Libretto Crescita personale e di coppia per il sito

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Libretto Crescita personale e di coppia per il sito
Proposta per un itinerario
di fede cristiana
INDICE
LA CRESCITA PERSONALE
1. Dio ama l’uomo……………………………………………………..
pag.
4
2. Dio ti ama…………………………………………………………...
pag.
7
3. La chiamata di Dio………………………………………………….
pag. 10
4. Relazione personale con Dio………………………………………..
pag. 16
5. La missione………………………………………………………….
pag. 20
LA CRESCITA DI COPPIA
1. Il matrimonio: Sacramento dell’Amore……………………………...
pag. 28
2. Famiglia ed Eucarestia……………………………………………….
pag. 32
3. Il dialogo nella coppia………………………………………………..
pag. 36
4. La preghiera di coppia………………………………………………..
pag. 39
5. La sessualità nella coppia…………………………………………….
pag. 44
6. Vita coniugale: Pentecoste in azione…………………………………
pag. 48
2
LA
CRESCITA
PERSONALE
3
DIO AMA L’UOMO
(di Giuseppe SCHILLIZZI)
Chi è Dio?
Israele nel corso della sua storia, ha potuto scoprire che uno solo era il motivo
per cui Dio gli si era rivelato e lo aveva scelto fra tutti i popoli: per il suo amore
gratuito (Dt. 4:37; 7:8).
Israele, per mezzo dei profeti, ha compreso che, ancora per amore, Dio non ha
mai cessato di salvarlo e di perdonargli la sua infedeltà e i suoi peccati (Os. 2).
L’amore di Dio per Israele è paragonato all’amore di un padre per il proprio
figlio (Os.11,1).
Ancora l’amore di Dio per Israele è più forte di quello che una madre nutre per i
suoi bambini (Is. 49:14-15).
Dio ama il suo popolo più di quanto uno sposo ami la propria sposa (Is.62:4-5).
Questo amore di Dio vincerà anche le più gravi infedeltà (Ez.16, Os.11).
Arriverà fino al dono prezioso : “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo
figlio unigenito” (Gv.3:16).
L’Amore di Dio è eterno (Is.54,8-10): “Anche se i monti si spostassero e i colli
vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto”.
“Ti ho amato di un amore eterno, per questo ti conservo ancora pietà” (Ger.
31,3).
Ma S. Giovanni si spingerà oltre affermando: “Dio è Amore; chi sta nell’amore
dimora in Dio e Dio dimora in lui” ( 1Gv.4,16).
L’Essere stesso di Dio è Amore.
Mandando, nella pienezza dei tempi, il suo figlio unigenito e lo Spirito
d’Amore, Dio rivela il suo segreto più intimo: è Lui stesso eterno scambio d’amore:
Padre, Figlio e Spirito Santo, e ci ha destinati ad esserne partecipi.
L'espressione AMORE DI DIO ha due accezioni molto diverse tra loro: una in
cui DIo è oggetto e l'altra in cui Dio è soggetto; una che indica il nostro amore per
Dio e l'altra che indica l'amore di Dio per noi. La ragione umana, incline per natura
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più a essere attiva che a essere passiva, ha sempre dato la precedenza al primo
significato, cioè al "dovere" amare Dio. Anche la predicazione cristiana spesso ha
seguito questa via, parlando, in certe epoche, quasi solo del "comandamento" di
amare Dio e dei gradi di questo amore. Ma la rivelazione dà la precedenza al secondo
significato: all'amore "di" Dio, non all'amore "per" Dio. Aristotele diceva che Dio
muove il mondo "in quanto è amato". Ma la Bibbia dice esattamente il contrario e
cioè che Dio crea e muove il mondo in quanto ama il mondo. La cosa più importante,
a proposito dell'amore di Dio, non è dunque che l'uomo ama Dio, ma che Dio ama
l'uomo, e lo ama per primo: "In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio
ma è lui che ha amato noi" (1 Gv 4,10).
Tutta la Bibbia, osserva sant'Agostino, non fa che narrare l'amore di Dio.
L'amore di Dio è la risposta ultima a tutti i "perchè" della Bibbia: perchè la creazione,
perchè l'incarnazione, perchè la redenzione...Tutto ciò che Dio fa e dice nella Bibbia
è amore, anche la "collera di Dio" non è altro che amore. Dio è AMORE!
Dio ci parla del suo amore nei profeti, servendosi anzitutto dell'immagine
dell'amore paterno. Dice in Osea: "Quando Israele era giovinetto io l'ho amato...A
Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano. Io li traevo con legami di
bontà, con vincoli d'amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia,
mi chinavo su di lui per dargli da mangiare" (Os 11,14). Sono immagini familiari che
ognuno ha forse tante volte contemplato nella vita. Ora però, per un misterioso potere
che i simboli possiedono quando sono assunti a significare le cose di Dio, queste
immagini diventano capaci di suscitare nell'uomo il sentimento vivo dell'amore
paterno di DIo. Il popolo - continua Osea - è duro a convertirsi; più Dio attira gli
uomini a sè, più essi non comprendono e si rivolgono agli idoli. Che cosa deve fare
Dio in questa situazione? Abbandonarli? Distruggerli? Dio rende partecipe il profeta
del suo intimo dramma, di una specie di "debolezza" e di impotenza in cui egli si
trova a causa del suo sviscerato amore per la creatura. Dio prova un "tuffo al cuore"
al pensiero che il suo popolo possa essere distrutto: "Il mio cuore si commuove
dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Io sono Dio, non uomo" (Os 11,89). Un uomo potrebbe dare sfogo all'ardore della sua ira e normalmente lo fa, ma Dio
no, perché egli è "santo", è diverso; se anche noi siamo infedeli, egli rimane fedele
perché non può rinnegare se stesso.
L'amore di Dio si esprime dunque in questi oracoli contemporaneamente come
amore paterno e materno.
L'amore paterno è fatto di stimolo e di sollecitudine; il padre vuol far crescere il
suo bambino e portarlo alla piena maturità. Per questo un papà difficilmente loderà
incondizionatamente il figlio in sua presenza: ha paura che si creda arrivato e che non
progredisca più. Al contrario, egli corregge spesso il figlio: "Qual figlio - è scritto che non è corretto dal padre?" (Eb 12,7) e anche il Signore "corregge colui che ama"
(Eb 12,6). Ma non solo questo. Il padre è anche colui che dà sicurezza, che protegge,
e Dio si presenta all'uomo, lungo tutta la Bibbia, come la "sua roccia, il suo baluardo
e la sua potente salvezza" (Sal 18, 2-3).
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L'amore materno invece è fatto di accoglienza e di tenerezza; è un amore
"viscerale"; parte dalle profonde fibre dell'essere della madre, là dove la creatura si è
formata, e di lì afferra tutta la sua persona facendola "fremere di compassione".
Qualunque cosa, anche terribile, abbia fatto un figlio, se torna, la prima reazione della
madre è sempre quella di aprirgli le braccia e di accoglierlo. Se un figlio, fuggito di
casa, torna, è la madre a dover supplicare e convincere il papà a riaccoglierlo e a non
muovergli troppi rimproveri. Nell'ambito umano, questi due tipi di amore, virile e
materno, sono sempre, più o meno nettamente, ripartiti; iin Dio sono uniti. Ecco
perché l'amore di Dio si esprime, talvolta, anche esplicitamente con l'immagine
dell'amore materno:"Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non
commuoversi per il frutto delle sue viscere?" (Is 49,15). "Come una madre consola il
figlio, così io vi consolerò" (Is 66,13).
Nella parabola del figliol prodigo, Gesù ha riunito, nella figura del padre, i tratti
di questo Dio che è contemporaneamente padre e madre. Anzi, il padre della parabola
è più madre che padre...Dio, dunque, ha anche l'animo di una madre che ama "con
debolezza".
Rivelando il suo amore, Dio rivela, contemporaneamente, anche la sua umiltà. E'
lui, infatti, che cerca l'uomo, che cede, che perdona ed è pronto sempre a ricominciare
da capo. Innamorarsi è sempre un atto di umiltà. Quando un giovane, in ginocchio,
come avveniva una volta, chiede la mano di una ragazza, fa il più radicale atto di
umiltà della sua vita. Si fa mendicante; è come se dicesse: "Dammi anche il tuo
essere, perché il mio non mi basta; io non basto a me stesso!". Ma Dio perchè si
umilia? Ha forse bisogno di qualcosa? No; al contrario, il suo amore è pura gratuità:
egli ama non per completarsi, ma per completare, non per realizzarsi, ma per
realizzare. Ama perché il bene "ama diffondersi". Questa è la qualità unica e
irripetibile dell'amore di Dio. Dio, amando, non cerca nemmeno la sua gloria; o
meglio, cerca, sì, la sua gloria, ma questa gloria non è altro che quella di amare
l'uomo gratuitamente.
Di fronte all'insondabile mistero di questo amore di Dio, si capisce lo stupore del
Salmista che si domanda: "Ma cosa è mai l'uomo, o Dio, perché tu te ne ricordi e il
figlio dell'uomo perché te ne prendi tanta cura?" (Sal 8,5).
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DIO TI AMA
(di Girolamo D’ORIO)
Tutta la bibbia dall’inizio alla fine è il racconto di una storia d’amore.
Gli attori principali di questa storia sono due: Dio e l’uomo.
Basta scorrere fra le righe di ogni capitolo per notare, sentire e respirare l’amore
di Dio per ogni uomo, popolo, nazione.
Di tutto questo amore raccontato in diversi modi, uno in particolare credo sia il
più importante: “SENTIRSI AMATI”. In particolare ci soffermeremo su due aspetti
che sono l’uno parte dell’altro: ESSERE L’AMATO e DIVENTARE L’AMATO.
Essere l’amato vuol dire che Dio è per primo Lui ad amarmi, è Dio in pratica
che prende l’iniziativa. Diventare l’amato è la partecipazione mia personale ad
accogliere l’amore e diventare l’amato di Dio. La parola speciale che deve fare
lentamente strada nei nostri cuori è: AMATO.
ESSERE L’AMATO
Dice l’autore: come cristiano ho scoperto per la prima volta questa parola nella
storia del battesimo di Gesù di Nazareth. << Non appena Gesù uscì dall’acqua, vidi
aprirsi i cieli e discendere su di lui come una colomba. E sentì una voce dal cielo: “tu
sei mio Figlio, l’amato, in te mi sono compiaciuto”>>. (mc.9-7).
La voce che parla dall’alto e da dentro i nostri cuori, che sussurra dolcemente o
dichiara con forza:<<Tu sei il mio amato in te mi sono compiaciuto>>. Non è
certamente facile ascoltare quella voce in un mondo pieno di altre voci che gridano:
<<tu non sei buono, sei brutto, sei indegno, sei da disprezzare, non sei nessuno>>.
Queste voci negative sono così forti e così insistenti che è facile credere loro.
Questa è la grande trappola. E’ la trappola del rifiuto di noi stessi.
Non è raro che il rifiuto di se stessi sia visto semplicemente come l’espressione
nevrotica di una persona insicura. Ma la nevrosi è spesso la manifestazione psichica
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di una più profonda oscurità umana: l’oscurità data dal fatto di non sentirsi veramente
i benvenuti nell’esistenza umana. Il rifiuto di se stessi è il più grande nemico della
vita spirituale perché contraddice la voce sacra che ci chiama gli “AMATI”.
Essere l’Amato esprime la verità centrale della nostra esistenza. Ma finché
rimani nell’attesa di questo misterioso momento, andrai avanti correndo alla cieca,
sempre ansioso e senza pace, sempre febbrile e furioso, mai pienamente soddisfatto.
Sai che questa è la forza coattiva che ci mantiene sempre in movimento e indaffarati,
ma che allo stesso tempo ci fa chiedere se stiamo andando da qualche parte.
Questo è il modo di esaurire e bruciare la vita spirituale. Questa è la strada per la
morte spirituale. Tu ed io non dobbiamo uccidere noi stessi. Noi siamo gli amati.
Siamo intimamente amati, assai prima che i nostri genitori, insegnanti, coniugi, figli e
amici ci abbiano amati o offesi. Questa è la verità della nostra vita. Questa è la verità
che tu devi pretendere da te stesso. Questa è la verità enunciata dalla voce che
dice:<<Tu sei il mio amato>>.
