URAGANO 02 09 2005
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URAGANO 02 09 2005
VENERDÌ 2 SETTEMBRE 2005 LA REPUBBLICA 43 DIARIO DI DI L’UOMO E LA DISTRUZIONE DEGLI ELEMENTI Cosa ci accade quando ci troviamo coinvolti in un disastro apocalittico? olto spesso la natura ci dimostra che la nostra tecnologia non è che un giocattolo e che in realtà è lei che detiene il potere maggiore sul pianeta, e può sollevare le acque, scatenare il vento e scuotere la terra. Nel 1900, quello che fu forse il più grande uragano di tutti i tempi, spazzò via l’isola di Galveston, in Texas. Si sollevò dal mare, investì l’isola e la sommerse, come la mitica Atlantide. E ora un altro disastro, forse altrettanto terribile, ha distrutto una delle più grandi città americane, una delle più grandi, importanti ed uniche città al mondo, New Orleans. Peggio, potrebbe aver ucciso e ferito migliaia di persone. A questo punto, si può soltanto sperare che le cifre siano esagerate, ma la logica suggerisce che non lo siano. E, in effetti, esiste la possibilità che la realtà sia peggiore di quanto sospettiamo. Gli scampati all’uragano si stanno riversando nel Texas orientale. E’ gente sotto shock, come dopo un bombardamento. Hanno l’aspetto degli abitanti dell’Oklahoma della Dust Bowl, negli anni ’30, la povera gente di cui ha scritto Steinbeck, annientata dalla siccità e dalla Grande Depressione, ammassata sopra i tetti delle auto come zecche attaccate alla groppa di un cane, in fuga dalla vecchia vita, in cerca di una nuova. La differenza, questa volta, è che non sono state la siccità e la Grande Depressione ad averli spinti sulle autostrade. Si riversano nel Texas orientale sferzati dal vento e zuppi d’acqua e ciò non accade come quando periscono i raccolti o si fugge dalla Dust Bowl. E’ accaduto in una lunga e orribile notte mentre il vento ululava e il mare si sollevava. Molti di coloro che avevano conosciuto gli uragani precedenti hanno deciso di non fuggire davanti alla tempesta. Ma in confronto all’uragano Katrina, quelli precedenti erano soltanto folate di vento forte. Rutti della natura. Questo è l’urlo della natura. Ad aggiungere altro orrore, gli argini che tengono l’acqua lontana da New Orleans sono stati travolti e l’acqua si è riversata avventandosi, provocando una buia inondazione biblica che ha invaso quel catino al di sotto del livello del mare che era New Orleans. Le condutture del gas si sono rotte e sono scoppiati gli incendi. Le fiamme lambiscono ancora il cielo. Mentre scrivo c’è gente in piedi sul tetto degli edifici che agita le braccia o dei brandelli di abiti oppure fa segnali in direzione degli elicotteri che volano bassi e quei segnali vogliono dire, semplicemente, “aiutateci”. Le telecamere degli elicotteri di salvataggio ci mostrano uno spettacolo che sembra la fine del mondo. Per molti, lo è. Se questo non fosse abbastanza, l’apparenza di civiltà si è incrinata anch’essa e gli sciacalli, come branchi di lupi, hanno preso il controllo di ciò che resta di New Orleans, mentre la poli- Storia di uno sconvolgimento climatico e della paura che provoca tra la gente URAGANO Quando la natura si fa estrema JOE R. LANSDALE zia non ha le risorse per reagire. Sono come pastori tristi che guardano le loro pecore mentre vengono divorate. Anche i poliziotti hanno perso le loro case e le speranze e, molto probabilmente, il loro lavoro. Non c’è più alcuna città da pattugliare. Questa città fatta di luci e di jazz, del ritmo di Bourbon Street, è oggi una città le cui strade sembrano i canali di Venezia. Ma New Orleans non è più un luogo per turisti. E’ un residuo di un mondo diventato umido e morto e, infine, sparito. L’uragano non ha distrutto soltanto vite e palazzi, ha annegato anche i sogni. Non si tratta di aspettare che l’acqua sparisca: i posti di lavoro e le case di molti, della maggioranza, sono andati. Per