URAGANO 02 09 2005

Transcript

URAGANO 02 09 2005
VENERDÌ 2 SETTEMBRE 2005
LA REPUBBLICA 43
DIARIO
DI
DI
L’UOMO E LA DISTRUZIONE DEGLI ELEMENTI
Cosa ci accade
quando ci
troviamo
coinvolti
in un disastro
apocalittico?
olto spesso la natura ci
dimostra che la nostra
tecnologia non è che un
giocattolo e che in realtà è lei che
detiene il potere maggiore sul
pianeta, e può sollevare le acque, scatenare il vento e scuotere la terra.
Nel 1900, quello che fu forse il
più grande uragano di tutti i
tempi, spazzò via l’isola di Galveston, in Texas. Si sollevò dal
mare, investì l’isola e la sommerse, come la mitica Atlantide.
E ora un altro disastro, forse altrettanto terribile, ha distrutto
una delle più grandi città americane, una delle più grandi, importanti ed uniche città al mondo, New Orleans.
Peggio, potrebbe aver ucciso
e ferito migliaia di persone. A
questo punto, si può soltanto
sperare che le cifre siano esagerate, ma la logica suggerisce che
non lo siano. E, in effetti, esiste
la possibilità che la realtà sia
peggiore di quanto sospettiamo.
Gli scampati all’uragano si
stanno riversando nel Texas
orientale. E’ gente sotto shock,
come dopo un bombardamento. Hanno l’aspetto degli abitanti dell’Oklahoma della Dust
Bowl, negli anni ’30, la povera
gente di cui ha scritto Steinbeck,
annientata dalla siccità e dalla
Grande Depressione, ammassata sopra i tetti delle auto come
zecche attaccate alla groppa di
un cane, in fuga dalla vecchia vita, in cerca di una nuova. La differenza, questa volta, è che non
sono state la siccità e la Grande
Depressione ad averli spinti sulle autostrade. Si riversano nel
Texas orientale sferzati dal vento e zuppi d’acqua e ciò non accade come quando periscono i
raccolti o si fugge dalla Dust
Bowl. E’ accaduto in una lunga e
orribile notte mentre il vento
ululava e il mare si sollevava.
Molti di coloro che avevano
conosciuto gli uragani precedenti hanno deciso di non fuggire davanti alla tempesta. Ma in
confronto all’uragano Katrina,
quelli precedenti erano soltanto folate di vento forte. Rutti della natura. Questo è l’urlo della
natura.
Ad aggiungere altro orrore, gli
argini che tengono l’acqua lontana da New Orleans sono stati
travolti e l’acqua si è riversata
avventandosi, provocando una
buia inondazione biblica che ha
invaso quel catino al di sotto del
livello del mare che era New Orleans. Le condutture del gas si
sono rotte e sono scoppiati gli
incendi. Le fiamme lambiscono
ancora il cielo.
Mentre scrivo c’è gente in piedi sul tetto degli edifici che agita
le braccia o dei brandelli di abiti
oppure fa segnali in direzione
degli elicotteri che volano bassi
e quei segnali vogliono dire,
semplicemente, “aiutateci”.
Le telecamere degli elicotteri
di salvataggio ci mostrano uno
spettacolo che sembra la fine
del mondo. Per molti, lo è.
Se questo non fosse abbastanza, l’apparenza di civiltà si è
incrinata anch’essa e gli sciacalli, come branchi di lupi, hanno
preso il controllo di ciò che resta
di New Orleans, mentre la poli-
Storia di uno
sconvolgimento
climatico e della
paura che
provoca
tra la gente
URAGANO
Quando la natura si fa estrema
JOE R. LANSDALE
zia non ha le risorse per reagire.