Ascoltando con grande ed interiore attenzione quella voce, sento nell’intimo
parole che dicono:<< Ti ho chiamato per nome fin dal principio. Tu sei mio e io sono
tuo. Tu sei il mio Amato, in te mi sono compiaciuto. Ti ho modellato nelle profondità
della terra e ti ho formato nel grembo di tua madre. Ti ho scolpito nei palmi delle mie
mani e ti ho nascosto all’ombra del mio abbraccio. Ti guardo con infinita tenerezza e
ho cura di te con una sollecitudine più profonda che quella di una madre per il suo
bambino. Ho contato ogni capello del tuo capo e ti ho guidato ad ogni passo.
Ovunque tu vada io vengo con te e ovunque tu riposi io veglio su te. Ti darò del cibo
che soddisferà ogni tua fame e bevanda che estinguerà ogni tua sete. Non nasconderò
il mio viso da te. Tu sai che io sono tuo come io so che tu sei mio. Tu mi appartieni.
Io sono tuo padre, tua madre, tuo fratello, tua sorella, il tuo amante e il tuo sposo,
ovunque tu sia io ci sarò. Niente mai ci separerà. Noi siamo uno>>.
Ogni volta che ascolti con attenzione quella voce che ti chiama l’Amato,
scoprirai in te il desiderio di riascoltarla più a lungo e più profondamente . E’ come
scoprire una sorgente nel deserto. Quando si sente il terreno umido, si vuol scavare
più a fondo.
Nelle nostre vite può esserci un grande cumulo di sabbia arida ma Colui che
desidera placare la nostra sete, ci aiuterà a rimuoverlo. Quel che è necessario è avere
un grande desiderio di trovare l’acqua e di bere alla sorgente.
DIVENTARE L’AMATO
Diventare gli amati significa lasciare che la verità dell’essere amati si incarni in
ogni cosa che pensiamo, diciamo o facciamo. Ciò comporta un lungo e doloroso
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processo di appropriazione o, meglio, di incarnazione. Finché “essere l’amato” è
poco più di un bel pensiero o di una idea sublime, sospesa sulla mia vita per
impedirmi di diventare depresso, niente cambia veramente.
Ciò che è richiesto è diventare l’amato nella banale vita di ogni giorno e, a poco
a poco, colmare il vuoto che esiste tra ciò che io so di essere e le innumerevoli
specifiche realtà della vita quotidiana. Diventare l’Amato significa calare nella
ordinarietà di ciò che io sono e, quindi, di ciò che penso, dico e faccio ora dopo ora,
la verità che mi è stata rivelata dall’alto.
Poiché la nostra più profonda verità è quella di essere gli amati e la nostra più
grande gioia e pace consistono nel rivendicare appieno questa verità, ne consegue che
ciò deve farsi visibile e tangibile nel modo in cui mangiamo, beviamo, parliamo,
amiamo, giochiamo e lavoriamo.
Quando le più profonde correnti della nostra vita non avranno più alcuna
influenza sulle onde in superficie, allora la nostra vitalità rifluirà e non saremo più
svogliati e annoiati, sebbene ancora presi dalle nostre attività. AMEN
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LA CHIAMATA DI DIO
(di Franco GRECO)
“Il maestro è qui e ti chiama” Gv 11,28
Il tema, “la chiamata di Dio”, che stiamo per affrontare è un tema che
sconvolgerà la nostra vita perché ci farà riflettere se realmente abbiamo risposto con
un Si vero e sincero alla chiamata di Dio.
Dio è colui che chiama. Chiama l’uomo alla vita, soffiando su di lui il suo alito,
imprimendo la sua immagine (Gn 1,27 ; 2,7) e perciò lo fece capace di comprendere
ed amare il suo Creatore, di stare davanti a Lui, per instaurare con Lui un rapporto
personale.
Non siamo nati quindi per caso, ma siamo sbocciati, come persone umane,
nelle mani di Dio.
Dio ci chiama alla vita e << ci chiama per nome>> e questo indica:
a) il nostro essere personale: Siamo unici e preziosi;
b) la nostra appartenenza a Lui: “Ti ho chiamato per nome, tu mi
appartieni” (Is 43,1);
c) la nostra missione: “Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fin dal
grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome….Mi ha detto: mio servo
tu sei…. Ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino alla
estremità della terra” (Is 49,1,6),
Carissimi, il fatto che Dio ci chiama per nome, ci deve riempire di gioia perché
non sono un anonimo, un numero, ma una persona unica ed irrepetibile.
Fin dall’eternità Dio ha pensato alla mia salvezza: “Ti ho amato di amore
eterno”(Ger 31,3) e, dentro questa chiamata, veniamo ad esistere ed incarnare il
progetto di Dio.
Qual è questo progetto?
Perché Dio mi chiama?
Allora questo viaggio che stiamo percorrendo sarà una avventura, misteriosa,
ma nello stesso tempo stupenda; togliamo dal nostro cuore, il velo della nostra
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indifferenza in modo da poter sentire il messaggio che Dio vuole comunicarci.
La vocazione
Il senso proprio della parola vocazione, derivata dal latino vocare, significa
"chiamare". Nel vangelo vediamo Gesù chiamare a sé coloro che poi farà suoi
discepoli: «Mentre camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone,
chiamato Pietro e Andrea suo fratello che gettavano la rete in mare e disse loro:
"seguitemi, vi farò pescatori di uomini!" ed essi subito, lasciate le reti, lo
seguirono>>. (Mc 1,14-20)
Una tale vocazione non si può costruire: la si riceve da Dio.
Questa chiamata di Dio è rivolta alla libertà dell’uomo: Dio propone, non
impone.
Colui che riceve la chiamata risponde ad una precisa vocazione. La Santità.
”Siate santi, perché io sono santo” Dt 10,17 ; 1Pt 1,16. (L.G. 40)
Il chiamato è una persona che riceve attenzione da un’altra ed esso, se vuole,
nella propria libertà, è tenuto a rispondere.
“Chiamata” e “risposta” indicano un rapporto, una relazione. La relazione
non è mai indifferente ma coinvolge tutta la persona. Tra la chiamata e la risposta
intercorre un dinamismo che coinvolge tutta la vita personale di chi chiama e di chi è
chiamato.
La nostra vocazione ha origine solo da una dinamica di relazione e questa
relazione la possiamo chiamare incontro, incontro con Cristo. In questo incontro
viene coinvolto tutto il mondo interiore che ha il suo fulcro nella realtà più intima: la
coscienza.
La coscienza di ciascuno di noi è il centro unificatore della nostra vita fatta di
consapevolezza, di libertà e di responsabilità. Questi tre aspetti possiamo considerarli
in stretta relazione tra di loro.
La chiamata coinvolge sempre la coscienza e la consapevolezza di sé e
dell’altro, essa coinvolge sempre la libertà, cioè la propria capacità di prendere
decisioni e fare scelte. La chiamata implica sempre la responsabilità della risposta.
La scrittura ci presenta diversi episodi in cui viene sottolineata la chiamata: la
chiamata alla libertà, ad un cambiamento di vita, ad essere coraggiosi, a lottare contro
il male ed a vivere pienamente la vocazione lasciando ogni cosa per il regno di Dio.
Sia nell’Antico che nel Nuovo testamento chi riceve la chiamata di Dio, riceve
una abbondanza di Spirito Santo che sconvolge totalmente la sua vita: Abramo,
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Mosè, Elia, Matteo, Pietro, Paolo.
La chiamata porta in coloro che la ricevono uno stravolgimento dei propri
progetti:
a)
Abramo viene invitato da Dio ad uscire dalla sua terra dalla sua
patria per incontrare terre nuove. Chiama Abramo perché faccia
alleanza con lui.
b)
Chiama Mosè per liberare il suo popolo e avviarlo alla terra
promessa;
c)
Chiama Samuele, Isaia, Geremia, Amos per essere i suoi profeti e
richiamare il popolo alla fedeltà;
d)
Chiama Pietro e gli Apostoli;
e)
Chiama Paolo sulla via di Damasco;
E’ continua lungo i secoli fino ad oggi a chiamare. Chiama tutti: i grandi e i
piccoli, i sani e i malati.
Volendo soffermarci velocemente su alcuni brani sia dell’Antico che del
Nuovo Testamento vogliamo tirare fuori da alcuni versetti quello che Dio vuole dire a
ciascuno di noi.
La chiamata di Abramo
La storia della salvezza inizia dalla Genesi capitolo 12,1-2, ”Il Signore disse
ad Abram: <<Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso
il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò>>”.
Abramo risponde senza esitazione alla chiamata di Dio. E’ un uomo che
sperimenta la potenza di Dio ed è disposto a perdere ogni cosa pur di non deludere il
suo Signore. Abbandona il luogo ove si trova, le sue abitudini e sicuramente anche i
suoi parenti e si mette in cammino verso un luogo che non conosce, quindi, non
conosce né la meta e neanche i progetti di Dio, ma lui si fida della chiamata di Dio e
si avvia verso questo luogo. Abramo viene definito dalla scrittura il Padre della fede.
Perchè? Perché si fida di Dio e della sua parola. E’ un uomo che ha posto totalmente
la sua vita nelle mani di Dio e sa che Lui non può deluderlo.
“Abramo partì come gli aveva ordinato il Signore” Gn 12,1-4
Cosa ci insegna questo episodio.
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Il Signore chiama anche te. Ti invita ad uscire dalla tua situazione, a lasciare la
tua casa, le tue abitudini, i tuoi idoli, i tuoi attaccamenti. Ti invita a fidarti di Lui e ti
invita ad andare dove Lui ti condurrà. Dove ti condurrà? Tu non lo sai, ma ti porterà
al di là della tua immaginazione.
La chiamata di Mosè.
Anche in questo episodio possiamo notare in maniera serrata l’iniziativa di
Dio.
“Dio lo chiamò dal roveto e disse: <<Mosè, Mosè!>> Rispose: Eccomi.
Riprese:<<Non avvicinarti. Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu
stai è una terra santa!...” (Es 3,1ss)
Il colloquio è serrato davanti al roveto ardente, Mosè tenta di coprirsi il volto,
porta con sé tante difficoltà, è balbuziente, come può parlare e convincere il popolo
ad uscire. Dio smonta tutte le sue difficoltà e deve arrendersi.
Anche noi possiamo opporre resistenza a Dio che ci chiama mettendo davanti a
Lui le nostre pochezze, le nostre miserie, i nostri limiti e le nostre difficoltà dicendo:
come posso fare questo?
Non sai che “Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i
sapienti? Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti? Dio ha
scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla
le cose che sono, perché nessuno possa gloriarsi davanti a Dio? (1 Cor 1,27-29)
“Tutto posso in colui che mi da forza”
La chiamata di Isaia e Geremia
Le due vocazioni si differiscono per la diversa reazione di fronte alla chiamata
di Dio, ma in entrambi risplende l’iniziativa divina e trionfa la volontà di Dio ed in
tutte e due, Dio, per renderli adatti alla missione, tocca loro le labbra.
Isaia davanti alla meravigliosa e terrificante Teofania di Dio, sente la sua
impurità, che però viene distrutta e si offre con generosità: “Egli mi toccò le labbra e
mi disse: <<Ecco questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua iniquità
e il tuo peccato è espiato>>. Poi udii la voce del Signore che diceva: <<Chi
manderò e chi andrà per noi?>> E io risposi: <<Eccomi: manda me>>”. (Is 6,1-8)
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Geremia invece è pauroso e timido e si sente inadatto, ma dopo dirà: “Tu mi
hai sedotto, Signore, ed io mi sono lasciato sedurre, mi hai fatto forza e hai
prevalso” Ger 20,7.
La vocazione di Geremia: “Il Signore stese la mano, mi toccò la bocca e il
Signore mi disse: Ecco io ti metto le mie parole sulla bocca. Ecco, oggi ti costituisco
sopra i popoli e sopra i regni per sradicare e demolire, per distruggere e per
abbattere, per edificare e piantare” Ger 1,4,10.
Anche noi siamo profeti e partecipiamo alla missione profetica di Cristo.
Siamo chiamati ad annunciare la Parola di Dio. Può darsi che Dio ci affidi una
missione particolare. Non preoccupiamoci, non guardiamo la nostra miseria, il fuoco
del Signore ci purificherà e metterà sulle nostre labbra la Sua Parola. Quello che
conta è dire “Si” e lasciarsi condurre da Lui.
Carissimi Dio ci chiama. Ci chiama per nome. Ha un progetto per noi. Ci
chiama oggi ed attende una nostra risposta. Vuole fare storia con te, una storia di
amore, perché Lui è Amore 1Gv 4,8.
