vijay iyer trio - Palantonello.it

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vijay iyer trio - Palantonello.it
«Provo sempre ad ascoltare tutto e tutti nel luogo in cui suono, non solo me stesso, o quelli che sono
sul palco. Si cerca di ascoltare tutti e di connettersi con loro. In un certo senso è un atto sociale.
È qualcosa che riguarda l’empatia. È qualcosa che riguarda la comunicazione.
Questa è la vera priorità per me.
Lo sai, io suono con gli occhi chiusi, ma non è perché sto ignorando tutti,
in realtà è perché sto cercando di sentirli».
FILARMONICA
LAUDAMO
MESSINA
ente morale onlus
Vijay Iyer
al Charlie Rose Show, in onda il 16 marzo scorso su PBS
PROGRAMMA
Musiche di Vijay Iyer
fra cui brani tratti dal CD “Break Stuff”
appena pubblicato per la ECM
domenica 22 marzo 2015 ore 18
Palacultura “Antonello da Messina”
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Regione Siciliana - Assessorato Turismo, Sport e Spettacolo
Amministrazione Comunale di Messina
Provincia Regionale di Messina
E.A.R. Teatro di Messina
Fondazione Bonino Pulejo - Messina
www.eurekaoffice.it
domenica 29 marzo 2015 ore 18 • Palacultura “Antonello da Messina”
“Dulces et Fortissimae”
musiche del XIV, XV e XVI secolo
www.filarmonicalaudamo.it
VIJAY IYER PIANO
STEPHAN CRUMP CONTRABBASSO
MARCUS GILMORE BATTERIA
vi augura buon ascolto
ALTA MUSICAE
Massimo Cialfi: tromba da tirarsi, trombone rinascimentale, cornamusa, percussioni, coordinamento musicale
Isacco Colombo: ciaramella, flauto da tamburo, cornamusa
Stefano Vezzani: bombarda, flauto da tamburo
VIJAY
IYER
TRIO
94
ª
NEGOZIO SPECIALIZZATO IN MUSICA CLASSICA
SCONTO DEL 10% PER ABBONATI E AMICI DELLA FILARMONICA LAUDAMO
valido per ordini via telefono, fax ed e-mail
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stagione concertistica 2014-2015
25º concerto • 2057º dalla fondazione
VIJAY IYER TRIO
Composta da Vijay Iyer al pianoforte, Stephan Crump al contrabbasso e Marcus Gilmore
alla batteria è la formazione più acclamata nel jazz dell’ultima decade.
Ha raccolto una innumerevole serie di riconoscimenti con i leggendari album Historicity del
2009 e Accelerando del 2012, fra cui “Album dell’Anno” per il New York Times, Los Angeles
Times, Chicago Tribune, Detroit Metro Times, National Public Radio, the Village Voice Jazz
Critics Poll, Downbeat, nomination per il Grammy Award e vincitore dell’ Echo Award.
Per la Filarmonica Laudamo, in esclusiva per l’Italia, presenterà il terzo album della sua storia
dal titolo Break Stuff appena uscito per la famosa etichetta ECM, e proposto in anteprima
appena qualche giorno fa al Metropolitan Museum di New York nella famosa sala del Tempio
di Dendur, allestita appositamente.
VIJAY IYER da almeno un lustro, è considerato il più straordinario talento del jazz contemporaneo, colui il quale ha inventato un vero e proprio personale linguaggio pianistico, e non solo.
Eletto più volte “pianista dell’anno” dalla Jazz Journalists Association, referendum dei più autorevoli critici in circolazione, nel 2012 ha ricevuto da Downbeat una “quintuple crown” senza
precedenti nella storia della rivista jazz più prestigiosa: Musicista dell’Anno, Pianista dell’Anno, Album dell’Anno, Compositore dell’Anno, Gruppo dell’Anno.
«Per la incisiva chiarezza di pensiero estetico, culturale e politico e per le implicazioni della
sua musica» (Point of Departure). Iyer è considerato “colui il quale ha il potenziale di cambiare il linguaggio e la prospettiva del piano jazz per sempre» (Jazzwise).
Quarantaduenne, di origini indiane, ma cresciuto negli Stati Uniti, è laureato in fisica, musicista - ha cominciato a suonare il violino a tre anni - e musicologo. Tuttavia, al pianoforte, è principalmente un autodidatta. Uno dei suoi mentori è stato Steve Coleman, ma ha anche collaborato intensamente con Roscoe Mitchell e George Lewis.
Gli interessi musicali di Iyer sono oceanici, così come è incredibile la diversità dei progetti
musicali che manovra e sperimenta. Collabora stabilmente con il poeta hip-hop Mike Ladd,
con il quale ha pubblicato nel 2003 “In What Language?” e soprattutto nel 2012 “Holding It.
The Veterans’ Dream Project”, poema musicale multimediale sul disagio sociale ed i sogni dei
veterani dall’Iraq e Afghanistan. E l’interesse del pianista verso l’hip-hop è presente anche in
altre sue collaborazioni con Das Racist, Dead Prez e Flying Lotus.
Nel 2014 ha pubblicato Mutations per la ECM, suite in 10 movimenti per pianoforte e quartetto d’archi che si ispira al post-11 settembre. E, sempre per la ECM ha musicato il documentario Radhe-Radhe, ispirato alla Sagra della Primavera di Stravinskij, che incontra Holi, la
celebrazione della primavera indiana.
Iyer, che è anche professore ordinario al Department of Music della Harvard University, è stato
insignito del “Genius Grant“ della MacArthur Foundation, uno dei più importanti riconoscimenti americani in assoluto, che riguarda tutte le categorie della conoscenza, in cui si investe nelle
straordinarie potenzialità di un soggetto per il benessere futuro del pianeta.
