BARI Da Muratcentoventidue è ospitata la personale

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BARI Da Muratcentoventidue è ospitata la personale
BARI
● Da Muratcentoventidue è ospitata la personale “Portraits” di Cristiano De Gaetano, a cura di Lia De Venere. Tra
ambigua ironia e sperimentazioni linguistiche, tra realtà e artificio, i ritratti in cera pongo su legno raffigurano
l’apparente normalità di una quotidianità fuori dal tempo.
A Monopoli, da SpazioSei, II edizione di ArteDonna curata da Mina Tarantino. Quindici artiste, invitate da tutt’Italia,
presentano i propri ultimi lavori con un omaggio collettivo alla creatività femminile. Mediante le iconografie
filmico/pittoriche di Giuliana Trisorio Liuzzi, le megametropoli di Alba Amoruso, i microcosmi con cieli di Rosanna
Pucciarelli, le narrazioni autobiografiche legate al fluire temporale di Floriana Mucci, le elaborazioni simboliche di
Teresa Pollidori, le stratificazioni grafiche di Angela Rapio, le proiezioni naturalistiche di Franca Maranò, e con le altre
opere esposte, le autrici invitano al una riflessione collettiva sulle sempre attuali e irrisolte problematiche della “altra
metà del cielo” (Lea Vergine).
Maria Vinella
● Un intreccio sensoriale-istintuale-espressivo emerge nella mostra “Il sapore delle cose”, a cura di Vito Caiati,
presso l’Ospedale dei Crociati di Molfetta. L’evento espositivo riflette su come lo sguardo rapisce il particolare, su
come tutto ciò trovi rifugio sicuro nel nostro io, su come dialoghiamo con la nostra anima e attraverso essa
avvertiamo una sintonia con l’anima mundi. Così si scopre ciò che più ci appartiene. Sia esso un gioco, un sogno,
un’utopia. Assaporare per possedere, trasformare per divenirne parte. In cerca di autenticità, in continua sfida
all’effimero, gli artisti ci ricordano che tutto ha un suo sapore, un’anima che palpita. Installazioni, fotografia, pittura,
scultura e video nelle opere di: Alice, Arcangelo, Wilfredo Arias, Simona Attollino, Giuseppe Bellini, Pino Caputi,
Casaluce/Geiger-synusi@, Pierluca Cetera, Sarah Ciracì, Mario Consiglio, Mike Crocker, Raffaele Di Gioia, Patrizia
D’Orazio, John E. Stidham, Raffaele Fiorella, Giosetta Fioroni, Fosca, Giulio Giancaspro, Michele Giangrande, Piero
Gilardi, Jiko, Beppe Labianca, Costantino Liquori, Günther Ludwig, M&P, Maria Mex, Magda Milano, Ezia Mitolo,
Stefania Pellegrini, Patrizia Piarulli, Patrizia Piccinni, Vettor Pisani, Prefab, Antonio Serrapica, Beppe Sylos Labini.
Oltre le frontiere geo-politiche la riflessione artistico-filosofica della collettiva “A sud del mondo”, a cura di Rosalba
Branà (coordinamento di Giulio De Mitri), riunita nel prestigioso Palazzo Delli Ponti di Taranto. Appartenenze
diverse, culture e generazioni intrecciate per discutere su differenza, identità e identificazione. Gli artisti sono invitati a
rappresentare il proprio Sud, il legame a un territorio, fisico e mentale, attraverso le sfumature di un’arte che unifica e
separa, distingue e assimila. Tra gli artisti: Lida Abdul, Caterina Arcuri, Miki Carone, Guillermina De Gennaro, Giulio
De Mitri, Iginio Iurilli, Khosro Khosravi, Antonio Noia, Adrian Paci, Massimo Ruiu, Giuseppe Teofilo.
Segnaliamo “The right way to go easy, is to forget the right way” che Rossella Petronelli propone da Nuova Era.
Pitture e disegni tracciano pensieri che assumono pienezza mediante sovrapposizioni realizzate con un fitto
tratteggio. Visioni reali tra metafisica e immediatezza compositiva schiudono angoli di memoria, passaggi, fughe.
Lucia Anelli
BERGAMO
● “Esposizione Universale” sono in verità otto mostre racchiuse in un unico percorso espositivo che si snoda nelle
sale della GAMeC. Non è una universale per l’esuberante quantità dei Paesi ospitati, o per la varietà delle discipline
rappresentate, non presenta le ultime novità della scienza della tecnica e dell’arte come accadeva e accade nelle
versioni storiche della mostra, ma l’arte di sempre perché “Tutta l’arte è contemporanea” dice Gino De Dominicis.
Attraverso cento opere, che vanno dal XV al XXI secolo, le otto sezioni della mostra affrontano alcune tematiche
universali trattate nei secoli da artisti antichi, moderni e contemporanei. Periodi diversi si confrontano per mettere alla
prova i metodi di rappresentazione e presentazione di argomenti eterni e sempre diversamente affrontati in un
viaggio che arriva sino alle ultime tendenze artistiche con nomi come De Dominicis, Jimmie Durham, Gilbert &
George, Ilya Kabakov, Joseph Kosuth, Maria Lai, Marisa Merz, Pino Pascali, Luigi Ontani, Ettore Spalletti, Jeff Wall,
Gilberto Zorio, Mario Airò, Stefano Arienti, Simone Berti, Roberto Cuoghi, Meschac Gaba, Margherita Manzelli, Diego
Perrone, Mike Kelley, Pietro Roccasalva. Accanto a questa, la GAMeC presenta anche Raptus, un progetto site
specific di Marcello Maloberti. La mostra è la più grande mai dedicata da un museo italiano all’artista lombardo nato
nel 1966. Da sempre il suo lavoro è un mix giocoso e bizzarro di molteplici mezzi espressivi, che spaziano
dall’installazione alla performance, dalla fotografia alla scultura, dall’intervento urbano al collage fino al disegno e al
video. E se da un lato la quotidianità è messa in scena con ironia e malinconia, dall’altro il realismo si fonde col
fantastico, in una continua trasformazione degli aspetti più banali dell’esistenza. Maloberti rappresentata la vita come
il regno dell’imprevedibile e del molteplice, come un’azione inattesa e incontrollabile, uno scoppio improvviso di
energia e vitalità. Il suo è un Teatro dell’Assurdo fatto di momenti di intimità e di silenzio e di scorci improvvisi di
rumore ed eccentricità. Gran parte dei lavori esposti ruotano intorno al collage, inteso non solo come tecnica ma,
soprattutto, come una modalità operativa, come se tutta la realtà fosse oggetto di un’azione di prelievo e di
accostamento all’insegna del disordine percettivo, della similitudine formale e del paradosso linguistico.
Lorella Giudici
BOLOGNA
● “Costellazioni” ovvero gli astri, le stelle, il firmamento e, ancora, tre autori che fungono da luce splendente nel
panorama dell’arte contemporanea: Maurizio Cannavacciuolo, Marcello Jori, Claudio Massini. Il primo si pone come
duro ed esigente, nel confronto tra contorno e figura, nella secchezza del bianco e nero, nella ricerca del risultato per
la via più lunga (“ars longa vita brevis”, avrà significato qualcosa?), quella cioè della pazienza alchemica. Il secondo
esplode nella sua gamma coloristica, costruendo paesaggi della mente e del corpo secondo un’ottica pseudo-cubista.