Lui ti chiama: “Oggi, se ascoltate la sua voce, non vogliate indurire il vostro
cuore” Sal 95,8. Tanti purtroppo non hanno dato ascolto e hanno seguito le proprie
vie. Dice Isaia: “Io avevo chiamato e nessuno ha risposto, avevo parlato e nessuno
ha ascoltato” (Is 66,4). Una tua mancata risposta ti metterebbe fuori dal progetto
amoroso di Dio.
La chiamata di Dio varia da persona a persona. Talvolta chiama direttamente
come Abramo e Mosè. Talvolta la chiamata e incomprensibile ed ha bisogno di
qualcuno per essere capita come avvenne per Samuele. (Sam 3,1-10)
Ci sono quelli che dicono subito si, ma ci sono anche coloro che dicono di no:
(Il giovane ricco Mc 10,20-31).
Allora, Gesù ti chiama e se tu ascolti la Sua voce ti dice che tu sei unico. Egli ti
conosce e ti ama. Egli sente il tuo pianto, le tue gioie, le tue attese. Tu sei persona che
soffre, che spera, che piange. Egli è presente e vibra in ogni tua sensazione.
Come un innamorato fa tutto il possibile per attirare a sé la persona che ama.
Anche tu stai attirando a te colui che ti chiama. In che modo?
Con il tuo desiderio di vederlo, con il peccato, con le tue paure, con il tuo
cuore pulito, con la tua fame e sete di giustizia, con le tue sofferenze. Tu oggi puoi
sperimentare attraverso la chiamata di Dio la Sua tenerezza. Egli si vuole collegare
con noi, con il nostro cuore. Questa relazione ci salva.
E’ necessario un desiderio profondo di consacrare la propria vita alla
preghiera e alla ricerca di Dio nell’amore. "L’anima mia ha sete di Dio, del Dio
vivente: quando verrò e vedrò il suo volto?" (Sal 42.3).
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Colui che è chiamato deve sentire nel suo cuore l’amore per Dio ed egli deve
rispondere generosamente al «primo e più grande comandamento» enunciato da Gesù
nel Vangelo: «Tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua
anima e con tutta la tua mente».
Vogliamo pregare:
Ho fiducia in te, o Dio.
Voglio ascoltare la chiamata ogni giorno nelle vie del mondo, nella preghiera,
nella lettura della Bibbia.
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RELAZIONE PERSONALE CON DIO
(di Franco BILLECI)
Cuore e centro del cristianesimo è la relazione personale con Gesù Cristo risorto.
Cuore e centro di una viva relazione interpersonale con Gesù Cristo è la
preghiera, in particolar modo la preghiera personale. Non intendo dire che la
preghiera di gruppo, di comunità, quella familiare, le funzioni religiose e la Messa
abbiano poco o nessuna importanza, anzi al contrario.
Ma la preghiera insieme con gli altri può sempre in qualche modo cadere nel
formalismo o nella recitazione, perché si ha bisogno del sostegno di altri. La
preghiera insieme con gli altri ha bisogno della preghiera personale – preghiera in
solitudine, fatta da sé, per alimentare la mia relazione personale col Signore in modo
che la mia preghiera con gli altri sia una preghiera autentica, onesta, reale.
Inoltre, la preghiera personale manterrà viva e forte la relazione con Dio.
Di che cosa ho bisogno per aver una vita di preghiera personale? Quali
condizioni devo soddisfare, realizzare, nella mia vita quotidiana così da avere una
salutare vita di preghiera nella quale il Signore possa unirmi più strettamente a sé?
Ho bisogno di : fedeltà quotidiana, semplicità e fede.
FEDELTA’
Se desidero avere un rapporto buono e cordiale con qualcuno devo passare del
tempo con quella persona.
Se ritengo che qualcuno sia importante nella mia vita, gli dedico del tempo.
Voglio essere Fedele al Signore, al suo amore, al suo amore per me.
Quanto tempo? Non importa se un’ora o venti minuti, ma ho bisogno di un
tempo di durata fissa nel quale possa essere solo col Signore, tranquillo, solo per Lui.
In ogni caso,devo rimanere fedele ogni giorno, il Signore non mi giudica se vengo
meno al mio tempo per la preghiera con lui un giorno o due.
Però devo essere fedele perché la fedeltà al mio momento di quiete col Signore
esprime il grado del mio impegno con lui, il grado della mia risposta al suo amore.
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Se il Signore occupa un posto importante nella mia vita, nel mio cuore, allora
troverò il tempo per pregare, per stare con lui, per quanto la mia giornata possa essere
indaffarata.
SEMPLICITA’
La vera preghiera è semplice, infantile, non contaminata da tanti pensieri e idee.
La vera preghiera parte dal cuore. Dice semplicemente: << TI AMO, SIGNORE >> e
<< GRAZIE DI AMARMI >>.
A tutti quelli che vogliono pregare, il Signore dice: “Imparate da me , che sono
mite e umile di cuore e troverete ristoro per le vostre anime” (Matteo 11 , 29)
FEDE
Per pregare devo avere fede nel Signore, devo aver fiducia nel suo amore per
me. Devo affidarmi al fatto che Gesù mi ama personalmente . Non come uno fra
tanti, un volto nella folla, devo sapere che mi chiama per nome.
E lo fa veramente. Gesù mori per me sulla croce come se fossi l’unica persona al
mondo.
Per concludere questo concetto della preghiera vorrei dire che “l’essenziale della
preghiera non sta nel molto pensare, ma nel molto amare”.
Charles de Focauld ripete lo stesso concetto quando definisce la preghiera
principalmente come: “Un guardare Dio amandolo”.
EUCARESTIA
Il Signore che serviamo è un Dio invisibile. Non abbiamo bisogno di segni per
incontrarlo e accoglierlo. Il segno più grande è il Santissimo Sacramento, il Corpo ed
il Sangue di Cristo che celebriamo in ogni Eucaristia. Questo Sacramento ci colma
perché fa arrivare fino a noi l”incarnazione “del Verbo divino”: Dio continua a venire
per restare. Non ci abbandonerà più.
Questo Sacramento ci nutre: alimenta in noi quella vita divina che è la nostra
vera vita, poiché è eterna .
Per chi si lascia raggiungere dall’amore di Dio, questo Sacramento è il più
grande fra i segni, il segno che mette in comunione con Gesù stesso. Il credente è da
esso trasfigurato, il suo peccato è purificato, grazie ad esso pregusta il banchetto
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promesso: quello delle nozze del Figlio.
“Venite voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò”.
ADORAZIONE EUCARISTICA
E’ un tempo trascorso davanti a Gesù presente nell’ostia consacrata. Adorare è
lasciarsi amare da Dio per imparare ad amare veramente noi stessi e gli altri. Adorare
è fissare il proprio sguardo in quello di Gesù, è mettere nelle Sue mani la nostra vita,
far entrare i nostri problemi, le nostre paure e le nostre gioie nel mistero di Dio,
nell’abisso del Suo amore per noi.
I teologi ci assicurano che non vi è una sostanziale differenza fra noi che ci
inginocchiamo davanti al Santissimo ed i discepoli di Gesù che sedevano in Palestina
ai suoi piedi ( Giovanni 13,25 ).
SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE
“Riconciliazione” deriva da una parola latina che significa “ristabilimento di
amicizia, riappacificazione. Il verbo riconciliare significa: “rimettere in ordine, unire
nuovamente, rendere di nuovo sano”. Dio padre ha manifestato la sua misericordia
riconciliando a sé il mondo per mezzo di Cristo, con il sangue della sua croce.
Il Figlio di Dio, fatto uomo, è vissuto tra gli uomini per liberarli dalla schiavitù
del peccato e chiamarli dalle tenebre alla sua luce ammirabile.
L’Antico Testamento ci parla in diverse maniere del perdono dei peccati.
Troviamo a tal proposito una terminologia variegata: il peccato è “perdonato”,
“cancellato“ ( Es 32 ,32 );
Dice il salmo 103: “Egli perdona tutte le sue colpe, guarisce tutte le sue
malattie” (v. 3 ), “Non ci tratta secondo i nostri peccati , non ci ripaga secondo le
nostre colpe”.
Come un Padre ha pietà dei suoi figli, così il Signore ha pietà di quanti lo
temono ( v. 10 e v. 13 ). Questa disponibilità di Dio al perdono non attenua la
responsabilità dell’uomo e la necessità di un suo impegno di conversione. Ma come
dice Ezechiele (18, 19-22) “Se il malvagio si ritrae dalla sua condotta perversa il suo
peccato non sarà ricordato, egli vivrà”.
Cosi anche nel nuovo Testamento, il perdono di Dio si manifesta attraverso le
parole (la parabola sublime del “padre misericordioso“ ( Lc 15 , 11-32 ) che rivela il
volto e il cuore di Dio Padre, la parola di Gesù, che sconcerta la logica umana: “Ci
sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non
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hanno bisogno di conversione”. Così pure: “C’e’ gioia davanti agli angeli di Dio per
un solo peccatore che si converte”.
Ed i gesti di Gesù che muore sulla croce per nostri peccati. Un cammino vero di
conversione implica in particolar modo la riscoperta del Sacramento della Penitenza
nel suo significato più profondo con Lui che perdona mediante Cristo nello Spirito.
Amen
19
LA MISSIONE
(di Giuseppe SCHILLIZZI)
"Ora va, io ti mando, fa uscire dall’Egitto il mio popolo" questo è uno dei più
belli invii della Bibbia, ma in essa troviamo tutta una serie di questi "va" creativi di
Dio. Quando gli uomini vengono eletti per qualche compito importante occorrono
firme e controfirme, documenti, atti. A Dio basta una parola: "va" e viene creata una
nuova situazione, viene aperto un capitolo nuovo nella storia della salvezza, una
realtà immensa segue a questo "va" di Dio che ricorda un po’ quello iniziale di "sia la
luce".
"Va" non è mai la prima parola di Dio, è quasi sempre la conclusione di un
dialogo. Prima c’è questo misterioso incontro di Dio nel roveto ardente,
un’esperienza bruciante della vivente realtà di Dio.
Questa pagina del roveto ardente è, essa stessa, un roveto ardente. Ogni volta
che la apriamo ha questo potere di bruciare, di illuminare, di far quasi sentire sulla
propria pelle la presenza di Dio.
E’ un momento che cambia completamente la persona di Mosè. Fino a quel
momento abbiamo sentito che Mosè è un uomo che guida lui gli eventi: "voglio
vedere perché" si pone domande, vuole spiegazioni perché il roveto non brucia; poi
dopo che ha sentito il suo nome pronunciato due volte, cambia completamente, si
vela gli occhi, diventa sottomesso, remissivo, diventa la creatura che si trova alla
presenza del Creatore.
Questo è importante perché, prima di ogni invio, Dio ha bisogno di far fare
un’esperienza di se stesso. L’invio, la missione nasce da un incontro per cui quello
che poi questo inviato dirà non sarà per sentito dire, non annuncerà una dottrina, non
porterà un messaggio scritto, ma parlerà di una persona. Nella sua voce si sentirà
l’eco di un incontro personale con Dio.
Troviamo un’analogia con la chiamata di Saulo. Tra l’altro sentiamo che anche
qui Dio pronuncia due volte il nome. Quando Dio pronuncia due volte il nome nella
Bibbia c’è sempre qualcosa di importante che segue. Dunque la chiamata di Saulo ha
qualcosa di analogo, anche questa si conclude con "Vai, io ti mando, egli sarà per me
un inviato, un apostolo davanti ai re e alle genti" ma prima c’è stato l’incontro sulla
via di Damasco. "Saulo! Saulo!", Chi sei tu?" Qui c’è un nome: "Io sono Gesù".
Dopo essere stato abbagliato dalla luce di Cristo Saulo diventa Paolo, l’Apostolo
delle genti. Anche oggi noi oggi siamo chiamati a vivere l’esperienza della luce che si
sprigiona dalla persona di Gesù, quella luce che trasformò Saulo in Paolo. Lettere di
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Paolo, tutta la sua opera, è l’effetto di questo incontro bruciante ed illuminante con la
vivente persona del Risorto.
