CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE Gli - ISSiRFA

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CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE Gli - ISSiRFA
CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE
Istituto di Studi sui Sistemi Federali e sulle Autonomie “Massimo Severo Giannini” (ISSiRFA)
Gli incentivi pubblici alla R&S ed all’innovazione
Giorgio Sirilli
[email protected]
Anna Villa
[email protected]
Aprile 2008
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1. L’evoluzione dei modelli di innovazione
Il modello di innovazione che si è andato affermando nei tempi recenti è ancora oggetto di
studio e presenta vari aspetti non chiaramente definiti, ma sembra essere legato ai cambiamenti di
alcuni aspetti qualificanti come il ruolo e l’interazione tra scienza e tecnologia, l’utilizzo di varie
forme di collaborazione, il coinvolgimento degli utenti nel processo d’innovazione, la crescente
importanza del settore dei servizi. Si assiste ad una diminuzione del lasso di tempo tra la scoperta
e l’innovazione e ad un superamento della distinzione netta fra ricerca di base e ricerca applicata.
Un ulteriore aspetto del cambiamento nell’innovazione riguarda l’aumento della specializzazione
e della “modularità” nel senso che, per esempio, un insieme di competenze o di tecnologie può
essere utilmente applicato in modi innovativi in differenti contesti. Nuovi strumenti, specialmente
informatici, rappresentano un fattore chiave nel cambiamento della natura dell’innovazione. I
progressivi miglioramenti nella capacità di elaborazione elettronica, associati a nuovi metodi di
costruire le reti (ben rappresentati da Internet), forniscono una piattaforma aperta per
l’innovazione che consente nuovi tipi di collaborazione, nuovi metodi di ricerca e nuovi tipi di
innovazione tecnologica ed organizzativa.
Le imprese si stanno muovendo verso modelli più globali ed aperti di innovazione, in cui
attingono la conoscenza da diverse fonti – all’interno e all’esterno dell’impresa – e sempre più
utilizzano la propria conoscenza e proprietà intellettuale al di fuori dell’impresa. Questi
cambiamenti influenzano il modello sia dal punto di vista tecnologico (spesso collegato alla R&S
e alle scoperte scientifiche) che da quello sempre più importante rappresentato dalla dimensione
non tecnologica dell’innovazione (es. progettazione, organizzazione, marketing).
Il cambiamento dell’ambiente in cui avviene l’innovazione coinvolge il ruolo sia del settore
pubblico che di quello privato. Per esempio in alcuni casi il settore privato sta costruendo delle
infrastrutture (es. collegate ad Internet) che, in precedenza, ci si sarebbe aspettati sarebbero state
sviluppate dal settore pubblico. Mentre il settore pubblico continua a giocare un ruolo centrale
nella creazione di condizioni strutturali di base (es. formazione e ricerca, protezione dei diritti di
proprietà intellettuale e regolazione del mercato del lavoro e dei prodotti, incluso quello delle
tecnologie), esso deve anche assumere un ruolo più attivo nella creazione dei mercati e nello
stimolo della domanda di innovazione (es. domanda pubblica oppure iniziative che trainino il
mercato) e a differenti livelli dell’economia (es. per lo sviluppo regionale). Tutte queste azioni
coinvolgono il funzionamento e l’interazione di processi innovativi ed incentivi, sollevando la
questione su dove gli incentivi pubblici devono essere indirizzati all’interno delle istituzioni di
governo nei vari livelli (nazionale, regionale e locale) e dove possono indirizzarsi imprese ed
organizzazioni non governative.
L’open innovation (innovazione aperta)
Recentemente le strategie di innovazione delle aziende sono state caratterizzate da una
progressiva tendenza verso l’apertura. Chesbrough ha coniato, a tale proposito, il termine open
innovation (innovazione aperta). Le imprese contano sempre più spesso sull’innovazione
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proveniente dall’esterno per nuovi prodotti e processi, e allo stesso tempo sono diventate più
attive nella concessione di licenze e nella vendita dei risultati della propria R&S. In passato, le
imprese tendevano ad innovare internamente facendo leva soprattutto sui propri laboratori di
R&S per sviluppare nuovi prodotti e nuovi processi. E se il progetto di ricerca sviluppava nuove
idee che non si incontravano con la strategia d’impresa, l’idea spesso rimaneva all’interno
dell’impresa, inutilizzata.
