo tempo, corpo e anima, ma soprattutto anima, senza amarezza e senza odio, allora avremo anche il diritto di dire la nostra parola a guerra finita». È questo duplice riconoscimento, di una vita che si afferma, che si impone, una vita che parla la bellezza di Dio anche nella situazione più avversa; ma ancora di più di questo, c’è la convinzione e la percezione immediata che soltanto conquistando per sé stessi dei pezzettini di amore e di bontà, soltanto a questa stregua, con questo lavoro sarà poi possibile ricostruire il mondo senza odio, senza amarezza. Ecco oggi abbiamo una possibilità grande e per molti di noi ‒ penso soprattutto ai più giovani ‒ inedita: è quella di scoprire come la strada che ci sta davanti, il post Giubileo della Misericordia, in realtà ci è già donata, possiamo incontrarla nella testimonianza di persone che già hanno vissuto questa inondazione della misericordia e che sono dunque per noi come la testimonianza evidente che siamo in un cammino di Chiesa che sta continuando e che attinge anche alle radici più profonde dell’esperienza del secolo XX, questo secolo drammatico ma anche così ricco di un buon tesoro che a noi spetta di riscoprire. Io non voglio prolungare oltre questa introduzione. Prima di lasciare la parola a Marta Dell’Asta, che farà un’introduzione storica sul contesto lituano e su cosa è stata la dissidenza e anche la lotta per una Chiesa libera sotto il regime comunista, pongo una domanda che poi sarà Nijolė a riprendere: come nella sua esperienza ha incontrato e ha visto la misericordia? Sia la misericordia incontrata su di sé sia la misericordia donata anche nell’esperienza della detenzione. Ora appunto ci lasciamo raccontare in che contesto si colloca la sua vicenda. MARTA DELL’ASTA: È importante, soprattutto quando si parla di Lituania, capire che Paese è, perché se noi ascolteremo poi Nijolė vedremo la personalità esplosiva forte che la caratterizza; dobbiamo ben capire che si è nutrita di un’atmosfera spirituale e di una cultura che l’ha resa così com’è, con tutta la parte personale che ci ha messo, ma sicuramente la sua terra ha voluto dire qualcosa di importante per lei. La Lituania è stata un Paese che è arrivato per ultimo nel novero dei Pesi cristiani in Europa. È stata cristianizzata nel 1387 ma il senso religioso che era insito in questo popolo si è incontrato con il cristianesimo in modo molto felice. Il cristianesimo è stato assorbito e si è integrato armoniosamente con questo suo carattere nazionale, sin dalle origini è nata una cultura cristiana molto forte e molto ricca, corale, partecipata da tutto il popolo. Un’altra caratteristica di questo piccolissimo Paese è quella di avere una fortissima identità nazionale, anche se nazionale è un termine moderno. Nel corso della storia è stato unito ad altri Paesi, a lungo con la Polonia a lungo con la Russia, e questo non ha giovato ai buoni rapporti con questi Paesi, ma ha sempre conservato una fortissima individualità. Per quanto riguarda il XX secolo la storia della Lituania è stata tra le più drammatiche e tragiche di tutto il continente, che pure ha visto vicende molto tragiche, perché nel 1939 viene concluso il patto Molotov-Ribbentrop e i tre Paesi baltici vengono considerati un terreno di conquista per l’Unione Sovietica. La conquista avverrà con il beneplacito della Germania nazista e il 15 giugno 1940 l’Armata Rossa entra in Lituania e naturalmente non entra d’amica, ma da conquistatrice, dando il via immediatamente ad una serie di repressioni, arresti, deportazioni. La Lituania è un paese piccolissimo aveva allora 3.200.000 abitanti, come Milano, e quindi le migliaia di arresti sono qualcosa che ferisce duramente il Paese. Quelli che si colpisco sono naturalmente degli obiettivi mirati, sono gli intellettuali, gli studenti, i contadini che sono poi la base cattolica più vivace e quindi il regime sovietico