olimpiadi: una passione lunga tre millenni

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olimpiadi: una passione lunga tre millenni
OLIMPIADI: UNA PASSIONE LUNGA TRE MILLENNI
Il primo vincitore olimpico di cui ci sia stato tramandato il nome è Corebo dell’Elide, vincitore nella corsa1, ma di
una gara di corsa già si raccontava in un passo di Omero (Iliade, XXIII, vv. 763-779), dove, nei giochi funebri in onore di
Patroclo, Odisseo prevaleva sul giovane Aiace che cadeva rovinosamente, dopo che Odisseo aveva invocato l’aiuto della sua
protettrice Atena2.
In questo stesso canto dell’Iliade sono menzionate molte altre gare che, in tempo successivo, saranno canonizzate
tra le specialità olimpiche di età storica 3: la corsa coi carri (vv. 262 ss.), il pugilato (vv. 653 ss.), la lotta (vv. 700 ss.), la già
citata corsa a piedi (vv. 740 ss.), la lotta in armi (vv. 802 ss.), il lancio del disco (vv. 826 ss.), il tiro con l’arco (vv. 850 ss.), il
tiro con il giavellotto (vv. 884 ss.); la tipologia di queste gare sarà celebrata estesamente e con dovizia di particolari, dai poeti
della lirica corale nei loro “epinici”, “canti per la vittoria” 4 (qui basta ricordare i quattro libri di “epinici” di Pindaro,VI-V sec.
a.C., che siamo in condizione di leggere).
La realizzazione dei primi giochi “olimpici” si data nel 776 a.C. 5, e l’istituzione veniva fatta risalire alla più remota
antichità. Nelle tradizioni discordanti, che si riferiscono alle Olimpiadi, si stratificano memorie antichissime provenienti da
sostrati storici diversi 6; queste tradizioni, in sintesi, hanno suggerito le seguenti ipotesi, che hanno maggior seguito tra gli
studiosi moderni: 1. le Olimpiadi possono essere considerate come “originari” giochi funebri in onore dell’eroe locale
Pelope7; 2. si tratta di semplici feste locali assurte in seguito a grande fama; 3. sono manifestazioni legate ad un antico culto
della fecondità collegato con la figura femminile della “Grande Madre”, successivamente soppiantata da Zeus, divinità
maschile importata dagli Indoeuropei che si stanziarono in Grecia. Da ciò è evidente che l’origine dei giochi è piuttosto
complessa e controversa, ma sembra che il collegamento con un culto funebre eroico sia l’ipotesi più probabile8.
Gli storici greci antichi, e lo stesso Pindaro 9, sembrano considerare Eracle il fondatore dei giochi (cfr. anche
Pausania, V, 7, 9); inoltre sono ricordati puntualmente negli epinici pindarici: la delimitazione del temenos (“recinto sacro”)
dell’Altis (santuario olimpico sacro a Zeus: cfr. anche Pausania, V, 10, 1-4) ed il sacro recinto intorno alla tomba di Pelope
(Olimpica, X, vv. 45-6), la dedica degli altari dei Dodici Dei (cioè “il pantheon olimpico in generale”: Olimpica, V, v. 4; X, vv.
48-49), la fondazione dell’alsos (“il boschetto”) di olivi selvatici, le cui fronde servivano ad incoronare gli atleti vincitori
(Olimpica, III, vv. 11-13), i primi giochi (Olimpica, X, vv. 55 ss.).
I giochi si svolsero sempre sotto la presidenza degli Elei (se escludiamo il periodo degli anni 668-572, in cui sembra
vi sia stata la presidenza dei Pisati), e ben presto non furono più giochi locali ma divennero così popolari da attirare atleti (e
spettatori) da ogni parte del mondo greco 10. In età storica sappiamo che i sacri araldi bandivano la tregua d’armi11, invitando
tutti alla partecipazione ai giochi, per impedire che le guerre tra le varie poleis potessero turbarne lo svolgimento.