Mosè sperimenta la sua fragilità la sua inadeguatezza. Il Faraone, l’Egitto erano
le cose che in quel tempo evocavano la massima potenza, il massimo prestigio e
Mosè, quest’uomo che era lì a pascolare le pecore, deve sfidare il Faraone e
l’Egitto e la risposta di Dio non gli toglie la sua balbuzie, la sua incapacità di
parlare, gliela lascia ma gli dice una cosa: "Io sarò con te" ed è la parola che Dio
dice costantemente a quelli che manda.
Quando sarà Gesù ad inviare vediamo che il verbo non sarà più "va" ma
"seguimi" come dire "Io sono qui, non ti mando da solo". Io sarò con voi tutti i giorni
fino alla fine dei tempi.
Passiamo ad un’altra chiamata, anch’essa molto nota, che abbiamo nella mente:
la chiamata di Isaia. Anche qui troviamo in conclusione questo verbo così breve "va".
"Poi udii la voce del Signore che diceva: Chi manderò, chi andrà per noi?" ed io
risposi "Eccomi, manda me". Egli disse "Va e parla a questo popolo".
Anche qui è importante vedere cosa precede questa missione di Isaia. Una
esperienza bruciante della santità di Dio nel tempio che purifica i peccati del
profeta inviato. La santità di Dio si manifesta con i segni comuni, abituali di una
teofania: il fumo, il fuoco, il terremoto e Isaia si scopre come un peccatore in mezzo a
peccatori “un profeta dalle labbra impure in mezzo ad un popolo….” . A questo punto
un angelo, prende del fuoco da un altare, tocca misteriosamente le labbra di Isaia e lui
si sente purificato e può andare perché adesso sa che lui è un uomo dalle labbra pure
che abita in mezzo ad un popolo dalle labbra impure.
Questo deve diventare lo stato d’animo permanente degli inviati. L’inviato deve
sentirsi non un privilegiato, uno che dall’alto giudica, deve sempre sentirsi un
peccatore tra gli altri peccatori come Paolo che diceva che Cristo è venuto a chiamare
i peccatori e con tutta umiltà aggiungeva: "E io sono il primo di essi".
Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e debole per confondere i forti e
perché si veda che la potenza della parola di Dio, la potenza della luce che
accompagna la missione viene da lui, non da noi.
Tanto più la nostra voce di inviati sarà dentro questa fiamma dell’esperienza di
Dio, e sarà caratterizzata dall’esperienza del roveto ardente o di Isaia nel tempio,
tanto più oggi riusciremo a convincere il mondo. Il mondo d’oggi è diventato così
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corazzato che non bastano le parole, non bastano i ragionamenti, non bastano i mass
media, non basta la musica, non basta che gli allestiamo la parola di Dio su un
piatto attraente, il mondo per credere ha bisogno di uomini che testimoniano.
Il Papa ha detto “oggi non basta credere ma bisogna essere credibili”.
Accenno anche ad un terzo "va" anche questo di un profeta: Ezechiele. La
chiamata di Ezechiele si trova nel capitolo 2° e 3° del suo libro ed è accompagnata da
un’immagine. Come sempre la Bibbia è potente soprattutto nelle immagini. "Tu
figlio dell’uomo ascolta ciò che ti dico, non essere ribelle come questa genia di
ribelli. Apri la bocca e mangia ciò che io ti dico ". Io guardai, ed ecco una mano
tesa verso di me che teneva un rotolo, lo spiegò davanti a me e all’interno e
all’esterno vi erano scritti lamenti, pianti e guai. Mi disse: "Figlio dell’uomo mangia
ciò che hai davanti". Io aprii la bocca ed egli mi fece mangiare quel rotolo dicendomi:
"Figlio dell’uomo nutrisci il ventre e riempi le viscere con questo rotolo che ti
porgo". Io lo mangiai e fu per la mia bocca dolce come il miele ma poi divenne
amara. Poi ( dopo avere mangiato la Parola ) egli mi disse "Figlio dell’uomo va,
recati dagli israeliti e riferisci loro le mie parole".
Anche qui prima del "va" c’è un’esperienza, il profeta deve mangiare il rotolo
che simbolicamente contiene la parola di Dio che deve annunciare. Questa immagine
vale più di trattati interi sulla pastorale dell’annuncio perché dice che prima di
proclamare la parola, la dobbiamo mangiare, ce ne dobbiamo riempire le
viscere.
C’è una differenza enorme tra un libro letto, studiato, sviscerato e un libro
mangiato, digerito, di cui ci si riempite le viscere. Questo vuol dire che la parola
prima deve incarnarsi in chi la deve proclamare. Deve diventare carne della sua
carne, sangue del suo sangue, deve poter aver ferito dentro, poter tagliato dentro.
Questo spiega l’amarezza, perché la parola prima deve essere dolce come il miele
perché la parola di Dio è dolce. Poi però bisogna sperimentare l’amarezza, cioè
bisogna essersi lasciati giudicare dalla parola.
Dice il salmista: "Perché tu vai proclamando le mie parole e hai sempre in bocca
la mia alleanza mentre la mia disciplina te la getti alle spalle". Lo dice anche Paolo
nella prima lettera ai romani: "Tu che predichi agli altri perché non predichi prima
per te stesso?"
Nella Bibbia abbiamo un modello unico di una persona che ha mangiato il rotolo
e se ne è riempite le viscere: Maria. Non ha letto la parola di Dio, non l’ha studiata,
l’ha accolta nel cuore, se ne è riempita le viscere e l’ha data al mondo, in silenzio,
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senza parole di accompagnamento. Lei dunque può essere davvero la stella
dell’evangelizzazione perché ci presenta la caratteristica essenziale dell’annuncio.
Diceva Paolo VI che il mondo non ha bisogno solo di maestri ma soprattutto
di testimoni. Testimone è colui che prima la parola l’ha vissuta, si è sforzato di
viverla. Nessuno riuscirà mai a vivere al 100x100 tutta la parola di Dio che significa
che dobbiamo tacere tutti e nessuno deve predicare? No si tratta di sforzarsi, di far si
che la Parola diventi luce per i nostri passi e lampada per il nostro cammino, il nostro
metro di giudizio e punto di riferimento per ogni nostra scelta, per il Signore è
sufficiente questo.
Nella Bibbia c’è un altro "va" al plurale che voglio leggere. Non è quello solito
che aspettiamo noi alla fine (Matteo 28) "Andate in tutto il mondo, predicate il
Vangelo ad ogni creatura". Si trova alcuni versetti prima: "Ma l’angelo disse alle
donne: non abbiate paura voi, so che cercate Gesù il crocefisso. Non è qui, è risorto
come aveva detto. Presto andate e dite ai suoi discepoli che è resuscitato dai
morti". Non è difficile immaginare quello che segue: queste donne si slanciano per la
collina a raggiungere il Cenacolo e quando arrivano, prima che le donne dicano
quello che è successo, i loro occhi avevano già proclamato la resurrezione di Cristo.
C’è un dettaglio che deve essere precisato: tutti i "va" che abbiamo menzionato
fin qui erano rivolti agli uomini questo "andate" viene rivolto a delle donne, ed è
fondamentale. E’ rivolto a delle donne perché vadano dagli apostoli. Questo è un "va"
che costituisce le donne evangelizzatrici.
Eccomi!
La grande piccola parola che Dio si aspetta da coloro che chiama, da colui a cui
ha rivolto questo suo invito "va" "andate", in ebraico suona "ineni"(?) "Eccomi". La
sentiamo sulle labbra di Abramo, sulle labbra di Mosè, sentiremo Samuele, Isaia, ecc.
E’ come quando si fa un appello ed ognuno scatta in piedi dicendo "presente!". Cosa
ha di misterioso questa parolina che sembra aprire il cuore di Dio, che sembra la
risposta sufficiente a Dio? Per il resto ci pensa Lui ma ha bisogno prima di
sentire questo "eccomi". Vuol dire "Signore sono qui, non fuggo dalla tua presenza,
sono disponibile, ti ascolto, il mio cuore è pronto" come dice un Salmo: "Il mio cuore
è pronto per te Signore".
Nella storia della salvezza mancano due "eccomi" e questa assenza è così tragica
che ne portiamo ancora le conseguenze. Quando Dio chiamò Adamo ed Eva non
sentì l’"eccomi" ma vide della gente che si nascondeva e fuggiva dietro i
cespugli. Se ci fosse stato un eccomi la storia sarebbe diversa. Non abbiamo nulla
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da rimpiangere perché nella notte di Pasqua la Chiesa dice che quella fu una felice
colpa perché ci ha meritato Gesù che ha detto un altro "eccomi" mancante di Adamo,
universale eterno: "Eccomi Signore, io vengo a fare la tua volontà". L’"eccomi"
mancante di Eva anch’esso è stato redento da quello di Maria: "Eccomi, sono la serva
del Signore, si faccia di me secondo la tua parola".
Leggiamo 1Gv. 1:1-2. Noi possiamo annunciare solo Colui che abbiamo
toccato, contemplato e sperimentato nella nostra vita. Non di più!!! L'aspetto
missionario del cristiano si concretizza nel mostrare agli altri la gloria, la bellezza, la
compassione che è Gesù, evitando il rischio di rendere testimonianza di se stessi
preoccupandoci di fare bella figura.
Noi ogni volta che esercitiamo il nostro ministero siamo chiamati ad essere dei
Giovanni Battista: è Gesù l'unico protagonista, è Lui che dobbiamo mostrare, è Gesù
che la gente deve vedere ed incontrare, noi dobbiamo diminuire fino a scomparire per
far crescere la Sua meravigliosa presenza viva. Gesù servendosi di noi (semplici,
umili ma autentici strumenti) e del nostro carisma, muove i cuori alla conversione, si
rivela, guarisce, salva e libera.
Per essere veri missionari è necessario che facciamo costantemente esperienza di
Gesù vivo nella nostra vita (preghiera personale, vita comunitaria, vita sacramentale
ascolto della Parola di Dio) perché è da Lui che dipendiamo, è lui che ci manda, è
per conto di Gesù che operiamo. Così come il Figlio non può far nulla da sé ma
riceve tutto dal Padre che lo ha inviato (Gv.5:19-30), così noi non possiamo far
nulla senza di Lui dal quale riceviamo il mandato della missione ed il potere di
compierla. Guai a ritenersi non bisognosi di Dio e ad operare autonomamente,
l’annunzio non avrebbe nessun potere di convertire perché non sarebbe autentico.
Emblematico è quando Gesù nel vangelo di Marco 1:44 dice al lebbroso guarito:
guarda di non dirlo a nessuno. Marco rivolge a noi una esortazione molto forte.
Abbiamo incontrato Gesù? Facciamo esperienza del suo amore e della sua salvezza?
Ci lasciamo trasformare da lui di gloria in gloria? Se tutto questo non è successo e
non si sta verificando ancora, allora Marco ci ripete le parole di Gesù: guarda di non
dirlo a nessuno! Ciò che diresti sarebbe del tuo e non frutto di un’esperienza viva del
mio amore. Se invece c’è stata la conversione (come credo ci sia stata) se abbiamo
sperimentato e conosciuto l’amore di Dio, se abbiamo visto le meraviglie del Signore,
allora ripete a noi come all’indemoniato di Gerasa dopo la sua liberazione: “ Và nella
tua casa e dai tuoi genitori e racconta loro ciò che il Signore ha fatto per te!”
Per noi annunciare il Vangelo, come dice s. Paolo, non è un optional ma un
dovere, quindi siamo tutti missionari del vangelo ma è necessario che costantemente
facciamo esperienza di Gesù vivo nella nostra vita per poi trasmetterlo agli altri
Mc.3:13-14 “Chiamò a se quelli che Egli volle che stessero con Lui ed anche per
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mandarli a predicare”.. Non basta leggere di Dio o sapere ma è necessario stare con
Lui. Non si tratta di insegnare al mondo la Buona Novella, ma di trasmetterla
con la parola e le opere, Gesù accompagnava sempre l’annuncio della Buona
Novella con le opere.
Allora vediamo che ESPERIENZA – TESTIMONIANZA – MISSIONE è il
percorso che il Signore ci sta indicando.
I dodici (poveri disgraziati, ignoranti, semplici pescatori, spesso divisi tra loro,
di poca fede come Tommaso, infedeli come Pietro) questi hanno convertito e
cambiato il mondo intero, hanno semplicemente sperimentato (per tre anni hanno
vissuto con Gesù) hanno testimoniato con la vita e le opere (fino al martirio) e dopo
sono diventati missionari annunciando al mondo intero il kerigma.
