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[email protected] 1 scheda tecnica durata: 135 minuti nazionalità: Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Norvegia, Olanda, Svezia anno: 2002 regia: Lars Von Trier sceneggiatura: Lars Von Trier produzione: Lars Jonsson, Vibeke Windelov fotografia: Anthony Dod mantle montaggio: Molly Marlene Stensgard scenografia: Peter Grant effetti: Peter Hjorth costumi: Manon Rasmussen interpreti: NICOLE KIDMAN (GRACE), STELLAN SKARSGARD (CHUCK), SIOBHAN FALLON (MARTHA), CHLOE SEVIGNY (LIZ HENSON), PATRICIA CLARKSON (VERA), JEREMY DAVIES (BILL HENSON), PHILIP BAKER HALL (THOMAS SR.), PAUL BETTANY (TOM JR.), LAUREN BACALL (MA GINGER), JAMES CAAN, BLAIR BROWN (SIG.RA HANSON), BEN GAZZARA, JIMMY ULLER (CHUCK), JEAN-MARC BARR, HARRIET ANDERSSON, UDO KIER, BILL RAYMOND, ERICH SILVA, TRINITY STILES Lars Von Trier nato a Copenhagen, Danimarca nel 30 aprile 1956 filmografia NOCTURNE Regia, Soggetto, Sceneggiatura - 1980 IMAGE OF RELIEF Regia, Soggetto, Sceneggiatura – 1982 L'ELEMENTO DEL CRIMINE Regia, Soggetto, Sceneggiatura – 1984 EPIDEMIC Regia, Soggetto, Sceneggiatura, Montaggio, Attore – 1988 IDIOTI Regia, Soggetto, Sceneggiatura, Fotografia - 1988 EUROPA Regia, Soggetto, Sceneggiatura, Attore – 1991 LE ONDE DEL DESTINO Regia, Sceneggiatura – 1996 THE KINGDOM - IL REGNO Regia, Soggetto, Sceneggiatura - 1996 THE KINGDOM II - IL REGNO II Regia, Soggetto, Sceneggiatura - 1997 DANCER IN THE DARK Regia, Soggetto, Sceneggiatura - 2000 DOGVILLE Regia, Sceneggiatura - 2002 LE CINQUE VARIAZIONI Regia, Soggetto, Sceneggiatura, Attore – 2003 [email protected] 2 Nicole Kidman nata a Honolulu, Hawaii, USA il 20 giugno 1967 filmografia THE PEACEMAKER - IL CONCILIATORE Attrice - 1997 AMORI & INCANTESIMI Attrice - 1998 EYES WIDE SHUT ORE 10: CALMA PIATTA Attrice - 1999 Attrice - 1988 BIRTHDAY GIRL GIORNI DI TUONO Attrice - 2000 Attrice - 1990 THE OTHERS BILLY BATHGATE - A SCUOLA DI GANGSTER Attrice - 2001 Attrice - 1991 Attrice - 2001 CUORI RIBELLI Attrice - 1992 MY LIFE - QUESTA MIA VITA Attrice - 1993 MALICE - IL SOSPETTO Attrice - 1993 DA MORIRE Attrice - 1995 BATMAN FOREVER Attrice - 1995 MOULIN ROUGE! THE HOURS Attrice - 2002 DOGVILLE Attrice - 2002 LA MACCHIA UMANA Attrice - 2003 RITORNO A COLD MOUNTAIN Attrice - 2003 THE STEPFORD WIVES Attrice - 2004 RITRATTO DI SIGNORA Attrice - 1995 premi e festival Cannes Film Festival 2003 nomination Palma d’Oro Lars von Trier Copenhagen International Film Festival 2003 vincitore premio Honorary Lars von Trier European Film Awards 2003 migliore fotografia Anthony Dod Mantle miglior regia Lars von Trier miglior sceneggiatura Lars Von Trier nominatione miglior film [email protected] 3 LarsVonTrier ThomasVinterberg Dogma 95 Manifesto e voto di castità During the spring of 1995, film directors Lars Von Trier and Thomas Vinterberg sat down to write their vow of chastity: the manifesto for a new, ascetic film making. © Lars von Trier, Thomas Vinterberg DOGMA 95 è un collettivo di registi cinematografici fondato a Copenhagen nella primavera del 1995. DOGMA 95 si pone lo scopo dichiarato di contrastare "una certa tendenza" del cinema attuale. DOGMA 95 è un’azione di salvataggio! Nel 1960 dissero basta! Il cinema era morto e venne fatto risorgere. Lo scopo era buono ma i mezzi no! La Nouvelle Vague si dimostrò un’increspatura che finì in nulla sulla spiaggia e si trasformò in mucillagine. Gli slogan dell’individualismo e della libertà crearono qualche opera, ma nessun cambiamento. L’onda era buona per tutte le stagioni, come i suoi registi. L’onda non è mai stata più forte degli uomini che le stavano dietro. Il cinema antiborghese divenne borghese, perché la base su cui le sue teorie erano costruite era la percezione borghese dell’arte. Il concetto di autore era romanticismo borghese sin dall’inizio, e quindi falso! Per DOGMA 95 il cinema non è individuale! Oggi infuria una tempesta tecnologica, da cui conseguirà la definitiva democratizzazione del cinema. Per la prima volta chiunque può fare un film. Ma più i media divengono accessibili, più si fa importante l’avanguardia. Non è un caso che la parola avanguardia abbia connotazioni militaresche. La disciplina è la risposta… dobbiamo mettere un’uniforme ai nostri film, perché il film individuale sarà decadente