Dal punto di vista geografico, Olimpia non era altro che un antico centro religioso del Peloponneso (Grecia sudoccidentale), sulla riva destra del fiume Alfeo, a 10 Km. dalle sponde dello Ionio: semplicemente un luogo sacro, dipendente
politicamente e amministrativamente da Elide, capitale della regione in cui sorgeva, che viveva solo in ragione delle decine di
templi, temene (“recinti sacri”) e altari dedicati ad altrettante divinità 12.
Per le indicazioni bibliografiche date in forma abbreviata si rinvia alla bibliografia posta alla fine del contributo. I nomi dei vincitori, inseriti in documenti
ufficiali, erano conservati, sin dal periodo arcaico, in registri tenuti ad Olimpia. Il primo compilatore di un elenco dei vincitori fu Ippia di Elide, alla fine del
V sec. a.C.; l’elenco fu quindi aggiornato da Aristotele e da Filocoro, nel IV sec. a.C., poi da Flegone di Tralle, all’epoca dell’imperatore Adriano; nel III sec.
d.C. Giulio Africano si occuperà della lista che sarà, poi, copiata da Eusebio ( 265-340 c.a.): v. L. Moretti, Olpimpionikai; L. Moretti, Supplemento al catalogo; L.
Moretti, Nuovo supplemento al catalogo.
2 Per lo sport preolimpico v. le indicazioni di W. Decker, Le sport préolimpique: Crète, Mycènes et Homère, in W. Decker - J. P. Thuiller, pp. 74-82.
3 Per una selezione di passi significativi di Omero v. Appendice; alcuni studiosi (v. soprattutto H. W. Pleket, p. 510) vedono in questa sezione del testo
“omerico” i tratti distintivi di un programma atletico già ben delineato, che troveremo nel seguito dell’antichità: discipline equestri, atletica leggera (corsa e
pentathlon), atletica pesante (lotta, pugilato, pancrazio).
4 Famosi gli epinici di Simonide, Bacchilide e, soprattutto, Pindaro (per una selezione di passi significativi di questo poeta v. Appendice); l’epinicio ha una
struttura ben definita, anche se permette al poeta variazioni nell’ambito delle sue parti: attualità, mito, gnome (“sentenza”); nella parte dell’attualità si parla
della gara e del suo svolgimento, nonché della figura del vincitore, poi si confrontano questi temi con un mito che possa essere adatto ed infine se ne ricava
la gnome, che, a volte, può anche essere diffusa in varie parti dell’epinicio ma, preferibilmente, viene riservata alla chiusa.
5 I giochi di Olimpia sono i più antichi; quelli Istmici, tenuti a Corinto, e i Pitici, a Delfi, si datano nel 582 a.C.; i Nemei, tenuti in Argolide, nel 573 a.C. (v.
M. Di Donato-A. Teja, pp. 124-134): queste “manifestazioni” sono i maggiori giochi “panellenici” ed avevano come premio una semplice corona di olivo, o
di pino, o di alloro, o di apio; da ciò venne loro la definizione di giochi “della corona” (“stefanìtai”).
6 V. L. Lehnus, p. XXXIII.
7 Questa indicazione sembra dedursi anche da un passo di Pindaro (Olimpica, I, vv. 90-93), che in altri luoghi riconduce la fondazione dei giochi ad Eracle,
che è l’atleta per eccellenza (v. avanti). Pelope era il giovane figlio di Tantalo; il padre lo aveva ucciso e fatto a pezzi, cucinato e poi servito agli dei (secondo
alcune fonti, per mettere alla prova la chiaroveggenza divina); di tutti gli dei solo Demetra, sconvolta per la perdita della figlia ed affamata, ne divorò una
spalla, ma gli dei ricomposero il corpo di Pelope e, con una spalla di avorio, lo riportarono in vita; il giovane, poi, fu amato da Posidone, che lo aiutò a
conquistare ed a sposare Laodamia, da cui ebbe molti figli. Occorre anche dire che un’attenzione particolare è stata rivolta dagli studiosi verso gli eroi
celebrati con gli agoni ginnici e verso la mitologia agonistica, in cui alcuni eroi sono considerati come “fondatori” delle singole competizioni sportive: v. le
osservazioni di A. Brelich, pp. 94 ss., di C. F. Pfister, pp. 95 ss., e di J. Fonterose.