Nel tradizionale modello di innovazione “chiuso”, per inventare, sviluppare e perfezionare
le tecnologie i laboratori di R&S utilizzano input provenienti sia da fonti interne che esterne, ma
il focus è sullo sviluppo interno di tecnologie, prodotti e processi per la commercializzazione
realizzata dall’impresa. Questo meccanismo viene spesso descritto con l’analogia dell’imbuto, in
quanto un ampio numero di idee viene ridotto a quelle che meglio soddisfano le esigenze
dell’azienda (Figura 1). Le innovazioni possono rimanere, per un certo tempo o per sempre, “nel
cassetto” se non sono coerenti con la strategia dell’impresa.
Il modello di innovazione “aperta” rappresenta un approccio meno lineare e più dinamico,
in base al quale le imprese guardano sia da dentro a fuori che da fuori a dentro. L’innovazione si
basa sulla conoscenza al di là dei confini dell’impresa, e altri meccanismi diversi dalle gerarchie e
dai sistemi di incentivo interni vengono utilizzati per mobilitare questa risorsa. L’aumento della
cooperazione nella R&S ed un maggior ricorso alle risorse esterne sono diventati modi importanti
per acquisire la conoscenza al fine di generare nuove idee e portarle velocemente sul mercato.
Allo stesso tempo le imprese commercializzano sia le proprie idee che le innovazioni provenienti
da altri soggetti, tra cui occupa un posto importante la ricerca accademica. Le imprese inoltre
possono sfruttare al proprio esterno tecnologie e diritti di proprietà intellettuale che vengono
sviluppati internamente ma che si collocano al di fuori del proprio “core business” e dunque
possono essere meglio sviluppati e commercializzati da altri. Le imprese multinazionali sempre
più spesso creano collegamenti con imprese start-up, spin-off e con il sistema di R&S pubblico.
In questo nuovo modello, i solidi confini dell’impresa si sono trasformati in una membrana semipermeabile che permette all’innovazione di muoversi più facilmente tra l’ambiente esterno e i
processi interni d’innovazione (Figura 1).
Figura 1 – Innovazione “chiusa” e innovazione “aperta”
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I cambiamenti del mercato richiedono che le imprese, per essere competitive, siano aperte
ad idee esterne complementari rispetto alla R&S interna. Diversi fattori rendono il tradizionale
modello “chiuso” meno appropriato per innovare efficientemente nell’attuale mondo
globalizzato. A causa dell’intenso aumento della competizione internazionale e del progresso
tecnologico, il ciclo di vita dei prodotti si è drasticamente ridotto, obbligando le imprese ad
innovare più velocemente ed a sviluppare prodotti e servizi in maniera più efficiente. Inoltre, la
crescente integrazione di tecnologie differenti ha reso l’innovazione più costosa e più rischiosa.
Più viene richiesta una ricerca interdisciplinare e tra settori diversi, meno le singole capacità
dell’impresa sono sufficienti per realizzare un’innovazione di successo. Per questo motivo le
imprese cercano sempre più spesso dei partner con competenze complementari al fine di ottenere
un accesso veloce alle varie tecnologie.
L’innovazione aperta richiama una serie di fattori cosiddetti “di erosione”, come la sempre
crescente competizione globale, il conseguente accorciamento del ciclo di vita dei prodotti,
l’accresciuta complessità delle nuove tecnologie e delle conoscenze, il conseguente aumento dei
costi e dei rischi dell’innovazione, l’aumentata offerta e mobilità di ricercatori ed ingegneri,
l’accresciuta disponibilità di venture-capital specificatamente dedicato all’innovazione, le più
elevate capacità dei differenti attori nella catena (globale) del valore. La più accesa concorrenza e
altri fattori legati alla domanda hanno prodotto l’erosione dei profitti delle imprese innovative,
mentre fattori legati all’offerta hanno aumentato il costo dell’innovazione nel modello chiuso. Un
modello d’innovazione più aperto genera nuovi profitti provenienti dalle conoscenze sviluppate
“in casa” che rimarrebbero largamente inutilizzate, ed allo stesso tempo genera risparmi di costi e
tempo appoggiandosi alle risorse esterne (Figura 2).