Sono come pastori tristi che
guardano le loro pecore mentre
vengono divorate. Anche i poliziotti hanno perso le loro case e
le speranze e, molto probabilmente, il loro lavoro. Non c’è più
alcuna città da pattugliare. Questa città fatta di luci e di jazz, del
ritmo di Bourbon Street, è oggi
una città le cui strade sembrano
i canali di Venezia. Ma New Orleans non è più un luogo per turisti. E’ un residuo di un mondo
diventato umido e morto e, infine, sparito. L’uragano non ha
distrutto soltanto vite e palazzi,
ha annegato anche i sogni. Non
si tratta di aspettare che l’acqua
sparisca: i posti di lavoro e le case di molti, della maggioranza,
sono andati. Per sempre. Non vi
è nulla a cui fare ritorno. L’ottanta per cento della città è
sott’acqua e in molti punti l’acqua è profonda venti piedi.
Peggio ancora, gli sciacalli, facendosi strada su bidoni della
spazzatura galleggianti, su barche e zattere, hanno iniziato a
spostarsi in ciò che è rimasto in
piedi di New Orleans, nelle zone
rimaste ancora abitate, dove alla polizia potrebbe essere necessario sparare per uccidere
piuttosto che lasciare che i cri-
EDGAR ALLAN POE
IN MENO di un minuto l’uragano ci aveva raggiunti, in
meno di due il cielo si oscurò
del tutto e, sia per la cupezza del firmamento, sia
per lo spruzzare della spuma, si fece improvvisamente così buio che non riuscivamo più a vederci a vicenda, sul peschereccio. Sarebbe follia tentare di descrivere l’uragano che infuriava su di noi: neppure il più
vecchio lupo di mare norvegese poteva mai avere
esperimentato una simile tempesta. Avevamo ammainate le vele prima che la bufera ci cogliesse, ma al
primo soffio le nostre alberature furono scagliate fuori bordo come se qualcuno le avesse segate dalla base, e l’albero di maestra si portò con sé il più giovane
dei miei fratelli, che vi sia era aggrappato nel tentativo
di salvarsi. L’imbarcazione era meno di un fuscello in
quel mareggiare di acque. Il ponte era completamente coperto, a eccezione di un solo piccolo boccaporto in prossimità della prora, ed era sempre stata
nostra abitudine di chiudere questo boccaporto
mentre stavamo per attraversare lo Ström.
“
URAGANO.
“
Repubblica Nazionale 43 02/09/2005
M
minali prendano il sopravvento.
La gente si aggira tra ciò che rimane della I-10, l’unica grande
autostrada che attraversa New
Orleans, come zombie di un
film di George Romero. Un tempo le loro vite erano ricche di lavoro e di programmi, avevano
case piene di oggetti, e oggi
spingono carrelli della spesa o
ciò che sembrano essere contenitori per la biancheria, colmi di
ciò che rimane della loro vita.
Mentre coloro che possiedono un’auto si allontanano, la
gente a piedi, disperata, agita
bottiglie vuote, sperando in un
atto di gentilezza. A volte l’ottengono, ma più spesso, no; gli
automobilisti, anch’essi disperati, senza acqua e senza più
speranze, corrono via.
L’uragano non si è accontentato di New Orleans. Ha infuriato sul Mississippi e sull’Alabama e anche lì ha prodotto danni
gravissimi. In Mississippi i cadaveri stanno cominciando ad
accumularsi negli obitori, come
cataste di legna.
Ad aumentare la devastazione, si sta diffondendo il timore
di malattie per via dell’acqua
salmastra mescolata a quella
delle fognature e contaminata
dai corpi in decomposizione,
sia quelli degli esseri umani che
quelli degli animali. Il tifo e altre
malattie possono essere anche
peggiori dell’uragano stesso, facendo salire il totale delle vittime a cifre ancora più alte.
Gli scampati, in maggioranza
fuggiti con poco o senza denaro,
si affidano alla pietà del prossimo. Gli alberghi e i motel del
Texas orientale sono pieni all’inverosimile. Nell’osservatorio di Houston, in Texas, dove
molti sfollati sono stati ospitati
dal governo texano, non funziona più l’aria condizionata ed è
diventato come una gigantesca
sauna e, benché si sia sul finire
dell’estate texana, si soffoca. Le
toilettes sono fuori servizio. La
puzza è terribile.