Il terzo, nella magniloquenza dell’azzeramento accecante del bianco, ci consola con una pittura a rilievo, una pittura
che induce il tatto a partecipare al gioco dello sguardo. La mostra, presentata da Philippe Daverio, nella Chiesa di
Santa Cristina, quale progetto collaterale ad Artefiera, è stata sostenuta da Carisbo, ed ha visto la commemorazione
musicale della grande figura di John Cage. Grande il successo di critica e di pubblico.
F.Fabris
BRESCIA
● Nella cornice neoliberty di Villa Mazzotti, a Chiari, alle porte di Brescia, la Galleria Colossi ha inaugurato la mostra
“Estetica_Tecnologica”, che attraverso le quattro ricerche degli artisti proposti – Franco Angeloni, Eros Bonamini,
Maurizio Galimberti, Adolfo Lugli – intende riflettere sul rapporto fra l’aspetto tecnico e quello immaginativo, fra unicità
del modello e riproducibilità tecnica, che ha attraversato tutta la storia dell’arte negli ultimi due secoli. Angeloni porta
avanti una ricerca sul rapporto fra arte, globalizzazione politico-economica e identità socio-culturale, attraverso opere
installative, molte site-specific; Bonamini lavora sulla relazione fra tempo e tecnica indagando le reazioni-relazioni fra
azione umana e risposta del materiale; Lugli opera nelle tecnologie e nelle tecniche industriali contemporanee alla
ricerca di derive e aree di senso; Galimberti sceglie la polaroid quale medium per indagare la relazione fra oggetto e
ready made. Appuntamenti successivi: “Mimmo Rotella e l’opera pre-décollage” e “Gran Premio 1000 Miglia: le sfide
dell’arte”.
Massimo Minini prosegue l’indagine sulla fotografia italiana, avviata con la collezione “United Artists of Italy”, con la
doppia mostra dedicata a Mario Cresci e a Paolo Mussat Sartor, presentando di entrambi le ricerche introspettive. Del
primo la serie “Opus Gypsicum” consiste in una lettura dei calchi di gesso delle statue dell’Accademia di Belle Arti,
collocati nello spazio teatrale, buio, resi fluorescenti e legati da linee di forza fatte con luce di wood; la serie “A mano
libera” è invece un’indagine del 2009 consistente nel fotografare oggetti in legno e in metallo della cultura popolare
italiana, sospesi nell’aria con un filo trasparente e oscillanti. Di Paolo Mussat Sartor sono proposte cinque ricerche –
“Rose” (1991-92), “Gambe” (1992-93), “Pietre” (1998-99), “Asimmetrici” (1999-2000) e “Figure” (2001-2005) –
accomunate dall’analisi dell’immagine, trattata con bianchi e grigi, in relazione allo sfondo, nero e denso, ed alla luce:
opere dall’intensa malinconia, distanti e inafferrabili. Di seguito la personale dedicata a Roger Ballen.
Dedicata all’universo femminile, indagato senza compiacimenti né banale intento documentaristico, ma con rispetto e
sensibilità, è la mostra MONDO DONNA, DONNE NEL MONDO del fotografo Lorenzo Merlo presso
Wavephotogallery; il libro, edito da ZOOM e presentato in galleria, raccoglie una selezione di scatti realizzati in
venticinque anni di ricerca sul mondo femminile, incontrato nei numerosi viaggi dall’artista. L’attività è proseguita con
la personale dedicata a Santi Visalli, “Icons”.
Anche il tema scomodo, quanto disumano, degli attuali strumenti di tortura, può essere analizzato con sottile
sensibilità e sguardo critico: è questo l’obiettivo, raggiunto, dal collettivo austriaco UBERMORGEN, presentato, in
anteprima mondiale, da Fabio Paris nella mostra “Superenhanced”, destinata a esplorare le ipocrisie del linguaggio
usato nel sistema della tortura e la posizione morale dello spettatore. Il prossimo appuntamento in galleria sarà con la
personale dedicata a Janez Janša.
Ilaria Bignotti
COSENZA
● Da Vertigoarte (via Rivocati 63, 0984 75212) Ruggero Maggi ha proposto “Ecce ovo”. Il soggetto della mostra,
come è abitudine di questo particolarissimo artista, è anche in questo caso incentrato su una tematica attualissima e
vissuta in maniera da fine polemista: il riscaldamento globale. Ma si badi, l’artista non fa leva sulla paura di una
catastrofe imminente, bensì punta tutte le sue carte su una fine ironia, presentando immagini fotografiche di uova al
tegamino e appese a nidi che pendono dal soffitto. Si tratta di uova che, a causa del gran caldo, nascono già cotte. Il
problema è centrato, l’aspetto ludico viene mantenuto. Ma va considerato anche l’aspetto ambientale del lavoro che
porta lo spettatore al centro della scena, immergendolo all’interno dell’opera, come in un’immersione subacquea.
Tatto (la possibilità di sfiorare i nidi con le mani), udito (i gusci spezzati dallo scalpiccio delle persone) e vista
(l’evidente percezione del contesto ambientale) hanno la loro parte del leone in questo progetto che mette al centro
dell’arte la vita e l’uomo nella sua totalità. Il testo in catalogo è di Mimma Pasqua.
FIRENZE
● “Quel che resta è la pittura” è il titolo della personale di Umberto Buscioni che, alla galleria Frittelli arte
contemporanea, si presenta in una ricca antologica, la quale ripercorre la sua attività artistica dagli anni Sessanta
fino a oggi. Già il titolo ci proietta all’interno della questione di Buscioni, ovverosia la pittura, in un percorso, allestito
devo dire con molta attenzione, negli ampi spazi della galleria, segnato da una selezione di opere che ci illustrano, in
una sorta di viaggio, l’evoluzione della sua arte. Sorprendono, in particolare, non soltanto le opere storiche, ma anche
le più recenti, che vanno dagli anni Novanta fino a oggi, in cui forte è il senso del colore, che ci narrano di scenari
onirici velati dal mistero stesso della pittura. L’esposizione è curata da Maurizio Calvesi.
Vorrei, inoltre, ricordare della tripla esposizione personale, che ha visto come protagonisti Michelangelo Pistoletto (Il
Tempo del Giudizio), Shilpa Gupta (Second Moon) e Sol LeWitt (Planes with broken bands of color - San Gimignano),
allestita alla galleria Continua di San Gimignano, progetto espositivo, questo, che ci illustra dell’importanza rivestita
da questa galleria nella diffusione di certe importanti realtà artistiche e culturali contemporanee.
Raffaello Becucci
GENOVA
● Da Guidi&Schoen troviamo la personale di Alex Pinna intitolata “Nella mia matita c’è un foglio”. Per la sua
seconda mostra genovese (l’artista aveva già esposto da Guidi&Schoen nel 2005) Pinna espone dodici nuovi lavori
eseguiti come di consueto, utilizzando svariati materiali: bronzo, ceramica, feltro, ferro. Attraverso queste nuove
opere l’artista prosegue la propria ricerca, che, come dice il curatore, Alfredo Sigolo, nell’introduzione al catalogo, va
nella direzione “di percepire l’invisibile delle cose, di andar oltre la scorza”. A Pinna sono stati avvicinati in passato
artisti come Giacometti e Paladino. Nel caso presente il tributo è verso l’opera informale del conterraneo Emilio
Scanavino, con il quale condivide la pratica del nodo e la passione per il segno, evidenziate nella scelta di limitare la
scelta cromatica al bianco e nero. Di fatto però il suo percorso mostra derivazioni ben più allargate, dalla metafisica
come dalla classicità greca e romana, dalla scultura votiva etrusca fino all’immaginario medievale, vero regno
dell’intangibile. Un segno di continuità che dovrebbe far ripensare dove siano rintracciabili le vere radici della nostra
cultura”.