Figura 2 – Il mutato ambiente di business: l’innovazione “aperta” rispetto a quella “chiusa”
Vita del prodotto nel
mercato più corta
Spin-off
Vendita/
disinvestimento
Licenze
Profitto nel proprio
mercato
Costi di sviluppo
interni
Profitto nel proprio
mercato
Costi di sviluppo
interni
Aumento dei costi
dell'innovazione
COSTI
INNOVAZIONE
CHIUSA PRIMA
INNOVAZIONE
CHIUSA DOPO
4
Profitto nel proprio
mercato
Costi di sviluppo
interni
Risparmi di costi e
tempo generati
dall'appoggio alle
risorse esterne
INNOVAZIONE
APERTA
Nuovo profitto
Vi sono due principali tipologie di open innovation. Il lato “da fuori a dentro” si riferisce
alle fonti della tecnologia e conoscenza provenienti da partner esterni come università, enti di
ricerca, competitori, clienti, fornitori. Questo fenomeno si è sviluppato nello scorso decennio,
allorché le imprese si sono confrontate con i continui avanzamenti tecnologici e una crescente
multidisciplinarità della conoscenza (Figura 3). Mentre negli anni ‘60 e ‘70 la tendenza era
l’accentramento della R&S, a partire dagli anni ’80 le imprese hanno progressivamente
esternalizzato queste attività. Informazioni sulle imprese che maggiormente investono in R&S
rivelano che, in media, nove imprese su dieci esternalizzano un totale del 15% della loro spesa in
R&S, i due terzi ad altre imprese e il rimanente un terzo ad enti pubblici di ricerca.
Il lato “da dentro a fuori” dell’open innovation è più recente e nuovo, in quanto le imprese
cercano progressivamente di ricavare profitti dalle conoscenze sviluppate al proprio interno ma
non ancora commercializzate. Le imprese cercano impieghi alternativi e la commercializzazione
del proprio portafoglio inutilizzato di proprietà intellettuale, e si constata come la proprietà
intellettuale stia evolvendo verso una partnership intellettuale. I ricavi da proprietà intellettuale
sono aumentati in misura significativa ma ancora esistono rilevanti barriere a questo mercato:
solo il 15% dei brevetti viene scambiato sul mercato, mentre il 50% di essi viene utilizzato
esclusivamente all’interno dell’impresa.
Figura 3 – Andamento delle fonti dell’innovazione
1 s t g e n e r a t io n
O u ts o u rc e d
20%
3 r d g e n e r a t io n
4 th g e n e r a t io n
2 n d g e n e ra t io n
D u rin g th e la te 1 9 th a n d th e e a rly p a rt o f th e
2 0 th c e n tu rie s , p ra c tic a lly a ll re s e a rc h w a s
c o n d u c te d o u tsid e th e firm in s ta n d -a lo n e
re s e a rc h o rg a n iz a tio n s
15%
Im p o rta n c e o f
in n o v a tio n n e tw o rk s
a s s o u rc e o f k n o w how
10%
B a la n c e b e tw e e n
o u ts o u rc e d R & D a n d
in - h o u s e c a p a c ity
5%
G o ld e n a g e o f c o r p o r a te
R & D la b s
N o w o n a g lo b a l s c a le
0%
1900
1920
1940
1960
1980
“R o u g h ly 3 % o f r e s e a r c h is
b o u g h t o u t s id e t h e f ir m ” – E I R M A s t u d y
2000
2. Le politiche pubbliche
Le politiche mission oriented
Un Paese industrialmente avanzato, che voglia favorire cambiamenti strutturali virtuosi e
mobilitare le migliori risorse interne in un vasto processo di catching-up tecnologico, non può
eludere la definizione e l’attuazione di un insieme di grandi programmi di ricerca, finalizzati a far
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avanzare le frontiere tecnologiche per i soggetti pubblici e privati direttamente coinvolti in essi,
ma anche a creare esternalità e condizioni di allineamento degli obiettivi e degli impieghi di
risorse per il sistema delle imprese e per gli altri attori del processo innovativo. Tali programmi
debbono essere orientati da chiare scelte strategiche in merito agli elementi portanti (driver) del
cambiamento. Nelle esperienze passate di molti Paesi, tali elementi portanti sono stati trovati
nell’ambito delle politiche nazionali per la difesa e l’industria militare, ma non mancano esempi
storici in cui le strategie di fondo sono state diversamente guidate.
