20111124_avvenire pdf
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GIOVEDÌ 24 NOVEMBRE 2011 Morta Montserrat Figueras pioniera del canto antico Pausini, nuovo disco subito in rete Sospettato l’ex chitarrista della star Rock: il leader degli Iron Maiden salva linea aerea BARCELLONA. È morta ieri a Barcellona, dove era nata, il soprano Montserrat Figueras, grande interprete di musica antica. Aveva 69 anni. Il suo nome è strettamente legato a quello del violista da gamba e direttore d’orchestra Jordi Savall, con cui iniziò a collaborare nel 1967 e che sposò l’anno seguente. È stata tra le pioniere delle riscoperta delle tecniche di canto antico sviluppando un approccio attinto direttamente alle fonti MILANO. Il nuovo cd di Laura Pausini va in rete prima dell’uscita nei negozi. E la Guardia di Finanza apre un’indagine. Nell’inchiesta per la violazione della legge sul diritto d’autore che ha portato al sequestro di 22.500 opere musicali tra cui, appunto, brani dell’ultimo cd della cantante, sono sospettate due persone. Tra queste, l’ex chitarrista della Pausini che sarebbe riuscito a impossessarsi, a metà settembre, di alcuni file registrati durante una prova in un teatro. Le Fiamme Gialle hanno individuato e bloccato la diffusione illecita dei nuovi brani con stesura "live" e dunque leggermente difformi da quelli contenuti nel nuovo cd. I due denunciati rischiano sanzioni per 2.317.500 euro. LONDRA. È l’aerolinea che gli ha permesso di trasformarsi da rocker a pilota di Boeing 757, ma ora è andata in amministrazione e tutti i suoi jet sono a terra. Bruce Dickinson, il leader degli Iron Maiden, ha promesso di salvare la Astraeus dalla crisi in cui è precipitata. Dickinston che da anni è un loro pilota, oltre ad essere responsabile del marketing - sta mettendo a punto un piano per far volare nuovamente i suoi jet, prestandoli a grandi compagnie aeree per coprire certe rotte quando ne hanno bisogno. originali. Le sue esecuzioni e incisioni (premiatissime) con gli ensemble Hespèrion XX, La capella Reial de Catalunya e Le Concert des Nations, cofondati insieme a Savall, sono capitoli fondamentali della nuova storia della musica antica. Tra le tante si ricordano le sue versioni del Canto della Sibilla, del Llibre Vermell de Montserrat, delle Ballate sefardite e dei capolavori teatrali di Monteverdi («L’Orfeo») e Martín y Soler (« Una cosa rara»). IL REGISTA KAURISMÄKI In «Miracolo a Le Havre» la speranza è doppia: un lustrascarpe aiuta un ragazzino clandestino del 33 Cinema 2011: crescono i film italiani ma botteghino e pubblico sono in calo rescono i film italiani, C ma in generale al botteghino la situazione non è rosea. Sono i dati sulla situazione dei primi dieci mesi del 2011 del cinema in Italia presentati ieri dall’Anica. «Un dato è clamorosto: la crescita del prodotto italiano – ha detto Riccardo Tozzi, presidente dell’Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive – anche se, al netto, c’è stata una perdita, sia in termini di pubblico che di incassi, dovuta alla flessione dei film d’Oltreoceano». Secondo Tozzi, la crisi delle pellicole made in Usa non è un episodio, ma una tendenza strutturale alla quale il cinema di casa nostra può sopperire solo in parte. Il cinema italiano nel 2011 ha raggiunto (a oggi) una quota di mercato pari al 38% del totale (+5 mln di biglietti rispetto all’anno prima). I titoli americani si sono invece attestati a 564 milioni di euro. 33 milioni di biglietti staccati per i film italiani e grazie al Natale è ancora possibile raggiungere la mai toccata «quota 40». La riduzione complessiva degli incassi è stata del 10,63%, quella degli spettatori pari all’8,18%. Gabon a ricongiungersi