sempre. Non vi è nulla a cui fare ritorno. L’ottanta per cento della città è sott’acqua e in molti punti l’acqua è profonda venti piedi. Peggio ancora, gli sciacalli, facendosi strada su bidoni della spazzatura galleggianti, su barche e zattere, hanno iniziato a spostarsi in ciò che è rimasto in piedi di New Orleans, nelle zone rimaste ancora abitate, dove alla polizia potrebbe essere necessario sparare per uccidere piuttosto che lasciare che i cri- EDGAR ALLAN POE IN MENO di un minuto l’uragano ci aveva raggiunti, in meno di due il cielo si oscurò del tutto e, sia per la cupezza del firmamento, sia per lo spruzzare della spuma, si fece improvvisamente così buio che non riuscivamo più a vederci a vicenda, sul peschereccio. Sarebbe follia tentare di descrivere l’uragano che infuriava su di noi: neppure il più vecchio lupo di mare norvegese poteva mai avere esperimentato una simile tempesta. Avevamo ammainate le vele prima che la bufera ci cogliesse, ma al primo soffio le nostre alberature furono scagliate fuori bordo come se qualcuno le avesse segate dalla base, e l’albero di maestra si portò con sé il più giovane dei miei fratelli, che vi sia era aggrappato nel tentativo di salvarsi. L’imbarcazione era meno di un fuscello in quel mareggiare di acque. Il ponte era completamente coperto, a eccezione di un solo piccolo boccaporto in prossimità della prora, ed era sempre stata nostra abitudine di chiudere questo boccaporto mentre stavamo per attraversare lo Ström. “ URAGANO. “ Repubblica Nazionale 43 02/09/2005 M minali prendano il sopravvento. La gente si aggira tra ciò che rimane della I-10, l’unica grande autostrada che attraversa New Orleans, come zombie di un film di George Romero. Un tempo le loro vite erano ricche di lavoro e di programmi, avevano case piene di oggetti, e oggi spingono carrelli della spesa o ciò che sembrano essere contenitori per la biancheria, colmi di ciò che rimane della loro vita. Mentre coloro che possiedono un’auto si allontanano, la gente a piedi, disperata, agita bottiglie vuote, sperando in un atto di gentilezza. A volte l’ottengono, ma più spesso, no; gli automobilisti, anch’essi disperati, senza acqua e senza più speranze, corrono via. L’uragano non si è accontentato di New Orleans. Ha infuriato sul Mississippi e sull’Alabama e anche lì ha prodotto danni gravissimi. In Mississippi i cadaveri stanno cominciando ad accumularsi negli obitori, come cataste di legna. Ad aumentare la devastazione, si sta diffondendo il timore di malattie per via dell’acqua salmastra mescolata a quella delle fognature e contaminata dai corpi in decomposizione, sia quelli degli esseri umani che quelli degli animali. Il tifo e altre malattie possono essere anche peggiori dell’uragano stesso, facendo salire il totale delle vittime a cifre ancora più alte. Gli scampati, in maggioranza fuggiti con poco o senza denaro, si affidano alla pietà del prossimo. Gli alberghi e i motel del Texas orientale sono pieni all’inverosimile. Nell’osservatorio di Houston, in Texas, dove molti sfollati sono stati ospitati dal governo texano, non funziona più l’aria condizionata ed è diventato come una gigantesca sauna e, benché si sia sul finire dell’estate texana, si soffoca. Le toilettes sono fuori servizio. La puzza è terribile. Come se non bastasse, New Orleans è uno dei principali porti degli Stati Uniti, perciò le merci, specialmente i prodotti petroliferi, dovranno essere imbarcati altrove, in luoghi meno raggiungibili, e questo provocherà un rialzo dei prezzi nel quadro di un’economia già provata. A peggiorare ulteriormente le cose, gli impianti del gas e della benzina sono stati distrutti o danneggiati dall’uragano, e con il prezzo del petrolio che ha già raggiunto i tre dollari a gallone, ci saranno ulteriori conseguenze per l’economia. E cosa ne sarà di New Orleans? La ripresa potrebbe richiedere anni, e al di là