per definizione! DOGMA 95 si contrappone al film individuale presentando un corpo di regole indiscutibili conosciute come Il voto di castità. Nel 1960 si disse basta! Il cinema era stato cosmetizzato fino alla morte, si disse; eppure a partire da allora l’uso di cosmetici ha avuto un’esplosione. [email protected] 4 Il fine "supremo" dei cineasti decadenti è ingannare il pubblico. È di questo che siamo tanto fieri? È questo che abbiamo ottenuto da questi 100 anni di cinema? Illusioni tramite le quali si possono comunicare delle emozioni? Tramite la libera scelta d’ingannarci dell’artista individuale? La prevedibilità (drammaturgia) è divenuta il vitello d’oro attorno al quale noi danziamo. Il fatto che le vite interiori dei personaggi giustifichino la trama è troppo complicato, non è "arte alta". Mai come ora si sono lodate sperticatamente l’azione superficiale e la cinematografia superficiale. Il risultato è vuoto. Un’illusione di pathos e un’illusione d’amore. Per DOGMA 95 il cinema non è illusione! Oggi infuria una tempesta tecnologica, da cui deriva l’elevazione dei cosmetici a Dio. Usando la nuova tecnologia chiunque in qualsiasi momento può lavare via gli ultimi granelli di verità nell’abbraccio mortale della sensazione. Le illusioni sono tutto ciò che il cinema può nascondere dietro di sé. DOGMA 95 "Io giuro di sottomettermi al seguente corpo di regole delineate e confermate da DOGMA 95: Le riprese devono essere fatte dal vero. Non devono essere utilizzati scenografie e set (se è necessario per la storia un particolare elemento scenografico, si deve scegliere una location in cui è già presente quell’elemento). Il suono non deve mai essere prodotto separatamente dalle immagini e viceversa (la musica non deve essere usata a meno che non si senta nell’ambiente in cui si svolge il film). La cinepresa deve essere a spalla. Sono concessi tutti i movimenti (e l’immobilità) che si può ottenere a mano (il film non deve svolgersi dove è piazzata la cinepresa; le riprese devono avere luogo dove si svolge il film). Il film deve essere a colori. Non sono concesse illuminazione speciali. (Se c’è troppa poca luce per impressionare la pellicola la scena deve essere tagliata o si può attaccare una singola torcia alla cinepresa). [email protected] 5 Il lavoro sulle ottiche e sui filtri è proibito. Il film non deve contenere azioni superficiali (omicidi, armi ecc. non devono comparire). È proibita l’alienazione temporale o geografica (cioè il film deve avere luogo qui e ora). I film di genere non sono accettabili. Il formato del film deve essere Academy 35 mm. Il regista non deve essere accreditato. Mi impegno inoltre come regista a evitare il gusto personale! Non sono più un artista. Giuro di non creare un’"opera", poiché ritengo l’istante molto più importante del tutto. Il mio fine supremo è costringere la verità a uscire dai miei personaggi e dalle mie ambientazioni. Giuro di fare ciò con tutti i mezzi disponibili e a discapito di ogni considerazione di buongusto o di carattere estetico. Pronuncio a questo modo il mio VOTO DI CASTITÀ. Copenhagen, lunedì 13 marzo 1995 LA MIA AMERICA – intervista a Lars Von Trier di Marcella Peruggini. Dogville di Lars von Trier, presentato in concorso al 56° Festival di Cannes, é un’opera originale, cinema e teatro alla Brecht, con una star come protagonista, il premio Oscar Nicole Kidman, che lavorando con von Trier ha realizzato un grande desiderio. Un film degno di attenzione per contenuti intensi e recitazione convincente. Con uno scenario finto, volutamente ricostruito a volte essenzialmente minimalista, che fa da sfondo ad una storia di bontà e cattiveria, di amorevolezza e umana/disumana brutalità. Lars von Trier è uno sperimentatore e forse un provocatore, un regista che scrive velocemente le sue sceneggiature e che si prefigge obiettivi ben precisi da raggiungere. Si è nutrito di cinema americano, ma non ama andare al cinema. Di lei si dice che è un regista che ha cambiato le regole del fare cinema. Cosa ne pensa? Penso semplicemente di aver dato qualche contributo positivo in un contesto creativo talvolta poco vivace. Il cinema di oggi si assomiglia tutto. La mia speranza è di aver creato qualcosa che può funzionare. Credo, inoltre, che oggi per chi fa cinema sia importante avere una prospettiva