8 V. soprattutto W. Burkert, pp. 108 ss., il quale riconosce, in particolare, nel culto sacrificale una connessione con il rito “cannibalico” di Tantalo e Pelope,
del quale ad Olimpia si conservava la spalla d’avorio.
9 Cfr., ad esempio, Olimpica , III, vv. 11-13, e X, vv. 43-49: v. Appendice.
10 Per curiosità del lettore si può ricordare la presenza ad Olimpia, per quanto sappiamo, anche di illustri personaggi: lo storico Erodoto, i filosofi Platone
ed Aristotele, l’oratore Demostene, ecc.
11 V. M. Lämmer, La cosiddetta “pace olimpica” nell’antichità greca , in P. Angeli Bernardini, Lo sport in Grecia, pp. 119-152.
12 Pausania dedicò i libri quinto e sesto della sua Periegesi della Grecia alla descrizione di questi monumenti.
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Il santuario, detto Altis, è un quadrilatero “irregolare” di circa 200 m. per 175 m., attualmente completamente
scavato13, e comprende, tra gli altri splendidi monumenti, il Tempio di Hera, che è il più antico (e fu proprio su questa
antichità che si basarono i sostenitori dell’ipotesi, citata sopra, che vede i giochi in rapporto con una figura divina femminile
collegata alla fecondità agraria), il Metroon, tempio di Cibele della fine del V a.C., poi dedicato ad Augusto, e la numerosa serie
dei thesauroi, edifici eretti per raccogliere gli ex voto delle varie città (thesauroi di Megara, Gela, Metaponto, Selinunte, ecc.) in
occasione delle loro vittorie. Il culto di Hera venne ben presto, come culto principale, sostituito con quello di Zeus, di cui,
tra il 470 e il 456 a.C., venne costruito il nuovo tempio, al cui interno era collocata la grande statua (era alta circa 12 m.)
crisoelefantina, opera di Fidia, con una Nike nella mano destra, e di cui sono state ritrovate le metope che rappresentano le
fatiche di Eracle ed i frontoni con la Centauromachia a ovest e la preparazione della corsa di Pelope ed Enomao a est.
Le antiche Olimpiadi, quindi, prendono il nome dal santuario di Olimpia, in cui ogni quattro anni si svolgevano
(solo nel 65 d.C. le Olimpiadi furono rimandate di due anni per consentire la presenza dell’imperatore Nerone), nei cinque
giorni della seconda o terza luna piena dopo il solstizio estivo, i giochi in onore di Zeus 14.
Il primo giorno delle Olimpiadi era dedicato ai sacrifici agli dei e agli atleti divinizzati15 e all’esame dei fanciulli e dei
puledri che gareggiavano a parte, il seco ndo alle gare dei fanciulli ed alla corsa con i carri, il terzo alle gare degli adulti (corsa,
lotta, pugilato, pancrazio) ed al sacrificio di cento buoi (ecatombe); seguivano, poi, le corse dei cavalli, le gare dei carri, la
corsa armata (introdotta ad Olimpia, per quanto consta, dopo il 520 a.C) ed il pentathlon (formato da corsa, salto in lungo,
lancio del giavellotto, lancio del disco, lotta), che era particolarmente stimato nell’antichità 16. La parte essenziale dei giochi
era costituita dalle gare ginniche che, inizialmente, erano solo gare di corsa (queste gare comprendevano: lo stadio, cioè i
nostri 200 m. piani; il diaulos, cioè due stadi, i nostri 400 m. piani; e il dolico o makrós dròmos (“grande corsa”), la cui lunghezza
è controversa e sembra variare dai 1350 m. per i fanciulli ai 4600 m. per gli adulti 17.