ha bene in mente che vuole smantellare l’identità e l’unità e la consistenza nazionali di questo piccolo Paese. Le vicende della guerra poi, come sappiamo, si rovesciano completamente: nel ’41 la Germania nazista attacca e invade l’Unione Sovietica e naturalmente anche la piccola Lituania viene invasa a sua volta, per la seconda volta nel giro praticamente di un anno. Nel giugno del ’41 viene invasa dai nazisti e questa occupazione segue quasi le stesse modalità di quella sovietica: altri arresti, altre deportazioni con in più gli arresti in massa degli ebrei. Vilnius era una città, per esempio, con una grossa popolazione ebraica che viene praticamente distrutta. Quindi una tragedia nella tragedia che non finisce però con il finire della guerra, perché quando l’armata rossa riconquista i suoi territori e nel ’44 ritorna in Europa puntando a Berlino, rioccupa per la seconda volta la Lituania. Siamo nel luglio del ’44. Ancora una volta questa nuova occupazione è accompagnata da dure repressioni, ma qui avviene qualcosa di singolare: la popolazione lituana reagisce, forma delle squadre partigiane ed incomincia una vera e propria guerra partigiana. Una guerra partigiana che è assolutamente anomala rispetto a quello che avviene in tutti gli altri paesi della fascia orientale d’Europa che subiscono più o meno lo stesso destino, cioè vengono occupati dall’Armata Rossa e poi resteranno praticamente sempre in questo blocco socialista dove il cambiamento di regime avviene secondo una sceneggiatura di tipo politico. Soltanto in due Paesi questo non avviene e c’è una vera lotta partigiana di resistenza, sono la piccolissima Lituania e l’Ucraina occidentale. In questi due Paesi, e questo dice molto del carattere e dello spirito di questa gente, la certezza è che non è accettabile questo regime di violenza, e visto che le armi sono già state sguainate, bisogna combattere fino in fondo per la buona causa. Questo esercito di partigiani si chiama “I fratelli della foresta” e lotteranno, in questa lotta assolutamente impari con l’esercito sovietico, per ben nove anni, faranno una resistenza accanita che ha successo per tanto tempo perché ha un supporto totale da parte della popolazione e da parte della Chiesa. Questo è un altro elemento importantissimo caratteristico della Lituania: il fatto che popolo e Chiesa sono veramente una cosa sola e in qualsiasi momento delle vicende, durante la prima occupazione sovietica, durante quella nazista e poi la seconda sovietica i vescovi e i sacerdoti sono sempre con il popolo, con la gente, non si tirano indietro, si espongono, al punto addirittura che negli anni successivi, parliamo del ’46 in piena guerra partigiana, tutti i vescovi della Chiesa lituana, tranne uno, vengono arrestati e mandati in lager, tutti! Quindi, immaginatevi, erano proprio con il popolo e pronti a testimoniare fino in fondo la loro fedeltà a Cristo e alla Chiesa. Di fronte a quest’esempio la gente si sente rincuorata, per cui questa guerra può proseguire così tanto, fino al 1953, proprio per la coralità di questa resistenza. Ma una cosa che colpisce nella storia lituana è che ci sono diverse fasi ed ogni volta la Chiesa e tutto il popolo rispondono in una maniera diversa. La guerra partigiana necessariamente finisce per essere conclusa nel sangue con tantissime di vittime, si parla alla fine di 670mila vittime fra tutto compreso. Capite che in un Paese di 3milioni di abitanti è una cifra altissima. Finita questa fase la gente e la Chiesa affrontano una nuova situazione, che se non si può chiamare di pace, almeno di tranquillità: non ci sono più scontri armati, bisogna portare avanti la resistenza secondo modalità nuove, diverse e la Chiesa ancora dà sempre il buon esempio. Quando muore Stalin c’è un breve momento di speranza che le cose vadano meglio, ma con l’avvento di Chruščëv subito c’è invece una stretta dal punto