più ampia sulle cose, al di là degli stili che sono ormai sperimentati da tutti. Dai film Dogma al cinema/teatro di Dogville, tutti film originali e diversi tra loro. Si sente uno sperimentatore? Sperimentare stili è una cosa divertente, ma è più importante cercare di esprimere una certa prospettiva sui contenuti. E poi, a dire la verità, non mi sento un vero [email protected] 6 sperimentatore, perché quando lavoro a un film so dove voglio arrivare. Ho in testa un progetto e vedo cosa posso fare con il materiale che ho in mente. Così, una volta che ho l’ispirazione, scrivo soggetto e sceneggiatura abbastanza rapidamente. In alcuni progetti, come i film Dogma, poco si può osare dal punto di vista dell’esperimento per via delle regole, ma ora, per i due prossimi film, il secondo e terzo della trilogia Usa – Land of opportunities – e il prossimo sarà Manderlay sulla schiavitù – sono ancora più convinto di poter dire quel che voglio dire. E’ però innegabile la sua tendenza al continuo cambiamento. Si, perché sono una persona molto curiosa. Realizzo i film per il mio piacere e non per il piacere di farli. Vale a dire che faccio i film che io stesso vorrei vedere al cinema… Quale genere di cinema guarda volentieri? Io non sono uno spettatore cinematografico, non vado praticamente mai al cinema. Mia moglie ha ormai rinunciato a chiedermi se voglio accompagnarla al cinema, perché già conosce la risposta. Magnolia è stato l’ultimo film che ho visto al cinema e mi è piaciuto molto. Forse dovrei vedere più film. Ma in realtà alla fine ognuno va avanti col proprio progetto e credo in un certo senso di avere un progetto o meglio, per favore, lasciatemi almeno nell’illusione di credere che ne abbia uno! Dogville è la risposta alle critiche che le sono state fatte per Dancer in the dark, ovvero per aver girato un film sull’America, senza essere americano? Quanto è importante per lei l’apprezzamento da parte della critica specializzata? Si, uno degli spunti per fare Dogville mi fu dato all’epoca di Dancer in the dark da un giornalista che aveva mosso quella critica. Comunque, apprezzo le critiche positive e non odio chi mi giudica male. Ho lavorato a questo film ambientandolo sulle Montagne Rocciose. E’ tutto evidentemente finto e volutamente ricostruito. Ma io mi sento americano. Ho visto molti film americani e lavoro seguendo l’immagine così come la vedo. Detto questo sono anche un po’ critico, perché non credo che gli Stati Uniti, oggi, sono così come dovrebbero essere. Come le è venuta l’idea di uno scenario nero con tratteggi bianchi? Avevo bisogno di una mappa. Il film era stato scritto per uno scenario naturalistico. Poi ho capito che era meglio così. In Dogville appare una certa relazione con il teatro di Brecht: cosa ci può dire a questo proposito? Me lo chiedono spesso di questi tempi. Non ho una “vera” relazione con il teatro di Brecht. Mia madre, invece, aveva una vera passione per lui. Forse mi è rimasto qualcosa del suo sentimento. L’ha forse influenzata nella scrittura L’anima buona di Sezuan, che racconta del rapporto tra l’uomo e il fare del bene? Le fonti di ispirazione sono tante. Ma quando porto avanti un mio lavoro cerco di cancellare visivamente tutte le scene che sono la fonte di ispirazione e di tenere di esse solo le idee, i concetti frammentati, nella mia testa. Poi ricompongo i frammenti, scrivo rapidamente e non modifico più il materiale. [email protected] 7 I due protagonisti, Tom e Grace, sono personaggi buoni, ma pronti a trasformarsi in Caini. Quanto c’è di lei in questi due personaggi? I due personaggi centrali mi rispecchiano, è vero, e non ne sono orgoglioso. Comunque un po’ tutti i personaggi rispecchiano l’autore. Perché si mettono in scena persone e le loro azioni. Ti chiedi sempre come può agire un personaggio in un determinato momento e non puoi essere che tu a dare la risposta. Realizzerai il terzo Kingdom per la tv prima o dopo Manderlay? Per Kingdom bisogna aspettare. Mentre insieme a Manderlay al momento sto lavorando ad un progetto teatrale, L'anello dei Nibelunghi di Richard Wagner, che dovrebbe essere pronto nel 2006. Ci lavoro ogni giorno, è una bella sfida. Intervista all'attrice australiana Il sorriso di Nicole Kidman star senza capricci di MARIA PIA FUSCO – La Repubblica "La prima volta che