Nel quinto giorno, ultimo della “manifestazione”, i vincitori, incoronati con l’olivo selvatico, venivano portati in
trionfo; la sera l’aria risuonava di inni, innalzati per i vincitori a cui si accompagnavano sacrifici agli dei e un grande
banchetto a cui partecipavano atleti e spettatori.
Ai giochi, dove i vincitori, come abbiamo detto, non ricevevano come premio che corone vegetali (d’olivo selvatico
ad Olimpia) erano, però, legati altri riconoscimenti: i vincitori diventavano vere e proprie glorie nazionali, a livello anche
superiore ai nostri campioni moderni, specie coloro che vincevano le gare equestri, particolarmente spettacolari 18, e riservate,
anche a causa del forte impegno economico, all’aristocrazia. Sono da ricordare, a tale proposito, la partecipazione a queste
gare dei “grandi” tiranni delle poleis della Sicilia, quali Ierone di Siracusa e Terone di Agrigento con i loro equipaggi (come
succede oggi con le auto di Formula Uno o con le grandi barche a vela delle regate internazionali!), i quali, dopo la vittoria,
non badavano a spese pur di essere celebrati con gli epinici dai più grandi lirici corali dell’epoca.
Questo fatto fa facilmente comprendere quale fosse l’importanza dei gioch i per il mondo greco, che era, per natura,
portato allo spirito di competizione. Gli stessi antichi guardavano con curiosità all’attività agonistica greca: lo storico
Erodoto (VIII, 26) descrive lo stupore dei Persiani invasori nell’apprendere che il premio di una gara non era il denaro ma
una semplice corona d’olivo al punto che uno dei loro generali, Tritantaicme, esclama: “Ohimé, Mardonio, contro quali
uomini ci conducesti a combattere, uomini che contendono non per denaro ma per fama“ 19. Ma, forse, più che la passione
sportiva, che è riscontrabile anche presso altri popoli antichi (basta ricordare gli Etruschi e i Fenici), ciò che stupiva i
contemporanei era l’istituzionalizzazione (“a livello nazionale”) di questi giochi.
Per evitare una “mitizzazione” dell’immagine dello sport della Grecia antica, basta ricordare che anche allora
esistevano gli sponsors, che offrivano premi in denaro agli atleti, e preghiere unite a sacrifici, e che le città erano disposte a
tutto pur di acquisire gli atleti in grado di vincere. Bisogna sottolineare che l’uso delle ricchezze per la “sponsorizzazione”
era considerato positivamente, in quanto queste venivano impiegate per il bene di tutta la collettività: la vittoria, del resto,
non era del singolo atleta, ma , principalmente, della sua città, il cui nome veniva proclamato dall’araldo insieme con quello
del vincitore20.
Gli scavi furono iniziati nel 1829 dalla Scuola archeologica francese e poi continuati da quella tedesca.
Il termine Olimpiade passò ad indicare lo spazio di quattro anni che intercorreva tra due successive manifestazioni e fu adottato per la prima volta da uno
storico del IV-III a.C. Timeo come “base di computo per la cronologia”, anche se Ippi di Reggio e Tucidide, nel V sec. a.C., sembrano usarlo già come
riferimento cronologico, e fu certamente diffuso da Eratostene nel III sec. a.C. All’interno della cosiddetta “era olimpica”, che ha la durata di quattro anni,
la prima Olimpiade è fissata nel 776 a.C., come ho già ricordato, e le successive furono stabilite ogni quattro anni successivi (cioè II olimpiade: 772; III: 768,
ecc.) ed in ognuna di queste veniva distinto un primo, un secondo, un terzo e un quarto anno, che serviva appunto come ulteriore elemento di distinzione
cronologica; a questo proposito bisogna anche notare che l’anno greco iniziava non il primo gennaio come il nostro ma in un giorno imprecisato di fine
estate e perciò copre due mezzi anni rispetto al nostro calendario Giuliano.