di vista religioso, la persecuzione religiosa riprende molto forte ed anche in Lituania, tanto più che era un Paese dichiaratamente cattolico. L’attacco del totalitarismo incomincia ad avvenire su un altro piano che è quello culturale, o meglio, propagandistico, quindi si fa una forte pressione psicologica e propagandistica e si lavora molto sui bambini, nella scuola. La risposta della Lituania è quella di una insistenza sull’educazione, sul dare sin dalla più giovane età ai lituani la coscienza di cosa sono, di cosa portano e perché il totalitarismo non è la risposta per loro. Si organizzano scuole di catechismo clandestine, ci sono varie forme e molti sacerdoti finiranno in lager semplicemente per aver insegnato il catechismo ai bambini, che era uno dei delitti principali. In questo c’è una unità tra la Chiesa e le famiglie molto forte. In tutto questo nuovo approccio della resistenza la cosa che incomincia a illuminare le coscienze è che la libertà non è un dono che scende dall’alto, ma è un lavoro che la gente deve fare per guadagnarsi questo dono dall’alto; non viene semplicemente chiesta e attesa passivamente. Tanto è vero che negli anni Settanta e Ottanta la Lituania nel consesso delle Repubbliche Sovietiche è veramente un’isola felice, una zona di particolare “libertà religiosa”, perché i lituani si erano conquistasti con la loro decisone e con la loro fermezza degli spazi che nelle altre parti dell’Unione Sovietica non c’erano, per cui, per esempio, molti ortodossi andavano a cercarsi un padre spirituale in Lituania. Questo era uno dei primi esiti di una coscienza molto chiara e molto forte. Poi arriva la primavera della Chiesa quando questa coscienza della diversità della cultura sovietica per il cristiano incomincia a fiorire in nuove iniziative, prima impensabili. Per esempio la gente incomincia a sottoscrivere appelli e a firmare proteste. Questa era una cosa fuori dalla norma perché in Unione Sovietica c’era la legge non scritta che nessuno doveva esporsi, nessuno doveva mettere il proprio nome su nessuna forma di documento e di protesta perché poi si pagava. La Lituania è assolutamente anomala in questo senso perché per le varie proteste che si fanno per l’arresto di un sacerdote o per la proibizione di un catechismo, i motivi possono essere svariati, ci sono 6 mila o 5 mila firme. Quando arrestano padre Svarinskas raccolgono in pochi giorni 17 mila firme, quando lo arresteranno per la terza volta raccoglieranno 50 mila firme, sono delle proporzioni assolutamente fuori dalla logica sovietica. Questo indica una libertà della coscienza che era già un dato di fatto. In questo progressivo conquistarsi spazi di libertà, pur restando nella realtà sovietica, c’è un grande faro luminoso che è la nascita della Cronaca della Chiesa Cattolica in Lituania di cui Nijolė sarà una delle fautrici più attive, poi lei penso ci racconterà di questo. È una rivista clandestina che viene battuta a macchina e diffusa clandestinamente, ma che arrivava in tutta l’Unione Sovietica e penso anche all’estero e che viene pensata nel 1972 a imitazione di un’altra del samizdat, Cronaca degli avvenimenti correnti, che era nata nel ’68 a Mosca. Questo è un elemento molto importante perché la piccola Lituania cattolica in questo mare sovietico e con la vicinanza russa ortodossa con cui non aveva ottimi rapporti è come se alzasse la testa e guardasse oltre i propri confini e il proprio mondo e si riconoscesse in quelli che erano diversi ed erano stati lontani; c’è un riconoscimento del fatto che l’aver cara la persona umana come valore supremo e magari la fede in Dio – ma non esclusivamente la fede in Dio, quanto proprio il rispetto per la libertà dell’uomo – li affratellava con tanti altri con cui prima si sentivano lontani. Questo riconoscimento con tutto il movimento del dissenso è un grande passo che i lituani fanno proprio seguendo