LA SPEZIA
● La Spezia non è così lontana da Trieste come sembra: molti istriani e alcuni dalmati vi approdarono nell’immediato
dopoguerra, fra questi Vittorio Sopracase (Gallesano di Pola, 1942), portando con sé il ricordo del padre sparito nelle
foibe. Fra gli artisti spezzini più “scomodi” della sua generazione, attivo nel Sindacato della CGIL artisti, Sopracase è
al CAMeC con Ciclo della Temporalità. Opere dal 2006 a Deux temps dans le même temps. Quest’ultimo è un grande
dittico di ritorno dalla Quadriennale di Roma del 2008, dove ha riscosso notevoli consensi. Scrive Bruno Corà:
“Sopracase torna a rimettere in gioco i modi della sua gestualità che avevano già raggiunto esiti di rilievo ma che ora
sembrano dilatarsi fino a registri che si estendono oggettivamente oltre i confini del telaio stesso dell’opera. Sono
sintomatici, in tal senso, i due lembi sottili di piombo, quasi impercettibili nell’economia della grande opera, residuali
debordanze sia materiologiche che spaziali di una prassi momentaneamente interrotta”. Dunque, l’Informale non ha
ancora concluso la sua vicenda, qualche volta è in piena ripresa, in questo caso è più forte che mai. Anche Michele
De Luca è al CAMeC con Passo-passo, rassegna minima di opere recenti sugli effetti di luce improvvisa, o sul
tentativo di catturare il lampo; alcuni satori di De Luca sono stesi su lastre di metallo riflettenti, da anni sono diventate
il suo linguaggio, ribattute come le corazze delle navi di una volta, quelle che l’artista vedeva in costruzione da Pitelli
(Sp) dov’è nato, prima di diventare uno dei docenti all’Accademia a Roma.
Mara Borzone
MILANO
● Curti e Gambuzzi propongono una raccolta di dieci oli (la maggior parte di grandi dimensioni, compreso un trittico
di oltre cinque metri) della francese Bénédicte Peyrat (Parigi 1967). Donne enigmatiche e imponenti si ergono su cieli
densi e pieni. Pennellate convulse ed energiche definiscono la plasticità delle figure che nella loro nudità si mostrano
forti ed esplicite e allo stesso tempo immobili e attonite, dentro un’atmosfera rarefatta che le avvolge sublimando le
figure in una bellezza di altri tempi.
Alle nove figure in legno che ha esposto da Salvatore + Caroline Ala, Bärbel Schulte Kellinghaus (Stoccarda 1965)
ha deciso di affiancare sei forme sferiche in ceramica e porcellana. Il legno, duro e grezzo, è l’elemento maschile,
mentre la porcellana, liscia e dolce, è l’elemento femminile e lo racconta Anna Ewa Dyrko, storica dell’arte alla
Berlinische Galerie: “Le sculture in legno di quercia, alte poco meno di un metro, mostrano figure senza volto in
atteggiamento assorto. Al tempo stesso, la loro disposizione e la loro correlazione spaziale creano un collegamento
con l’esterno. Le anomalie fisiche delle figure stesse – le mani e i piedi sovradimensionati, spesso un braccio monco
o una testa aggiuntiva – evocano l’insufficienza dell’Uomo dell’era (post)moderna, la cui forza fisica e intellettuale
generalmente viene sfruttata unilateralmente e quindi viene sviluppata in maniera distorta. Bärbel Schulte Kellinghaus
tematizza il rapporto tra interno ed esterno anche nelle sfere, piccole e più grandi, realizzate in ceramica e
porcellana. La loro forma può venir compresa come simbolo del corpo chiuso in sé stesso. Questo carattere di conclusione, tuttavia, viene infranto nel momento in cui Schulte Kellinghaus inserisce nella forma tonda orifizi come
l’occhio, la bocca, l’orecchio, il capezzolo o la vulva. L’ideale della sfera a questo punto viene distrutto, ne scaturisce
una tensione oscillante tra un senso di mutilazione e di ferimento esistenziale”.
Shuzo Azuchi Gulliver coniuga macrocosmi e microcosmi, universale e individuale, organico e inorganico. Shuzo è
uno degli artisti nipponici che meglio rappresenta quella commistione fra cultura occidentale e orientale che ha
contrassegnato la seconda metà del XX secolo. Ma nelle sue opere (in mostra da dieci.due!), l’accostamento di
macro e micro origina una sensazione di straniamento e crea atmosfere sospese nello spazio e nel tempo. Ad
esempio in De-time, lavoro ispiratogli da Duchamp, segni e numeri, disegnati con gesso bianco su una tavola nera e
cristallizzati in una dimensione astratta, sembrano piovuti casualmente all’interno di quel cerchio che evoca la
sagoma di un orologio. Emblematico è anche Body Contract, un progetto che procede dal 1973 e che prevede
l’affidamento, tramite regolare contratto, a un esponente del mondo della cultura internazionale di una delle ottanta
parti in cui è stato suddiviso il suo corpo; o ancora la serie Bank note, banconote emesse dalla S.A.G. Bank di cui
Shuzo è presidente, che possono proliferare all’infinito come cellule o come la sigla ATCG (le iniziali dei quattro
amminoacidi che costituiscono il DNA) stampata serialmente sullo sfondo della carta moneta che ha valore variabile
di 1 o 50 occhi, 2 cuori, due cervelli, un sé stesso e così via. In contemporanea a Vercelli, per Act on (un mese di
performance in un progetto inserito nelle manifestazioni collaterali del Guggenheim), Shuzo ha pensato a un
intervento site specific nella stanza dell’“Ex forno” dello Studiodieci.
Massimo De Carlo porta per la prima volta in Italia le opere di Kelley Walker. Classe 1969, Walker riflette sulla storia
delle immagini che vengono da lui usate come una tela su cui deposita macchie, disegni, muri di mattoni e segni di
diversa natura, in un processo di rielaborazione e riappropriazione tale da far rientrare l’artista all’interno della Nuova
Pop Art Americana.
Lorella Giudici
● Nella sede di via Ponte Vetero 13,
EFFEARTE propone la collettiva Vanitas & Mirror, che nasce
dall’individuazione, fra le tendenze che segnano il panorama della scena artistica attuale, delle linee analitiche che in
queste due definizioni ben si configurano. Non sono più da intendersi come un codificato genere artistico o un
semplice materiale tecnico, ma, entrambi sostenuti proprio dalle molteplici realizzazioni di questi anni, sono divenuti
veri concetti espressivi, che, essendo oramai declinabili in varie forme, indicano impliciti luoghi di “riflessioni”,
affermandone però sempre passaggi con proprietà “intransitive”. Cinque gli autori proposti: Julieta Aranda (Mexico
City, 1975) che attua azioni performative attraverso l’uso del giornale quotidiano da lei redatto e pubblicato con
rivisitazioni di notizie trascorse e storiche; Miles Aldridge (London, 1964) presente con il suo sguardo glam e patinato
in una insolita ma fashion Immaculeè; Swetlana Heger (Brno, 1968) la quale rilegge teschi e ossa in un vero ossario
di una cappella barocca e, in sette scatti, rintraccia sia una reale allegoria sia un motivo ornamentale; Andy Ouchi
(Palo Alto,1974) che scontorna in un magico dittico per celarne dietro il vero panorama che lo circonda; Mika Tajima
(Los Angeles) testimone di forme illusorie oltre che di contaminate riflessioni.