15 L’ordine in cui si svolgevano le gare nel V sec. a.C. è riportato su un papiro scoperto nella zona egiziana di Ossirinco, ma la divisione delle gare nei cinque
giorni è problema molto dibattuto e di difficile soluzione, in quanto l’ordine delle gare variò con il trascorrere del tempo; di certo c’è solo che la prima e
l’ultima giornata erano riservate ai riti e alle attività protocollari: cfr. M. Di Donato-A. Teja, p. 91.
16 Lo stesso Aristotele ammirava i pentatleti, anche se in generale non dimostrava una particolare passione per gli atleti “professionisti”: cfr.. M.P. Nilsson,
p. 36.
17 Cfr. H.W. Pleket, p. 511.
18 Può essere interessante leggere la “cronaca” di un terribile incidente occorso ad un auriga, descritto in un passo dell’Elettra di Sofocle, cioè nel racconto
della finta morte di Oreste: v. Appendice.
19 Sappiamo anche però che ad Atene, nel V a.C., la legislazione di Solone (cfr. M. Di Donato-A. Teja, p. 122) assegnava ai vincitori olimpici un premio pari
a 500 dracme, segno di particolare attenzione per le vittorie conseguite ad Olimpia, e che alla metà del VI a.C. il principe scita Anacarsi, uno dei Sette
Sapienti, nell’incontro con Solone, trovava esagerata la passione dei Greci per lo sport (v. Luciano, Anacarsi, 10-11: dialogo che riapre, nel II sec. d.C., il
dibattito sull’inutilità o l’utilità dell’atletica e si conclude lasciando in sospeso la questione; cfr. M. Di Donato-A. Teja, pp. 268-275, e v. il recente volume di
A. Bernand).
20 V. “la lode della ricchezza” in Pindaro, Pitica , V, vv. 1-23; è necessario quindi prendere le distanze dalle affermazioni di D. Sansone, p. 6, la quale ritiene
che “non c’è differenza sostanziale tra sport moderno e sport delle società antiche o diverse”.
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Prova di questa passione “sportiva” sono i numerosi testi antichi, che descrivono il clima di tifo acceso (degno delle
nostre “migliori” tifoserie), che si verificava per la gara della corsa “sulla lunghezza di uno stadio”, di cui abbiamo fatto un
breve cenno prima21, la quale dava al vincitore non la sola corona d’olivo ma l’immortalità con l’erezione di statue, a cui
sappiamo che venivano attribuite proprietà miracolose come la guarigione da malattie gravissime.
Ma non tutti i Greci erano entusiasti per le gare sportive: già Tirteo 22, nel VII a.C., criticava l’agonismo sportivo,
così come Senofane23, nel VI a.C., Euripide24, nel V sec. a.C., ecc. In particolare Isocrate (16, 33), nel V-IV sec. a.C.,
racconta che Alcibiade non volle partecipare alla gara olimpica di corsa per non dover essere a contatto con gente di bassa
estrazione sociale, accettando, invece, di gareggiare nella corsa a cavallo (che, evidentemente, per l’alto costo per il
mantenimento del cavallo era, ancora all’epoca , riservata ai più ricchi e nobili); ma la maggioranza del mondo greco
continuò a vedere nella virtù sportiva un segno sicuro di virtù civile e ciò evidentemente sopravvive, se il loro precetto mens
sana in corpore sano è ancora attuale 25. I Giochi Olimpici continueranno a svolgersi fino al III sec. d.C.: gli ultimi di cui
abbiamo notizia sono quelli del 261, poi furono proibiti ufficialmente nel 392 dall’imperatore Teodosio dopo 293 edizioni, e
questo fatto fu, in effetti, l’ultimo stadio di un processo iniziato con il declino delle città antiche.