questo cammino che la coscienza e la libertà interiori dettava loro e portava a fare queste grandi cose. Negli anni successivi ci saranno altri gruppi che nasceranno, come il Comitato Cattolico per la difesa dei diritti dei credenti, creato da sacerdoti che poi per questo andranno in lager, e sarà una catena infinita: per ogni comitato che nasceva avvenivano degli arresti, poi c’erano proteste popolari con la raccolta di migliaia di firme in difesa loro, qualcuno prendeva il posto degli arrestati ed era, come diceva Bukovskij, una orchestra senza direttore che però suonava all’unisono come un cuore solo e un’anima sola. Per arrivare alla conclusione di questo, quando siamo ormai agli sgoccioli del regime sovietico, siamo già nel ’89 – ed è un triste anniversario perché è l’anniversario del patto Molotov-Ribbentrop – i lituani insieme con i loro fratelli baltici, estoni e lettoni fanno un’azione che è veramente un po’ il simbolo di tutta la loro resistenza che era diventata civile e spirituale: fanno una catena umana e la chiamano “La via baltica”, sono quasi due milioni di persone che il 23 agosto, cioè il giorno della firma del trattato, si prendono per mano per seicento chilometri da una capitale all’altra volendo indicare con il proprio corpo che erano un’unità, a dispetto di quello che il totalitarismo voleva far di loro. Questo ha fatto precipitare le cose fino a che è venuta l’indipendenza, finalmente guadagnata senza più versare sangue, ma con una resistenza civile che è stata sicuramente un esempio per tutti gli altri Paesi dell’Unione Sovietica. NIJOLĖ SADŪNAITĖ: Come ho riconosciuto la misericordia di Dio nella mia vita? Allora il Signore è stato misericordioso non solo con me, è così con tutte le persone. Il Signore mi ha dato dei genitori molto buoni che mi hanno sempre educato ad amare il Signore e il mio prossimo. Il loro esempio per me è stato la lezione migliore su come amare il prossimo che è povero, che ha fame. Da noi si dice che con le parole puoi insegnare, ma è solo l’esempio che può attirare, per cui per me è stato proprio il loro esempio che ha condiviso con me questa vita. Il dono più grande del Signore è stato la fede dei miei genitori e loro, come tanti altri dell’intelligenti di quell’epoca, sono stati credenti e proprio per questo sono stati messi sull’elenco delle persone da deportare. Infatti quelle persone povere e affamate di cui si prendevano cura i miei genitori ci hanno detto che una notte alle tre ci avrebbero deportati e quindi noi abbiamo dovuto ritirarci. Allora mio padre ha dovuto lasciare il suo lavoro e ci siamo spostati. Ci siamo trasferiti in un’altra parte della Lituania percorrendo un paio di centinaia di chilometri, come sapete la Lituania è molto piccola, non come l’Italia, e quindi abbiam completamente cambiato il posto dove vivevamo. Mio padre ha preso un nuovo lavoro come agrario e tutte le domeniche andava a messa mentre tutti gli altri avevano paura di farlo. Per dieci anni i lituani hanno combattuto questo regime molto apertamente e gli anni ’45, ’46, ‘47 sono stati proprio di molto orrore per il Pese perché sono morti circa 23 mila giovani che facevano i partigiani e perché loro dovevano combattere contro circa 22 milioni di sovietici. Allora i loro corpi morti venivano esposti nelle piazze dei paesi e c’erano i poliziotti dell’Unione Sovietica che venivano a vedere come reagiva la gente che passava lì, perché se uno passava e mostrava della compassione per quei corpi veniva subito chiamato per un colloquio e magari anche deportato per questo motivo. I più grandi nemici erano quelli che amavano Dio e il proprio popolo. Dopo questi dieci anni le famiglie, gli amici di questi ragazzi partigiani anche loro sono stati deportati: insegnanti, contadini, politici, tutte le persone che avevano una certa influenza oppure semplicemente che amavano la loro patria. Passati