Per l’efficacia delle politiche mission oriented appaiono essenziali i seguenti requisiti.
•
Selettività. In un quadro di risorse scarse, la selettività degli obiettivi e dei
programmi è un imperativo. A tal fine è necessaria una visione a medio-lungo
termine che sappia indirizzare l’impiego delle risorse pubbliche verso poche aree
prioritarie dai confini ben delimitati, in cui sviluppare ricerca di avanguardia, e
modulare gli altri interventi per le aree in cui sviluppare ricerca applicata, di
inseguimento e imitativa e per le aree in cui conservare capacità di assorbimento di
risultati di ricerca altrove realizzati.
•
Focalizzazione. L’approccio mission oriented implica di giungere a definire
“programmi” e con essi progetti “di punta” e non semplici “aree di intervento”, al
fine di evitare la dispersione delle risorse e la diluizione degli obiettivi. I progetti
“di punta” debbono agire da catalizzatori di energie su campi scientifici e
tecnologici identificati come prioritari per lo sviluppo del Paese.
•
Coordinamento. L’intervento pubblico non deve limitarsi al sostegno
finanziario dei soggetti innovativi; a questo riguardo l’impegno può essere
variamente modulato, secondo la tipologia del programma/progetto, da assai
rilevante a casi di solo seed money. Il vero valore aggiunto della “mano pubblica”
risiede nelle azioni di coordinamento che possono essere condotte per mobilitare
leve complementari, quali una domanda pubblica di beni e servizi mirata a
sostenere l’innovazione, programmi speciali di formazione del capitale umano
(università, dottorati, ecc.), scenari “certi” riguardo al contesto istituzionale e
regolatorio, in modo da creare le esternalità necessarie a catalizzare e moltiplicare
gli sforzi innovativi lungo le direttrici prescelte.
•
Partecipazione. Attorno ai programmi deve essere costruito il consenso politico
e sociale, per giungere a un “patto” scientifico-tecnologico che coinvolga la ricerca
pubblica e privata. I programmi debbono essere promossi dall’Amministrazione
pubblica con il contributo dei maggiori protagonisti del settore privato: in primo
luogo, le grandi imprese nazionali ed estere del Paese, ma anche le imprese di
media taglia internazionale che hanno in questi anni accresciuto il loro impegno
nelle attività di ricerca. Specifica attenzione deve dunque essere dedicata alla
metodologia e ai meccanismi per attuare una “programmazione partecipata” che
sappia coniugare scelte strategiche dall’alto e adesione collettiva dal basso.
•
Valutazione e meritocrazia. I programmi debbono essere accompagnati
dall’assunzione di sistemi trasparenti di valutazione ex-ante, in itinere ed ex-post,
cui sia strettamente associata una riallocazione dinamica delle risorse di natura
meritocratica. Ciò si rende necessario non solo ai fini dell’efficacia e dell’efficienza
dell’azione, ma anche per assicurare la public accountability, condizione
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indispensabile per stabilire un clima reale di partecipazione e condivisione delle
scelte strategiche che vengono attuate e, se necessario, corrette.