Come sappiamo, essi ripresero vita sempre in Grecia, ma questa volta ad Atene, nell’era moderna26, nel 1896 per
iniziativa del barone Pierre de Coubertin, che si ispirò alle antiche Olimpiadi senza, però, comprenderne veramente lo
spirito27, visto che, solo per fare un esempio, conosciuto a tutti, l’importanza del “partecipare” rispetto al vincere era quanto
di più lontano vi potesse essere dall’etica dei primi aristocratici partecipanti, che risentivano ancora dell’originaria nascita
delle gare in ambiente militare, e da quella dei più “borghesi” epigoni di età ellenistica -romana, per i quali l’atletismo era
ormai un’attività professionale legata al possesso di doti fisiche eccezionali 28.
Amalia Margherita Cirio
Docente di Lingua e Letteratura Greca
Università di Roma “La Sapienza”
APPENDICE29
Euripide, fr.282 Nauck (dal dramma satiresco Autolykos)
Tra gli innumerevoli mali che esistono in Grecia non c’è nulla di peggio che la classe degli atleti; da una parte non
fanno nessuno sforzo per vivere come si deve e non ne sono nemmeno capaci. Come può un uomo schiavo delle sue
mascelle e del suo ventre possedere di più che suo padre? D’altra parte non sono capaci di sopportare la povertà, né di fare
fronte alle vicissitudini del destino. Non avendo altro che cattive abitudini, non sanno risolvere le difficoltà. Sono splendenti
quando sono nel fiore dell’età e si pavoneggiano come le statue di una città, ma, quando arriva l’amarezza della vecchiaia,
sembrano dei mantelli afflosciati. Ugualmente disapprovo il costume dei Greci di organizzare feste in loro onore e di
compensarli celebrando vani piaceri. Quale buon lottatore, quale corridore veloce, quale discobolo o buon pugile ha mai
difeso la patria vincendo una corona? Combattono forse i loro nemici stringendo un disco tra le mani, cacciano i nemici
dalla patria colpendoli con il pugno attraverso gli scudi? Nessuno sarebbe così stupido da comportarsi così davanti alle armi
(dei nemici). Sono gli uomini saggi e buoni che bisognerebbe incoronare, quelli che la città stima come giusti e sensati, che
impediscono con le loro parole che siano commesse azioni malvagie, e odiano i combattimenti e la guerra civile. Ecco che
cosa è buono per una città e per tutti i Greci 30.
G. Leopardi, A un vincitore nel gioco del pallone, vv. 14-26
Del barbarico sangue in Maratona
Questa corsa era considerata il culmine delle gare, come lo è, per le Olimpiadi moderne, la corsa sui 100 m.: si correva completamente nudi, e proprio a
causa di quest’usanza le donne non erano ammesse nello stadio ad esclusione della sacerdotessa di Demetra, fatto che riporta alla già citata ipotesi di un
collegamento dei giochi con un culto primitivo di una divinità femminile (v. sopra; cfr. B. Bilinskj, p. 10). Gli antichi davano di questa nudità un’altra
spiegazione: Kallipàteira di Rodi, avendo allenato il figlio, si coprì con un lungo mantello e lo accompagnò alla gara, ma quando il figlio vinse non seppe
trattenersi e corse ad abbracciarlo scavalcando lo steccato che divideva il pubblico e gli allenatori dagli atleti e facendosi così scoprire; secondo la legge
avrebbe dovuto essere messa a morte, ma, essendo figlia di un vincitore olimpico ed ora anche madre di un vincitore olimpico, fu graziata, e da quel
momento sia gli atleti che gli allenatori furono obbligati a presentarsi nudi. Per un approfondimento del rapporto fra donna e sport nel mondo greco v. il
volume di G. Arrigoni.
22 V. Appendice.
23 V. Appendice, e cfr. le osservazioni di C.M. Bowra.
24 V. Appendice (per l’età attica e soprattutto per la posizione critica di Aristofane nei confronti dell’attività agonisti ca v. le osservazioni di D. Kile, pp. 131134).