Come se non bastasse, New
Orleans è uno dei principali
porti degli Stati Uniti, perciò le
merci, specialmente i prodotti
petroliferi, dovranno essere imbarcati altrove, in luoghi meno
raggiungibili, e questo provocherà un rialzo dei prezzi nel
quadro di un’economia già provata. A peggiorare ulteriormente le cose, gli impianti del gas e
della benzina sono stati distrutti o danneggiati dall’uragano, e
con il prezzo del petrolio che ha
già raggiunto i tre dollari a gallone, ci saranno ulteriori conseguenze per l’economia.
E cosa ne sarà di New Orleans?
La ripresa potrebbe richiedere anni, e al di là della ricostruzione, ci vorrà ancora più tempo
perché la città possa tornare ad
essere ciò che era. Una mecca
per gli amanti del jazz e un luogo dove la vita era dolce. New
Orleans è sempre stata conosciuta come “the Big Easy”. Non
c’è più nulla di dolce, adesso.
Alcuni si chiedono se si riprenderà mai. Molti dicono che
è la fine di New Orleans. Altri
pensano che gli sciacalli siano la
riprova di ciò che succede quando una società subisce un collasso. Qual è la nostra vera natura?
C’è speranza? E’ uno stereotipo dire che gli americani sono
duri e che sopravviveranno. E
sarebbe sciocco dire che tutti
coloro che hanno perso la loro
casa, i loro beni, una persona cara, torneranno ancora una volta
ad essere ciò che erano. Molti
non si riprenderanno mai.
Ma guardando le cose in un
quadro più ampio, quello stereotipo è vero. Molti dei sopravvissuti faranno qualcosa di più
che sopravvivere. Per tutti quelli che rubano e minacciano e uccidono, esistono migliaia di persone che durante questo orrore
hanno dimostrato grande coraggio. E molti altri che dimostrano generosità e gentilezza di
cuore. Camere d’albergo gratis.
Denaro regalato. Ospitalità nelle proprie case. Questa è la maniera texana. La maniera del
sud. La maniera americana.
Infine, come ha detto una volta un mio amico a proposito degli americani, «noi ce la caviamo. Facciamo quello che dobbiamo fare. E la maggior parte di
noi non dimentica mai che siamo anche umani».
(Traduzione di Antonella
Cesarini)
DIARIO
44 LA REPUBBLICA
LE DIVERSE
TEMPESTE
CICLONE
E’ una bufera di venti rotatori che si
addensano in un’area di bassa pressione.
La rotazione si svolge in senso antiorario
nell’emisfero nord e invece orario in quello
sud
URAGANO
Il termine è usato per definire un ciclone
tropicale dell’emisfero nord che può
superare i 200 chilometri orari. Sono
uragani i cicloni degli Usa. Il più violento
“Galveston” ha colpito il Texas nel 1900
VENERDÌ 2 SETTEMBRE 2005
TIFONE
Si tratta di un ciclone tropicale che si crea
sul Pacifico e sulle coste asiatiche. Nel
2004 il Giappone è stato investito da ben
otto tifoni che hanno devastato il paese
causando più di cento morti
DAL TIFONE ALL’URAGANO, LE DECLINAZIONI DI UNA PERTURBAZIONE VIOLENTA
IN QUANTI MODI
DICIAMO CATASTROFE
PASCAL ACOT
I LIBRI
JAMES G.