Alla luce di questi criteri, il giudizio da formulare circa la pratica in uso nel nostro Paese è
alquanto severo: i requisiti sopra indicati sono stati in larga misura elusi.
Quanto alla valutazione, da un lato, ci si affida alla sola valutazione ex-ante dei progetti
presentati a fronte dei bandi, escludendo qualsiasi meccanismo di riallocazione dinamica delle
risorse, guidato da valutazioni in itinere ed ex-post; dall’altro lato, si ritiene di potere avere
garanzie di una buona selezione ex-ante coinvolgendo in essa le banche. Tale coinvolgimento si
coniuga con l’utilizzo di strumenti che prevedono il ricorso prevalente al credito agevolato,
combinato al credito ordinario erogato dalle banche valutatrici per la quota delle spese non
finanziata dal soggetto pubblico, a conferma del sostanziale abbandono dei contributi a fondo
perduto.
Quanto al ruolo delle banche, esso riflette un’impostazione più generale, proposta
nell’ambito del riordino degli incentivi alle imprese e nella legge sulla competitività (L. 80/2005),
secondo cui la loro partecipazione aiuterebbe le imprese, soprattutto le PMI, a meglio indirizzare
i progetti di investimento e a meglio selezionare gli stessi. Al proposito si osserva che, per quanto
concerne i progetti a contenuto innovativo, con margini di rischio tanto più elevati quanto più
ambiziosi sono gli obiettivi di ricerca, un’ampia letteratura indica come il debito sia uno
strumento inadeguato al finanziamento delle attività di R&S e come gli istituti di credito
ordinario siano soggetti a condizioni di adverse selection e moral hazard che ne rendono
inefficienti i comportamenti. In particolare, la selezione operata da tali istituti tende a privilegiare
i progetti che offrono maggiori garanzie di rimborso del prestito erogato e non quelli a più alto
contenuto innovativo e quindi mediamente più rischiosi. Come conseguenza si avrebbe, appunto,
una selezione che favorisce non l’innovazione, ma gli ampliamenti e le ristrutturazioni, con effetti
talvolta di pura sostituzione di spesa privata con spesa pubblica.
Le politiche diffusion oriented
Gli interventi di politica tecnologica diffusion oriented si pongono l’obiettivo di suscitare la
domanda di innovazione da parte delle imprese nazionali, e soprattutto delle PMI, e di contribuire
a migliorarne l’efficienza. In particolare, essi mirano a favorire la migrazione di tali imprese da
un modello di business basato su fattori competitivi di prezzo a uno basato sulla capacità di
innovare continuamente prodotti e processi. Tali politiche sono ineludibili in un Paese come il
nostro, con una struttura industriale fortemente caratterizzata dalla presenza di PMI, la gran parte
delle quali svolge, al massimo, attività di R&S di inseguimento.
3. Il processo di allocazione delle risorse e il sistema di valutazione
Ci si può chiedere perché il Paese non sia in grado di mettere in campo un sistema diffuso
di monitoraggio e valutazione delle politiche intraprese, in modo da consentire la riallocazione
dinamica delle risorse e il miglioramento delle prestazioni. Come corollario, ci si deve chiedere
perché le questioni della public accountability dell’operatore pubblico e del value for money –
valore economico e sociale della spesa pubblica – siano oggi totalmente eluse.
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In altri Paesi europei i sistemi di valutazione (ex-ante, intermedia, ex-post; valutazione
interna, dei “pari”, valutazione esterna di impatto) sono ben articolati e consolidati (Francia,
Germania, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Finlandia). Nonostante taluni sintomi di possibili
miglioramenti, in Italia prevalgono forme di valutazione interna con criteri spesso di natura
procedurale e descrittiva, senza coinvolgimento delle strutture valutate; sono inesistenti le analisi
preventive di impatto nella valutazione della ricerca pubblica e i progetti privati finanziati
pubblicamente non vengono mai valutati ex-post.
