INTERVISTA A HUGO NELSON MARTIN

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INTERVISTA A HUGO NELSON MARTIN
INTERVISTA A HUGO NELSON MARTIN HERNANDEZ
IL CALCIO DELL’AMERICA LATINA
Il mio rapporto con il calcio è iniziato calciando un pallone
all’età di 3 anni, a 5 anni ho cominciato a giocare nel
TEODELINA FOOTBALL CLUB, a Teodelina, nella provincia
di Santa Fe. Nel mio paese ho giocato nel già citato club e nel
RACING CLUB DE TEODELINA dove ho giocato fino alla
QUARTA DIVISIONE, cioè fino a 17 anni. Non ero molto
dotato calcisticamente, ero mancino, abile, ma forse molto
lento. Già a 14 anni, ho cominciato a dare una mano a un
allenatore chiamato Luis Monteros con una categoria di
pulcini in cui giocava mio nipote Alexis e anche l’ex giocatore
del River Plate in Argentina e del Malaga in Spagna, che
attualmente gioca nel Granada nel campionato spagnolo,
parlo proprio di Diego Buonanotte. Purtroppo devo dirti che
mio nipote fu una delle vittime, insieme ad altri due amici,
del famoso incidente in cui Buonanotte era alla guida del
veicolo e per cui lo stesso calciatore, che all’epoca giocava
con
il
River,
rimase
in
condizioni
gravi.
Una
volta
abbandonato il calcio, ho inziato a studiare giornalismo
sportivo nella città di Rosario, senza dubbio la zona
dell’Argentina dove il calcio è maggiormente seguito e
praticato. Dopo aver lavorato in diverse stazioni radio di
Rosario e un po’ deluso dal giornalismo, sono ritornato al
calcio come assistente dell’allenatore Jorge Raúl “Indio”
Solari, campione argentino dell’Independiente di Avellaneda,
che fu allenatore del Tenerife in Spagna, allenatore in
Giappone e che riuscì a portare la sorprendente Arabia
Saudita agli ottavi di finale della Coppa del Mondo negli Stati
Uniti nel 1994. Fu lì che divenni talent scout, nel club della
famiglia Solari, chiamato RENATO CESARINI, dal quale sono
usciti calciatori importanti quali Roberto Sensini, Andrés
Guglielminmpietro,
Santiago
Solari,
Martín
Demichelis,
Javier Mascherano, e altri ancora. Successivamente, ho
iniziato a lavorare nella seconda divisione del Bolivia, nel
club Real Mamoré di Trinidad. Poi mi sono inserito nel team
di Gustavo Grossi a Sermiento de Junín e poi nel Racing
Club di Avellaneda, direttamente come scopritore di giovani
talenti per tutta l’Argentina. In Colombia, nella città di
Popayán, vicino Cali, insieme alla signora Anyela Solano
abbiamo una scuola di calcio che opera nel sociale e che offre
opportunità
ai
bambini
di
tutte
le
condizioni
socio-
economiche anche con la speranza di trovare talenti della
portata di Radamel Falcao García. Cambiando argomento,
nel 2009 ho pubblicato un libro di racconti “EL ZAPATILLAS
ROJAS” e spero di poter pubblicare, a breve, un romanzo che
ho già finito di scrivere il cui titolo sarà “25 DÍAS”.
Secondo te, Hugo, possono ancora esistere i valori dello sport
nelle società di calcio?
Hugo - Sai bene che in Argentina le società anonime non
hanno funzionato… tutte le squadre sono fatte dai propri
tifosi, si può dire che a diversi livelli il calcio argentino è un
fatto popolare e culturale. Il sogno di Macri, che si servì del
Boca Juniors per diventare sindaco di Buenos Aires, e che
desiderava istituire la privatizzazione delle società calcistiche,
non si è realizzato.
In Argentina il calcio è vicino alla gente?
Hugo - In Argentina si dovrebbe dar voce al tema dei diritti
federativi dei calciatori. Spetterebbe alle rispettive società,
però a volte non si sa bene dove vanno a finire i soldi.
Enormi trasferimenti di denaro e società sempre più povere.