Se noi non riusciamo a fare nemmeno un millesimo di quello che hanno fatto gli
apostoli vuol dire che c’è qualcosa che ci manca: o non facciamo esperienza di Lui, o
non testimoniamo o semplicemente non lo annunziamo.
Quando parliamo dell’aspetto missionario dobbiamo ricordarci che questa
dimensione deve essere vissuta e trasmessa con potenza ed autorità e non con
timidezza. Gli evangelisti dicevano che Gesù parlava con autorità e potenza (Mc.
1:27). Gli apostoli riuniti nel cenacolo erano sfiduciati, avevano paura di essere
arrestati, erano timorosi e pieni di dubbi (anche noi forse quando si tratta di dare
testimonianza o annunziare il vangelo ci sentiamo così come gli apostoli). Ma quando
ricevono il fuoco dello Spirito e fanno l'esperienza del Dio Vivente, del Cristo
Risorto, non poterono più contenere quella realtà, dovettero uscire e divennero
missionari unti dallo Spirito e coraggiosi tanto da cambiare il mondo ed accendere il
fuoco su tutta la terra. Prima erano paurosi ora diventano missionari Cristo senza
temere più nulla e nessuno.
Si tratta di avere dentro il fuoco dello Spirito che ci spinge a testimoniare a tutti
ed ovunque, in tutti i modi “concerti”, “preghiere aperte”, e quant'altro, che c'è una
grande novità!!! guai ad aver paura, rispetto umano o pigrizia, saremo considerati
come quel servo “infedele ed infingardo” che, per paura, ha sotterrato il talento.
La Chiesa di Gesù Cristo non propone una salvezza facoltativa o parziale.
L’unica proposta è Gesù Signore Via Verità e Vita! Gesù è l’unico Signore e l’unica
salvezza in mezzo ad un mondo che è alla ricerca di ben altri signori.
Attraverso di noi Gesù continua la sua missione “Come il Padre ha mandato
me, anch'io mando voi” (Gv. 20:21). Il nostro ministero è dunque la continuazione
della missione di Gesù: “chi accoglie voi, accoglie me” (Mt.10:40).
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In virtù del nostro battesimo siamo costituiti “ministri di Dio” (2Cr. 6:4),
ambasciatori di Cristo (2Cor.5,20).
Voglio concludere con il grande mandato che consegnò Giovanni Paolo II, il
28/03/1996, e che ancora da lassù consegna oggi a tutti noi:
“...Alla vostra creatività affido il compito di pensare e realizzare le forme più
adatte per annunciare il Vangelo nelle nostre città.
...Conto su di voi, sulle vostre energie, sulle vostre capacità di lavorare insieme
per una missione comune: << insieme per evangelizzare >>.
Usate ogni mezzo e ogni occasione per far conoscere la gioia che viene da
Cristo!”
26
LA
CRESCITA
DI COPPIA
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IL MATRIMONIO: SACRAMENTO DELL’AMORE
(di Franco GRECO)
Premessa
Una parola comune unisce tutte le tematiche della relazione di coppia:
l’Amore.
In tutte le riflessioni sentiremo riecheggiare questa parola proprio perché
all’interno di una coppia se non c’è Amore non ci può essere un autentico cammino
coniugale.
Gn 1,27-28 “Dio creò l'uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò,
maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro:«Siate fecondi e
moltiplicatevi.”.
Fin dalla creazione dell’uomo e della donna Dio dice siate fecondi: fecondi
nell’amore.
Infatti tutti, prima o poi, riscopriamo che l’unica cosa necessaria per vivere e
senza la quale la vita non ha senso, è l’Amore.
Non un amore idealizzato, ma un amore concreto che si cala nella vita
quotidiana. Essere amati ed amare.
Di quell’amore luminoso che sprigiona la bellezza della perfetta comunione
Trinitaria e di fronte a tale amore si rimane affascinati perché è una forza
trasfigurante.
L’Amore è percepito, in una coppia che si ama, come frammento d’infinito,
dell’infinito amore di Dio. L’amore di Dio si rivela soprattutto in certi momenti di
grazia, come nello stupore del primo innamoramento, nell’unione della coppia, nella
meraviglia di partecipare alla creazione con la nascita di un figlio, nella capacità di
guardare mio marito, mia moglie con gli occhi di Dio.
Sacramento del matrimonio, presenza operante di Gesù Cristo.
Il sacramento del Matrimonio, come gli altri sacramenti, è radicato in Cristo.
Anzi il sacramento del matrimonio è presenza operante di Gesù Cristo, che entra
nella storia della coppia per trasformare l’amore degli sposi, talvolta egoistico, per
renderlo simile al suo, di donazione totale.
Fra i sacramenti non ve ne è uno il cui segno, sia forte e pregnante di
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concretezza e realtà umana come il sacramento del matrimonio. Il segno e i gesti del
sacramento del matrimonio non sono nient’altro che l’amore che lega i due sposi (le
loro persone intere, corpo, cuore e mente) e i gesti e gli atteggiamenti che lo
esprimono: dal riconoscimento reciproco come persone, alla sollecitudine e cura
reciproche, alla solidarietà, alla tenerezza, ai gesti che più di ogni altro incarnano
l’amore come quelli dell’intimità sessuale.
Il segno del sacramento del matrimonio insomma è la “stessa comunione di
vita e d’amore degli sposi” (G.et S. 48). E’ una realtà umana, fra le più ricche e belle
nell’ordine della creazione, nella quale il Creatore è comunque sempre presente ed
agisce per portarlo misteriosamente alla sua presenza.
• Che cos’è lo specifico del matrimonio degli sposi cristiani?
• Che cosa c’è in più?
C’è il rapporto degli sposi con Cristo.
C’è la consapevolezza che la loro comunione è inserita nella storia della
salvezza. Il cammino della coppia deve essere sempre verso la pienezza dell’amore
infatti Cristo rende gli sposi capaci di cominciare ad amarsi come Lui li ama.
L’amore degli sposi segno della comunione di Dio con l’umanità
Gli sposi credenti, nella loro comunione coniugale, sanno che la loro
comunione diventa segno della comunione di Dio con l’umanità. Sanno di essere
chiamati a diventare partecipi di questo amore, cioè l’Amore di Dio per la sua Chiesa,
ed incarnarlo nel cuore della loro realtà coniugale.
La coppia cristiana deve rimanere continuamente aperta ad accogliere questo
Amore, deve lasciarsi afferrare da questa corrente di Amore salvifico che supera i
limiti umani, che salva nelle cadute, nelle debolezze e fragilità. Ogni coppia cristiana
deve credere e testimoniare che esiste questo Amore e che bisogna fidarsi per tutta la
vita.
Attraverso questa fiducia, nella presenza di un amore più grande e invincibile,
nasce costantemente la speranza che il loro amore umano, salvato da Cristo, potrà
diventare amore di carità: un amore che cresce nell’offerta continua.
Se la coppia cristiana cerca ogni giorno di camminare secondo il Vangelo,
incontrerà quotidianamente la gioia e la fatica del divenire coppia. Perché attraverso
le cadute e le riprese, testimoniano la presenza di Cristo in mezzo a loro. Annunciano
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Cristo morto per amore e risorto per liberarci.
Il sacramento del matrimonio ed il vissuto quotidiano della coppia
Il sacramento del matrimonio non opera miracolisticamente e neppure è una
polizza di assicurazione contro le difficoltà, l’insuccesso o il fallimento. Il
sacramento del matrimonio non è garanzia di successo ma offre agli sposi, nei
momenti di difficoltà, la certezza che Dio li ama, che è in loro, che cammina con
loro, che è fonte di novità di vita inesauribile. La nostra fede esige di essere incarnata.
Allora cerchiamo di guardare con lucidità e tenerezza alla realtà della nostra
vita coniugale così come essa è. Perché è nella nuda realtà della nostra condizione
umana che emerge Dio e lo incontriamo, non altrove, ma dentro la nostra storia,
dentro il nostro vissuto quotidiano.
Il sacramento del matrimonio dunque si scopre e si incarna nella storia, fatta di
immaturità, di limiti e di peccato. La coppia di sposi si deve amare tanto da conoscere
bene i limiti. Per amore dobbiamo accettare ed accogliere in noi questi limiti.
La sacramentalità del matrimonio non si vive altrove ma dentro il matrimonio,
cioè dentro il rapporto di coppia.
La vita coniugale può diventare luogo teologico, cioè luogo di manifestazione
e di incontro con Dio, del Dio che cammina sempre con noi.
Bisogna cominciare ad avere una mentalità nuova del sacramento del
matrimonio, cioè bisogna pensare e vivere ogni momento come tempo e luogo di
salvezza. L’incontro con chi ti accoglie e ti riconosce è la più importante esperienza
di salvezza nel quotidiano.
E’ necessario accogliersi l’un l’altro per potersi donare reciprocamente. Solo
così il nostro amore diventa immagine di Dio.
E’ attraverso mia moglie che Dio vuole essere amato.
E’ attraverso mio marito che Dio vuole essere amato.
Cioè attraverso le molteplici forme che l’esperienza quotidiana ci offre. Gesti
di tenerezza, di accoglienza, di amicizia, soprattutto gesti di perdono e di
riconciliazione, che sono le forme più alte d’amore che può dare e ricevere una
creatura nuova. Il matrimonio deve essere il luogo dove si può fare esperienza di
gratuità e di dedizione continua.
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Il sacramento del matrimonio luogo di incontro con Dio
Il matrimonio è luogo di incontro con Dio anche quando si fa esperienza di
sofferenza, di dolore , di limiti, di peccato. La croce è passaggio obbligato se si vuole
seriamente la comunione coniugale. La sacramentalità del matrimonio cristiano
agisce su tutti i livelli della vita coniugale. Bisogna scoprirla e viverla con una lunga
strada di ricerca che può richiedere un’intera vita.
Il sacramento del matrimonio, con un gioco di parole, si scopre a poco a poco
nelle profondità dell’essere dell’altro. Vivere il matrimonio vuol dire fondarlo
sull’amore, con un impegno comune a superare quei giorni di disamore, di opacità, di
cadute, di tradimento, perché il nostro cammino coniugale è fatto di soste, di cadute,
di rotture, ma anche di passi in avanti, di liberazione, di comunione e felicità
profonde.
Conclusioni
Questa è la storia di ciascuna coppia, il suo cammino. Occorre amarla tutta
questa storia, percorrerla tutta. Non fermarsi. Guai alla coppia cristiana che sfugge
alla storia, si nasconde dietro un idealismo. Se la coppia si ferma o non vive dentro la
sua storia il vissuto quotidiano, la dove incontra il Dio che salva, sarà perduto un
appuntamento fra Dio e l’uomo ovvero fra Dio e la coppia.
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FAMIGLIA ED EUCARESTIA
(di Franco BILLECI)
La situazione, in cui versa la famiglia oggi, presenta aspetti positivi ed aspetti
negativi: segno, gli uni, della salvezza di Cristo operante nel mondo, gli altri, del
rifiuto che l’uomo oppone all’amore di Dio.
Da una parte, infatti, vi è una coscienza più viva della libertà personale e una
maggiore attenzione alla qualità delle relazioni interpersonali nel matrimonio, alla
promozione della dignità della donna, alla procreazione responsabile, alla educazione
dei figli, vi è inoltre la coscienza della necessità che si sviluppino relazioni tra le
famiglie per un reciproco aiuto spirituale e materiale, la riscoperta della missione
ecclesiale propria della famiglia e della sua responsabilità per la costruzione di una
società più giusta.
Dall’altra parte, tuttavia, non mancano segni di preoccupante degrado di alcuni valori
fondamentali: una errata concezione teorica e pratica dell’indipendenza dei coniugi
fra di loro, le gravi ambiguità circa il rapporto di autorità fra genitori e figli, le
difficoltà concrete che la famiglia spesso sperimenta nella trasmissione dei valori, il
numero crescente dei divorzi, la piaga dell’aborto, il ricorso sempre più frequente alla
sterilizzazione, l’instaurarsi di una vera e propria mentalità contraccettiva.
Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza chiamandolo all’esistenza per
amore e l’ha chiamato, nello stesso tempo, all’amore.
Per questo l’uomo e la donna lasceranno suo padre e sua madre e saranno una carne
sola.
Lo scopo ultimo di questa unione è quello di essere chiamati alla Santità.
Il compito di santificazione della famiglia cristiana ha la sua prima radice nel
battesimo e la sua massima espressione nell’Eucarestia, alla quale è intimamente
legato il matrimonio cristiano.