sono andata sul set, dove Lars aveva costruito gli elementi essenziali della città di Dogville, piante di case, senza porte né pareti, mi ha mostrato un angolo: "Vedi quel cane? Devi accarezzarlo per non farlo abbaiare". A terra c'era solo il profilo disegnato di un cane. "Tutto lì il cane?". "Certo". "O.K.", ho detto ed è cominciata così la mia avventura con Lars" . Bellissima, il sorriso smagliante, un cappottino rosa corto e sottile, le lunghe gambe nude, Nicole Kidman è a Cannes con il film più atteso del festival, Dogville di Lars von Trier che a giudicare dalle prime reazioni non dovrebbe mancare dalla rosa dei candidati al Palmarès. È l'arrivo di una star, con tanto di aereo privato, muro di guardie del corpo e folla in attesa dalla mattina, ma all'incontro Nicole Kidman è allegra e cordiale, sfida lo sguardo severo del regista igienista fumando sotto il suo naso, è generosa di risate e di allegria: come se conservasse la semplice spontaneità della ragazza australiana di un tempo. "Ovunque tu sia arrivata, ricordati da dove vieni, questo è il mio motto. Quando vedo il circo dei fotografi e tante persone che mi ammirano, ricordo che anch'io ero una di loro, mi piaceva tanto vedere gente famosa, ricordo ancora quando a 11 anni riuscii a intrufolarmi su un set e vidi Mel Gibson! Mi ha guardato!, dicevo a tutte le amiche ed ero felice come a Natale. Ancora oggi, quando entro nella stanza di un albergo lussuosa, l'istinto è di saltare sul letto e saltare di gioia come una bambina". Però è una star in grado di scegliere i registi. È vero che ha cercato lei Von Trier? "Verissimo, avevo visto "Le onde del destino" e ho pensato che con un regista così sarei stata pronta a qualunque cosa". Dice la leggenda che Lars Von Trier maltratti le sue attrici... "E' vero, me l'ha confermato lui, che era stato duro con Bjork, ma solo a beneficio del film, perché Bjork più che un'attrice è puro istinto, aveva bisogno di sensazioni vere e infatti ha fatto una bellissima intepretazione. All'inizio io ero diffidente, poi abbiamo fatto una passeggiata di quattro ore nella foresta, abbiamo discusso, litigato, ho pianto, poi ho riso, ci siamo detti tutto e al ritorno eravamo amici. [email protected] 8 E lo siamo ancora, se non fosse così sarei una pazza ad accettare di interpretare gli altri due film che Lars vuole fare su Grace, il mio personaggio in "Dogville". Perché le piace tanto lavorare fuori di Hollywood? "Perché mi piacciono le sfide, mi piace viaggiare, espormi ad altre culture, usare quel minimo di potere che ho per mettermi al servizio di un regista che mi incuriosisce. In questo periodo mi piace la vita come un'esplorazione continua, ma so che non sarò così per sempre, e forse non farò per sempre questo lavoro. Quando mi innamoro mi piace fermarmi, abbandonarmi alla dolcezza della famiglia e della casa, mi è già successo. E spero che mi succeda ancora". Recensioni FilmChips - Angelica Tosoni Dall'alto, la macchina da presa si avvicina alle tavole nere di un pavimento di legno in cui sono tracciate in bianco strade e case. Dogville si presenta allo spettatore sotto forma di mappa. Da adesso si stabilisce tra Lars von Trier e la platea un patto che non si scioglie fino al termine del film. Nell'istante in cui sullo schermo iniziano a scorrere titoli di coda e fotografie più o meno vecchie di un'America povera, reietta e perdente l'accordo viene meno. E' il momento dell'esegesi. Inquadrati dall'alto, i personaggi ricordano i topolini bianchi degli esperimenti. Dogville è un film molesto perché emozionante al di là di ogni limite. Un laboratorio scientifico dall'impianto teatrale brechtiano dà origine ad una straordinaria prova di cinema. La finzione scenica esplicita ed esplicitata, grazie alla macchina da presa a spalla, concentra l'attenzione dello spettatore sui rapporti tra i vari personaggi, sui moventi delle loro azioni e sugli oggetti con cui realizzano relazioni simboliche. Non esiste altro. Il narratore, la voce fuori campo, assume la funzione del coro della tragedia greca. La suddivisione in nove capitoli, pur non interrompendo il flusso emotivo, garantisce lo spettatore dalle trappole dell'affabulazione e dell'identificazione. La trama potrebbe erroneamente indurre a pensare si tratti di una pellicola simile ai tanti racconti