BALLARD
Il mondo
sommerso,
Feltrinelli
2005 /
Deserto
d’acqua, Tea
1989
ART BELL
WHITLEY
STRIEBER
La
temmpesta
globale,
Corbaccio
2004
JOSEPH
CONRAD
Tifone,
Einaudi 2003
(Bur Rizzoli
1992)
BILL
MCGUIRE
Guida alla
fine del
mondo,
Cortina
Raffaello
2003
HEATHER
GRAHAM
Hurricane
bay,
Mondadori
2003
Repubblica Nazionale 44 02/09/2005
ERIK
LARSON
Il tifone di
Galveston,
Garzanti
2001
RICHARD
HUGHES
Un ciclone
sulla
Giamaica,
Guanda
2001
DESMOND
BAGLEY
Uragano sui
Caraibi, Tea
2001
MIKE P.
DAVIS
Geografie
della paura,
Feltrinelli
1999
PAUL
AUSTER
Il paese delle
ultime cose,
Guanda 1996
RENÉ
THOM
Parabole e
catastrofi, Il
Saggiatore
1980
li Stati Uniti d’America
vacillano, travolti da una
catastrofe naturale i cui
effetti ricordano a momenti, e
per diversi aspetti, quelli dello
tsunami dell’Asia del Sud, alla
fine del 2004. E’ difficile comprendere come la più grande
potenza del mondo abbia potuto arrivare a tanto: l’intensità
della perturbazione non basta
infatti a spiegare quanto è accaduto. Non spiega ad esempio la
fragilità delle città e di alcune dighe del sud-est degli Stati Uniti,
dopo i molti allarmi, i cicloni e i numerosi
morti che si lamentano quasi
ogni anno in questi ultimi decenni;
e neppure i saccheggi nei maggiori agglomerati
urbani, o il fatto
che i poveri, tanto
numerosi nella regione, siano di gran
lunga i più colpiti.
Cerchiamo dunque
di fare il punto per capire meglio che cosa è
accaduto.
Questo fenomeno
atmosferico rientra
nel novero delle perturbazioni violente
che sempre si formano
nella zona intertropicale, in condizioni relativamente prevedibili –
mentre è assai più difficile pronosticarne la traiettoria, la durata e il grado massimo di intensità. In varie parti del pianeta si
usano termini diversi per designare lo stesso tipo di fenomeni:
si parla di “cicloni” nell’area
dell’Oceano Pacifico e del SudEst dell’Oceano indiano (“ciclone” deriva da un termine greco
che significa “circolo”, poiché la
depressione assume la forma di
un turbine). Nell’Atlantico del
Nord e nel mare dei Caraibi di
parla invece di “hurricane” o di
“uragano”, dallo spagnolo di
origine caraibica “huracán”, o
di «tornado». Il termine
“typhoon”, usato in Asia, deriva
dal cinese «t’aifong» (grande
vento). Dal 1978 i meteorologi
hanno smesso di battezzare
queste calamità con nomi
esclusivamente femminili; ora
li alternano a nomi maschili, da
quando alcune organizzazioni
femministe hanno fatto notare
che anche i maschi hanno a volte comportamenti imprevedibili e disastrosi…
La condizione essenziale per
dar luogo alla formazione e allo
sviluppo di un ciclone è che la
temperatura delle acque marine raggiunga almeno 27° C fino
a vari metri di profondità. Quest’ultimo punto è fondamentale. Attualmente è da escludere
che una situazione del genere
possa presentarsi nel Mediterraneo; nessuno dei paesi che si
affacciano su questo mare deve
ritenersi in pericolo. Evidentemente, se le temperature si elevassero durevolmente, la situazione potrebbe mutare; ma per
il momento si tratta di un’eventualità remota.