della ricostruzione, ci vorrà ancora più tempo perché la città possa tornare ad essere ciò che era. Una mecca per gli amanti del jazz e un luogo dove la vita era dolce. New Orleans è sempre stata conosciuta come “the Big Easy”. Non c’è più nulla di dolce, adesso. Alcuni si chiedono se si riprenderà mai. Molti dicono che è la fine di New Orleans. Altri pensano che gli sciacalli siano la riprova di ciò che succede quando una società subisce un collasso. Qual è la nostra vera natura? C’è speranza? E’ uno stereotipo dire che gli americani sono duri e che sopravviveranno. E sarebbe sciocco dire che tutti coloro che hanno perso la loro casa, i loro beni, una persona cara, torneranno ancora una volta ad essere ciò che erano. Molti non si riprenderanno mai. Ma guardando le cose in un quadro più ampio, quello stereotipo è vero. Molti dei sopravvissuti faranno qualcosa di più che sopravvivere. Per tutti quelli che rubano e minacciano e uccidono, esistono migliaia di persone che durante questo orrore hanno dimostrato grande coraggio. E molti altri che dimostrano generosità e gentilezza di cuore. Camere d’albergo gratis. Denaro regalato. Ospitalità nelle proprie case. Questa è la maniera texana. La maniera del sud. La maniera americana. Infine, come ha detto una volta un mio amico a proposito degli americani, «noi ce la caviamo. Facciamo quello che dobbiamo fare. E la maggior parte di noi non dimentica mai che siamo anche umani». (Traduzione di Antonella Cesarini) DIARIO 44 LA REPUBBLICA LE DIVERSE TEMPESTE CICLONE E’ una bufera di venti rotatori che si addensano in un’area di bassa pressione. La rotazione si svolge in senso antiorario nell’emisfero nord e invece orario in quello sud URAGANO Il termine è usato per definire un ciclone tropicale dell’emisfero nord che può superare i 200 chilometri orari. Sono uragani i cicloni degli Usa. Il più violento “Galveston” ha colpito il Texas nel 1900 VENERDÌ 2 SETTEMBRE 2005 TIFONE Si tratta di un ciclone tropicale che si crea sul Pacifico e sulle coste asiatiche. Nel 2004 il Giappone è stato investito da ben otto tifoni che hanno devastato il paese causando più di cento morti DAL TIFONE ALL’URAGANO, LE DECLINAZIONI DI UNA PERTURBAZIONE VIOLENTA IN QUANTI MODI DICIAMO CATASTROFE PASCAL ACOT I LIBRI JAMES G. BALLARD Il mondo sommerso, Feltrinelli 2005 / Deserto d’acqua, Tea 1989 ART BELL WHITLEY STRIEBER La temmpesta globale, Corbaccio 2004 JOSEPH CONRAD Tifone, Einaudi 2003 (Bur Rizzoli 1992) BILL MCGUIRE Guida alla fine del mondo, Cortina Raffaello 2003 HEATHER GRAHAM Hurricane bay, Mondadori 2003 Repubblica Nazionale 44 02/09/2005 ERIK LARSON Il tifone di Galveston, Garzanti 2001 RICHARD HUGHES Un ciclone sulla Giamaica, Guanda 2001 DESMOND BAGLEY Uragano sui Caraibi, Tea 2001 MIKE P. DAVIS Geografie della paura, Feltrinelli 1999 PAUL AUSTER Il paese delle ultime cose, Guanda 1996 RENÉ THOM Parabole e catastrofi, Il Saggiatore 1980 li Stati Uniti d’America vacillano, travolti da una catastrofe naturale i cui effetti ricordano a momenti, e per diversi aspetti, quelli dello tsunami dell’Asia del Sud, alla fine del 2004. E’ difficile comprendere come la più grande potenza del mondo abbia potuto arrivare a tanto: l’intensità della perturbazione non basta infatti a spiegare quanto è accaduto. Non spiega ad esempio la fragilità delle città e di alcune dighe del sud-est degli Stati Uniti, dopo i molti allarmi, i cicloni e i numerosi morti che si lamentano quasi ogni anno in questi ultimi decenni; e neppure i saccheggi nei maggiori agglomerati urbani, o il fatto che i poveri, tanto numerosi nella regione, siano di gran lunga i più colpiti. Cerchiamo dunque di fare il punto per capire meglio che cosa è accaduto. Questo fenomeno atmosferico rientra nel novero delle perturbazioni violente che sempre si formano nella zona intertropicale, in condizioni relativamente prevedibili – mentre è