di fuggitivi che imperversano nella cinematografia mondiale. Nulla di più distante dalla verità. Sono gli anni della recessione, la bellissima Grace è inseguita da pericolosi gangster. Fuggendo, la donna giunge nella tranquilla Dogville. Sebbene inizialmente restii, grazie all'intervento di Tom, i cittadini accettano di nasconderla. Per assicurarsi la benevolenza degli abitanti, la ragazza lavora per ognuno di loro. Quando in città uno sceriffo affigge il manifesto della donna, ricercata ovunque, Dogville esige molto di più. Il buon cuore nell'America democratica ha un prezzo: Grace diventa proprietà dell'intera cittadinanza. Lars von Trier utilizza il film come una lente d'ingrandimento che impietosa indugia sull'animo umano e sulle dinamiche di potere. E' un regista che non ama i suoi personaggi, nell'assenza di affettività risiede la forza e la lucidità della sua regia. Talvolta, si ha la sensazione di avere a che fare con un demiurgo che sperimenta le reazioni dei protagonisti a contatto con un potente reagente: "metti in scena una persona, ti chiedi come agisce in quel momento, e per forza sei tu che devi dare la risposta". Grace, interpretata da Nicole Kidman, non è un'eroina, anzi. In lei prende consistenza un mutamento che la trasforma da materia inerte nelle mani degli altri a splendida dea vendicatrice, in grado di determinare la sorte altrui. Se l'iniziale necessità di credere e sperare in tutto ciò che è umano lascia intravedere qualcosa dell'Idiota di Fedor Dostoevskij, l'assolutezza della scelta finale la allontana da qualsiasi sentimento di pietà. Niente sangue sullo schermo, non ce n'è bisogno. Resta la condanna, resta l'esecuzione implacabile. Tom è un filosofo, un aspirante scrittore, esempio di ipocrisia e di inabissamento dell'idealismo nell'autoprotezione e nel perbenismo. Si tratta di un personaggio complesso, difficile da riscattare che trova un valido interprete in Paul Bettany. Nel cast spicca Ben Gazzara, magnifico ed intenso. Come definire il nuovo film del regista danese? Un esperimento? Una messinscena teatrale? "Dogville - afferma Lars von Trier - è soprattutto un film e come film sono soddisfatto della forma, del contenuto e della recitazione". Un capolavoro, aggiungiamo noi, un raggelante straordinario capolavoro cinematografico. [email protected] 9 la Repubblica - Roberto Nepoti Avremo ancora il coraggio di lamentarci del cinema? Ormai non passa settimana senza che escano film belli o interessanti, tanto da far scarseggiare il tempo e gli euro necessari per vederli. Però Dogville appartiene alla categoria "cinquestelle lusso": perderlo è vietato (pur col rammarico che la distribuzione lo abbia accorciato di 40'). Se von Trier ci stupisce a ogni film, non è mai così geniale come quando si aggira per il cinema della crudeltà: a qualcuno la sua rabbia potrà dare fastidio, ma si tratta di un fastidio salutare. E Lars è un genio cattivo. Basta vedere il modo in cui Dogville tra(sgre)disce le aspettative del pubblico; sia sul piano della storia, sia nel modo di raccontarla. Inseguita dai gangster, la dolce Grace giunge nel borgo sperduto di Dogville e trova la protezione dei tranquilli americani che vi abitano. In cambio, partecipa ai lavori della comunità. Dovrà subire una dura delusione: poco a poco i buoni samaritani cominciano a esigere da lei prestazioni in natura di vario genere, sottoponendola a oppressione psicologica, economica, sessuale secondo la logica del profitto cui anche i poveri sono devoti. Proprio in nome di tale logica gli abitanti del villaggio saranno puniti orrendamente, quando la nivea fanciulla deciderà di assumere il proprio ruolo sociale. Il soggetto sembra riproporre le eroine sacrificali dei film precedenti di von Trier, ma poi ne ribalta la personalità quando rivela la vera Grace. Il ribaltamento che sorprende di più, tuttavia, riguarda il linguaggio. Dogville si situa all'opposto di "Dogma", il manifesto del '95 dettato da Lars che ora, Demiurgo volubile, dinamita le regole imposte prima. Invece di luoghi autentici e luce naturale, una scelta scenografica radicale dove gli spazi sono disegnati sul suolo come nel tabellone del Monopoli e rappresentano ambienti (le case, la chiesa, la scuola, i negozi, perfino la sagoma di un cane) disincarnati, privi di fisicità. Brechtianamente, il