questi dieci anni di grande orrore è cominciato un periodo di silenzio. Entrambi gli occupanti, sia nazisti sia sovietici, come maggior nemico avevano proprio la religione e in particolar modo la fede cattolica. Per divulgazione della fede e per dar da leggere la Bibbia e la Sacra Scrittura le persone venivano condannate a due anni di prigione. Io portavo da leggere la Bibbia e potevo essere condannata per questa cosa. Sono state chiusi tutti i seminari e i monasteri, solo un seminario è rimasto aperto solo per far vedere all’estero che comunque c’era la libertà della fede e del pensiero e che le chiese chiudevano solo perché la gente non le frequentava, nessuno andava più in chiesa e allora non c’era più bisogno. Loro, vedendo questa ingiustizia, vedendo queste informazioni errate che venivano trasmesse fuori dall’Unione Sovietica, hanno deciso di iniziare con questa rivista clandestina. È stato il periodo in cui un prete su tre è stato arrestato, tutti i vescovi tranne uno sono stati arrestati e per entrare nel seminario c’era questa lezione fatta da KGB in cui loro sceglievano i ragazzi più deboli per poterli convincerli a collaborare. Gli dicevano: Se lavori con noi puoi entrare nel seminario altrimenti non ti possiamo accettare. In questo contesto eravamo coscienti che non potevamo fare tanti numeri di questa rivista, era impossibile far uscire tanti numeri. Venivano ammessi al seminario cinque seminaristi all’anno, mentre i preti che prima erano deportati e poi tornavano in Lituania morivano per la salute debole e quindi circa venti o trenta preti ogni anno morivano. Dopo un certo periodo iniziarono a mancare. Il Signore quindi ci ha dato questa idea di fondare un seminario clandestino dove venivano a studiare i ragazzi più forti e più coraggiosi e dopo dai vescovi venivano fatti preti e poi andavano nei paesi più piccoli dai parroci più coraggiosi che davano loro un lavoro. In quel periodo c’erano due vescovi, ma anche loro erano arrestati e quindi non potevano fare il loro lavoro; ma nonostante questo c’erano anche tanti nuovi preti clandestini. Allora gli agenti di KGB sono andati da uno di questi vescovi a dire: «Questi nuovi preti non hanno fatto il seminario, tu gli devi dire di smettere di lavorare». Il vescovo ha risposto: «Non so bene come fare con questo seminario clandestino perché, guarda caso, Giovanni Paolo II ha fatto il seminario clandestino in Polonia e questo non gli ha impedito di fare l’umile lavoro di Papa». Gli agenti di KGB praticamente hanno lasciato il vescovo lì e non sono più tornati da lui con queste domande e di conseguenza è aumentato il numero di seminaristi nel seminario clandestino. Ogni lotta che facevamo portava comunque il suo frutto per cui bisogna non avere paura di lottare contro l’ingiustizia. Nel 1972 abbiamo avuto questa idea di iniziare la Cronaca della Chiesa Cattolica in Lituania come una documentazione che faceva vedere le bugie dell’ateismo. Perché si diceva che tutti sono uguali, che ci sono diritti per tutti, però poi nella vita noi venivamo perseguitati e per il fatto che andavamo in Chiesa e venivamo battezzati magari qualcuno perdeva il lavoro. Insomma c’erano tutte queste repressioni, questi tentativi di farci spaventare per allontanarci dalla religione. Siccome venivamo sempre perseguitati sapevamo che dopo due o tre riviste andavamo in prigione e finiva lì. Comunque abbiamo deciso di farlo e questa Cronaca conteneva i puri fatti, non commenti. E i fatti parlano. Allora qui è entrata proprio la misericordia di Dio, perché questa rivista usciva una volta ogni due mesi per diciotto anni e veniva anche trasmessa e portata anche fuori dall’URRS, andava in Europa e in America, veniva anche trasmessa sulla radio, magari radio vaticana e radio di Washington. Il nostro lavoro così portava frutti. La cosa importante è che la verità di quello che succedeva in