con la madre che vive a Londra e una donna si salva da un cancro «La vera solidarietà è come un miracolo» DI LUCA PELLEGRINI miracoli hanno i loro tempi e i loro luoghi: alcuni accaddero a Milano nel 1950, quando la vecchia Lolotta si diede molto da fare per realizzarli e Vittorio De Sica li raccontò. Oggi, invece, il luogo adatto è il porto francese di Le Havre: silenzi e qualche persona di buon cuore. Ma lì, a Le Havre, nessuno li chiede, i miracoli. Anzi, in pochi ci credono. Però, accade che un bambino, Idrissa, arrivato dal Gabon in un container con altri connazionali, ce la faccia a raggiungere la mamma a Londra grazie a una commovente solidarietà umana (primo miracolo). Contemporaneamente una donna, Arletty – interpretata da un’icona del regista finlandese, Kati Outinen –, si salva da un cancro mortale e torna a casa (secondo miracolo). Sembra un film ottimista, Miracolo a Le Havre, ma sotto sotto Aki Kaurismäki, che lo ha scritto e lo ha diretto toccando l’apice del suo modo I «I miei film toccano grandi temi con piccole storie. E non è un caso che i miei protagonisti finiscano sempre per guardare in alto» minimalista di fare cinema, è pur sempre sconsolato. Infatti – di passaggio a Roma per presentare la pellicola che stasera sarà al Festival di Torino e domani nelle sale italiane – sentenzia: «La situazione del mondo è così disperata che un solo miracolo non è più sufficiente. Ce ne vogliono due». Nel suo film c’è l’urgenza di denunciare un pericolo sociale e morale. Rispondo citando la Costituzione degli Stati Uniti d’America: le persone si rispettino reciprocamente. E aggiungo: la smettano di torturare il pianeta. Le cose devono cambiare e tutto deve partire dalle strade, dalla gente, come accade oggi in certi paesi del mondo. «Quo vadis Idrissa?»: come le è venuto in mente di mettere in bocca a Marcel Marx (notare il cognome, è il bravissimo attore André Wilms) questa prima domanda rivolta al ragazzino di colore? Veramente l’ho sentita come una espressione adatta a quel momento. Forse troverò finalmente chi possa spiegarmi il suo esatto significato. Pastori e lustrascarpe sono gli unici a seguire i precetti del «Discorso della montagna», dice Marcel nel film. Perché? Curioso: so che ci sono, che parlano di amore, ma ci crede che non li ho mai letti? Quando ho scritto questo film, però, ci stavo pensando e l’immagine che mi è venuta in mente è che i pastori sono vicini al loro gregge e i lustrascarpe stanno accovacciati davanti ai loro clienti. Guardano in basso, con umiltà. Come Marta quando, per amore, lava i piedi a Vasco, un bigino d’idee che alterna sincerità e furbizia DI DOMENICO RIGOTTI G.Ran. iak, si gira!» Velocissimamente. E mai l’avverbio torna più esatto. A «girare», e con la velocità di un tornado, è infatti lui il principe delle metamorfosi, Arturo Brachetti. È tornato (è sulla ribalta del milanese Teatro degli Arcimboldi che si trasforma in gigantesco schermo) con il suo ultimo spettacolo che a Parigi ha ottenuto un trionfo, vera scatola magica di sogni e illusioni. I sogni e le illusioni provocati dal mondo del cinema. «C ita Spinoza, Aristotele, C Popper, Dostoevskij, Proust. Dice che la famiglia è © RIPRODUZIONE RISERVATA Gesù. Lei ha affermato di vergognarsi sempre dei suoi film dopo che li ha fatti e solitamente si rifiuta di parlarne. Eccentrico o umile? I miei film li scrivo, li dirigo, li produco, li monto e spesso disegno anche le scenografie. Conosco bene ogni più piccolo errore che posso aver commesso. Meglio dimenticarli, gli errori. E non rivedere i miei film. Forse potrei, ma soltanto dopo una ventina d’anni. Lei è finlandese, vive in Portogallo e questa volta gira in