film è diviso in nove capitoli e un prologo e raccontato dalla voce di un narratore onnisciente. Sono gli strumenti linguistici di un nuovo corso, che l'autore chiama "cinema fusionale" (cinema+teatro+letteratura), funzionali alla realizzazione di un'atroce, magnifica parabola sui rapporti sociali. Circondandola di un grande cast, von Trier sfrutta al meglio il vero talento di Kidman: mostrare un viso d'angelo e far affiorare per gradi tutta la ferocia del personaggio. C'è da augurarsi che la "trilogia americana", concepita dal cineasta, prosegua con lei. Il Giorno - Silvio Danese Dogville è un paesino disegnato col gesso come si faceva in cortile, da ragazzini, per simulare il mondo. Intorno c'è il vuoto, il buio o la luce accecante a seconda se è giorno o notte. Centrato su una eretica parabola cristologica, designando una donna proba, Grazia, al posto del Signore, è un altro film estremo del regista di "Dancer in the dark". Cancella il rapporto convenzionale del cinema con la realtà fotografata e chiede allo spettatore di giocare con l'immaginazione come se leggesse un libro, o se ascoltasse la radio. L'effetto straniante fa passare l'emozione attraverso la psiche e aumenta, nel nuovo, la tragedia. Come si dice, è arte concettuale. Le strade sono definite da righe bianche. Gli alberi da un disegno con la scritta "albero". I venti abitanti entrano ed escono aprendo e chiudendo porte invisibili, ma sonorizzate, come i passi o i motori delle auto. «Teatralità cinematografica» mai tentata così. Per la Kidman un altro passo nella maturità della recitazione. Grande sfida, anche con i 40 minuti in meno rispetto a Cannes. E grandi detrattori, a partire da Enrico Ghezzi. Corriere della Sera - Tullio Kezich È proprio vero che chi entra Papa in conclave ne esce cardinale. Approdato a Cannes come favorito per la Palma d'oro, Dogville ne è uscito senza premi e con le ossa rotte. È bastata l'opinabile decisione della giuria perché la diva Nicole Kidman, che si proclamava stanca ma felice di aver lavorato con Lars von Trier e pronta a interpretare gli altri episodi della sua trilogia Usa, si tirasse indietro; e per imperativi di mercato il regista ha dovuto ridurre di tre quarti d'ora i 180 minuti del film che riesumerà integri nel Dvd. Nel finale della canzone di Brecht e Weill «Jenny dei pirati», la più evidente ispirazione di un melò che potrebbe intitolarsi «Grace dei gangsters», i filibustieri dopo aver espugnato la città chiedono: «Chi dobbiamo uccidere?»; e Jenny risponde: [email protected] 10 «Tutti». In fuga dai malavitosi che la inseguono, Grace si nasconde in un borgo ai piedi delle Montagne Rocciose dove trova asilo e lavoro. Ma, dopo un breve periodo felice, quando si scopre che la straniera è ricercata dalla polizia, le cose cominciano a cambiare. La cittadina si rileva un'accolita di gente infida: Grace viene angariata, taglieggiata, stuprata e infine, per un'ingiusta accusa di furto, incatenata a una pesante ruota. L'ipocritone Tom, l'unico fra i maschi che credendo di amare la malcapitata non ha partecipato alla violenza collettiva, conclude comunque che sarà meglio sbarazzarsene e telefona al padrino della mala che è anche il padre di Grace. Avrà appena il tempo di pentirsi. Nell'affrontare la descrizione di un paese dove non è mai stato, quasi imitando i nostri grandi americanisti da Vittorini a Pavese, Von Trier (anche se lo nega) si è ricordato di un dramma che ebbe successo poco prima della Seconda Guerra. Come in «Piccola città» di Thornton Wilder c'è un narratore (presente però soltanto «in voce»), non ci sono scenografie realistiche, appena i tracciati sul pavimento dello studio e pochi elementi di arredo. Tira un'aria da vecchio teatro moderno che sulle prime sembra un residuo di avanguardismi superati, ma nel procedere dell'azione si entra nel gioco e se ne intendono la raffinatezza e la necessità. La suggestione nasce dallo stile (inquadrature, illuminazione, montaggio) e dalla presenza di attori che andrebbero elogiati uno per uno. Il sentimento che pervade la finta tragedia americana è di un pessimismo agghiacciante. l'Unità - Alberto Crespi Eccola qui, la versione «condensata» di Dogville, nuova attesissima opera del danese Lars Von Trier: dura circa 40 minuti in meno rispetto al film che ci siamo