25 È interessante ricordare l’alto valore dello “spirito olimpico” nella testimonianza moderna dei vv. 14-26 della canzone A un vincitore nel gioco del pallone
(1821) di G. Leopardi, in cui i vincitori di Maratona sono identificati con i vincitori delle Olimpiadi: v. Appendice.
26 È utile ricordare che l’inserzione della maratona come gara delle moderne Olimpiadi fu propugnata da M. Bréal, filologo classico, durante il congresso per
il ristabilimento dei giochi oliplici, tenuto nel 1894 presso la Sorbona di Parigi ed organizzato dal de Coubertin (cfr. M.L. Catoni, p. 539 n. 1).
27 V. le giuste osservazioni di H.W. Pleket, p. 535.
28 Per il rapporto fra le due ideologie v. le osservazioni di M.I. Finley-H.W. Pleke t.
29 I testi sono presentati secondo l’ordine alfabetico degli autori citati.
30 La traduzione è mia.
21
3
non colorò la destra
quei che gli atleti ignudi e il campo eleo,
che stupido mirò l’ardua palestra,
né la palma beata e la corona
d’emula brama il punse. E nell’Alfeo
forse le chiome polverose e i fianchi
delle cavalle vincitrici asterse
tal che le greche insegne e il greco acciaro
guidò de’ Medi fuggitivi e stanchi
nelle pallide torme; onde sonaro
di sco nsolato grido
l’alto sen dell’Eufrate e il servo lido.
Omero, Iliade, XXIII, vv. 618-623 31
Ora, vecchio, sarà per te questo dono,
ricordo sarà del funerale di Patroclo; infatti tu non lo vedrai
più tra gli Argivi; così ti do questo premio;
infatti tu non combatterai nella lotta,né nel pugilato,
né gareggerai nel giavellotto, né a piedi
correrai; poiché su di te incombe la triste vecchiaia.
Omero, Iliade, XXIII, vv. 763-779
…così Odisseo (gli) correva vicino, calpestandone
le orme coi piedi prima che attorno la polvere si alzasse ( da esse);
gli soffiava sul capo il divino Odisseo
correndo sempre con furia; e tutti gli Achei gridavano
per lui desideroso di vittoria, molto incitandolo mentre accelerava.
Ma quando ormai correvano l’ultimo tratto, allora Odisseo
invocò, nel suo cuore, Atena dagli occhi di civetta:
“Ascoltami, o Dea, vieni benevola e soccorri i miei piedi”.
Così diceva pregando; lo ascoltò Pallade Atena,
rese leggere le ginocchia, i piedi, e, più in alto, le mani.
Ma quando stavano per finire la gara,
Aiace correndo scivolò- infatti lo danneggiò Atenalì dove era ammucchiato del letame di buoi altomuggenti,
sacrificati dal piè veloce Achille in onore di Patroclo;
e la bocca e le narici si riempirono di sterco bovino;
il divino Odisseo, che molto sopporta, alzò allora in alto il cratere,
così era giunto primo; e il famoso Aiace prese il bue.
Pindaro, Olimpica, I, vv. 23-29 e 90-95 (= Ol. LXXVI= 476 a.C.): per Hieron di Siracusa, vincitore nella corsa a
cavallo 32
…E gloria gli splende
nella maschia colonia del lidio Pélops.
Bramò l’eroe il possente Gaiáochos
Poseidôn, quando dal bacile che monda
Klothó lo tolse
bello d’avorio la spalla scintillante.
Molte le meraviglie, e certo
oltre la verità traviano
- voce di uomini - i miti adorni
di cangianti menzogne.
Ora ad offerte di sangue
festive partecipa
steso al letto dell’Alpheiós
e la tomba è meta di molti
31
32
La traduzione dei due passi “omerici” è mia.
La traduzione dei passi di Pindaro è di L. Lehnus.