La valutazione è resa difficile nel nostro contesto, caratterizzato da un basso livello di
programmazione, dall’assenza di coordinamento e dalla sovrapposizione di ruoli nell’indirizzo,
finanziamento ed esecuzione della ricerca (a partire dai Ministeri), da procedure di assegnazione
dei finanziamenti che rimangono farraginose e lente, dalla perdurante tendenza al finanziamento a
pioggia. Si rileva inoltre una scarsità di risorse destinate alla valutazione e una diffusa assenza di
competenze professionali per la valutazione nelle istituzioni sia centrali, sia periferiche.
Le scelte politiche recenti, di assetto e di indirizzo delle misure a sostegno della ricerca e
dell’innovazione, non appaiono nel segno di un significativo miglioramento della situazione.
Inoltre, in molti ambiti politici e dell’Amministrazione pubblica si osteggiano le misure di
incentivazione automatica, anche nel campo delle politiche diffusion oriented, nel nome di una
presunta superiorità meritocratica dell’allocazione a bando. Tuttavia:
•
nel metodo, si rimane ancorati alla sola valutazione ex-ante dei progetti,
dimenticando i problemi di adverse selection e moral hazard che questa procedura porta
con sé e ignorando la possibilità di ricorrere a meccanismi di riallocazione delle risorse
per mezzo di valutazioni in itinere ed ex-post;
•
sul piano degli assetti e delle procedure decisionali, si propongono soluzioni
accentrate e meccanismi di coordinamento che, se non supportati da adeguate risorse e
professionalità, assumono carattere puramente formale.
I risultati raggiunti dagli interventi di supporto effettuati, in termini sia di incremento della
spesa privata di R&S, sia soprattutto di miglioramento dell’innovatività delle imprese, sono
valutati da una Commissione costituita con criteri analoghi a quelli previsti per i Programmi
Strategici, in base a un sistema di indicatori qualitativi e quantitativi definiti ex-ante e comunicati
pubblicamente. Tale valutazione influenza le successive priorità nell’allocazione dei
finanziamenti fra i settori, distretti tecnologici e/o tipologie di imprese, sulla base del modello
“picking the winners”. In altri termini, pur assicurandosi una flessibilità riallocativa (che
consenta, ad esempio, l’ammissione agli incentivi di nuovi settori), si opera in modo da premiare
le aree che, sia in ragione di comportamenti virtuosi delle imprese nell’uso delle risorse
finanziarie ricevute, sia in ragione dell’esistenza di maggiori opportunità di valorizzazione delle
stesse, hanno mostrato i migliori risultati. Tale approccio si discosta da una consolidata tradizione
della politica tecnologica italiana che sinora ha teso a coniugare negli stessi provvedimenti
obiettivi di stimolo della R&S e dell’innovazione con obiettivi di riequilibrio territoriale, con esiti
insoddisfacenti su entrambi i fronti, e non ha mai proceduto a una valutazione puntuale dei
risultati ottenuti dagli interventi di supporto.
Al fine dell’attuazione degli incentivi automatici cinque aspetti appaiono cruciali.
•
Una chiara delimitazione delle voci di spesa ammissibili per il credito d’imposta. E’
opportuno limitarsi ad alcune voci di facile identificazione in modo da scoraggiare
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comportamenti elusivi: personale di ricerca dotato di titolo di studio pari ad almeno una
laurea quadriennale o quinquennale (o laurea specialistica nel nuovo ordinamento degli
studi universitari); contratti di outsourcing e collaborazione alla ricerca con le università,
gli enti pubblici di ricerca e i centri di ricerca senza fini di lucro; spese per l’acquisto di
apparecchiature di laboratorio univocamente identificabili come tali; spese sostenute per
l’acquisizione o il deposito di brevetti. Si noti che tali voci di spesa coprono una parte
sostanziale delle spese effettivamente sostenute dalle imprese per attività di R&S.
Tuttavia, al fine di coprire altre voci della spesa di R&S di più ambigua identificazione,
queste ultime potrebbero essere considerate forfettariamente come una percentuale fissa
delle voci di spesa sopra menzionate.