● Gioco, interazione e universo digitale sono racchiusi in Cavallo di Troia, l’ultimo lavoro multimediale di Marcello
Gazzella in mostra da Mudima. Si tratta di un’opera complessa e divertente, ricca di significati stratificati, rimandi alla
storia dell’arte e della cultura, essa è inoltre un omaggio all’ingegno umano di tutti i tempi, anche quello malizioso e
disonesto. Non è un mistero infatti che il titolo richiami la macchina da guerra che, secondo il mito, fu usata dai greci
per espugnare la città di Troia. Il termine è poi entrato nel linguaggio comune per indicare uno stratagemma con cui
penetrare le difese. Nella generazione digitale, precisamente, l’espressione “Trojan Horses” indica un tipo di
“malfare”, un codice maligno, le cui funzionalità sono nascoste all’interno di un programma apparentemente utile, ed
è proprio chi lo scarica a commettere, inconsapevolmente, un danno verso sé stesso. Questo elemento linguistico è
già un buon modo di mettere in relazione tempi e luoghi infinitamente lontani, dando prova della nostra odierna
esperienza del tempo, non più necessariamente costretta a seguire un ordine cronologico nell’esplorazione dei fatti.
L’opera di Mazzella, tuttavia, non è affatto un inganno; l’artista cita il cavallo di Troia, simbolo di un patrimonio
culturale ormai divenuto collettivo (e forse abusato), per poi trasformarlo nell’incipit di un nuovo lavoro multimediale.
La partenza è la realizzazione di un bassorilievo bianco come il marmo, raffigurante alcuni cavalli in prospettiva,
potenzialmente pronti al galoppo. La tecnica e il soggetto sono classicheggianti solo all’apparenza: il materiale
scolpito è infatti polistirolo espanso e gli animali hanno un aspetto vagamente virtuale; si scoprirà infatti che il modello
per il rilievo è ripreso dalla grafica web, caratterizzata da un’estetica meccanica e impersonale. Il bassorilievo, poi,
non è solo un lavoro scultoreo di sapore contemporaneo, è anche una piattaforma, lo schermo sul quale si proiettano
immagini e video rigorosamente dedicati all’emblematica figura equestre. Dalle atmosfere epiche dei film western di
Sergio Leone al furto sul web delle immagini più disparate, Mazzella costruisce un campionario vario e metastorico
intorno alla figura del cavallo, specchio dell’attuale svariata miscellanea culturale offerta dal web.
Lorena Giurianna
● Alla sua seconda personale da Emi Fontana, Michael Smith si presenta in veste di Mike. Questo suo nuovo alter
ego si materializza attraverso fotografie di gruppo in cui compare come il più insistente dei presenzialisti, in numerose
carte di credito e tessere fiduciarie nominative, in una serie di cravatte personalizzate dal suo logo. In aggiunta
disegni, video e gli inediti lavori audio in cui Mike è sempre protagonista. Tutti i media possibili al servizio di questo
personaggio inquietante, perfetto risultato di una più che stereotipata cultura di massa, che fagocita e appiattisce tutto
ciò che incontra.
Gli Anni Ottanta sono l’arco temporale scelto per questa mostra di Enzo Esposito da MarcoRossiSpiraleArte.
Un’opera di grandi dimensioni e nove di formato più contenuto, raccontano del suo periodo di adesione al gruppo dei
Nuovi Nuovi. Attraverso un uso spregiudicato del colore e del segno e con un polimaterismo sottile, Esposito
costruisce composizioni a rilievo che fuoriescono dagli angusti confini della tela, alla conquista di uno spazio legato
più all’emozione che alla tridimensionalità.
Anna Comino
● The White Gallery (diretta da Giovanni Policastro, Corso Italia 44, per info 346 0215837 [email protected])
ha affiancato il lavoro di Pietro Finelli a quello di Lello Torchia. Entrambi partono dal mondo reale per arrivare a
sublimarlo in una bellezza misteriosa, a tratti classica, ma se Finelli cerca la bellezza nel fascino delle rughe e nella
analisi lucida della realtà, spingendosi verso una narrazione drammatica, in Torchia invece la realtà, prende “forma” in
una scultura essenziale, dalle linee appena definite e che non ha paura del vuoto. Un abbinamento che grazie anche
alla differente età dei due artisti, porta lo spettatore alla scoperta di nuovi percorsi creativi ed espressivi. In
particolare, Pietro Finelli ha omaggiato Roberto Saviano con un ritratto a olio su tela (13x19 cm): scarno, essenziale
e tagliente: un piccolo quadro dal magnetismo particolare, incastonato in una sottile cornice grigia.
● Francesca Kaufmann propone ancora una volta una mostra ricca di significati apparentemente nascosti con la
personale di Thomas Zipp (Heppenheim, 1966). La mostra è costruita nei due ambienti che compongono lo spazio
espositivo. Il nero, non-colore dominante lungo tutto il percorso espositivo, lascia trasparire immediatamente il gusto
gotico dell’artista e due imponenti teschi posti l’uno di fronte all’altro in posizione speculare rafforzano il senso
d’inquietudine. Questa installazione è circondata da una serie di dipinti dai colori cupi all’interno dei quali l’astrattismo
si mescola con reminescenze dell’opera di Francis Bacon. Nel secondo spazio invece l’artista presenta Ilsatin,
installazione ambientale il cui titolo deriva da un nome femminile ulteriormente rafforzato dal suffisso “in”, che nella
lingua tedesca declina i sostantivi al femminile, raddoppiando così la femminilità della propria opera. Nell’ambiente
creato da Zipp si respira un’atmosfera surreale, il tutto ruota attorno a due elementi principali: un organo e una
scultura di donna, anche qui il nero domina la scena ma a fargli da contraltare in questa situazione c’è una luce
bianca quasi asettica che ha il sentore di ospedale e ciò potrebbe avere qualcosa a che fare ancora con questo
suffisso “in” che oltre ad essere portatore di femminilità porta con sé l’ombra di antidepressivi come il fluoxetin.
È invece Tremilasettecentocinquantagiorniunalinea, personale di Stefano Romano curata da Chiara Agnello, a
occupare gli spazi di Careof. Il giovane artista napoletano presenta un progetto site specific, Untitled, in cui una linea
tracciata a penna taglia a metà una serie di fogli A4 affissi su tutto il perimetro dello spazio espositivo. Romano, che
in passato ha già lavorato sulla linea, ne parla come se in realtà fosse un elemento di congiunzione che collega tutto
il suo lavoro, come afferma nell’intervista con Roberto Pinto, disponibile in mostra, la linea può essere intesa anche
come linea di pensiero, filo conduttore di un percorso. In mostra anche alcune opere precedenti, come Landsacape
(2005-2009), paesaggio tracciato scrivendo i nomi delle persone incontrate durante un determinato giorno, Linee
(2002-2009) una sorta di gioco a due nato per creare relazioni interpersonali, Movements (2007) video di una
performance durante la quale l’artista riunisce le sedie dei galleristi dell’associazione Start all’interno della Triennale
di Milano e Noi amiamo l’Albania (2005) in cui Romano propone l’improbabile progetto di un ponte sul canale di
Otranto.