assai più difficile pronosticarne la traiettoria, la durata e il grado massimo di intensità. In varie parti del pianeta si usano termini diversi per designare lo stesso tipo di fenomeni: si parla di “cicloni” nell’area dell’Oceano Pacifico e del SudEst dell’Oceano indiano (“ciclone” deriva da un termine greco che significa “circolo”, poiché la depressione assume la forma di un turbine). Nell’Atlantico del Nord e nel mare dei Caraibi di parla invece di “hurricane” o di “uragano”, dallo spagnolo di origine caraibica “huracán”, o di «tornado». Il termine “typhoon”, usato in Asia, deriva dal cinese «t’aifong» (grande vento). Dal 1978 i meteorologi hanno smesso di battezzare queste calamità con nomi esclusivamente femminili; ora li alternano a nomi maschili, da quando alcune organizzazioni femministe hanno fatto notare che anche i maschi hanno a volte comportamenti imprevedibili e disastrosi… La condizione essenziale per dar luogo alla formazione e allo sviluppo di un ciclone è che la temperatura delle acque marine raggiunga almeno 27° C fino a vari metri di profondità. Quest’ultimo punto è fondamentale. Attualmente è da escludere che una situazione del genere possa presentarsi nel Mediterraneo; nessuno dei paesi che si affacciano su questo mare deve ritenersi in pericolo. Evidentemente, se le temperature si elevassero durevolmente, la situazione potrebbe mutare; ma per il momento si tratta di un’eventualità remota. Quando sono presenti queste particolari condizioni, come avviene quasi ogni anno nel Golfo del Messico, si ha un riscaldamento degli strati bassi dell’atmosfera, e quindi delle correnti ascendenti. Poi, quando il vapore acqueo si raffredda, G ‘‘ ,, ‘‘ ,, PERTURBAZIONI SPIEGAZIONI In varie parti del pianeta si usano termini diversi, come ciclone, tifone, uragano, per designare lo stesso tipo di fenomeni Per dar luogo alla formazione di un uragano occorre che la temperatura delle acque raggiunga almeno 27 gradi a vari metri di profondità si formano per condensazione cospicue nebulosità. Si tratta di nubi del tipo “cumulonimbus”, che possono raggiungere 15.000 metri, e in seno alle quali i venti acquistano un’eccezionale violenza. Persino i grandi aerei di linea le evitano, dato che le correnti contrastanti rischiano addirittura di strappare loro le ali! Queste nubi si dispongono a corona intorno a una zona potentemente depressionaria: l’«occhio» del ciclone. Sotto l’effetto diretto della rotazione terrestre, il «muro dell’occhio», ossia la corona principale e i rami a spirale della corona esterna sono animati da un movimento rotatorio. Nella corona esterna i venti possono superare la velocità di 300 km orari. Alcuni grandi cicloni misurano ben mille chilometri di diametro. Le dimensioni dell’occhio, paradossalmente calmo, variano dai 10 ai 100 km. Tuttavia, la violenza di Katrina non basta a spiegare tutto. Per dirla in termini semplici: una catastrofe non è mai solo “naturale”. E’ il caso di ricordare che nel settembre 2004 due cicloni tropicali (battezzati Ivan e Jeanne) hanno colpito varie isole del Mare dei Caraibi e del Golfo del Messico, tra cui Haiti e Cuba, e devastato (già allora!) parte delle Florida e della JOSEPH CONRAD L’uragano aveva fatto irruzione nella metodica compostezza della sua intimità. Un senso d’angoscia lo assalì Tifone 1901 EMILIO SALGARI Un uragano violentissimo imperversava sopra Mompracem, isola selvaggia, di fama sinistra, covo di formidabili pirati Le tigri di Mompracem 1900 Louisiana. Vi sono stati 2000 morti ad Haiti, ma anche un centinaio di vittime negli Stati Uniti, mentre i sei maggiori uragani che hanno colpito Cuba tra il 1996 e il 2002 hanno provocato in tutto “solo” sedici morti. L’organizzazione non governativa Oxfam International ha analizzato allora questo paradosso, facendo notare alcune «caratteristiche di tipo immateriale» specificamente cubane, quali