•
Entità e modulazione degli incentivi. Per le voci di spesa indicate, il credito
d’imposta accordato deve raggiungere i massimali consentiti dalla disciplina comunitaria
sugli aiuti di Stato alla R&S, incluse le maggiorazioni previste per le PMI. Ciò al fine di
costituire uno stimolo autentico all’aumento degli sforzi dedicati dalle imprese a tali
attività. Con questo stesso obiettivo, si ritiene utile che in una prima fase gli incentivi si
applichino all’ammontare della spesa sostenuta dalle imprese per le suddette voci, ma che
successivamente ne venga sussidiato prevalentemente l’incremento.
•
Massima flessibilità nella compensazione del credito d’imposta maturato. A questo
riguardo andrebbe prevista la compensazione con debiti di imposta di qualsiasi natura e
anche con i contributi previdenziali e assicurativi, in modo da evitare problemi di
“incapienza” che risultano particolarmente gravi per particolari categorie di imprese (ad
esempio, le giovani imprese, soprattutto di alcuni settori ad alta tecnologia) che ancora
non hanno raggiunto la fase dei redditi positivi.
•
Supporto ex-ante alle imprese nell’identificazione delle voci di spesa ammissibili ed
efficaci controlli ex-post. A questo riguardo andrebbe istituita presso l’Agenzia delle
entrate un’apposita e distinta Sezione che si occupi di offrire consulenza alle imprese. Le
imprese finanziate devono poi dare conto annualmente nei propri bilanci delle spese di
R&S sostenute, dettagliandole per specifiche categorie. Inoltre alla stessa Sezione
dell’Agenzia delle entrate andrebbe affidata la verifica di correttezza ex-post. In caso di
inosservanza delle norme, oltre alla restituzione degli importi indebitamente dedotti,
all’impresa andrebbero comminate sanzioni tali da scoraggiare comportamenti
opportunistici, quali l’inibizione dall’accesso ai finanziamenti pubblici per un certo
periodo di anni.
•
L’impatto del credito d’imposta sulle spese di R&S sostenute dalle imprese e sul loro
output innovativo viene monitorato dalla Commissione di valutazione. Come sopra
indicato, i risultati di tale attività di valutazione influenzano l’allocazione dei fondi
disponibili tra settori, distretti tecnologici e tipologie di imprese.
Per quanto riguarda il sostegno alla diffusione di tecnologie innovative, si dovrebbe
ricorrere, per le sole PMI, a una misura automatica di supporto all’acquisto di tecnologie
innovative di processo e di tecnologie di informazione e comunicazione, incluse le spese per
l’acquisto del software, la formazione del personale e l’assunzione di personale tecnico
specializzato di supporto.
Per quanto concerne le attività di trasferimento tecnologico, di promozione
dell’innovazione e di assistenza alle PMI, esse sono in primo luogo di competenza dei poteri
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locali (Regioni e Province autonome). L’attuale stato dell’arte indica, peraltro, un’ampia
proliferazione sul territorio di iniziative totalmente o in parte dedicate al trasferimento
tecnologico (centri servizi, parchi, BIC, agenzie di sviluppo territoriale, servizi associativi delle
PMI e dei distretti, ecc.). È un’offerta ricca, ma frammentata e non sempre dotata delle strutture e
delle competenze necessarie. A livello centrale, emerge dunque la necessità di: (i) aumentare la
capacità di erogazione di servizi da parte di questi enti, attraverso l’offerta di formazione e di
consulenza, l’informazione circa le esperienze di successo maturate su scala nazionale e
internazionale e la diffusione delle best practices; (ii) favorire i processi di aggregazione,
integrazione e consolidamento delle strutture, nonché la formazione di reti di collaborazione tra i
diversi soggetti deputati all’attività di trasferimento tecnologico e tra questi e le imprese, in modo
da superare gli eccessi di localismo, le insufficienze in termini di massa critica e la genericità o
mancata qualificazione dei servizi offerti sul territorio; (iii) far emergere centri di eccellenza con
forte specializzazione in una particolare area tecnologica, i quali siano in grado di porsi come
partner di riferimento per le imprese (specialmente le PMI) operanti nell’area tecnologica
corrispondente.