Francia, la patria degli ideali moderni di libertà, uguaglianza e fraternità: mette in allarme la società per una loro possibile perdita? Intanto, diciamo subito che i francesi dicono di ispirarsi a questi ideali. Mi domando però: la loro politica estera, come quella di tantissimi paesi, li rispecchia ancora? Per me questa politica è veramente l’inferno, perché è dettata dal colonialismo, che non è affatto morto. Ancora una volta i due protagonisti adulti di un suo film, un uomo e una donna, finiscono per guardare in alto: lo facevano in «Nuvole in viaggio», questa volta si fermano a osservare un ciliegio in fiore che si staglia nell’az- zurro del cielo. Casualità o metafora? La metafora è sempre assente dai miei film. È una cosa che ho imparato da Luis Buñuel. Lui ha detto: «I miei film non contengono simboli», anche se è un bugiardo, perché ne sono pieni. Invece, i miei personaggi guardano in alto perché altrimenti avremmo di loro un’immagine di persone depresse. E non lo sono. Poi, se guardassero in basso sembrerebbero alla ricerca di una monetina, mentre guardando in alto il loro sguardo è rivolto al Paradiso. Meglio, no? © RIPRODUZIONE RISERVATA Brachetti, il cinema è un ottovolante LIBRO una cosa bellissima (e molto rock) e che per suo figlio Luca sarebbe disposto a morire. Dice tanto (e su quasi tutto) Vasco Rossi nel suo libro «La versione di Vasco». Che non è un libro, ma un collage di sue dichiarazioni, prese in anni molto diversi e assemblate ora come fossero post di Facebook. In questo senso, più che leggerlo, questo non-libro va spulciato. Ci troverete frasi di una banalità unica e riflessioni più profonde. Il Vasco militante e quello intimista. Quello che non vuole che i figli si droghino «ma non gli vuole imporre niente» e quello che lotta per la liberalizzazione della droga. Quello che mette a nudo le sue paure e le sue sofferenze e quello che gioca a fare il macho. C’è il Vasco depresso e che vorrebbe una vita normale e quello orgoglioso di essere «diverso» e arrabbiato. Insomma, alla fine, «La versione di Vasco» sembra fatto soprattutto per dimostrare ai denigratori del rocker che lui non è solo un istintivo, ma legge, pensa e scrive tanto. Così tanto che con i suoi post finisce per riuscire ad accontentare praticamente chiunque. Un’immagine di «Miracolo a Le Havre» di Aki Kaurismaki Il trasformista Arturo Brachetti Con «Ciak, si gira!» all’Arcimboldi, il grande trasformista esplora sogni e illusioni del cinema. In scena rivivono in un vortice inarrestabile miti e personaggi da Chaplin e Harry Potter passando per Rossella O’ Hara, Fellini e King Kong. Tra ironia, sberleffi e un pizzico di poesia Ecco il titolo! Brachetti, anche se gli anni avanzano, ma per lui con leggerezza essendo parente di Peter Pan, è sempre quel mercuriale e sbarazzino folletto della scena. Estroso, immaginifico, imprevedibile. È l’uomo dai mille volti e dai mille costumi che qui si riducono a ottanta, ma è impossibile contarli e dire se sono uno in più o uno in meno. Già, una volta ci aveva provato col cinema, ma era un assaggio. Qui l’antologia è ben più vasta anche se non certo completa. (Tanto che ci potrebbe es- sere un sequel). La galleria è così affollata di volti e personaggi al punto che è difficile dire chi è assente, o è rimasto in lista d’attesa, dei divi di ieri e di oggi, dei personaggi che sono entrati nel nostro immaginario. L’illustre prestigiatore li strappa dalla memoria e per pochi e giusti secondi, per il tempo di un sorriso, col cuore di un fan e parole d’amarcord (non manca il tenero racconto della sua iniziazione al cinema) ce li fa rivivere non senza talvolta un pizzico di ironia, magari anche uno sberleffo. Vedi