Quando sono presenti queste
particolari condizioni, come
avviene quasi ogni anno nel
Golfo del Messico, si ha un riscaldamento degli strati bassi
dell’atmosfera, e quindi delle
correnti ascendenti. Poi, quando il vapore acqueo si raffredda,
G
‘‘
,,
‘‘
,,
PERTURBAZIONI
SPIEGAZIONI
In varie parti del pianeta si usano
termini diversi, come ciclone,
tifone, uragano, per designare lo
stesso tipo di fenomeni
Per dar luogo alla formazione di un
uragano occorre che la temperatura
delle acque raggiunga almeno 27
gradi a vari metri di profondità
si formano per condensazione
cospicue nebulosità. Si tratta di
nubi del tipo “cumulonimbus”,
che possono raggiungere
15.000 metri, e in seno alle quali i venti acquistano un’eccezionale violenza. Persino i grandi
aerei di linea le evitano, dato che
le correnti contrastanti rischiano addirittura di strappare loro
le ali! Queste nubi si dispongono a corona intorno a una zona
potentemente depressionaria:
l’«occhio» del ciclone. Sotto l’effetto diretto della rotazione terrestre, il «muro dell’occhio», ossia la corona principale e i rami
a spirale della corona esterna
sono animati da un movimento
rotatorio. Nella corona esterna i
venti possono superare la velocità di 300 km orari. Alcuni grandi cicloni misurano ben mille
chilometri di diametro. Le dimensioni dell’occhio, paradossalmente calmo, variano dai 10
ai 100 km. Tuttavia, la violenza
di Katrina non basta a spiegare
tutto. Per dirla in termini semplici: una catastrofe non è mai
solo “naturale”. E’ il caso di ricordare che nel settembre 2004
due cicloni tropicali (battezzati
Ivan e Jeanne) hanno colpito
varie isole del Mare dei Caraibi e
del Golfo del Messico, tra cui
Haiti e Cuba, e devastato (già allora!) parte delle Florida e della
JOSEPH CONRAD
L’uragano aveva fatto
irruzione nella metodica
compostezza della sua
intimità. Un senso
d’angoscia lo assalì
Tifone
1901
EMILIO SALGARI
Un uragano violentissimo
imperversava sopra
Mompracem, isola
selvaggia, di fama sinistra,
covo di formidabili pirati
Le tigri di Mompracem
1900
Louisiana. Vi sono stati 2000
morti ad Haiti, ma anche un
centinaio di vittime negli Stati
Uniti, mentre i sei maggiori uragani che hanno colpito Cuba tra
il 1996 e il 2002 hanno provocato in tutto “solo” sedici morti.
L’organizzazione non governativa Oxfam International ha
analizzato allora questo paradosso, facendo notare alcune
«caratteristiche di tipo immateriale» specificamente cubane,
quali la mobilitazione delle comunità, la solidarietà e una preparazione specifica, rivolta all’infanzia e all’intera società, ai
rischi che fanno da sfondo alla
vita dei Caraibi. Questo breve
NAUFRAGHI
“Tempesta e
naufraghi”,
dipinto di
Giovanni
Battista
Pilment. A
sinistra una
stampa
dell’800 e “Il
giornale dei
Tifoni”
sguardo retrospettivo consente
di comprendere meglio Katrina
e i suoi effetti stupefacenti: ad
esempio, le compagnie elettriche nordamericane impiegheranno alcuni mesi per ripristinare ovunque la corrente elettrica; molti profughi potranno
tornare alle loro case solo tra varie settimane, e la Guardia Nazionale non riesce a contenere
le scorribande dei saccheggiatori!
Forse le catastrofi climatiche
sono innanzitutto disastri sociali.
Traduzione di Elisabetta
Horvat
LA SCOPERTA DI DUE SCIENZIATI DELLA NASA
QUELLE “TORRI BOLLENTI”
CHE PRECEDONO IL DISASTRO
S
ono chiamati uragani nell’Atlantico, tifoni nel Pacifico occidentale e cicloni tropicali dappertutto. Ma ovunque si aggirino queste
tempeste, oggi le forze che le determinano sono un po’ meno misteriose.
Grazie alla scoperta delle “torri bollenti” da parte di scienziati della Nasa, che hanno utilizzato i dati forniti
dal satellite Trmm (Tropical Rainfall
Measuring Mission). Owen Kelley e
John Stout hanno trovato che le nuvole battezzate “torri bollenti” sono
associate con l’intensificazione dei
cicloni tropicali.
