atti degli apostoli

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ATTI DEGLI APOSTOLI
Introduzione
Abbiamo visto, con gran beneficio per le nostre anime, la nascita della «religione
pura» (Gm 1:27) nella storia del nostro amato Salvatore – che ne è il fondatore – nel
racconto che ce ne danno i quattro scrittori ispirati dei Vangeli, i quali concordano sulla
santa verità e sulle sue incontestabili prove secondo cui Gesú è il Cristo, il Figlio del
Dio vivente. Ed è su questa roccia che la Chiesa cristiana è stata edificata (cfr. Mt
16:16-18). Il libro che adesso ci si accinge a studiare racconta come ebbe inizio questa
costruzione, e lo fa con la testimonianza di un solo scrittore. Infatti, era necessario riferire e testimoniare, in modo piú ampio, sull’opera di Cristo che non su quella degli
apostoli. Se l’infinita Saggezza divina l’avesse ritenuto opportuno ci avrebbe dato tanti
libri concernenti gli Atti degli Apostoli quanti sono i Vangeli, o quanti avrebbero potuto essere, ma, per timore di sovraccaricare il mondo (cfr. Gv 21:25), essa ci ha dato
quanto è sufficiente per raggiungere i suoi scopi, a condizione che noi ci applichiamo
per trarne beneficio. La storia raccontata in questo libro – che è sempre stato accettato
come parte del canone sacro – può essere considerata:
I. Con lo sguardo rivolto all’indietro, ossia ai Vangeli su cui getta luce, rafforzando
la nostra fede in essi. Le promesse fatte nei Vangeli giungono, infatti, a compimento
nel libro degli Atti, soprattutto quella riguardante l’effusione dello Spirito Santo e le
sue potenti operazioni, sia sugli apostoli – che qui troviamo, dopo pochi giorni, trasformati in uomini ben diversi da quelli che abbiamo lasciato nei Vangeli, non piú deboli di mente e di cuore, ma capaci di proclamare ad alta voce ciò che prima non avevano avuto il coraggio di balbettare (Gv 16:12), audaci come leoni nell’affrontare
quelle persecuzioni al cui solo pensiero avevano tremato come agnelli – sia con gli
apostoli, rendendo potente la parola predicata per abbattere le roccaforti di Satana,
che, al confronto, quella predicata in precedenza sembra vuota. Qui, il mandato affidato agli apostoli diventa esecutivo, e i poteri loro conferiti sono esercitati mediante i
miracoli operati sulle persone: miracoli di misericordia che donano salute ai malati e
vita ai morti; miracoli di giudizio che colpiscono i ribelli accecandoli o facendoli morire; miracoli ancora maggiori operati nella mente delle persone con il conferimento
dei doni dello Spirito Santo sia di potenza soprannaturale che di parola soprannaturale.
Ciò testimonia l’adempimento dei piani e delle promesse di Cristo come li leggiamo
nei Vangeli. Le prove della risurrezione di Cristo con cui si concludono i Vangeli vengono qua ampiamente confermate, non solo dalla costante e coraggiosa testimonianza
di coloro che avevano parlato con lui dopo che era risorto (questi lo avevano abbandonato e uno di loro lo aveva anche rinnegato, e non sarebbero potuti essere reintegrati
se non ci fosse stata la risurrezione, ma si sarebbero irrimediabilmente dispersi; invece,
proprio in virtú di essa, furono resi capaci di confessarlo piú risolutamente che mai,
senza temere la prigione o la morte) ma anche dall’azione esercitata dallo Spirito Santo
attraverso la loro testimonianza per la conversione di molte persone alla fede in Cristo.