la mobilitazione delle comunità, la solidarietà e una preparazione specifica, rivolta all’infanzia e all’intera società, ai rischi che fanno da sfondo alla vita dei Caraibi. Questo breve NAUFRAGHI “Tempesta e naufraghi”, dipinto di Giovanni Battista Pilment. A sinistra una stampa dell’800 e “Il giornale dei Tifoni” sguardo retrospettivo consente di comprendere meglio Katrina e i suoi effetti stupefacenti: ad esempio, le compagnie elettriche nordamericane impiegheranno alcuni mesi per ripristinare ovunque la corrente elettrica; molti profughi potranno tornare alle loro case solo tra varie settimane, e la Guardia Nazionale non riesce a contenere le scorribande dei saccheggiatori! Forse le catastrofi climatiche sono innanzitutto disastri sociali. Traduzione di Elisabetta Horvat LA SCOPERTA DI DUE SCIENZIATI DELLA NASA QUELLE “TORRI BOLLENTI” CHE PRECEDONO IL DISASTRO S ono chiamati uragani nell’Atlantico, tifoni nel Pacifico occidentale e cicloni tropicali dappertutto. Ma ovunque si aggirino queste tempeste, oggi le forze che le determinano sono un po’ meno misteriose. Grazie alla scoperta delle “torri bollenti” da parte di scienziati della Nasa, che hanno utilizzato i dati forniti dal satellite Trmm (Tropical Rainfall Measuring Mission). Owen Kelley e John Stout hanno trovato che le nuvole battezzate “torri bollenti” sono associate con l’intensificazione dei cicloni tropicali. I due ricercatori del Centro Goddard per i voli spaziali della Nasa e dell’Università George Mason, definiscono “torre bollente” una nuvola (del tipo cumulonembo) che raggiunga almeno il vertice della troposfera, lo strato più basso dell’atmosfera. Questa zona si estende fino a circa 14,5 km di altitudine nelle regioni tropicali. Le torri vengono chiamate “bollenti” perché salgono fino a una tale quota grazie alla grande quantità di calore latente che incorporano. Il vapore acqueo rilascia questo calore quando si condensa e passa allo stato liquido. Una “torre bollente” particolarmente alta si alzò sopra l’uragano Bonnie nell’agosto del 1998 proprio mentre la tempesta si intensificava pochi giorni prima di colpire e devastare la Carolina del nord. «La nostra ricerca – ha detto Kelly – DIARIO VENERDÌ 2 SETTEMBRE 2005 TORNADO Il fenomeno delle trombe d’aria è caratteristico dei tropici, ma non è raro alle nostre latitudini. Si sviluppa a spirale e nella parte più esterna può anche superare i 400 chilometri orari LA REPUBBLICA 45 TROMBA MARINA E’ un mulinello di vento, originato dai cicloni, che si forma sul mare e innalza grandi colonne d’acqua a notevoli altezze. È difficile che una tromba marina superi gli 80 chilometri orari DIAVOLI DI POLVERE Sono piccole colonne d’aria calda che si avvitano su se stesse senza raggiungere grandi altezze. Sono tipici dei deserti ma si possono formare anche sui ghiacci sollevando la neve a livello del suolo VIAGGIO TRA GLI ABISSI LETTERARI: POE, CONRAD E MELVILLE PICCOLE APOCALISSI TRA CIELO E MARE SERGIO GIVONE in cielo, in terra e in ogni luogo, si diceva un tempo di Dio, e lo stesso potrebbe dirsi del punto in cui ha origine lo scatenamento degli elementi naturali. Questo iniziale centro di forza ci sfugge. Infatti noi conosciamo la violenza estrema della natura solo attraverso le sue manifestazioni. Può essere l’uragano, il tifone, che si abbatte ex alto sulla terra devastandola e trascinando con sé tutto ciò che incontra. Oppure, il gorgo, il vortice, il maelström, che apre nel mare un pozzo senza fondo e lo apre ab imis, a partire dalle più remote profondità. Ma c’è anche lo tsunami, l’onda che scivola immensa e onnipotente in orizzontale, magari sotto un cielo di cobalto e su acque tranquille, ma non perciò meno distruttiva. La scienza ha identificato almeno in parte le cause di questi fenomeni e quindi è in grado di darne una spiegazione adeguata. Ciò non toglie che la loro origine resti per noi