Il sacrificio eucaristico, infatti, ripresenta l’alleanza d’amore di Cristo con la Chiesa,
in quanto sigillata con il sangue della sua croce.
E’ in questo sacrificio della Nuova ed Eterna Alleanza che i coniugi cristiani trovano
la radice dalla quale scaturisce, interiormente plasmata e continuamente vivificata, la
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loro alleanza coniugale.
In quanto ripresentazione del sacrificio d’amore di Cristo per la Chiesa, l’Eucarestia è
sorgente di carità.
E’ nel dono eucaristico della carità che la famiglia cristiana trova l’andamento e
l’anima della sua comunione e della sua missione. In sostanza, il pane eucaristico fa
dei diversi della comunità familiare un unico corpo.
La famiglia cristiana per essere se stessa ha bisogno di assaporare i profumi di grazia
della casa di Nazareth; ha bisogno di respirare l’aria pulita della montagna di Dio,
dove si incontra il roveto ardente dell’Eucarestia.
I fidanzati prima e gli sposi poi sono chiamati a togliere i calzari dell’individualismo,
dell’egoismo per contemplare il mistero del roveto ardente che brucia, ma non si
consuma e lasciarsi, così, illuminare e toccare da esso, affinché essi stessi diventino
roveti ardenti d’amore, diventino eucaristie viventi.
Il Concilio Ecumenico Vaticano II ci insegna che “alla Eucarestia deve ispirarsi
qualsiasi educazione allo spirito comunitario” (PO 6e); pertanto, all’Eucarestia deve
ispirarsi la vita familiare. Solo ponendosi alla scuola dell’Eucarestia la famiglia potrà
accogliere l’invito di Giovanni Paolo II: “Duc in altum”, “prendi il largo”! Solo così
la famiglia potrà prendere il largo nel mare della storia e raggiungere il porto della
beatitudine evangelica, evitando di naufragare sugli scogli dell’egoismo,
dell’individualismo e dell’egocentrismo.
Ma cosa significa porsi alla scuola dell’Eucarestia?
Significa trasformare la vita familiare in un altare vivente del banchetto eucaristico
accogliendo, da parte degli sposi, tre lezioni fondamentali dell’Eucarestia.
La prima lezione è il perdono. Tanto più essi saranno disposti a chiedere
sinceramente perdono e ad accogliere il perdono dell’altro, quanto più diverranno una
cosa sola e la famiglia sarà come “la casa del Padre”, in cui si celebra la festa del
perdono.
Per poter vivere questa festa il passaggio fondamentale è quello di scoprire,
accogliere e sperimentare la cortese misericordia divina. Sì, la cortesia del perdono
divino.
33
Nella parabola del figliol prodigo vediamo il Padre che, commosso, corre incontro al
figlio ritrovato, lo abbraccia, lo bacia, lo veste elegantemente (con le vesti più belle),
lo riabilita pienamente, lo integra nella famiglia a pieno diritto, organizzando un
grande banchetto, una grande festa. Quale bellezza manifesta il volto misericordioso
di Dio Padre! Quale cortesia svela il Suo perdono!
La seconda lezione che ci viene offerta dal banchetto eucaristico è l’ascolto della
Parola di Dio. Giovanni Paolo II, nella lettera apostolica “Novo millennio ineunte”,
afferma che da sempre una tentazione insidia ogni cammino spirituale: quella di
pensare che i risultati dipendano dalla nostra capacità di fare. Certamente Dio ci
chiede una reale collaborazione alla sua grazia ma guai a dimenticare che “senza
Cristo non possiamo far nulla” (cfr. Gv 15,5). La preghiera ci fa vivere questa verità.
Essa ci ricorda costantemente il primato della vita interiore e della santità.
Per cogliere il grande valore delle parole del Santo Padre, la famiglia deve vivere
l’esperienza dei discepoli nell’episodio evangelico della pesca miracolosa: “Maestro,
abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla” (Lc. 5, 5). E’ quello il
momento della fede, della preghiera, del dialogo con Dio, per aprire il cuore all’onda
della grazia e consentire alla Parola di Dio di passare attraverso di noi con tutta la sua
potenza. Fu Pietro, in quella pesca, a dire la parola della fede: “Sulla Tua parola
getterò le reti”. Sappiamo che, dopo tale atto di fede sulla parola del maestro, presero
una quantità enorme di pesci a tal punto che le reti si rompevano.
Ciò ci dice, che il primato della santità e della preghiera è concepibile solo a partire
dall’ascolto della Parola di Dio. E’ necessario, pertanto, che l’ascolto della Parola di
Dio diventi un incontro vitale nella vita della famiglia. Innanzitutto dal leggere e
meditare insieme le parole della Sacra Scrittura ogni giorno traendo da esse lo
stimolo per vivere meglio e più vicini al Signore la propria giornata, traendo da esse
la forza per rialzarsi quando si cade, la forza di affrontare insieme le difficoltà
guardandole con una luce diversa.
Dalla meditazione della Parola si passa alla preghiera insieme, magari al termine
della giornata, come ringraziamento e verifica del vissuto nella fede di quel giorno.
Il terzo grande insegnamento che riceviamo dall’Eucarestia è essere pane spezzato
per gli altri. Qui troviamo il cuore e l’apice della vocazione matrimoniale. I coniugi
hanno come vocazione, infatti, proprio quella di offrirsi totalmente l’uno all’altro
nella verità e nell’amore di Dio, vivere per l’altro, essere fedeli fino in fondo, anzi
fino in cima, all’altro. In altri termini i coniugi sono chiamati a farsi Eucarestia l’uno
per l’altro, per essere insieme pane spezzato per i propri figli e per il prossimo.
Questo costituisce il più bel regalo che i genitori possono fare ai figli. Madre Teresa
di Calcutta, parlando della famiglia, diceva proprio che non vi è regalo più bello che i
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genitori possono fare ai figli se non quello di volersi veramente bene.
Il farsi Eucarestia esige anche uno stile che caratterizzi le relazioni familiari: la
cordialità e la fiducia reciproche. Cordialità è una parola composta da due parole, cordialità e significa dare il cuore all’altro.
La stessa etimologia di cordialità è presente nel verbo credere, cor-do, dare il cuore,
mettere il cuore su qualcosa, su qualcuno. Cordialità e credere, quindi, significano
mettere il cuore nell’altro, donare il cuore all’altro. Esse sono come due sorelle che
devono sempre accompagnare le relazioni e gli atteggiamenti di una famiglia, perché
costituiscono la cornice essenziale dell’Amore di Dio.
Se la famiglia accoglierà queste tre grandi lezioni eucaristiche sarà un sacramento
perenne, un segno visibile che Dio è amore e che l’amore è la Verità.
Se la famiglia sarà sacramento, allora sarà anche una benedizione perenne per gli
altri. Un giorno, un uomo piagato dalla malattia e dal dolore, mentre veniva accudito
da Madre Teresa, le disse: “Madre non so se Dio esiste, ma se esiste sicuramente ha il
suo volto”. Stupenda questa affermazione! Sarebbe veramente bello se la gente
incontrando una famiglia cristiana potesse dire altrettanto.
Questa è la grande “predicazione” quotidiana che la famiglia è chiamata a fare
sull’“altare” della vita di ogni giorno.
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IL DIALOGO NELLA COPPIA
(di Franco GRECO)
Dopo aver parlato della spiritualità coniugale, vogliamo affrontare le vie regali
della spiritualità, che sono quelle vie che ci aprono ad un itinerario che può essere
paragonato ad un viaggio. Certamente, “come ogni cammino, il viaggio della coppia
richiede la fatica del procedere in avanti, del conoscersi e del crescere, del
ricominciare e del rinnovarsi”.
Allora il primo aspetto importante e fondamentale, per continuare in questo
cammino formativo, è il dialogo nella coppia.
Il dialogo non è semplicemente dire delle parole, scambiandosi dei sentimenti
senza un coinvolgimento reciproco. Il dialogo è la prima via regale della coppia e
questo ci porta a conoscere l’altro perché il dialogo è:
• comunicare se stessi all’altro;
• sapere ascoltare;
• essere attenti all’altro;
• essere premurosi;
• essere delicati;
• essere pazienti.
Attraverso il dialogo c’è un’attenzione maggiore dell’altro, di ciò che vive, di
cosa sperimenta, ci si rende presente all’altro e quali siano i suoi bisogni.
Il dialogo rappresenta ciò che il respiro è per la vita dell’uomo, quando il
respiro si blocca il corpo muore. Quando non c’è il dialogo, il rapporto di coppia si
indebolisce e può morire.
Il dialogo è comunicazione di se stesso. Nel dialogo vediamo l’altro e l’altro
vede noi. Il matrimonio deve essere essenzialmente comunicazione e dialogo. Dio
stesso si è fatto parola, si è fatto dialogo per noi. Se manca la parola non ci si rende
presenti all’altro, non ci si mette in relazione con l’altro, non si comunica.
Attraverso l’Eucaristia Cristo si rende presente, vicino, palpabile a noi. E noi
attraverso il dialogo ci rendiamo presenti, vicini, palpabili all’altro.
E anche quando si litiga è importante non interrompere il dialogo, ma è
importante comunicare le cose con schiettezza, dirsele e poi riconciliarsi.
Allora è essenziale che ci sia la comunicazione all’interno della coppia.
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Comunicare non è conversare, è cercare di esprimere ciò che si è sperimentato giorno
per giorno, è esternare non solo la gioia, ma anche le proprie tristezze, le proprie
amarezze, la propria solitudine.
Attraverso la comunicazione ci si apre all’altro facendolo partecipe di tutto ciò
che si vive. E’ rendersi poveri, nudi l’uno all’altro.
Tutto questo non si improvvisa, ma si costruisce giorno per giorno, evitando
alcune trappole che possono rendere la vita della coppia una tragedia. Bisogna evitare
alcuni elementi del tipo:
- leggere nella mente dell’altro, avendo la presunzione di conoscere l’altro;
- credersi trasparenti, credere di poter condividere i sentimenti, invece questo non
avviene;
- il comunicare in maniera confusa, generalizzando nella comunicazione come “voi
donne siete tutte uguali” oppure “voi uomini siete tutti disordinati”.
Questi purtroppo influiscono nel nostro cammino e sono da ostacolo soprattutto
per iniziare un vero dialogo. Bisogna avere la possibilità di poter esprimere i propri
sentimenti, i propri bisogni, i propri progetti. Soffocare i propri sentimenti non è
equilibrante né nutritivo, perché ci si può rimanere schiacciati. I sentimenti sono la
linfa, l’energia di cui la coppia ha bisogno per vivere.
Di fronte ad una persona o ad una situazione, i sentimenti sono reazioni che ci
fanno esprimere gioia, tristezza, rabbia, serenità ecc... Allora per poterli esternare è
bene che noi prendiamo contatto con i nostri sentimenti, senza ripudiarli, ma
condividiamoli e permettiamo che escano fuori.
Questo è crescere nel dialogo.
Attraverso il dialogo si impara a perdonare perché il perdono è accoglienza
dell’altro. Perdonare è amare, è accettare l’altro, non perché sia cambiato, ma perché
è lui.
Rendiamoci nudi, poveri all’altro e l’amore diventerà l’incontro di due povertà.
Allora dialogare è incontrarsi per stabilire un contatto profondo per accogliersi
e accettarsi così come siamo.
Dialogare è parlare di noi stessi, è condividere i nostri sentimenti, i nostri
bisogni, le nostre speranze, le nostre delusioni e tristezze.
E’ partecipare noi stessi all’altro per farci conoscere, non tanto per risolvere i
problemi.
Dialogare è mostrare interesse, attenzione e partecipazione al mondo dell’altro.
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Allora per concludere il dialogo è:
- un chiedere e un dare;
- un comunicare insieme;
- un riscoprirsi bisognosi per poter raggiungere insieme Dio.
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LA PREGHIERA DI COPPIA
(di Franco GRECO)
Vogliamo iniziare questo tema con una espressione del Papa Giovanni Paolo II:
“Non si dovrà mai dimenticare che la preghiera è parte costitutiva essenziale della
vita cristiana, è la prima espressione della verità interiore dell’uomo, la prima
condizione dell’autentica libertà dello Spirito. Per questo la preghiera non
rappresenta affatto un’evasione dell’impegno quotidiano, ma costituisce la spinta più
forte perché la famiglia cristiana assuma ed assolva in pienezza tutte le sue
responsabilità di cellula prima e fondamentale della società nuova” (Esortazione
Apostolica, Familiaris Consortio, n° 62.).