4
all’altare ospitale, e di lontano brilla
nelle corse delle Olimpiadi la gloria
di Pélops…
Pindaro,Olimpica, III, vv. 11-13 (Ol.LXXVI= 476 a.C.): per Theron di Agrigento, vincitore col carro
quando adempiendo le antiche norme di Heraklês
il fermo Hellanodíkas, uomo d’Etolia, a taluno
dall’alto sopra le ciglia
cala intorno ai capelli
il grigio ornamento d’ulivo…
Pindaro, Olimpica, V, vv. 4-6 e 21 -23 ( Ol. LXXXI= 456 a.C. ?): per Psaumis di Camarina, vincitore col carro da
mule
quando i sei duplici altari
onorò alla festa suprema dei numi
con sacrifici di armenti
e in lotta in gare di cinque giorni:
quadriga e mule e cavallo montato. …
… chi irriga
una sana fortuna
e ai beni, appagato, aggiunge
la gloria, non chieda di farsi dio.
Pindaro, Olimpica, X, vv. 43-49 e 55-60 (Ol. LXXXVI = 476 a.C.): per Hagesidamos di Locri Epizefiri, pugile
ragazzo
Allora il forte figlio di Zeus33,
raccolte le genti al completo e la preda
tutta, tracciò per il padre eccelso uno spazio sacro
e segnò d’un recinto l’Altis sul terreno
sgombro, e la piana all’intorno
destinò al sollievo di conviti
onorando il corso dell’Alpheiós.
…procedendo dichiarò con chiarezza come diviso il dono
della guerra consacrò le primizie,
e la festa quadriennale
fondò con la prima olimpiade
e i premi di vittoria.
Senofane, fr. 2, vv. 15-22 Gentili-Prato
Se c’è fra i cittadini un pugile valente,
uno bravo nel pèntatlo, alla lotta,
o nella p rova di velocità, ch’è la regina
delle prove di forza nelle gare,
non perciò gode la città di buon governo
ed è per lei ben gramo vanto il fatto
che un atleta abbia vinto a Pisa34: non è questo
che ingrassa i penetrali dello stato (trad. di F.M. Pontani)
Sofocle, Elettra, vv. 741-756
L’infelice aveva percorso sicuro tutti gli altri giri di pista, in piedi, ritto sul carro; ma, allentando la briglia sinistra alla
cavalla che stava curvando, urtò inavvertitamente la punta di una pietra, spezzò l’asse della ruota e scivolò dal carro,
rimanendo impigliato nelle redini di cuoio; mentre cadeva al suolo, le cavalle si sparpagliarono nel mezzo della pista. La folla,
33 Il
34
riferimento è ad Eracle, figlio di Zeus.
Pisa è una sorgente presso Olimpia.
5
come vide lui sbalzato dal carro, lanciò un grido di pena, pensando alle imprese compiute ed alla sua sfortuna mentre il
giovane veniva ora trascinato per terra, ora scagliato con le gambe in aria. Finalmente alcuni aurighi riuscirono a frenare la
fuga dei cavalli e lo liberarono: era ricoperto di sangue, e nessuno degli amici, vedendolo, avrebbe potuto riconoscere quel
povero corpo35.
Tirteo, fr. 9, vv. 1-17 Gentili-Prato
Io non posso citare né tenere in conto un uomo
per un primato di corsa o di lotta,
anche s’ è grande e grosso come i Ciclopi, o vince
correndo il vento della Tracia, Bòrea:
neppure s’è più bello di forme di Titone
o più ricco di Cìnira e di Mida,
più regale di Pèlope Tantalide, e mielata
come quella d’ Adrasto è la sua lingua;
neppure se ogni gloria lo cinge e non è un prode.
No, non è un uomo valoroso in guerra
chi non regge alla vista della strage, del sangue,
chi non cerca il nemico corpo a corpo.
Ecco il primato: questo nel mondo è il primo premio,
il più bello che un giovane può vincere.
Ed è lustro comune per la città, per tutti,
chi resiste piantato in prima fila,
senza piegare, ignaro dell’onta della fuga (trad. di F.M. Pontani)
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La traduzione è mia.
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