L’entrata del governo nazionale nel calcio argentino è stata
una misura azzeccata. Ci sono ancora delle questioni da
sistemare, ma grazie a questa partecipazione il calcio ha
smesso di essere uno spettacolo per pochi.
Ti piacciono il gioco e la strategia di gioco del calcio italiano?
Hugo - Il calcio italiano mi piace, e anche quello inglese,
mentre quello spagnolo mi piace solo quando gioca il
Barcelona, in Spagna, ad esempio, non c’è uniformità di
gioco tra il Real Madrid o l’Atlético Madrid. Forse, questa
mancanza di competizione seria non gioca a favore del
grande Barcelona quando, nelle competizioni europee, deve
affrontare altre squadre importanti. Il mio cuore batte per
l’arte calcistica del Barcelona. Tutte le volte che gioca, per me
è un evento.
Credi che il lavoro dell’allenatore sia più facile o più difficile
quando in campo ci sono giocatori eccellenti?
Hugo – È sempre più facile quando ci sono giocatori che
spiccano per le loro qualità. Nel mio lavoro di talentscout o di
scopritore
di
talenti
cerco
quei
bambini
che
siano
geneticamente precoci nel processo di crescita e sono proprio
questi bambini che andranno a completare la propria
formazione nelle società di calcio e che faranno la differenza.
Oggi si richiedono calciatori che siano tecnicamente dotati e
che siano abbastanza intelligenti per recepire ordini sulla
tattica di gioco. Penso che, fortunatamente, siamo usciti da
un’epoca di “dittatura” dei preparatori atletici per giungere a
un livello di gioco in cui sono la tattica e la tecnica a
comandare. Il Barcelona e il Real Madrid sono due buoni
esempi di ciò che ho appena detto. Ci sono molte mosse
tattiche dentro una stessa partita e i calciatori sono talmente
dotati tecnicamente che il gioco sembra così semplice.
Tuttavia, c’è molto lavoro dietro una partita.
Uno degli allenatori di calcio più geniali di tutti i tempi è
stato Carlos Bilardo. Alcuni pensano che il lavoro di Carlos
Bilardo sia stato facile perché c’era Diego Maradona nella
nazionale argentina. Che ne pensi?
Hugo - Finora Diego Armando Maradona è stato il giocatore
più importante nella storia del calcio argentino (persino più
importante di Alfredo Di Stéfano o di Lionel Messi). Era
rimasto fuori dal Mondiale del 1978 quando probabilmente
era già il più grande giocatore del mondo per decisione, forse
un po’ bizzarra, di César Luis Menotti. Nel Mondiale di
Spagna, di nuovo con l’allenatore Menotti, in panchina, e con
figure quali Mario Kempes, non si è potuto sfruttare il genio
di Maradona per diventare campioni. Quando subentrò
Carlos Salvador Bilardo, tolse la carica allo storico Daniel
Passarella e affidò tutta la responsabilità a Diego Armando
Maradona, e per questo gli furono mosse non poche critiche.
La squadra si stava formando e riceveva giudizi pesanti dalla
stampa più influente del Paese, si arrivò addirittura a dire
che lo stesso presidente della Repubblica dell’epoca, il dottor
Raúl Alfonsín interecesse con il presidente della AFA
(Associazione del Calcio Argentino), Julio Grondona, affinché
sollevasse dall’incarico Bilardo perché la nazionale argentina
di calcio era un disastro, secondo i commenti più diffusi dai
giornali e quelli sentiti in strada. L’Argentina fu la prima
nazionale ad arrivare in Messico sommersa da una marea di
critiche, e sappiamo tutti come andò a finire. Quindi di
Bilardo si può solo dire che è stato un rivoluzionario, uno
che è andato controcorrente, uno di quelli che sa che non
sempre la strada più appropriata è quella più facile. I
risultati parlano da sé: Campione del Mondo Messico 1986,
seconda classificata in Italia 1990. Da allora l’Argentina non
riuscì mai più a giocare un match decisivo o una semifinale.
Da parte mia sono riconoscente a Bilardo. E sebbene adesso
stia lottando da una posizione secondaria per riconquistare i
primi posti, credo che sia stata azzeccata la scelta di un
uomo dello stesso spessore calcistico come Alejandro Sabella,
che con duro lavoro e basso profilo cerca di ritornare al
successo, in questo caso assieme a un altro campione di
calcio come Lionel Messi, a cui ha dato la fascia di capitano
dal primo momento, sempre seguendo le direttive di Bilardo.