È la personale di Alexej Koschkarow, curata da Milovan Farronato, ad occupare gli spazi di Viafarini. A vent’anni
dalla caduta del muro di Berlino l’artista bielorusso riflette su un monumento simbolo del periodo di separazione, si
tratta del Checkpoint Charlie, unico punto di passaggio e collegamento tra il settore sovietico e quello americano.
Koschkarow propone ora una ricostruzione in scala della costruzione con decorazioni barocche dal gusto lugubre,
tutt’intorno quelle che a prima vista possono sembrare delle decorazioni si rivelano essere dei “tris” di fucili neri
disposti a capanna che ricreano un clima da trincea. Il prossimo evento in programma in Viafarini e Careof sarà
Mobile Archivi a cura di Gabi Scardi.
Presso gli spazi di Neon ritornano, anche per il 2009, gli Short Show, il progetto iniziato nel 2007 e giunto alla sua
dodicesima tappa, ha proposto in quest’occasione il lavoro di Diego Tonus con la curatela di Andrea Bruciati.
Angela Maderna
MONFALCONE
● L’Immagine Sottile 03 presenta le recenti acquisizioni della Galleria Comunale di Monfalcone, e la personale di
Paolo Gonzato, (1974) artista milanese già protagonista dell’edizione 2007-2008 de L’Immagine Sottile 02. Giunta
alla quarta edizione, l’iniziativa presenta le opere su carta di diciotto giovani artisti. I loro lavori vanno ad accrescere
il patrimonio delle acquisizioni della Comunale diretta da Andrea Bruciati, che con questo progetto è riuscito a
formare un nucleo giunto sinora a cinquanta testimonianze su carta di altrettanti artisti italiani e stranieri. Entrano a far
parte della collezione le opere di: Riccardo Baruzzi, Davide Bertocchi, Luca Bertolo, Andrea Bianconi, Marco
Bongiorni, Sergio Breviario, Pierluigi Calignano, Flavio Favelli, Luca Francesconi, Tommaso Gorla, Noga Inbar, Eva
Marisaldi, Adriano Nasuti-Wood, Davide Rivalta, Federico Spadoni, Alberto Tadiello, Ian Tweedy, Davide Zucco.
F.Agostinelli
NAPOLI
● La Galleria Al Blu di Prussia (via Filangeri 42, tel 081 409446) ha ospitato Saturn’s Banquet, personale di Oreste
Zevola a cura di Maria Savarese. L’artista in questa mostra – patrocinata dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici –
ha creato un percorso iconografico fatto di simbologie legate all’antico mito di Saturno. Come un singolare
ritrovamento archeologico, ma anche come una rappresentazione di un banchetto rituale, l’artista ha disposto su di
un lungo tavolo di acciaio ricoperto di cenere nera i simulacri e gli oggetti della mitica “età dell’oro”. La materia usata
per la realizzazione di queste forme è la ceramica, resa brillante dallo smalto che la ricopre in superficie. Un candore
lunare accentuato dalle luci soffuse, dà vita a un’armonica danza, a cui partecipano satiri e dèi, uomini e animali. In
uno spazio antistante sono stati esposti, inoltre, gioielli in argento, piccole sculture da indossare, molte delle quali
ispirate allo stesso tema del mito di Saturno.
PALERMO
● “Due o tre cose che so di lei” è il titolo della mostra curata da Sergio Troisi presso Nuvole Incontri d’arte. Le
fotografie in bianco e nero e il video di Letizia Battaglia, i dipinti e i disegni di Gaetano Cipolla diventano teatro entro il
quale, linguaggi eterogenei, approdano a un’unica dimensione fissata nel tempo grazie allo sguardo di un’attrice:
Serena Barone. Musa e modella al contempo, con le sue attese, i suoi silenzi, le sue urla e le sue risate questa
donna mostra dall’interno Palermo, quella di ieri, di oggi e quella che sarà. Il suo sguardo esausto, carico di animosità
e talvolta sfuggente diventa, come nelle fotografie di Battaglia, specchio su cui riflettere e riflettersi. Carico di
simbologie è anche il video “Fine della storia” dove l’acqua purificatrice che lava i corpi e le foto macchiate di sangue
e di orrori del passato si mescolano ai volti candidi dei bambini e a quello della donna che, persa la sua innocenza,
diventa icona della redenzione. La vittoria (?) della speranza in un mondo dove il passato in quanto vissuto non può
essere cancellato. Bottiglie di plastiche per gridare al vento il dolore dello spreco consumistico oltre che di vite
umane, sottane dipinte che si materializzano sulla tela trasportando il pensiero nei luoghi e nel tempo della Palermo
del dopoguerra. E, infine, vecchie foto degli anni ‘80, ingigantite per diventare fondale su cui scrivere nuove immagini
di una Lei, che è Letizia Battaglia in prima persona, Serena Barone e poi ancora tutte le donne ma anche, e forse
soprattutto Palermo. Sicilia 1968/2008, lo spirito del tempo è il titolo della mostra che Riso, museo d’arte
contemporanea con sede a Palermo, inaugura dando seguito a un ciclo di eventi per la diffusione e promozione del
linguaggio dell’arte oltre che per valorizzare e conservare il grande patrimonio di cui la regione è in possesso. Già da
tempo infatti, il cosiddetto “museo diffuso” regionale, ha messo in atto un vasto programma di iniziative che hanno
portato in primo piano non solo il capoluogo siciliano ma anche Gibellina, Siracusa e Castel di Tusa. Renato Quaglia,
Sergio Troisi Valentina Bruschi e Salvatore Lupo sono ideatori e curatori della mostra che, proprio come il titolo detta,
vuole proporre un’ampia disamina del clima intellettuale, morale e culturale che caratterizza quel determinato periodo
storico. Importanti avvenimenti che hanno sconvolto ma anche coinvolto la Sicilia e l’intera umanità a partire dalla
fine degli anni Sessanta fino ai giorni nostri.
Modica (RG) vede rischiarare il buio dei Magazzini Grimaldi con la luce a intermittenza dei wood che l’artista
siracusano, Claudio Cavallaro, usa per illuminare il suo lavoro. Immagini e calchi di rondini morte velate di colori e
polveri fluorescenti e fosforescenti, ecco cosa le vetrine dello spazio mettono in mostra. Qui la luce è fondamentale
elemento di ricezione, (in ciò si rispecchia la poetica messa in atto dall’artista per rendere omaggio ai suoi fruitori) che
diventa generatrice di vita come l’arte fa del resto con queste piccole creature. Le opere interagiscono ampiamente
non solo con lo spazio che le ospita, un piccolo rifugio recuperato da un vecchio dammuso ma anche con quello
esterno che le attornia, il paesaggio della piccola cittadina ragusana. Simbolo dell’eterno ritorno e dell’annunciazione,
uccello del Paradiso per i persiani , queste rondini, con le loro luci che rendono limpido e perspicace il messaggio
che l’arte ci vuol mandare, qui diventano un forte richiamo per i passanti incuriositi dal loro garrire. L’elemento sonoro
diventa componente fondamentale dell’opera, con la stessa forza e lo stesso allettamento di quella visiva.
Messaggere della primavera fanno respirare un’aria nuova in Sicilia e l’Associazione culturale PASSO che promuove
l’evento non fa altro che inaugurarne il buon inizio.