I due ricercatori del Centro Goddard per i voli spaziali della Nasa e
dell’Università George Mason, definiscono “torre bollente” una nuvola
(del tipo cumulonembo) che raggiunga almeno il vertice della troposfera, lo strato più basso dell’atmosfera. Questa zona si estende fino a
circa 14,5 km di altitudine nelle regioni tropicali. Le torri vengono chiamate “bollenti” perché salgono fino a
una tale quota grazie alla grande
quantità di calore latente che incorporano. Il vapore acqueo rilascia questo calore quando si condensa e passa allo stato liquido. Una “torre bollente” particolarmente alta si alzò sopra l’uragano Bonnie nell’agosto del
1998 proprio mentre la tempesta si
intensificava pochi giorni prima di
colpire e devastare la Carolina del
nord.
«La nostra ricerca – ha detto Kelly –
DIARIO
VENERDÌ 2 SETTEMBRE 2005
TORNADO
Il fenomeno delle trombe d’aria è
caratteristico dei tropici, ma non è raro alle
nostre latitudini. Si sviluppa a spirale e
nella parte più esterna può anche
superare i 400 chilometri orari
LA REPUBBLICA 45
TROMBA MARINA
E’ un mulinello di vento, originato dai
cicloni, che si forma sul mare e innalza
grandi colonne d’acqua a notevoli altezze.
È difficile che una tromba marina superi gli
80 chilometri orari
DIAVOLI DI POLVERE
Sono piccole colonne d’aria calda che si
avvitano su se stesse senza raggiungere
grandi altezze. Sono tipici dei deserti ma si
possono formare anche sui ghiacci
sollevando la neve a livello del suolo
VIAGGIO TRA GLI ABISSI LETTERARI: POE, CONRAD E MELVILLE
PICCOLE APOCALISSI
TRA CIELO E MARE
SERGIO GIVONE
in cielo, in terra e in ogni
luogo, si diceva un tempo di Dio, e lo stesso potrebbe dirsi del punto in cui ha
origine lo scatenamento degli elementi naturali. Questo iniziale
centro di forza ci sfugge. Infatti
noi conosciamo la violenza estrema della natura solo attraverso le
sue manifestazioni. Può essere
l’uragano, il tifone, che si abbatte
ex alto sulla terra devastandola e
trascinando con sé tutto ciò che
incontra. Oppure, il gorgo, il vortice, il maelström, che apre nel
mare un pozzo senza fondo e lo
apre ab imis, a partire dalle più remote profondità. Ma c’è anche lo
tsunami, l’onda che scivola immensa e onnipotente in orizzontale, magari sotto un cielo di cobalto e su acque tranquille, ma
non perciò meno distruttiva.
La scienza ha identificato
almeno in parte le cause di
questi fenomeni e quindi è in
grado di darne una spiegazione adeguata. Ciò non toglie che la loro origine resti
per noi irraggiungibile e inafferrabile. Noi comunque non
possiamo intervenire su di essa. Ed è sicuramente questa la
ragione per cui la grande letteratura e l’arte (e prima ancora la religione) hanno investito di un alto
valore simbolico quel punto misterioso e abissale, dove ha inizio
qualcosa che incombe sull’uomo
e ne svela i limiti. Al punto che in
questione non è propriamente la
natura, ma l’uomo e la sua capacità di fare esperienza di sé e del
mondo anche quando questa
esperienza è destinata a finire nel
nulla.