La coppia Maradona-Bilardo è stata “sfortunata” nel 1990 e
nel 2010?
Hugo - Non saprei dirti, non me lo sono mai chiesto,
effettivamente credo che Maradona sia stato usato nel
Mondiale degli Stati Uniti, un Paese senza radici calcistiche
che grazie alla figura del campione promosse l’evento più
seguito del mondo e che poi, vedendo la resurrezione sportiva
di Maradona, lo punì, quando lo spettacolo era già stato
venduto agli sponsor con buoni guadagni.
La figura di Maradona crea ancora oggi divergenze di
opinioni: “è stato una vittima dell’ambiente corrotto del calcio
italiano o Maradona rappresenta il genio e l’imprudenza?”
Hugo - Di Diego posso solo dirti che è stato uno dei maggiori
idoli popolari del paese. Posso citare Gardel, Perón, Che
Guevara e Maradona. Con questo voglio dire che la figura che
rappresenta va oltre lo sport. C’è una chiesa maradoniana
nella città di Rosario, in cui viene venerato come un dio
pagano al quale si rende omaggio. Ha avuto una vita da film,
so che anche a Napoli lo adorano, e in tutto il mondo la sua
personalità è associata a quella del genio ribelle. Mi
considero di parte quando parlo di Maradona, perché lo
adoro. Mi ha reso felice quando giocava, ho pianto con lui
tutte le sue tragedie sportive e i suoi momenti peggiori.
Rappresenta esattamente gli argentini nel nostro essere
esagerati, di umore mutevole, passionali e contraddittori.
Secondo te perché non andò a buon fine il grande progetto di
Mauricio Pochettino e di Feliciano Di Blasi, l’allenatore
psicologo, nel RCD Espanyol di Barcelona?
Mauricio
Pochettino
può
dare
il
meglio
di
sé
nel
Southempton?
Hugo - Mauricio Pochettino ha una storia particolare. Ha
esordito nel Newell’s Old Boyd di Rosario grazie a Marcelo
Bielsa, allora era giovane, e all’età di 18 anni divenne un
campione del calcio argentino. Quando aveva 13 anni e aveva
tutte le carte in regola per essere ingaggiato dal Rosario
Central, l’altra grande società della città di Rosario, arrivò
Marcelo Bielsa, che lavorava nelle divisioni giovanili del
Newell’s e riuscì a convincere il padre di Pochettino che la
scelta migliore era quella di lasciare il Central e di andare al
Newell’s. Il Newell’s è una scuola di grandi calciatori a partire
da Batistuta fino a Messi, passando da Pochettino, oltre che
di grandi allenatori quali Bielsa, Solari, Yudica, Tata Martino,
ecc. Lui proviene da questa scuola, la scuola del Newell’s Old
Boys che porta con sé una certa mistica. È un allenatore
molto serio, organizzato e gli auguro che in Inghilterra possa
svolgere un lavoro che gli permetta di esprimere appieno
quello
che
allenamenti.
desidera
ottenere
dalla
squadra
con
gli
Che ne pensi del giocatore italo-argentino Daniel Pablo
Osvaldo?
Hugo - Daniel Osvaldo è uno di quei giocatori che non ha
fatto molto scalpore quando se n’è andato dal nostro Paese,
non era molto conosciuto, giocava nella seconda divisione del
calcio argentino a Huracán. La sua storia è simile a quella di
Mauro Camoranesi, che ha lasciato l’Argentina quando
ancora non era conosciuto. Entrambi poi sono andati a
giocare nella Nazionale Italiana. Qualcosa del genere è
accaduto a David Trezeguet che giocava nel Platense e non
era conosciuto e poi trionfò in Europa e divenne campione
del mondo in Francia. Sono tutti grandi giocatori. Osvaldo è
un grande attaccante, un guerriero, di mente forte, che a
suon di gol nell’Español e poi nella Roma, ha saputo
guadagnarsi un certo rispetto nel calcio europeo.