quel che fa Ferro: «La mia ultima (rischiosa) scommessa» «I n dieci anni di carriera ho conquistato un privilegio: venire ascoltato a prescindere. Quindi ho deciso di non festeggiare con una raccolta, ma rischiare materiale nuovo. E fare il disco che sogno da anni». Anche se l’ambiente che ne accoglie il ritorno era al limite del divismo (con tanto di controlli plurimi alla stampa manco si trattasse di incontrare Obama), e nonostante gli si rinfacciasse di continuo che i grandi numeri del passato e delle attese (210mila le prenotazioni del nuovo cd) bisogna confermarli, Tiziano Ferro ieri è apparso di sincerità quasi candida. Ed ha mostrato più entusiasmo per le nuove canzoni de L’amore è una cosa semplice in vendita dal 28 (con relativo tour dal 10 aprile 2012), che non timori per il giudizio del mercato. Solo però che tale giudizio può essere decisivo più di quanto non accada di solito, per il suo futuro. Perché il 31enne di Latina che dal 2008 ad oggi ha fatto parlare di sé soprattutto per una sua ammissione di omosessualità, nel nuovo album l’ha cercata davvero, una svolta per crescere. E quindi il punto della sua presentazione alla stampa di ieri non sta nelle solite dichiarazioni sulla nascita di un disco «in cui canto anche la famiglia». Il punto vero è che nel cd Ferro non ha inserito solo le attese ballad che ne confermano stile personale, voce e misura. No. L’ha osato proprio, «il disco dei sogni». Fra blues, soul, rap, bossa nova, swing, persino un duetto con John Legend: con esiti alterni, in prove di stile distanti tra loro che sono però scommesse vere. E soprattutto – attenzione – senza rete. Perché interrogato sul senso di tale agire, Ferro svela un dettaglio non da poco. «Non so, dove andrò dopo aver se- guito l’ispirazione in toto. Però era l’ultimo disco fatto per contratto, e per ora ho rifiutato ogni proposta nuova: dovunque andrò, ci andrò da artista libero». E se fosse stato allora per questa esplicita scelta di provarsi artista fino in fondo, che ieri l’hanno trattato in modo fastidioso come un redivivo Lennon, ricordando ogni tre minuti i numeri da ripetere? Perché partendo da questo non trascurabile dettaglio è ovvio che tanto, andasse male, del coraggio di provare a crescere pagherà il conto Tiziano Ferro: da solo. Andrea Pedrinelli © RIPRODUZIONE RISERVATA Tiziano Ferro Nel nuovo cd «L’amore è una cosa semplice» convivono stili molto diversi: «Ora sono libero» con Biancaneve o quando si sdoppia in Humphrey Bogart e Ingrid Bergman icone di Casablanca. Come sempre, la magia di re Artù è pirotecnica, gli effetti ingegnosi, i trucchi sapienti. I suoi infiniti ospiti (possono mancare Chaplin o Gene Kelly o Liz Taylor o la Minnelli di Cabaret?) sbucando da un finto schermo o da un sipario svolazzante si materializzano sul palco per un battere di ciglia in una carrellata che sbalordisce. Cambi d’abito improvvisi anche a scena aperta e rivisitazioni (entrata magnifica in superba crinolina per Rossella O’ Hara, già Via col vento, e Harry Potter, a schizzar via birichinamente, ma ci sono anche Zorro, Tarzan e King Kong) si mescolano ad alcuni numeri del suo repertorio come quello delle amate "ombre cinesi" o del cappello capace di trasformarsi in tutte le fogge. E non manca l’omaggio a Fellini il cui mondo viene evocato con poetico incanto. Poi, dopo tante sorprese, dopo tante metamorfosi, il finale è tutto un ringraziamento affettuoso a una lunghissima serie di nomi che hanno fatto grande la settima arte. È solo uno show, Ciak, si gira!; forse una semplice extravaganza, ma creato con amore e tanta professionalità, e che per cento minuti riesce a strapparti dalla dura realtà. © RIPRODUZIONE RISERVATA