4. L’addizionalità dell’intervento pubblico ed una proposta di intervento
I problemi relativi all’efficacia dell’intervento pubblico nel finanziamento delle attività di
R&S delle imprese stanno assumendo un’importanza sempre maggiore nel dibattito pubblico. Il
concetto di addizionalità nasce dal tentativo di stabilire se l’aiuto pubblico assume un ruolo
trainante oppure sostitutivo. Secondo Georghiou esistono tre diverse manifestazioni di
addizionalità,:
•
addizionalità negli input: riguarda la natura addizionale delle risorse investite, vale a
dire che per ogni euro di sussidi l’impresa spende almeno un euro addizionale
nell’attività considerata. Dunque l’impresa investe di più di quanto avrebbe fatto in
assenza dell’intervento pubblico;
•
addizionalità negli output: riguarda i risultati raggiunti in termini di output e di
raggiungimento di un insieme di obiettivi che ispirano il provvedimento stesso, come ad
esempio numero di brevetti, pubblicazioni, introduzione di nuovi prodotti o processi;
•
addizionalità nei comportamenti (behavioural additionality): riguarda l’atteggiamento
complessivo dell’impresa, che risulta più orientato nel suo complesso all’attività di
ricerca e innovazione.
La gran parte degli studi svolti sia in Italia che negli altri paesi giunge alla conclusione che i
finanziamenti pubblici per la R&S e l’innovazione non producono visibili effetti di addizionalità
(misurata soprattutto in termini di input e di output).
Lo Stato sostiene le attività innovative attraverso tutta una serie di modalità:
•
la formazione di personale ai vari livelli di specializzazione,
•
l’esecuzione di attività di ricerca presso le strutture pubbliche (università, enti di
ricerca),
•
la domanda pubblica qualificata, in particolare laddove si richiedono prestazioni ad
alto contenuto di conoscenza,
•
l’investimento in infrastrutture pubbliche (tecnoparchi, reti ICT, ecc.),
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le condizioni di contesto (per esempio i diritti di proprietà intellettuale, il clima
economico, il sistema finanziario),
•
i finanziamenti di progetti,
•
gli incentivi fiscali.
•
Allo stato attuale lo Stato eroga alle imprese italiane per R&S 1 miliardo di euro, pari al
bilancio annuale del CNR. Poiché non è dimostrato che vi sia un effetto aggiuntivo del rispetto ai
loro piani di investimento in R&S, e che molti osservatori siano scettici sull’uso che le imprese
hanno fatto nel corso degli ultimi decenni dei finanziamenti pubblici, si potrebbe cambiare
strategia: invece di fornire alle imprese denaro, si punterebbe a fornire loro conoscenze e servizi
di qualità. Tale mutamento di strategia comporterebbe un riorientamento dei flussi finanziari
verso le università e gli enti di ricerca: queste istituzioni pubbliche, peraltro, attualmente vivono
un periodo di ristrettezze economiche che, se prolungato, potrebbe condurre ad una loro paralisi.
Un rafforzamento della rete di ricerca pubblica consentirebbe di incrementare lo stock di
conoscenze di alto valore a disposizione delle imprese, nonché di avvicinare il paese a quelli alla
frontiera della scienza. L’esperienza mostra che non di rado ciò che manca alle imprese non sono
le risorse finanziarie, ma le opportunità di mercato. Un rafforzato sistema di ricerca pubblico
contribuirebbe significativamente all’innalzamento tecnologico del tessuto produttivo se questo
imboccherà decisamente la strada dell’open innovation.
Bibliografia
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OECD, Globalisation and open innovation, Paris, 2008.
Sirilli G., Ricerca e sviluppo. Il futuro del nostro paese: numeri, sfide, politiche, Il Mulino,
Bologna 2005.
Sirilli G., La ricerca scientifica e la società della conoscenza, Progetto PARSEC, Roma, 5
febbraio 2008.
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