Secondo te, in quanto ex giornalista sportivo, in alcuni Paesi
i giornalisti non sono un po’ troppo ingiusti con giocatori e
allenatori?
Hugo - Il giornalismo sportivo in Argentina a volte è al
servizio degli interessi economici, i giornalisti a volte sono
quelli che fanno pubblicità al calciatore rappresentato da
una certa persona perché, a quanto pare, dietro c’è qualcosa
di non molto chiaro. O fanno campagna ai politici o ai
dirigenti. Il giornalismo argentino è molto sporco, e non solo
quello sportivo. Per farti un esempio, quando per la prima
volta nella sua storia il River Plate cominciò a scendere nelle
classifiche, colui che lo portò alla debacle calcistica fu José
María Aguilar che non fu mai criticato né gli furono mai
poste domande compromettenti riguardo le illegalità e gli
ammanchi di denaro per le cessioni, o per la vendita
prematura di giovani che promettevano molto bene.
I giornalisti criticavano gli allenatori e la squadra ma non
parlavano di lui, non fu nemmeno indagato seriamente, fu
invece premiato con un posto alla FIFA come avvocato per i
casi relativi alla patria potestà. Il giornalismo argentino sta
attraversando una grande crisi. I giornalisti importanti mi
sembrano generali che difendono gli affari dei propri capi e
dei proprietari dei media per cui lavorano. A eccezione di
coloro che lottano da soli, come il giornalista uruguaiano
Víctor Hugo Morales, che è stato uno dei pochi che ha difeso
a spada tratta Bilardo quando allenava la nazionale.
Come assistente di Jorge Raul Solari, che nel 1994 riuscì a
portare l’Arabia Saudita agli ottavi di finale, qual è la tua
opinione dei manager della Coppa del Mondo?
Hugo - ti parlo di come vedo io le cose dall’Argentina perché
il resto lo vedo da troppo lontano e il quadro che mi arriva
dai media è deformato. In Argentina abbondano le brutte
esperienze come quella di Gabriel Batistuta nel club Colón de
Santa Fe o quella di Carlos Bianchi nel Boca Juniors. Forse
in Argentina non si capisce veramente ciò che accade. Il caso
eclatante è quello di Cristian Bassedas al Vélez Sársfield. I
manager considerano questo lavoro come un affare personale
più che come una ricerca del talento: stipulano contratti ai
giovani, che li fanno spendere poco, di cui poi possono
disporre per la prima squadra e quando necessario li
possono vendere per far entrare soldi nelle casse del club. A
volte, invece, attira l’attenzione il fatto che i manager
guardano e firmano contratti solo con determinati calciatori
che appartengono a determinati rappresentanti o agenti
calcistici.
Parlami del bellissimo progetto di cui ti stai occupando
adesso, un progetto che dà al calcio un valore educativo.
Hugo - quando stavo in Colombia ho notato che lì il calcio sta
attraversando
argentino.
Ci
un
momento
sono
molti
peggiore
personaggi
rispetto
che
a
quello
appaiono
e
scompaiono offrendo opportunità d’oro ai bambini in cambio
di una bella somma di denaro. Questa pratica in Argentina è
ormai in disuso, perché sappiamo che se vogliamo trovare un
talento, probabilmente proviene da un quartiere poverissimo
come quello di Diego Maradona o di Carlos Tévez o da una
classe sociale bassa come Lionel Messi. In Argentina questa è
la filosofia: se ti interessa un giovane giocatore allora investi
nel suo futuro, perché il giocatore sicuramente non ha un
reddito sufficiente per poterlo fare. E in Colombia, salvo
qualche eccezione, arrivano anche dal Messico e ricevono
soldi per osservare i bambini giocare, ciò significa che molti
vengono
esclusi
dalle
opportunità,
se
effettivamente
possiamo chiamarle così. È per questo che, insieme alla
professoressa Anjela Solano,abbiamo deciso di impegnarci
nel sociale con i bambini, soprattutto quelli più svantaggiati,
affinché possano praticare uno sport e stare lontani dai mali
della società che sono in agguato come in tutto il resto del
mondo. Inoltre come scopritore di talenti spero anche di
trovare il nuovo Radamel Falcao García.
Daniela Asaro Romanoff
Traduzione: Manuela – Quickline