Nessuno ha posto questo problema in modo più geniale di Edgar Allan Poe. Quella del suo Gordon Pym, il marinaio che scende
nel maelström, è da lui definita
un’avventura. Ma che avventura
è un’avventura senza ritorno? e
che dunque non può essere raccontata, o se lo è, lo senza alcun
rapporto con la realtà vissuta? Poe
propone alcune ipotesi alternative. Lo spazio, suggerisce, non è
come sembra finito, cioè definito
da confini, e infatti l’abisso è per
E’
Repubblica Nazionale 45 02/09/2005
GLI AUTORI
Pascal Acot, del
Crns, è autore di Storia del clima (Donzelli). Sergio Givone
insegna Estetica a Firenze. Di Joe R. Lansdale l’editore Fanucci ha appena
pubblicato Il lato
oscuro dell’anima. Il
Sillabario di Edgar
Allan Poe è tratto da
Una discesa nel
Maelström, dai Racconti (Bur Rizzoli)
I DIARI ON LINE
Tutti i numeri del
“Diario” di Repubblica sono consultabili in Rete al sito
www.repubblica.it,
nella sezione “Cultura e spettacoli”. I lettori troveranno riprodotte le pagine
con tutte le illustrazioni di questo strumento di approfondimento sui temi
chiave del nostro
tempo.
‘‘
,,
IL MALE
In “Tifone” Conrad si chiede come
si fa a descrivere ciò ci toglie le
parole. Ma questo è il solo modo
per parlare della potenza del nulla
definizione senza fondo. Ma se lo spazio non è come
sembra, anche il tempo potrebbe
non esserlo. Sembra irreversibile,
il tempo: e se invece fosse reversibile? In questo caso potremmo
immaginare un racconto per bocca di chi teoricamente non sarebbe più in grado di raccontare alcunché, racconto che incomincia
dall’aldilà della sua conclusione... Precisamente quello che Poe
si accinge a scrivere per conto di
Gordon Pym.
Per più di un verso appare analogo l’atteggiamento di Joseph
Conrad di fronte all’uragano. In
Tifone Conrad introduce fra le righe domande del tipo: come si fa
HURRICANE
“Hurricane”,
dipinto di
Bettie Jean
Bordelon
DANIEL DEFOE
“La Bocca della Senna
a Quilleboeuf” dipinto
del 1833 di Joseph
Mallord William Turner
è motivata dal fatto che predire la nascita di un ciclone tropicale non è sufficiente. Vogliamo anche migliorare
la nostra capacità di prevedere l’intensità della tempesta e il danno che
può provocare se colpisce la costa». I
due scienziati hanno lavorato sulla
scorta degli studi pioneristici di altri
due ricercatori, Joannne Simpson e
Jeffrey Halverson, che già avevano
concentrato la loro attenzione su
questo particolare tipo di nubi. Kelley e Stout hanno compilato una serie di statistiche globali sulla occorrenza delle torri bollenti dentro i cicloni tropicali, grazie al satellite
Trmm, che ha permesso loro di guardare all’interno delle “torri” e non solo di poterle osservare dall’alto. E
hanno trovato che un ciclone tropicale con una “torre bollente” ha il
doppio delle probabilità di intensificarsi nell’arco di sei ore rispetto a uno
che non ne abbia. Le “torri bollenti”
si trovano nell’anello di nubi che circonda “l’occhio del ciclone”, la zona
centrale caratterizzata da una calma
relativa.
Copyright Nasa
Questo uragano
soffiò in modo così
terribile che per dodici
giorni non potemmo fare
altro che andare alla deriva
Robinson Crusoe
1719
LOUIS FERDINAND CÈLINE
Sopraggiunsero due
uragani in successione, il
secondo durò tre giorni e
soprattutto tre notti. Si
bevve finalmente pioggia
Viaggio al termine della notte
1932
a descrivere ciò che toglie di mezzo la possibilità di fissare le cose in
una forma? Come si fa a nominare ciò ci rende attoniti e anzi ci toglie la parola? In realtà secondo
Conrad è questo il solo modo di
portare alla luce il negativo e addirittura la potenza del nulla. Potenza che non potremmo neppure riconoscere, se noi fossimo
quel che crediamo di essere. Invece siamo impastati di negatività,
di tenebra, e la tenebra è figlia del
nulla. Nella potenza della negazione e del nulla noi riconosciamo ciò che ci appartiene più intimamente.