M.Fabiana Bellio
PERUGIA
● Giorgio Bonomi è direttore e fondatore della rivista “Titolo”, sulle cui pagine firma spesso dei caustici (ma
necessari) editoriali. La sua presenza nel mondo dell’arte gira attorno ai trent’anni, avendo egli curato più di cento
mostre, nelle quali ha sempre ragionato sulle motivazioni del fare artistico più che sui formalismi del linguaggio. La
sua indole analitica e filosofica l’ha portato a delle scelte ben specifiche nel campo dell’arte contemporanea,
preferendo la scelta di declinazioni a-figurative del linguaggio artistico rispetto a proposte più facili e comprensibili.
Ora, la sua ultima fatica si è tradotta in un libro che s’intitola “La Disseminazione, esplosione, frammentazione e
dislocazione nell’arte contemporanea”, con prefazione di Achille Bonito Oliva, Rubettino ed., 164 pp., 19,00 euro. In
copertina un Concetto spaziale di Lucio Fontana, sul retro una Pittura R di Pino Pinelli, fanno da pilastro alla sua
indagine, divenendo quasi i numi tutelari entro i quali rinserrare la sua disamina. Il titolo della pubblicazione è
perfettamente centrato e da solo spiega tutto il libro. L’indagine si rivolge, quindi, verso quelle esperienze che hanno
aperto i confini dell’opera, spezzando il segno (o il perimetro della forma conclusa), lanciandolo fuori dai suoi confini
naturali, fuori dall’ipotetica cornice di contenimento. L’analisi parte dalle avanguardie storiche (dal cubismo e dal
futurismo, in modo particolare) per approdare alla scultura di Simona Uberto: “Masse” del 2008. Unico appunto: non
tutte le riproduzioni delle opere sono di qualità sufficiente o pari al valore del testo del quale dovrebbero farsi
compendio illustrato. Sottolineatura: forse la presenza di Gianni Asdrubali sarebbe stata adeguata al tema trattato.
F.Fabris
ROMA
● Octavio Floreal, artista spagnolo approdato a Roma ormai da diversi anni, continua la sua personalissima e
delicata indagine artistica. Nella mostra dal titolo “indagine_9.7, 1.2.3.11.6, 5.4, 12.13, 14.15.10.8” presentata presso
la Galleria Dora Diamanti, interviene con una installazione inedita di alto livello poetico. Piccoli frammenti di mondo
come mani, fiori e corpulente fanciulle si affastellano in cumuli scuri, macchie di colore. Ma subito lo sguardo corre via
per inseguire gli stessi elementi che vanno man mano diradandosi fino a raggiungere la dimensione opposta: il loro
stesso negativo. Nero su bianco e poi bianco su nero, con la grafite e l’argento su tavola e pochi apparentemente
semplici tratti, l’artista riesce a trasmettere la percezione di tutto l’Universo. Una sorta di big bang frantuma il mondo
e, in un processo di espansione continua, mille particelle impercettibilmente proseguono la traiettoria della loro
esplosione. Dalla bidimensionalità delle tavole e delle acqueforti Floreal passa alle medesime figurine costruite,
questa volta, con fili di ferro. Le ombre sul muro ripropongono lo stesso effetto di esile disegno e al piano sottostante
le piccole sagome occupano tutto uno spazio centrale apparendo proprio come il fermo immagine di un esplosione.
Alessandro Facente, curatore della mostra, suggerisce l’idea dell’accumulo come modalità archivistica del
contemporaneo attraverso la quale uno strato finisce per scomparire dietro l’altro. L’indagine è certo un lavoro sulla
memoria, su ciò che si costruisce e ciò che si distrugge. È in particolare un lavoro sulla trasformazione e questo
emerge nella frase criptata nei numeri che danno il titolo alla mostra “tu morte es mi vida”.
Fino al 21 marzo la galleria 1/9 unosunove ha ospitato la prima personale a Roma dell’artista inglese Mat Collishaw.
La mostra, ad alto effetto tecnologico, è indubbiamente incentrata sull’idea di stupore. Dalle citazioni barocche agli
onnipresenti riferimenti religiosi si ha l’impressione di stare di fronte al frutto contemporaneo della Controriforma.
Fumi e vapori, immagini oleografiche in movimento, riflessi e inquietanti penombre. Le figure sacre affiorano su
evanescenti superfici prendendo forma ma non consistenza. In effetti, il titolo “Nebulaphobia” fa riferimento alla paura
della nebbia o più genericamente del vuoto. L’artificio sorprendente si attiva grazie alla presenza di un fruitore.
Questa mostra ci è sembrata un po’ come la fede, se ce l’hai ti possono apparire davanti agli occhi anche forme dalle
sembianze divine e lo spazio della galleria d’altra parte è talmente bello che può permettersi anche di stupirci con
effetti speciali.
Paola Donato
● The Gallery Apart presenta in contemporanea due mostre di Alessandro Scarabello, una presso la sede di via
della Barchetta e l’altra al Rialtosantambrogio, confermando la consuetudine dei galleristi Armando Porcari e Fabrizio
Del Signore a lavorare su due fronti, quello interno proprio dell’attività della galleria e quello esterno che stimola i
rapporti con realtà differenti e permette un maggior respiro. Del resto, hanno cominciato la loro attività organizzando
e curando eventi per realtà istituzionali e spazi espositivi e solo da un anno si sono “stabilizzati” in una sede propria. Il
Rialtosantambrogio ha permesso di esporre cinque grandi tele che per le notevoli dimensioni non sarebbero mai
potute entrare in galleria. Questi lavori, fanno parte della produzione dell’artista legata alla tecnica a olio e a seduzioni
cromatiche caravaggesche. Il taglio fotografico porta le scene dipinte su una dimensione pienamente reale. Il
soggetto che ricorre è una sorta di supereroe in calzamaglia bianca con il simbolo di un uomo stilizzato sul petto.
Supereroe senza più poteri sopraffatto dall’ingiustizia, ormai troppo stanco per continuare in un mondo indifferente
dove solo attraverso la pubblicità si riesce veramente a comunicare.
I nuovi lavori esposti in galleria rappresentano un passaggio. L’artista abbandona i contrasti chiaroscurali e si
sbizzarrisce in un trionfo pop di colori acidi. Acrilici per lo spazio e l’ambiente, a olio per le figure delle quali ricerca
ancora il particolare ma che qui sono parte di una rappresentazione al limite tra il surreale e lo splatter. Della svolta è
ben cosciente lo stesso Scarabello che intitola uno dei quadri in mostra “After Merisi”.
La galleria La Nube di Oort, prende il nome da una misteriosa regione situata ai confini del sistema solare, mai
osservata direttamente, la cui esistenza è però ipotizzata da una serie di accurati studi scientifici. Luogo madre da
dove provengono energie potenti, ha ispirato il lavoro di due fisici nucleari, marito e moglie, che da poco più di due
anni hanno aperto uno spazio espositivo, nascosto all’interno di un cortile di via Principe Eugenio. È qui che fino al 31
gennaio si sono potuti vedere lavori recenti di Oan Kyu, artista coreana sempre in movimento tra Roma e Seoul.
“Doppio Senso” è il titolo della mostra a cura di Patrizia Ferri, che ben sintetizza il suo percorso filosofico e artistico, è
il movimento contrario di energie roteanti è yin e yang, gli opposti che ricercano l’equilibrio. Il pieno e il vuoto, il
positivo e il negativo che si rincorrono in un moto ellittico, prima di raggiungere la perfezione del cerchio.