sciroppati a Cannes. Ma aspettate a lanciarvi in pubblici appelli in difesa degli autori e della libertà di espressione: i tagli li ha fatti Von Trier medesimo, non appena i venditori internazionali gli hanno insinuato il dubbio che 177 minuti fossero un po’ troppi. Anche con 40 minuti in meno, Dogville rimane sufficientemente se stesso per dividere il pubblico come è successo a Cannes: qualcuno, convinto che Von Trier abbia inventato il cinema, l'amerà; qualcuno l'odierà, irritandosi per le trovate ad effetto del danese; e qualcuno (fra i quali chi scrive) si collocherà nel mezzo, in una gelida indifferenza, la stessa che provammo all'uscita da Dancer in the Dark. Inutile dire che l'indifferenza è proprio ciò che manderebbe in bestia Von Trier, geniale press-agent di se stesso, regista il cui indubbio talento è finalizzato a far parlare sempre e comunque di sé. Von Trier vuole stupire, indignare, farsi amare o odiare. Con noi, casca male: non lo amiamo e non lo odiamo. Rispetto a Dancer in the Dark, Dogville prosegue la medesima operazione intellettuale - ricreare in studio un'America «mentale» e mai vista - ma con alcuni decisivi passi indietro. Intanto non c'è la trovata del musical, né un'interprete/non attrice di straordinaria personalità come la cantante islandese Bjork. Il Dogma è stato totalmente dimenticato, lo stile è più tradizionale. La novità di Dogville dovrebbe risiedere tutta nella messinscena, ma proprio qui l'operazione di Von Trier mostra la corda: mutuando soluzioni dal teatro d'avanguardia, il regista cade irrimediabilmente nel teatro filmato. E di secondo piano: perché Von Trier non ha voluto (ci mancherebbe!) filmare un testo di Tennessee Williams o di Thornton Wilder, ma ha voluto ricreare a suo modo quei grandi drammaturghi, mescolandoli con suggestioni da scrittori hard-boiled come Dashiell Hammett. Abbiamo quindi, nell'ordine: un testo che è un pastiche del teatro americano e del romanzo noir, un allestimento che sembra un Luca Ronconi riciclato e una recitazione naturalistica, di alto livello, ma convenzionale. A questo punto vorrete sapere cosa racconta Dogville, e soprattutto come lo racconta. Il «cosa» è presto detto: Nicole Kidman è Grace, una donna in fuga che si rifugia in una minuscola cittadina sulle Montagne Rocciose e chiede asilo, ed aiuto, alla comunità. I cittadini di Dogville scoprono ben presto che Grace è inseguita dai gangsters; Grace scopre a sua volta che farsi accettare da Dogville è più difficile e penoso di quanto si potesse immaginare. Alla fine i gangsters arrivano a Dogville e Grace deve confrontarsi con il loro capo (una magnifica comparsata del grande vecchio James Caan). Non vi diciamo né chi è il capo, né come si risolve il conflitto nel quale Grace è incastrata. Sappiate solo che se il nome vi suggerisce qualcosa, avete ragione: come Selma in Dancer in the Dark, e come Bess in Le onde del destino, anche Grace è una puttana santa, una Maria Maddalena vittima della ferocia del mondo. Solo che Grace sa trasformarsi, nel finale, da agnello sacrificale a dea vendicativa. Il «come» vi è stato riferito da Cannes, ripetiamolo: la cittadina di Dogville è tutta costruita in studio, e consiste di 6-7 abitazioni le cui mura sono solo tracciate sul pavimento, come in una mappa. Solo alcuni elementi scenografici (una porta, un mobile, una [email protected] 11 finestra) suggeriscono la disposizione delle case, ma la convenzione fa sì che gli attori recitino fingendo di essere in un ambiente reale (per cui, se uno di loro bussa su un uscio che non esiste, si sente «toc toc» e l'altro attore dice «avanti»). In questo ambiente, oltre ai citati Kidman e Caan, si muovono grandi attori come Harriet Andersson, Lauren Bacall, Jean-Marc Barr, Paul Bettany, Philip Baker Hall. Alcuni dei quali (soprattutto Hall e la Bacall) decisamente sotto-utilizzati. La voce narrante, in originale, è di John Hurt. Sole 24 Ore - Roberto Escobar Il perdono? É un'arroganza. Cosi assicura il Gangster (James Caan) a Grace (Nicole Kidman), nell'ultima sequenza di Dogville (Francia, 2003, 137'). Segue poi una motivazione complessa, di cui possono bearsi i molti estimatori di Lars von Trier. Quanto ai pochi scettici, dopo oltre due ore anche loro hanno un motivo di gratitudine nei confronti del regista danese. Il