Cerchiamo di sviluppare questo tema, alquanto importante per la vita di coppia,
sviluppando cinque punti secondo una importante classifica:
a)
cosa è pregare;
b)
pregare in coppia;
c)
la difficoltà di pregare;
d)
come pregare in coppia;
e)
le diverse modalità per pregare in coppia;
a) Cos’è pregare?
Pregare non è tanto dire parole ma fare silenzio, silenzio profondo, silenzio
comunicativo, silenzio che penetra il cuore del Padre.
Pregare è contemplare la sua grandezza, cogliere le meraviglie di Dio.
Pregare è in incontrare il volto del Signore stabilendo un contatto profondo,
personale, intimo con Lui.
Pregare è guardare e lasciarci guardare da Lui per essere trasformati, riempiti dal
Suo Spirito, è un lasciarci scavare da Lui.
Pregare è vedere la nostra esistenza con gli occhi di Dio, vedere quanto siamo
importanti per Lui.
Pregare è vedere anche i nostri limiti, è capirci, è comprenderci e renderci conto
delle nostre fragilità.
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Pregare è nutrirci della presenza di Gesù per riprendere sempre il nostro
cammino alla luce della Parola di Dio.
Pregare è sperimentare l’Amore di Dio attraverso una esperienza forte.
Pregare è un sentirci sotto lo sguardo di Dio.
b) Pregare in coppia
Dopo aver detto in maniera semplice cosa è pregare, cerchiamo ora di capire
l’importanza della preghiera in coppia e come questo può dare il giusto equilibrio ad
ogni nostro progetto, ad ogni nostro inizio di cammino verso la santità.
Quando si parla di preghiera in coppia non possiamo fare a meno di mettere in
evidenza alcune premesse:
1)
Come prima premessa sottolineiamo subito che come c’è una vocazione al
sacerdozio, così c’è una vocazione al matrimonio. Come c’è un modo specifico
nel vivere il sacramento dell’ordine, così c’è un modo specifico nel vivere il
sacramento del matrimonio. Questo comporta che il sacerdote prega da
sacerdote e la coppia prega da coppia.
2)
Nell’ambito della funzione cristiana c’è un’accettazione della preghiera
personale. Anche se è bene pregare da soli questo atteggiamento non è tutto.
La mentalità che attraversa la nostra vita è quella monastica, per cui il monaco
prega il Signore da solo non condividendo la vita. Spesso nel cammino di coppia
si vive tante volte una dimensione della preghiera alla maniera monastica,
stabilendo un rapporto di crescita individualistico: Io - Dio.
Questo non può essere un atteggiamento fondamentale nella vita di preghiera
nella coppia. Se manca la preghiera di coppia, manca un aspetto preciso della
vocazione del matrimonio, perché quest’ultimo è una realtà di relazione, cioè
tutto il cammino di coppia è un cammino a due, due che condividono tutto e se
non pregano insieme mettono alla porta Dio.
3)
E’ necessario anche favorire la preghiera familiare, e questo può avvenire
basandosi sulla preghiera di coppia in quanto coppia, perché il sacramento è
dato alla coppia non alla famiglia. Allora Prima di privilegiare la famiglia è
necessario privilegiare la preghiera di coppia.
4)
Il fatto che non si preghi in coppia è perché un membro della coppia non riterrà
importante questo momento, anzi, lo reputa un qualcosa di superfluo. Avere
questo atteggiamento è tradire lo specifico delle vocazioni coniugali. E’
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sminuire l’identità coniugale, è come affermare che fare l’amore con qualcuno
sia la stessa cosa che farlo con la persona che si ama. Questo non è vero amore.
Non fare la preghiera di coppia è impoverire l’identità coniugale, perché la
prima identità della coppia è amarsi reciprocamente e tutto deve essere sostenuto
nella preghiera di coppia.
E’ necessario che, sia il relazionarsi, che il pregare, non avvenga in un modo
freddo, distaccato come da estranei, perché il progetto di Dio sulla coppia è che “i
due saranno una sola carne” (Genesi 2, 24)
c) Le difficoltà
Alcune difficoltà che si incontrano per la preghiera di coppia spesso nascono
proprio da un problema di coppia:
-
a mio/a marito/moglie non piace pregare;
-
spesso ci troviamo a pregare in modi diversi e in momenti diversi;
-
a noi piace pregare individualmente perché abbiamo bisogni diversi.
Tutto questo può suonare ridicolo.
Allora spezziamo queste catene e questa indifferenza verso la preghiera che non
ci permette di vivere in pienezza il nostro rapporto coniugale!
Ci sono delle difficoltà da superare per avviare il momento della preghiera di
coppia:
- la paura;
- l’evasione;
- l’impazienza.
La paura di pregare è paura di Dio, è paura di cambiare. Se all’interno della
coppia c’è una paura di cambiare non può esserci preghiera perché pregare è
credere e credere è consegnare la propria vita a Dio, è lasciarsi plasmare, è
abbandonarsi in Dio, arrendersi a Lui.
Diverse paure attraversano la coppia, ma una delle paure che la coppia deve
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superare è quella paura di essere intimi, perché nella preghiera di coppia infatti
si allargano i confini, si entra più profondamente in intimità l’uno con l’altro e
questa intimità ci fa paura.
L’evasione è una tentazione, è prendere diverse scuse per evitare la preghiera
di coppia.
Per imparare a pregare bisogna vincere questa tentazione di mettere altre cose
al primo posto piuttosto che la preghiera.
L’impazienza ci fa dimenticare che dietro ciascuno di noi c’è una storia
personale, fatta di limiti e di esperienze negative e positive. Spesso vogliamo
vedere subito i frutti della preghiera e se non ci sono si perde subito la calma.
L’impazienza si vince con la pazienza di Dio e questo ci fa entrare in quello
che l’altro è realmente. Bisogna rispettare i tempi dell’altro e ritmare la nostra
vita con i ritmi dell’altro. La preghiera di coppia ci porta a vivere il presente
facendoci carico della vita dell’altro, è un aprirsi all’altro per farlo entrare in
noi.
d) Come pregare in coppia
Quali possono essere le modalità per pregare in coppia?
Intanto è necessario, come abbiamo già detto prima, sviluppare una mentalità di
coppia.
- E’ necessario stabilire il tempo di durata della preghiera. Questa deve essere una
decisione presa insieme.
- E’ essenziale decidere anche il giorno della preghiera di coppia.
e) Le diverse modalità per pregare in coppia
Per quanto riguarda lo svolgimento della preghiera qui, di seguito, mettiamo
delle proposte di preghiera ma, certamente, si lascia spaziare la fantasia per poter
realizzare questo momento importante:
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1) pregare un salmo;
2) contemplare il crocifisso;
3) la preghiera del Padre Nostro;
4) recitare il Santo Rosario;
5) preghiera di lode;
6) lectio Divina
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LA SESSUALITA’ NELLA COPPIA
(di Franco GRECO)
Se andiamo indietro nel tempo ci accorgiamo che sin dalle prime pagine della
Bibbia si parla di un Dio che riguardo all’incontro carnale, fisico, tra Adamo ed Eva,
vede “che era buono”.
Quando Dio dice che non è bene che l’uomo sia solo afferma che da solo l’uomo
non realizza totalmente la donazione di sé. La realizza soltanto esistendo con
qualcuno e più profondamente esistendo per qualcuno.
E’ nell’offerta all’altro e nel dono di sé, che si realizza l’amore coniugale nella
forma di donazione totale. L’uomo, in quanto immagine di Dio è creato per amore,
ed è chiamato all’amore (Lettera Enciclica di Paolo VI, Humane Vitae, n°8).
Aprendo una parentesi, vogliamo rivedere la sessualità nella mentalità di ieri e
di oggi.
Rivedendo una frase di S. Agostino “quanto meno sessualità c’è nella coppia,
tanto più il matrimonio”, possiamo costatare che questa espressione mancava di
conoscenza di base essenziale per poter parlare con cognizione di causa della
sessualità, infatti la mentalità di ieri focalizzava l’attenzione sulla funzione
procreativa, per cui il fine primario del matrimonio era soltanto i figli.
Ieri la cultura attorno alla sessualità era quella della repressione (tabù), infatti
questa valutazione negativa della sessualità generava una cultura del sospetto, della
paura e del silenzio attorno all’argomento.
Oggi invece possiamo notare che c’è più attenzione verso l’argomento, si è più
elastici, c’è una valutazione maggiormente positiva riguardo al passato e la sessualità
è intesa come qualcosa di integrante per la persona e un bene per la sua crescita.
“La sessualità umana è un bene: parte da quel dono creato che Dio vide essere
molto buono” (Pontificio Consiglio per la famiglia, “Sessualità umana: verità e
significato, n°11”. “La relazione tra un uomo e una donna è essenzialmente una
relazione d’amore: << La sessualità orientata e integrata dall’amore acquista vera
qualità umana >>. L’amore coniugale diviene, allora, forza che arricchisce e fa
crescere le persone).
Oggi possiamo anche notare che ci sono effetti negativi per quanto riguarda la
sessualità e uno di questi è il pluralismo in base al quale c’è chi la pensa in un modo e
chi in un altro causando solo confusione e nello stesso tempo sminuendo
l’importanza del valore della persona.
L’uomo amato da Dio è “chiamato all’amore”, come abbiamo già detto ed è
parte di quel dono creato che “Dio vide essere molto buono” (Gn, 1,27).
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La relazione tra un uomo e una donna è essenzialmente una relazione d’amore e,
di conseguenza, la sessualità orientata e integrata nell’amore acquista vera qualità
umana.
La sessualità è quindi un bene per l’uomo poiché è un dono, dato che la
sessualità è una componente fondamentale della personalità, un proprio modo di
essere, di manifestarsi, di comunicare con gli altri, di sentire, di esprimere e di vivere
l’amore umano, in quando l’amore vero crea il bene della persona. Lo crea e lo dona
agli altri.
Bisogna trovare un’identità nella sessualità per cui è necessario che l’io incontri
necessariamente il tu per incontrare il noi.
Bisogna aver chiaro il senso della sessualità come ricchezza e come dono,
soprattutto per accrescere la possibilità di comunicare.
La troppa superficialità con cui diamo importanza alla sessualità, può sfociare in
un egocentrismo, per cui la cosa più importante è andare a letto insieme e non c’è
amicizia, non c’è dialogo, non c’è condivisione ma solo consumo di sesso.
Un altro aspetto di questa superficialità con cui consideriamo l’amore è la
facilità di cambiare partner quando il rapporto non va bene, non ci si rende conto che
si sta cambiando solo specchio, in quanto, dice un proverbio cinese, “se uno è brutto
e cambia specchio, rimane brutto ugualmente”.
Nel rapporto di coppia la sessualità acquista dunque il suo più completo
significato quando è messa in relazione non tanto con l’aspetto procreativo, quanto
con quello intimo, a tal punto da poter far dell’altro la ragione della propria vita.
Allora è necessario accettare se stessi per accettare l’altro. Accettare l’altro per
stabilire un contatto profondo, stabilire un contatto profondo per arrivare a Dio.
La sessualità rivela la dimensione profonda della vita umana che è
sostanzialmente essere per l’altro.
La sessualità diventerà il luogo dove l’uomo e la donna si riconoscono
reciprocamente.
Vediamo adesso cosa è la sessualità e cosa non è:
A)
non è soltanto una genitalità (cioè l’unione dei corpi);
B)
non è una caratteristica di una sola zona del corpo, ma investe tutta la
persona;
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C)
non è soltanto istintività;
D)
non è ridurre l’altro ad una cosa;
E)
non è trattarlo come un giocattolo;
La sessualità è una relazione interpersonale attraverso la quale noi esprimiamo
l’appartenenza all’altro, non viviamo senza l’altro e all’altro siamo legati. Dobbiamo
quindi ricordare che siamo fatti per l’altro. Bisogna ricordare che quando ci si sposa
si è in due, per cui anche se c’è una difficoltà nel partner è importante accoglierlo
nella sua diversità.
Nella coppia c’è una sessualità maschile e una femminile.
Nell’uomo essa è concentrata, nella donna è diffusa. Nell’uomo è come un
fiammifero che si accende e si infiamma, nella donna c’è bisogno di tempo, di
tenerezza, di pazienza.
Nell’uomo c’è un’esplosione focosa nella donna è necessario il gioco dei
preliminari.