La forma dinamica dell’ellisse ritorna nelle opere in mostra e in qualche modo è specchio del continuo peregrinare
dell’artista tra occidente ed oriente. I segni orizzontali che riempiono le superfici sono l’umano, la razionalità che fa da
contraltare alla spiritualità della superficie curva. Sono scrittura universale, significante astratto iconograficamente
riconoscibile. Come segni lasciati da un ago sensibile al respiro della vita, sono il tracciato dell’essere. Le stesse
forme ritornano negli scatti in bianco e nero. Nei reticoli ondulanti di sampietrini, nei binari urbani dei tram di Roma.
Oan Kyu ritrova l’elemento orizzontale, la parte terrena di una dualità indissolubile. Ma è davanti allo specchio che
tutto torna. Nell’ellisse che incornicia l’immagine stessa dell’artista che si fotografa. L’essere nella sua essenza
materiale e il suo riflesso di pura immutabile inconcretezza.
Come un lancio in piena regola di un nuovo profumo, con tanto di spot pubblicitario diretto da Roman Polanski,
Francesco Vezzoli, ispirandosi al ready-made Belle Haleine: Eau de Voilette di Marcel Duchamp, ha esposto da
Gagosian la stessa bottiglia di profumo sostituendo il ritratto realizzato da Man Ray di Rrose Selavy, alter-ego
femminile di Duchamp, con il suo firmato dal fotografo di moda Francesco Scavullo.
Loris Schermi
● Nel cuore della capitale, nello splendido Palazzo Sforza Cesarini, ha inaugurato la nuova sede espositiva di
Monitor. Per l’evento, è stata allestita una doppia personale site specific di due significativi rappresentanti dell’arte
contemporanea:
Nico
Vascellari
e
Ian
Tweedy.
Vascellari nasce a Vittorio Veneto nel 1976 e solo da poco la sua fama di artista sembra aver superato quella di
musicista. Frontman di una band chiamata With Love, oggi è sotto gli occhi dei riflettori per l’unicità delle sue
realizzazioni. La molteplicità dei codici linguistici utilizzati, in cui spesso immagini e musica si mescolano e si
contaminano, producono un’arte decisamente evocativa, suggestiva e misteriosa. Come il lavoro presentato alla
Monitor. Si tratta di una vera e propria installazione. Tre oggetti in ceramica madreperlata nera vogliono ricordare i
resti carbonizzati, ma non distrutti, del lavoro presentato al MAN di Nuoro nel 2007. Insieme ad alcune sculture in
alluminio a forma di rami d’albero, su cui poggiano candele. Una videoproiezione riproduce le immagini di una
gigantesca pira a memoria della processione notturna dei Mamuthones in Sardegna. Il tutto è accompagnato da un
sonoro
registrato
nella
fonderia
in
cui
sono
stati realizzati
i
rami
d’alluminio.
Questa
scultura/installazione/performance contiene nel suo profondo significato qualcosa di allusivo e simbolico. Vascellari
dice infatti di “Credere nella magia dei gesti e nel loro potere”. Entrando nella galleria, sembra all’improvviso che il
tempo si blocchi. L’aria diventa stagnante, sembra quasi di sentire puzza di bruciato, mentre la luce delle candele,
grazie ad un calcolato gioco di specchi, si riflette senza sosta sulle pareti, evocando il potere catartico del fuoco. E
come dice lui stesso: “Ancora una volta l’idea di trasformazione, di diventare altro”. Ian Tweedy fa da Monitor il suo
debutto romano realizzando un vero e proprio tributo “to my past as a vandal”. Il giovane artista americano con
l’impiego delle tecniche più svariate, scultura, fotografia, pittura, wall drawing, vuole rendere omaggio a uno stile di
vita ormai lontano, ma che è stato fondamentale per la sua formazione. La condizione di apolide ha da sempre
caratterizzato la sua vita ed è stata la base poetica del suo lavoro. Classe 1982, Tweedy ha trascorso l’infanzia ad
Hahn, base aerea militare americana, nei pressi di Francoforte, col tempo diventata sede di un aeroporto civile. Il
cambiamento di stato della città e la passione per il graffitismo, uniti a quel passato da “vandalo” appena menzionato,
lo porteranno in breve tempo a concepire il mondo e la storia degli uomini come qualcosa in perenne mutamento ed
evoluzione, in cui gli avvenimenti salienti si ripresentano e si riscrivono. Esattamente lo stesso destino dei murales da
strada che per lunghi anni lo vedranno assoluto protagonista. Attraverso questa perenne, possibile riscrittura l’artista
esprime la sua idea di immortalità. Vascellari e Tweedy, dunque, utilizzano l’arte come strumento di interazione con il
contesto sociale, politico ed urbano. E da Monitor assistiamo, ancora una volta, alla liberazione dell’originalità. Quella
linea morbida e sottile che viene generata da una indagine, si sviluppa per passione e diventa percorso indelebile
nella storia dell’umanità.
Rosanna Fumai
TRENTO
● Presso lo Studio Raffaelli troviamo, fino al 24 aprile, opere di Donald Baechler, Willie Bester, Mike Bidlo, Enrica
Borghi, Stefano Cagol, Sandro Chia, Greta Frau, Daniele Galliano, Chantal Joffe, Jan Knap, Milan Kunc, McGough e
Dermott, Gian Marco Montesano, Hermann Nitsch, Jackson Nkumanda, James Rielly, David Salle, Salvo, Nicola
Samorì, Peter Schuyff, Alice Stepanek e Steven Maslin, Philip Taaffe, Terry Winters, Karen Yurkovich. In questa
mostra il medium artistico più antico (la pittura) riesce a dimostrare sempre più un’inesauribile vitalità unitamente a un
potere di rinnovamento sempre al passo con i tempi. È la bidimensionalità, il muro invisibile che separa il fruitore da
tutto ciò che si distribuisce sulla superficie dipinta, a creare un collegamento intimo ed esclusivo con lo spettatore. Il
quadro diventa quindi una magica finestra dove tutto è possibile. Sia in modalità astratte, surreali, inquietanti,
ironiche, drammatiche la pittura, oltre ad esprimere sé stessa, si tramuta in specchio veritiero della nostra esistenza
perché riesce a mettere in luce aspetti che il nostro stile di vita ben incanalato in schemi prefissati ci nasconde molto
bene. Questa collettiva si rivela quindi come un’interessante carrellata che parla delle nostre esistenze e dei percorsi
che silenziosamente stiamo percorrendo. In mostra ci sono anche tre interessanti opere scultoree, altro supporto
artistico sempreverde grazie all’utilizzo libero e spensierato di materiali inusuali, magari anche quelli presi dalla vita
quotidiana. La mostra è firmata da Marco Tomasini.
Da Arte Boccanera Contemporanea (via Milano 128/130) la giovanissima Valentina Miorandi ha presentato
fotografie, installazioni-video e video, tutte opere inedite. Miorandi predilige il video, utilizzato attraverso un linguaggio
cinematografico e talvolta documentaristico, perché le permette la rielaborazione in chiave sarcastica di frammenti
della quotidianità. Tra le altre spiccano le opre “Numerabilis” che evidenzia come l’accostamento d’immagini a noi
familiari, se svuotate di significato con formule altrettanto note ma appartenenti da ambiti differenti, permette nuove
letture della realtà e “Waterproof”, a metà tra documentario e indagine social-esistenzialista che prende spunto dallo
scandalo Watergate, come esempio lampante dei controlli politici sui media.