Anche lo tsunami ha avuto i
suoi poeti. A ben vedere è dello
tsunami che ci parla Hermann
Melville, quando descrive lo
sbigottimento dei marinai di
fronte all’improvviso levarsi
dal mare calmo di un muro
d’acqua, vera e propria cifra
di quel mistero che è nascosto nelle profondità marine e
che l’uomo non può conoscere se non perdendosi in esso. Ed è una specie di tsunami
l’analoga colonna liquida che
si leva di fronte alla nave di
Ulisse prima di inghiottirla. Da
notare che nel passo dantesco a
tutti noto “virtù e conoscenza”
sono esplicitamente messe in
rapporto con la sfida all’abisso –
quell’abisso dal quale tuttavia
non c’è scampo.
Dunque, in questione è la possibilità di sperimentare ciò che
non solo si sottrae a noi, ma, come
accade esemplarmente nella
morte, si sottrae a noi tanto da sottrarre noi a noi stessi. E’ ancora
uno sperimentare questo? Forse
sì, forse no. Più no che sì, eppure… Lo sapeva già, e lo sapeva
molto bene, Virgilio. Facilis descensus ad Avernos / difficilior revocare gradum, si legge nel VI libro dell’Eneide. Tutto sommato è
facile sprofondare negli abissi, infernali o meno che siano, più difficile tornare indietro. Più difficile, ma non impossibile. Sigmund
Freud, la cui opera è intitolata a un
progetto del genere, proprio a Virgilio fece ricorso per illustrarne il
senso: Flectere si nequeo superos,
Acheronta movebo.
Del resto saranno i romantici,
prima di Freud, a concepire la letteratura come un viaggio negli
abissi che proprio in quanto tale si
configura come viaggio a rischio.
Ci si può perdere. Per lo più ci si
perde. Ma che importa? Così non
fosse, non sarebbe un viaggio nell’abisso. Uno strano, patetico
abisso è quello di cui si conosce il
fondo e da cui perciò si è sicuri di
tornare. Vogliono andare all’inferno? diceva Hegel dei romantici. Ci vadano e ci restino. Ma i romantici ne erano perfettamente
consapevoli. Da allora in poi nel
cielo della letteratura brillerà una
nuova stella. Che non è più una
stella. Infatti non è più lì per orientare, ma semmai per disorientare,
per aprire uno squarcio nel tessuto del mondo, per far cenno verso
l’ignoto, verso l’infinito, o per dirla con uno di loro, Friedrich Schlegel, «verso ciò che si sottrae eternamente alla coscienza».
Volenti o nolenti da allora siamo sospinti verso l’idea che il
punto iniziale da cui la realtà scaturisce sia inabissato in un cielo
remoto, troppo remoto per essere
raggiunto da noi, o in una profondità da cui si scatenano forze e potenze che ci sovrastano. E noi a
chiederci, come sempre: da dove,
da dove? Unde malum?
I FILM
URAGANO
Terangi, un
indigeno dei
mari del sud,
salva dalla
violenta furia
dell’uragano
la sua
famiglia e la
moglie del
governatore
da cui è
perseguitato.
Con Jon Hall
e Mary Astor.
Di John Ford
1937
FURIA DEI
TROPICI
Durante un
uragano, un
ex pilota
(Richard
Widmark)
riflette sui
suoi
fallimenti e
sui suoi due
amori,
incarnati
dalla bruna
Linda Darnell
e dalla
bionda
Veronica
Lake.
Di André de
Toth
1949
CYCLONE
Un aereo
precipita nel
triangolo
delle
Bermude a
causa di un
uragano. I
superstiti
devono
vedersela
con gli squali
voracissimi
che animano
uno dei film
più
catastrofici
degli anni
Settanta.
Di René
Cardona Jr
1977
LA
TEMPESTA
PERFETTA
George
Clooney
parte per una
battuta di
pesca. Ad
attenderlo
c’è la
tempesta del
secolo. Dal
romanzo di
Sebastian
Junger.
Di Wolfgang
Petersen
2000