Lituania ha raggiunto anche l’estero. Perché all’estero potevano andare solo quelle persone che portavano le informazioni false riguardo alla libertà religiosa. Certo, ogni lotta richiede le proprie vittime. Anche per noi è successo così, infatti in Lituania oggi si dice: “felice chi è morto per la libertà”. Il KGB ha creato questa rete di agenti per poter arrestare tutti gli editori della Cronaca. Il loro metodo principale era di far paura, spaventare le persone per allontanarle. L’arresto era il primo metodo, come anche le deportazioni. Arrivavano anche ad organizzare gli incidenti stradali, dove le persone morivano, o truppe di hooligan che uccidevano le persone. Una delle nostre paure più grandi era quella di essere portati in “manicomio” dove ci “curavano” dalla nostra fede. Racconto un episodio come esempio di come il Signore viene in aiuto delle persone deboli. C’era questo piano di arrestare l’editore delle Cronache che in quel momento era il parroco Tamkevičius, che adesso è arcivescovo in Lituania. Lui era il parroco in un paese piccolo e allora gli agenti del KGB venivano in quel paese a cercare le ragazze di tredici, quattordici, quindici anni che frequentavano la Chiesa e le portavano una ad una nella milizia per fargli firmare questo documento dove affermavano che il parroco Tamkevičius dava loro delle informazioni antisovietiche, ma queste ragazze non firmavano. Allora gli agenti cercavano di spaventarle dicendogli che le avrebbero messe in prigione per quindici anni, dove c’erano tanti ratti affamati e quando i ratti avrebbero assaggiato le loro ossa avrebbero imparato a firmare. Ma le ragazze comunque non firmavano: erano lì da sole senza genitori e insegnanti. Noi adulti avevamo paura di prigione e di torture, loro invece erano lì ferme a non firmare questi documenti. Quando sono stata arrestata, come succedeva in altri casi, venivano usati anche altri metodi come ad esempio le radiazioni oppure la droga. Era una droga con cui uno perdeva la ragione e diceva tutto quello che sapeva. Quando sono stata arrestata mi hanno dato questa droga ‒ allora non lo sapevo, ma adesso ho tutti i documenti che confermano che alle 21 di quel giorno sono stata drogata ‒ e mi han chiesto se conoscevo questa ragazza con un cognome particolare e io ho detto che era la prima volta che sentivo questo cognome. In realtà era la mia migliore amica che conoscevo da vent’anni, però la chiamavo sempre per nome ed effettivamente non conoscevo il suo cognome. Adesso la Lituania è libera già da ventisei anni ed è una repubblica democratica ed è stato iniziato un dialogo con le persone che lavoravano per il KGB. È uno scambio di lettere dove chiediamo che siano ammessi tutti i metodi che sono stati usati, ma loro insistono che non ci fossero né droga né radiazioni né torture, anche se dicevano sempre: «Adesso prendiamo tre persone, vi torturano, domani non ci siete più». Adesso negano questa cosa e dicono che comunque agivano dentro quella che era la legge dell’epoca. Anche i nazisti agivano secondo la legge che era in vigore in quel momento, però sono stati comunque condannati e ci sono stati i processi. Io non voglio che adesso vadano in prigione quelle persone lì, voglio solo che venga ammessa la verità su quello che ci è stato fatto. Ho una richiesta per voi che stasera tutti quanti che siamo qua diciamo un’Ave Maria per quelle persone che non riconoscono il male che hanno fatto. Perché senza la penitenza la porta del Paradiso è chiusa per loro e io invece desidero che tutti quanti potessimo incontrarci nel Paradiso e proprio oggi c’è la festività della Madre di Misericordia che c’è in Lituania. C’è questo quadro miracoloso a Vilnius e proprio oggi cade la festività. Ho parlato tanto! Chiedete alla Madonna che mi accorci un po’ la lingua. M. DELL’ASTA: Con tutto quello che ha vissuto e sofferto non è mai stata tentata di odiare