quale, appunto, ha provveduto da sé a tagliare 40 minuti dei 177 originali. Insomma, il mestiere dei recensore ha i suoi inconvenienti. Da spettatori, dopo qualche sequenza di Dogville si può mettere in atto con tranquilla dignità una delle strategie che più alleggeriscono la condizione umana: la desistenza. Da recensori, invece, si è obbligati al suo opposto: la resistenza (in platea). A tale scopo, può risultare d'aiuto ripassare a mente la presa di posizione "poetica" di von Trier, o almeno la sua più nuova. Quanto alla precedente - nota come Dogma, e il cui testo sacro pullulava di must, forbidden, not acceptable e truth -, pare che non se ne debba far più niente. Con tanti ringraziamenti e attestati di ben servito agli autori e ai critici che, entusiasti e come un sol uomo, dal 1995 a oggi l'han seguito lungo un vicolo cieco. Oggi, dunque, von Trier si fa apostata della propria stessa fede. Non più divieto di luci artificiali, non più divieto di filtri e trucchi ottici, non più dovere di cavar fuori la Verità da luoghi e personaggi. Niente più appelli alle virtù militari della disciplina (espressiva). Niente più "uniformi" in cui rinserrare i film. Niente più giuramenti di fedeltà ("I swear...", "Io giuro...", si leggeva nel testo fondativo di Dogma, che gli adepti eran chiamati a sottoscrivere con animo grato). Ora il Maestro - che i più sbarazzini tra i fedeli, forse non senza brividi, ardiscono chiamare Lars, per così dire en amitié - indica tutta un'altra via verso l'Essenza del Cinema. La quale Essenza pare stia, almeno fino a contrordine, nel la formula magica detta del cinema fusionale. Per spiegare alla buona: si prende un certo numero di macchine da presa le si mene su un palcoscenico e ci si aggiunge prosa letteraria quanto basta. La ricetta non lo precisa, ma pare sia consigliabile insaporire con l'aggiunta di divi e dive di sicuro richiamo, anche a maggior gloria della produzione. Naturalmente, ogni autore ha il diritto di teorizzare come meglio crede. E ha anche quello di sostenere emerite sciocchezze. Ma fine, quel che conta è la sua opera. Nel caso specifico, quel che conta è Dogville. Ossia: un pezzo mediamente furbo e mediamente superfluo, ma certo non originale, di teatro filmato. Gli estimatori aggiungono l'aggettivo brechtiano, che torna nei loro elogi con la stessa insistenza di crudele, atroce, magnifico. Gli scettici, invece, preferiscono lasciare Bertolt Brecht dove si trova, anche per rispetto d'un teatro che è stato grande. D'altra parte, si trattasse solo di teatro filmato, le due ore e più passerebbero senza troppi danni. Ma non c'è via di scampo: la ricetta impone l'aggiunta d'una voce narrante, che nel caso specifico non dà tregua agli orecchi, risultando ancora più petulante che letteraria. Torniamo ora al perdono e all'arroganza. Anzi, facciamo un passo indietro, come si leggeva una volta nei romanzoni popolari (questo è il film, in fondo: una specie di Cieca di Sorrento, ma "brechtiana"). Fatto il passo indietro, troviamo quella che ci assicurano sia la visione del mondo di von Trier: l'umanità è una sentina di malvagità con spiccata attitudine al tormento di fanciulle giovani e belle. Infatti, i bravi paesani di Dogville - che la regia ci mostra nelle loro case disegnate con il gesso, intenti a mimare con puntiglio l'apertura e la chiusura delle porte -, i bravi paesani, dunque, ne combinano di cotte e di crude sulla pelle (e tutto il resto) della povera Grace. Qui si vorrebbe aggiungere che, dato il nome (Grazia), qualcuno azzarda l'ipotesi che si tratti di un film quasicristiano. Ma persino il diritto alle idiozie ha un limite. Dunque, ci limitiamo a osservare che la povera Grace abbozza. Infatti, così ancora ci assicurano, von Trier ha una vera passione per le vittime che stanno al gioco. O almeno ce l'aveva fino a ieri. Oggi, con il cinema "fusionale", tutto cambia: la signorina smetterà d'essere arrogante e farà un bel massacro, bambini inclusi. Morale? Non si sa. Comunque - così ancora ci spiegano - si tratta d'un geniale "ribaltamento" della precedente poetica del Maestro. Sarà vero? Non sarà vero? Per quel che ci riguarda, alla fine di Dogville, alzandoci dalla poltrona ce l'abbiamo, una certezza, e anche arrogante: la prossima volta, invece, andremo al cinema. [email protected] 12