STEPHAN CRUMP. Nativo di Memphis, in un ambiente familiare con forti stimoli culturali: il
papà architetto e batterista jazz, e la mamma una pianista amatoriale nativa di Parigi, è senz’altro una delle stelle emergenti della scena di New York, e del jazz contemporaneo.
Ha collaborato con alcuni dei nomi più importanti del mainstream, degli esploratori della downtown music, ma anche con cantanti pop e songwriters.
Abbattendo le barriere dei generi musicali, Crump ha lavorato con musicisti di ogni tipo: dalle
leggende di casa Motown Ashley and Simpsons, ai Portished’s di Dave Mc Donald, a Patti
Austin, al Mahavisnu Project, ma anche con Sonny Fortune, Dave Liebman, Billy Hart e il
grande blues-man Clyde Copeland.
In questo momento oltre a far parte del trio di Vijay Iyer, è membro del Jen Chapin Trio, del
Secret Keeper insieme a Mary Halvorson, e della formazione di cui è leader, il Rosetta Trio,
con i chitarristi Liberty Elman e Jamie Fox, definita da All About Jazz «la string band del XXIº
secolo».
MARCUS GILMORE, 25 anni, è il nipote del più grande batterista jazz vivente, Roy Haynes,
90 anni appena compiuti il 13 marzo scorso.
Marcus, in brevissimo tempo è diventato uno dei batteristi più richiesti. Vincitore del referendum della rivista jazz Downbeat, quale miglior nuovo talento, suona regolarmente, oltre che
con Vijay Iyer, anche con Gonzalo Rubalcaba, Nicholas Payton, Chick Corea, Ravi Coltrane,
Ambrose Akinmusire, e tanti altri.
Prima di diplomarsi al LaGuardia High School of Music & Art and Performing Arts di Manhattan, Marcus ha svolto un serio apprendistato non accademico con i suoi band-leaders e maestri. In particolare con Steve Coleman, con il quale Marcus ha iniziato a suonare sin da quando aveva 15 anni, esibendosi innumerevoli volte al Jazz Gallery di New York, vero e proprio
quartier generale di alcuni fra i musicisti più geniali della Grande Mela. Da Coleman ha appreso tecniche, soprattutto per quanto concerne l’approccio ritmico, per le quali quest’ultimo è
diventato un autentico caposcuola.
LA MULTIDISCIPLINARIETÀ DELLA MUSICA DI IYER
Quando il musicista utilizza la musica non solo come terreno di esplorazione, ma come strumento per accedere alla conoscenza delle risorse umane, forse riesce a cambiarne il corso.
Vijay Iyer si presenta attraverso il proprio pensiero, talvolta prima ancora della sua musica.
Non sembra interessargli essere al centro del mondo, l’obiettivo è quello di fare accadere la
musica e condividerla, pianificando, principalmente, il processo creativo ancor prima della
musica. Sembra più facile, così, per lui, accedere anche ad altro: arti, questioni sociali, musicologiche, scientifiche, politiche.
Abbattendo la barriera del tanto oggi preteso linguaggio del jazz, Iyer riesce a percorrere
attentamente e rispettosamente, ma in maniera del tutto originale, il solco della ricerca autentica della tradizione afro-americana: da Steve Coleman, ad Andrew Hill, a partire da Strayhorn,
Coltrane, Monk.
L’attività degli ultimi anni mostra un artista che si/ci pone continuamente domande, che si/ci
mette continuamente in discussione alla ricerca di mezzi espressivi, suoni e concetti che presuppongono esplorazione e ispirazione, conoscenza della storia della musica, ma, ancor
prima, consapevolezza del momento che sta vivendo.
Basti vedere quello che ha realizzato negli ultimi due anni: protagonista di un lavoro per l’Harlem Stage con il poeta hip.hop Mike Ladd sulle poesie dei reduci dell’Iraq e dell’Afghanistan,
ma anche compositore di musica da camera in Mutations (ECM, 2014), suite per archi, mutuata dalla sua naturale - mai accademica - propensione verso la dimensione classica; autore
della colonna sonora di “Radhe Radhe” grande documentario ispirato ai colori sgargianti del
rito Holi della primavera indiana che si incontra con la Sagra della Primavera di Stravinskij.
Oggi Vijay Iyer presenta il suo nuovissimo album “Break Stuff” (ECM, 2015) e, nelle liner notes
da lui scritte esordisce dicendo che il titolo deriva da quello che succede quando si suona dopo
che gli elementi formali della musica sono stati già affrontati. Dice Iyer: «Una pausa (break) in
musica è ancora musica. Sul pentagramma una pausa può sembrare qualcosa in cui non succede niente, mentre invece può essere il momento in cui tutto prende vita».
Alcuni temi del nuovo album nascono da Open City, poema musicale basato su un libro di Teju
Cole, un altro preso in prestito dalla musica techno di Robert Hood, altri dalla Break Stuff
Suite, realizzata per il MoMa di New York.
Ripercorrendo la strada dei leggendari album in trio Historicity e Accelerando, con gli stessi
compagni di viaggio, percorre tutte le strade di questi ultimi anni, ma in nome solo della musica, dando così l’impressione, che la musica possa essere multidisciplinare anche solo attraverso se stessa. Anche se, molto più semplicemente, forse sta proprio nella sincera condivisione dell’atto creativo il vero carattere multidisciplinare del progetto di Iyer.
Sembra strano a dirsi, data la complessità della sua musica, ma forse è fra i musicisti più vicini alla gente che ci sono in circolazione.
Luciano Troja