irraggiungibile e inafferrabile. Noi comunque non possiamo intervenire su di essa. Ed è sicuramente questa la ragione per cui la grande letteratura e l’arte (e prima ancora la religione) hanno investito di un alto valore simbolico quel punto misterioso e abissale, dove ha inizio qualcosa che incombe sull’uomo e ne svela i limiti. Al punto che in questione non è propriamente la natura, ma l’uomo e la sua capacità di fare esperienza di sé e del mondo anche quando questa esperienza è destinata a finire nel nulla. Nessuno ha posto questo problema in modo più geniale di Edgar Allan Poe. Quella del suo Gordon Pym, il marinaio che scende nel maelström, è da lui definita un’avventura. Ma che avventura è un’avventura senza ritorno? e che dunque non può essere raccontata, o se lo è, lo senza alcun rapporto con la realtà vissuta? Poe propone alcune ipotesi alternative. Lo spazio, suggerisce, non è come sembra finito, cioè definito da confini, e infatti l’abisso è per E’ Repubblica Nazionale 45 02/09/2005 GLI AUTORI Pascal Acot, del Crns, è autore di Storia del clima (Donzelli). Sergio Givone insegna Estetica a Firenze. Di Joe R. Lansdale l’editore Fanucci ha appena pubblicato Il lato oscuro dell’anima. Il Sillabario di Edgar Allan Poe è tratto da Una discesa nel Maelström, dai Racconti (Bur Rizzoli) I DIARI ON LINE Tutti i numeri del “Diario” di Repubblica sono consultabili in Rete al sito www.repubblica.it, nella sezione “Cultura e spettacoli”. I lettori troveranno riprodotte le pagine con tutte le illustrazioni di questo strumento di approfondimento sui temi chiave del nostro tempo. ‘‘ ,, IL MALE In “Tifone” Conrad si chiede come si fa a descrivere ciò ci toglie le parole. Ma questo è il solo modo per parlare della potenza del nulla definizione senza fondo. Ma se lo spazio non è come sembra, anche il tempo potrebbe non esserlo. Sembra irreversibile, il tempo: e se invece fosse reversibile? In questo caso potremmo immaginare un racconto per bocca di chi teoricamente non sarebbe più in grado di raccontare alcunché, racconto che incomincia dall’aldilà della sua conclusione... Precisamente quello che Poe si accinge a scrivere per conto di Gordon Pym. Per più di un verso appare analogo l’atteggiamento di Joseph Conrad di fronte all’uragano. In Tifone Conrad introduce fra le righe domande del tipo: come si fa HURRICANE “Hurricane”, dipinto di Bettie Jean Bordelon DANIEL DEFOE “La Bocca della Senna a Quilleboeuf” dipinto del 1833 di Joseph Mallord William Turner è motivata dal fatto che predire la nascita di un ciclone tropicale non è sufficiente. Vogliamo anche migliorare la nostra capacità di prevedere l’intensità della tempesta e il danno che può provocare se colpisce la costa». I due scienziati hanno lavorato sulla scorta degli studi pioneristici di altri due ricercatori, Joannne Simpson e Jeffrey Halverson, che già avevano concentrato la loro attenzione su questo particolare tipo di nubi. Kelley e Stout hanno compilato una serie di statistiche globali sulla occorrenza delle torri bollenti dentro i cicloni tropicali, grazie al satellite Trmm, che ha permesso loro di guardare all’interno delle “torri” e non solo di poterle osservare dall’alto. E hanno trovato che un ciclone tropicale con una “torre bollente” ha il doppio delle probabilità di intensificarsi nell’arco di sei ore rispetto a uno che non ne abbia. Le “torri bollenti” si trovano nell’anello di nubi che circonda “l’occhio del ciclone”, la zona centrale caratterizzata da una calma relativa. Copyright Nasa Questo uragano soffiò in modo così terribile che per dodici giorni non potemmo fare altro che andare alla deriva Robinson Crusoe 1719 LOUIS FERDINAND CÈLINE Sopraggiunsero due uragani in successione, il secondo durò tre giorni e soprattutto tre notti. Si bevve finalmente pioggia Viaggio al termine della notte 1932 a descrivere ciò che toglie di mezzo la