o di avere rancore per quelli che vi hanno fatto tanto male e che ancora oggi non riconoscono il male che han fatto? N. SADŪNAITĖ: Quelle persone sono molto infelici e veramente ho pietà di loro. Proprio per quelle persone Gesù si è incarnato ed è morto e se il Signore ama tanto quelle persone chi sono io per odiarle, dobbiamo combattere il male, ma le persone dobbiamo aiutarle. F. BRASCHI: Le è capitato qualche volta di avere questa grazia cioè di sentire qualcuno dei persecutori, degli aguzzini che invece ha riconosciuto il male fatto e ha chiesto perdono o comunque ha mostrato di aver capito il male che aveva commesso? N. SADŪNAITĖ: Mi è successo quando ero in Siberia. C’erano due poliziotti ucraini che sono stati veramente molto buoni con me e io credo che in fondo in fondo loro stiano vivendo la tragedia dell’Ucraina, perché proprio in Ucraina c’è stato un orrore più grande. Invece tanti lituani non lo riconoscono, soprattutto fra quelli che collaboravano con il KGB. Anzi ieri stesso ho ricevuto una lettera dove era scritto che io sto mentendo contro di loro. Dall’altro canto gli agenti del KGB non sono liberi di agire perché hanno paura anche loro. Ascoltando il telegiornale che arriva dalla Russia ho sentito dire che non esiste l’ex-agente KGB perché o ci lavora ancora o è morto, ma siccome niente è impossibile per il Signore noi dobbiamo chiedere per quelle persone che almeno nell’ultima ora della loro vita possano convertirsi, che possano come il buon ladrone andare nel Paradiso almeno per quell’ultimo momento. E allora saremo grati e ringrazieremo il Signore tutti noi e i nostri fratelli del KGB per la misericordia del Signore. F. BRASCHI: Un’ultima domanda. Guardando alla situazione attuale della Lituania, lei ha raccontato prima di come i giovani del momento delle persecuzioni erano sereni, certi più di quanto gli adulti pensassero. Lei che cosa è riuscita a comunicare e come sente i giovani lituani di oggi anche riguardo a questa cosa? N. SADŪNAITĖ: Come allora, così anche adesso chi ha dei genitori forti nella fede che mostrano un buon esempio, anche loro sono delle persone forti. Però oggi sono rimasta colpita dai giovani italiani perché stamattina ho avuto l’occasione di avere un colloquio con degli studenti italiani e loro erano così pieni di curiosità, di stupore davanti alla mia storia che dalle 9 alle 3 del pomeriggio eravamo lì a parlare. Non mi aspettavo che i ragazzi qua in Italia si interessassero di questa storia per loro così sconosciuta. Quindi credo che l’Italia abbia il futuro perché i giovani sono il futuro e tutta l’Europa potrebbe guardare i giovani italiani. F. BRASCHI: Siamo molto grati di questa testimonianza, è anche interessante che ci venga restituito uno sguardo sui nostri giovani, è forse anche molto diverso da quello che tante volte noi stessi coltiviamo. Commentando la vicenda di papa Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, in una recente intervista, diceva: «Giovanni Paolo II diceva di rendersi conto da un lato di tutta la crudeltà degli uomini, ma dall’altro anche che la Misericordia è l’unica vera reazione contro la potenza del male e dove c’è la Misericordia finisce la crudeltà, finiscono il male e la violenza». Questa rimane una testimonianza autorevole, così come è autorevole la testimonianza che abbiamo ascoltato. Io penso che sia una forma di amore verso noi stessi, innanzitutto di ciascuno verso di sé, quella di non stancarci di verificare queste affermazioni, di non stancarci di cercare ciò che ne testimonia la verità. Anche l’incontro di questa sera voleva essere un’occasione di questo genere e proprio per questo vorrei ringraziare Marta Dell’Asta, vorrei ringraziare l’interprete che ha reso possibile questa serata, e soprattutto grazie a Nijolė per questa testimonianza che ci ha offerto e grazie anche a tutti voi per l’attenzione e la pazienza.