Per raggiungere un unione profonda, bisogna tenere conto di questi modi diversi
di rapportarsi l’un l’altro e bisogna preparare il rapporto in modo che l’uomo abbia
rispetto della donna, senza farglielo sentire né come sfogo né come violenza.
Bisogna assaporare l’armonia, la bellezza di questo gesto che ha bisogno di
tempo, nonché di sensazioni, come il guardarsi, il toccarsi, l’abbracciarsi,
l’accarezzarsi, tutti gesti importanti.
Bisogna riconoscere che la donna è più portata a comunicare i sentimenti mentre
l’uomo tende a nasconderli.
Cogliere la diversità dei due è importante perché significa non creare ulteriori
problemi nel rapporto di coppia.
Ricordiamoci, fratelli e sorelle che l’amore coniugale ha delle caratteristiche ben
precise, è un amore: Fisico, Affettivo, Umano e Spirituale.
Se all’amore coniugale manca la componente carnale c’è qualcosa che non
funziona, perché l’amore per essere completo non può essere solo platonico, ma deve
essere anche fisico.
Se tutto questo non c’è, qualcosa non va, quindi bisogna raggiungere
quell’amore che migliora la qualità della vita.
A volte abbiamo una cognizione errata di ciò che significa voler bene all’altro.
Ebbene, fratelli e sorelle, volere bene all’altro non è solamente voler rendere felice
l’altro, ma è rendere felici se stessi per poter offrire questa felicità all’altro.
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Questo è voler veramente il bene dell’altro, anche perché mettiamo in pratica le
parole del Vangelo “Ama il prossimo tuo come te stesso”.
C’è una definizione di Chiara Lubich altrettanto bella: “E’ importante non tanto
amare, ma essere amore”.
A volte abbiamo rischiato di pensare all’intimità sessuale della coppia come
qualcosa indipendente da Cristo, ma finora abbiamo pensato male infatti: il corpo di
Cristo non è solo nell’Eucarestia, nella Parola, ma è anche nella coppia in quanto nel
matrimonio siamo stati battezzati nella relazione d’amore esistente tra il marito e la
moglie.
A volte può essere difficile per noi pensare che facendo l’amore si possa essere
corpo di Cristo, ma è così, infatti non si può considerare l’amore come qualcosa di
solo e perfettamente umano.
Il corpo di Cristo si manifesta anche quando ci si ama e ci si dona
reciprocamente, per cui tanto più ci si ama nella coppia tanto più si rende presente
Cristo.
Pensate, la sessualità è l’icona della Trinità, a volte sbiadita, a volte bella, a volte
consumata, ma sempre meravigliosa. “Icona dell’amore bello che è in Dio” poiché il
nostro Dio ha scelto noi sposi dandoci un amore umano, spirituale e fisico e noi,
amandoci, non siamo altro che l’immagine del Dio Trinità.
Vorrei concludere incoraggiandovi ad imitare per quanto ci è possibile questo
modello di coppia, ma coppia che si rispecchi in tutto e per tutto in Cristo.
Sintetizzando tutto ciò che finora abbiamo detto: quale deve essere l’immagine
che noi dobbiamo avere di una coppia ?
1) coppia immagine di Dio, in quanto è comunione d’amore;
2) coppia immagine di Dio perché è feconda sorgente di vita;
3) coppia feconda poiché è immagine del Dio Trinitario.
Viviamo il nostro rapporto nella lode, abbracciamoci, preghiamo, poiché pregare
insieme è come fare l’amore.
Amiamoci e non smettiamo mai di sognare, di ricercare, di andare avanti, perché
dove c’è tutto questo c’è vita e dove non c’è entra la disperazione e la morte.
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VITA CONIUGALE: PENTECOSTE IN AZIONE
(di Franco GRECO)
Premessa
La prima cosa, ovvero la prima affermazione che bisogna ricordare è che la vita
spirituale è vita nello Spirito Santo.
Questo è un principio che vale anche per la vita degli sposi perché, mossi dallo
Spirito Santo, la coppia riceve la capacità di agire è proseguire insieme verso la
santità coniugale.
La famiglia è costituita come una comunità “Pneumatica”, nella quale lo Spirito
Santo rende i coniugi persone legate l’una all’altra in una alleanza di amore fecondo e
missionario.
LA PENTECOSTE
“Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello
stesso luogo.” At 2,1
Da queste parole deduciamo che la Pentecoste preesisteva, c’era già una festa di
Pentecoste nel giudaismo e fu durante la festa che scese lo Spirito Santo sugli
apostoli.
All’inizio la Pentecoste era la festa delle sette settimane (Tb 2,1), la festa del
raccolto (Nm 28,26 ss), quando si offriva a Dio la primizia del grano (ES 23,16; Dt
16,9).
Successivamente, al tempo di Gesù, la festa si era arricchita di un nuovo
significato, era la festa del conferimento della legge sul monte Sinai e dell’Alleanza:
la festa che commemorava gli avvenimenti descritti in Esodo 19-20.
Da festa legata al ciclo della natura (il raccolto), la Pentecoste, si era trasformata
in una festa legata alla storia della salvezza.
Chiediamoci allora: <<Cosa significa che lo Spirito Santo scende sulla Chiesa
proprio nel giorno in cui Israele ricordava il dono della legge e dell’Alleanza?>>
S. Agostino si poneva questa domanda. “Perché i Giudei celebravano la
pentecoste? C’è un grande mistero, nel giorno di pentecoste essi ricevettero la legge
scritta con il dito di Dio e nello stesso giorno di Pentecoste venne lo Spirito Santo.”
Allora è chiara la risposta alla nostra domanda e cioè lo Spirito Santo scende
sugli Apostoli proprio nel giorno di Pentecoste per indicare che egli è la legge nuova,
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la legge spirituale che suggella la nuova ed eterna alleanza e che consacra il popolo
reale e sacerdotale che è la Chiesa: “Questa sarà l’alleanza che io concluderà con la
casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porro la mia legge nel loro animo,
la scriverò sul loro cuore.” (Ger 31,33)
Non più su tavole di pietra, ma sui cuori, non più una legge esteriore, ma una
legge interiore.
Il Profeta Ezechiele completa la profezie di Geremia: “Vi darò un cuore nuovo,
metterò dentro di voi uno Spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un
cuore di carne. Porrò il mio Spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei
statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi”. Ez 36,26-27
La Pentecoste avviene ogni giorno, nel cuore di ogni uomo.
Negli Atti degli Apostoli i discepoli si trasformarono da uomini timorosi in
coraggiosi predicatori.
Con forza lo Spirito suscita in loro la voglia di raccontare a tutti come l’incontro
con Gesù aveva cambiato la loro vita.
Come aveva operato in loro lo Spirito?
Sicuramente aveva dato loro il dono di riuscire a trasmettere la gioia, l’amore e
la pace.
IL SOFFIO DELLO SPIRITO E LA GRAZIA DEL MATRIMONIO
E’ nella famiglia che si può fare l’esperienza dello Spirito Santo (Rm 5,5).
E’ questa realtà dello Spirito, come acqua viva, che fa della famiglia la possibile
esperienza dei vasi comunicanti nello Spirito Santo.
I cuori si mettono insieme ad alimentare l’unica fiamma dello Spirito che brucia,
riscalda ed illumina.
• I Coniugi ricevono questo dono dello Spirito perché senza di Lui un amore
reciproco, fecondo, fedele, capace di crescere fino al dono della vita l’uno per
l’altro, sarebbe impossibile.
• Ogni coppia deve ritrovare quella carità coniugale che non soltanto ognuno
possiede, ma che cerca di offrire e comunicare all’altro.
Lo stesso amore con cui Cristo ha amato la Chiesa, gli sposi devono donarselo
reciprocamente; chiamati ad “ispirare” o “aspirare” l’uno nell’altro questo amore.
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COME LA COPPIA PUO’ SPERIMENTARE LA PENTECOSTE?
Prima di tutto deve essere coppia.
Non basta sposarsi per diventarlo. Per essere una coppia cristiana bisogna
ricordarsi che lo Spirito Santo non è qualcosa che semplicemente la anima, ma Esso
fa si che la coppia sia, che esista.
Senza lo Spirito Santo, la coppia o la famiglia cristiana sarebbe semplicemente
un insieme di persone che stanno insieme, ma che non sono fonte di salvezza né per
sé, né per i suoi membri, né per tutta la Chiesa.
Nel nostro cammino di santità coniugale cerchiamo con tutta la nostra vita una
dimensione: amare ed essere amati.
Amare con tutto noi stessi, amare il “tutto” di chi ci sta accanto e farlo per
“sempre”. Se l’amore è vero, è per sempre ed è importante dirselo. Solo un si
definitivo ci difende nei momenti di fatica, ci porta alla libertà vera e ci fa
sperimentare la gioia profonda di dare il meglio di noi stessi.
Tante coppie attorno a noi vivono il dramma di un amore che sembra spegnersi,
amarsi un po’ (piuttosto che tutto) ed amarsi per un certo periodo di tempo (invece
che per sempre).
Ognuno di noi sente il bisogno di vivere al proprio interno un angolo nel quale
vive una parte intima e sacra, questo però non giustifica mai il nascondersi all’altro.
Ci sono nella nostra vita molti aspetti che non condividiamo pienamente con il
nostro coniuge (es. lavoro, hobby) è però fondamentale che in tali spazi vi siano
presenti con il cuore entrambi gli sposi, stabilendo un dinamismo di comunione
reciproca.
Per sempre è….… un’eternità.
Per sempre è……. la porta d’ingresso verso Dio.
E’ lo Spirito che ci insegna il linguaggio dell’amore e ci da il coraggio di amare
con tutto noi stessi. Di amare per sempre!
SPERIMENTARE L’UNITA’
Lo Spirito Santo ci fa sperimentare come coppia l’unità
a)
L’unità di corpo;
b)
L’unita di animo;
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c)
L’unita di Spirito.
a) L’unità di corpo
Il corpo di un uomo e di una donna in ogni momento della giornata parlano
due linguaggi diversi.
Bisogna avere consapevolezza del grande miracolo che compie lo Spirito
Santo per avere questa profonda comunicazione dei corpi.
b) L’unita di animo
Come fa l’animo dell’altro a conoscere dove risiedono i suoi sentimenti, i
suoi sogni, i suoi bisogni?
E’ necessario imparare ad osservare l’anima di chi vive accanto a noi
esplorandola con infinita delicatezza e contemplandola soprattutto nelle sue
ferite e nelle sue cicatrici per saper cogliere, oltre alla gioia, anche il dolore.
c) L’unita di Spirito
E’ il condividere la strada che porta a Dio, camminando uno vicino all’altro
condotti proprio dallo Spirito Santo.
Essere guide spirituali l’uno dell’altro.
Imparare che lo Spirito Santo soffia nel mio cuore e in quello del mio
coniuge e che spesso non ne comprendiamo la voce, ma con l’amore
reciproco lo Spirito si effonde da uno verso l’altra e viceversa.
SPERIMENTARE L’AZIONE E LA PRESENZA DELLO SPIRITO SANTO
Carissimi, l’azione dello Spirito Santo nell’edificazione della coppia non si
esaurisce nella creazione dell’una caro, ma è all’opera anche nel suscitare e
scompaginare i doni dati al marito ed alla moglie, facendo si che essi si completino a
vicenda e siano ordinati e resi efficaci nell’agape e nella carità.
Allora lo Spirito Santo è presenza divina in noi “non sapete che siete tempio di
Dio è che lo Spirito abita in voi” 1 (Cor 3,16).
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LO SPIRITO E’ PRESENZA TRASFORMANTE
LO SPIRITO E’ PRESENZA OPERANTE
Lo Spirito non passa un solo minuto in ozio. Lui lavora incessantemente in noi
ed in chi vive accanto a noi.
CONCLUSIONE
Carissimi, per concludere, noi possiamo correre il rischio di non vedere l’azione
dello Spirito se non siamo disposti a lasciarci trasformare da Lui.
Allora è importante essere sinceri con noi stessi e con il nostro coniuge.
Cosa siamo disposti a modificare nella nostra vita per vivere intensamente la
gioia, la pace e l’amore che lo Spirito ci dona giorno per giorno?
A noi il compito di testimoniare, con la nostra vita, la potenza e la forza di
questa unione che ci porta a comunicare Dio, divenendo, così, Pentecoste in
azione………. nel mondo!
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