TRIESTE
● Factory-Art ha presentato il progetto “Information Accelerator 1.1” del collettivo artistico sloveno BridA composto
dagli artisti Tom Kerševan, Jurij Pavlica e Sendi Mango. Lo spazio della galleria diventa il contenitore di un sitema
articolato di condotture e canali che uniscono e combinano i processi di trasmissione attraverso elementi installati
sulle condotte stesse per osservare il mondo esterno e da elementi che permettono il contatto con esso: monitor di
controllo, interrutori interattivi, unità di suono, microcontrollori per il monitoraggio e guide per varie operazioni.
Particolare attenzione viene posta dal collettivo BridA sulla mappatura delle informazioni e sul loro espandersi fino a
scoprirne i confini o le zone in cui reazionano con l’intervento artistico e acquisiscono un carattere personale e
indipendente.
È seguita la mostra “How much time do you have?” dell’artista triestina Beatrice Crastini. Il lavoro presentato dalla
Crastini nasce dalla necessità di denunciare l’enorme quantità di tempo che passivamente si subisce in attesa: al
telefono, guardando la TV, in coda all’ufficio postale, in banca, alla cassa del supermercato. Così, per questo
specifico progetto, l’artista ha rappresentato delle vecchie sedie come identificazione della vita stessa e le ha usate
come unico soggetto/protagonista nel realizzare delle sequenze fotografiche nell’arco del tempo di una giornata.
Nasce così il lavoro fotografico “24 ore” dove ossessivamente lo stesso soggetto è stato scolpito dalla luce per una
sequenza di quarantotto pose intervallate una dall’altra di 30 minuti, così che il soggetto stesso perde la sua identità
a discapito del contesto in quanto è il passaggio della luce nell’arco del tempo che cattura l’attenzione. Sempre
lavorando su sequenze fotografiche ha realizzato piccoli video accompagnati da musiche da lei composte basate su
suoni ipnotici e ripetitivi. “Burned Life” è un arrangiamento in bianco e nero dove lo stesso soggetto vive il passaggio
notte/giorno nel sempre eterno gioco di sequenzialità. “Ping Pong Life” propone invece piccoli asincroni passaggi di
sequenze del fondamentale computer game dall’omonimo nome.
UDINE
● Lo spazio espositivo della libreria Feltrinelli ha ospitato la personale dell’artista Silvia Giusti (1970), dedicata ai
“Toy Child”, i suoi “bimbo giocattolo”. Attraverso una sintassi accattivante, costituita di forme sintetiche, colori vivaci e
piatti, il linguaggio superficiale di una cultura popolare globale osa giungere al cuore dei problemi della nostra civiltà.
Rapporti di genere, (maschile femminile), disoccupazione, maternità, scontri di piazza, vengono argomentati
attraverso i bimbi giocattolo, dietro faccine rosate e sguardi caramellosi. Sempre allo Spazio Feltrinelli è poi seguita
Laura Pozzar (1981) con “Aver cura di sé”, la personale in cui la giovane artista ha messo pittoricamente in scena,
con carattere autobiografico, piccole storie rubate alla sfera intima dell’esistenza femminile. Pozzar da tempo lega la
sua ricerca a un minimalismo quotidiano al limite della banalità, in cui il luogo (bagno) e l’attimo (minuscolo) giocano
la visione sfuocata dell’esistenza. Sono situazioni dimesse quelle che l’artista propone per dire la cura del sé; sono
minuscole parti l’un l’altra collegate per definire fotogrammi di vita marginale, spiccioli teatri in cui nulla accade, ma
tutto rimane in una sospensione sconfinata. Ne esce un racconto costruito da attimi fermati qua e là a dire un
paesaggio esistenziale dagli orizzonti ravvicinati e densi di solitudine, ma anche di un fascino sottile impregnato di
attesa e sogno.
A Pavia di Udine, dal 15 al 31 maggio, giunge al quarto anno la Rassegna d’Arte Contemporanea “Sticeboris”
organizzata dall’Associazione Culturale Etrarte. Il titolo dell’iniziativa, Sticeboris, significa in friulano attizzare le
braci ma anche stuzzicare, provocare e in questo esprime le finalità del progetto: ridare vita alla parte sopita della
mente, riaccendere la scintilla che alimenta i sensi, la fantasia, la creatività. L’attenzione, anche quest’anno, si rivolge
ai giovanissimi talenti, riuniti nel tema “Ossigeno friulano”. All’attenzione è la situazione degli artisti migranti, che
accompagnano storicamente le tante categorie di persone che fuori dal territorio regionale sono migrate e migrano a
cercare miglior fortuna. A testimoniare il fermento creativo sono stati invitati quindici artisti che contribuiscono alla
rigogliosa fucina creativa regionale. Sono Stefano Calligaro (Udine-Berlino), Massimilano Ceschia (Gorizia), Claudio
Cescutti (Udine-Milano), Enzo Comin (Pordenone), Charlot & Michele (San Daniele del Friuli), Virginia Di Lazzaro
(Udine-Valencia), Silvia Giusti (Udine), Michele Innocente (Udine-Milano), My Favorite Color in collaborazione con
Theo Teardo (Pordenone- Roma), Monica Passalenti (Udine), Tiziana Pers (Trivignano Udinese), Laura Pozzar
(Terzo d’Aquileia), Lara Trevisan (Udine- Parigi), Kerotoo (Gemona del Friuli). Special Guest: Micky Modo & Spire
(Udine, Londra, Los Angeles). Sticeboris si svolge tra la storica villa Beretta e il Mobilificio Casabella a Pavia di
Udine.
A Pordenone, il rapporto tra arte e territorio è alla base della mostra TemperaturaEsterna. Sguardi soggettivi tra
natura e città, curata da Sabrina Zannier per la Provincia di Pordenone nelle sale espositive di Via Garibaldi. Si tratta
di una mostra fotografica che, attraverso le opere di Olivo Barbieri, Luca Campigotto, Maurizio Galimberti, Hiroyuki
Masuyama, Walter Niedermayr, Isabella Pers, Euro Rotelli e Massimo Vitali, presenta alcune tra le più innovative
poetiche sviluppate nell’ambito della fotografia contemporanea dedicata al paesaggio. La mostra, visitabile fino al 19
aprile, è accompagnata da un catalogo di 120 pagine a colori curato da Designwork.
Francesca Agostinelli
VENEZIA
● Dopo la mostra che ha tenuto a Campobasso, Luciana Picchiello ha esposto allo Spazio Thetis una sequenza di
opere fotografiche inserite sotto l’egida del titolo “Nata il...” Il lavoro di Picchiello è particolarmente articolato, e anche
questo doppio appuntamento ce ne dà prova. Siamo in presenza di una pittura sonora e concettuale, che offre il
destro al caso e all’improvvisazione anche segnica e materica. La melodia che ammanta le sue immagini si avverte
negli strumenti da lei rapidamente tratteggiati (la linea, il colore, la superficie), ma soprattutto nei silenzi dei fondi
scuri, quelli che contengono e assorbono il dettaglio. Sconfinando piacevolmente tra le diverse pratiche creative,
l’autrice opera una sintesi ragguardevole, con segno svelto e misurato. Le relazioni fondamentali (quelle poste tra
l’essere e il voler essere, tra l’io e la mistificazione, pseudo-reale e dichiaratamente virtuale) divengono linfa vitale,
attraverso processi di accavallamento, travestimento, spoliazione e citazione. Fino all’ultimo e inedito arrangiamento
del proprio sé: realtà (o icona?) esplorata e ricondotta alla più pura essenza, attraverso un processo di autocoscienza. La mostra di Campobasso è stata presentata dal critico Lorenzo Canova.