possibilità di fissare le cose in una forma? Come si fa a nominare ciò ci rende attoniti e anzi ci toglie la parola? In realtà secondo Conrad è questo il solo modo di portare alla luce il negativo e addirittura la potenza del nulla. Potenza che non potremmo neppure riconoscere, se noi fossimo quel che crediamo di essere. Invece siamo impastati di negatività, di tenebra, e la tenebra è figlia del nulla. Nella potenza della negazione e del nulla noi riconosciamo ciò che ci appartiene più intimamente. Anche lo tsunami ha avuto i suoi poeti. A ben vedere è dello tsunami che ci parla Hermann Melville, quando descrive lo sbigottimento dei marinai di fronte all’improvviso levarsi dal mare calmo di un muro d’acqua, vera e propria cifra di quel mistero che è nascosto nelle profondità marine e che l’uomo non può conoscere se non perdendosi in esso. Ed è una specie di tsunami l’analoga colonna liquida che si leva di fronte alla nave di Ulisse prima di inghiottirla. Da notare che nel passo dantesco a tutti noto “virtù e conoscenza” sono esplicitamente messe in rapporto con la sfida all’abisso – quell’abisso dal quale tuttavia non c’è scampo. Dunque, in questione è la possibilità di sperimentare ciò che non solo si sottrae a noi, ma, come accade esemplarmente nella morte, si sottrae a noi tanto da sottrarre noi a noi stessi. E’ ancora uno sperimentare questo? Forse sì, forse no. Più no che sì, eppure… Lo sapeva già, e lo sapeva molto bene, Virgilio. Facilis descensus ad Avernos / difficilior revocare gradum, si legge nel VI libro dell’Eneide. Tutto sommato è facile sprofondare negli abissi, infernali o meno che siano, più difficile tornare indietro. Più difficile, ma non impossibile. Sigmund Freud, la cui opera è intitolata a un progetto del genere, proprio a Virgilio fece ricorso per illustrarne il senso: Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo. Del resto saranno i romantici, prima di Freud, a concepire la letteratura come un viaggio negli abissi che proprio in quanto tale si configura come viaggio a rischio. Ci si può perdere. Per lo più ci si perde. Ma che importa? Così non fosse, non sarebbe un viaggio nell’abisso. Uno strano, patetico abisso è quello di cui si conosce il fondo e da cui perciò si è sicuri di tornare. Vogliono andare all’inferno? diceva Hegel dei romantici. Ci vadano e ci restino. Ma i romantici ne erano perfettamente consapevoli. Da allora in poi nel cielo della letteratura brillerà una nuova stella. Che non è più una stella. Infatti non è più lì per orientare, ma semmai per disorientare, per aprire uno squarcio nel tessuto del mondo, per far cenno verso l’ignoto, verso l’infinito, o per dirla con uno di loro, Friedrich Schlegel, «verso ciò che si sottrae eternamente alla coscienza». Volenti o nolenti da allora siamo sospinti verso l’idea che il punto iniziale da cui la realtà scaturisce sia inabissato in un cielo remoto, troppo remoto per essere raggiunto da noi, o in una profondità da cui si scatenano forze e potenze che ci sovrastano. E noi a chiederci, come sempre: da dove, da dove? Unde malum? I FILM URAGANO Terangi, un indigeno dei mari del sud, salva dalla violenta furia dell’uragano la sua famiglia e la moglie del governatore da cui è perseguitato. Con Jon Hall e Mary Astor. Di John Ford 1937 FURIA DEI TROPICI Durante un uragano, un ex pilota (Richard Widmark) riflette sui suoi fallimenti e sui suoi due amori, incarnati dalla bruna Linda Darnell e dalla bionda Veronica Lake. Di André de Toth 1949 CYCLONE Un aereo precipita nel triangolo delle Bermude a causa di un uragano. I superstiti devono vedersela con gli squali voracissimi che animano uno dei film più catastrofici degli anni Settanta. Di René Cardona Jr 1977 LA TEMPESTA PERFETTA George Clooney parte per una battuta di pesca. Ad attenderlo c’è la tempesta del secolo. Dal romanzo di Sebastian Junger. Di Wolfgang Petersen 2000