Si adempiva cosí la parola di Cristo secondo cui la sua risurrezione, il segno del profeta Giona riservato per la fine, avrebbe costituito la prova piú convincente della sua
missione divina (cfr. Mt 12:39). Cristo aveva detto ai suoi discepoli che essi dovevano
essere suoi testimoni, e questo libro li ritrae, in qualità di pescatori d’uomini, mentre
testimoniano per Lui. Cosí li vediamo raccogliere nella rete dell’Evangelo moltitudini
di persone che dovevano divenire luci del mondo, mentre vediamo il mondo illuminato
da loro. La luce del giorno, di cui nei Vangeli avevamo scorto i primi bagliori, diventa
qui sempre piú splendente (cfr. Pr 4:18). Il seme di grano che era caduto sul terreno qui
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germoglia e porta molto frutto; il granello di senape diventa un grande albero; il regno
dei cieli, che nei Vangeli era vicino, ora è instaurato. La predizione di Cristo secondo
cui i predicatori del Vangelo sarebbero andati incontro a terribili persecuzioni, si avvera (benché sia difficile capire come una dottrina cosí degna di essere accettata abbia
suscitato una cosí forte opposizione) e si compiono anche le assicurazioni di Gesú che
avrebbe sostenuto e confortato i predicatori in modo straordinario nelle loro sofferenze
(cfr. Gv 16:33). Perciò, come l’ultima parte dell’Antico Testamento certifica l’adempimento delle promesse fatte ai patriarchi all’inizio (come appare dalla solenne dichiarazione di Salomone: non una delle buone promesse da lui fatte per mezzo del suo
servo Mosè, è rimasta inadempiuta, 1 R 8:56) cosí quest’ultima parte della storia del
Nuovo Testamento corrisponde esattamente a quanto Gesú aveva detto, in modo che le
due parti si confermano reciprocamente.
II. Con lo sguardo rivolto in avanti, ossia alle epistole che ci aiutano a comprendere
il messaggio dei Vangeli e ci svelano i misteri della morte e della risurrezione di Cristo.
Il libro degli Atti introduce le epistole e, in qualche modo, ne è la chiave d’accesso,
cosí come la storia di Davide lo è per i suoi Salmi. Noi siamo membri della Chiesa
Cristiana, il tabernacolo di Dio con gli uomini (Ap 21:3), ed è per noi un privilegio e
un onore esserlo. Il libro degli Atti ci dà un resoconto dell’edificazione di questo tabernacolo. I Vangeli ci hanno mostrato come le fondamenta di questo edificio siano
state poste, mentre questo libro ci mostra come si iniziò a erigere la sua struttura:
1. Tra gli Ebrei e i Samaritani, come ci è riferito nella prima parte del libro;
2. Tra i Gentili, come ci è riferito nell’ultima parte: da allora, e fino ai nostri giorni,
troviamo la Chiesa Cristiana che professa la propria fede in Cristo, come Figlio di Dio
e Salvatore del mondo, fatta dai suoi membri battezzati che si incontrano in riunioni di
culto, perseverano nella dottrina apostolica, stanno insieme per pregare e per spezzare
il pane sotto la guida e la presidenza di uomini consacrati alla preghiera e al ministero
della Parola, in comunione spirituale con tutti coloro che, in ogni parte del mondo,
fanno lo stesso. Per noi è un privilegio appartenere a questo corpo che, ancora oggi, è
nel mondo; ed è motivo di gioia trovare qui il racconto delle sue origini e del suo sviluppo che lo differenziano fortemente dalla sinagoga ebraica sulle cui rovine è stato
edificato. Esso appare in maniera incontrovertibile opera di Dio e non dell’uomo. Con
fiducia e serenità possiamo progredire nella nostra professione di fede e restarvi ancorati nella misura in cui essa concorda con il modello che qui ci è presentato, e al quale
dobbiamo conformarci e attenerci scrupolosamente! Ancora su due punti è opportuno
soffermare la nostra attenzione a proposito di questo libro:
(a) Lo scrittore è stato Luca, che è anche l’autore del terzo Vangelo omonimo. Come
ha dimostrato il Dott. Whitby, Luca era stato probabilmente uno dei settanta discepoli
il cui mandato era di poco inferiore a quello dei dodici apostoli (Lu 10:1). Egli fu compagno di Paolo, soprattutto nel suo ministero e nelle sue sofferenze solo Luca è con me,
2 Ti 4:10). Possiamo dedurre dallo stile dell’ultima parte del libro degli Atti, quando e
dove gli fu accanto, dal momento che fa uso della prima persona plurale (cfr. At 16:10;
20:6). Perciò, Luca fu con Paolo nel tormentato viaggio verso Roma, dove l’apostolo
fu portato come prigioniero, e fu con lui durante la sua prigionia. Infatti, quando Paolo
scrisse le sue lettere ai Colossesi e a Filemone nominò Luca. Non solo, ma sembrerebbe che Luca abbia scritto il libro degli Atti proprio mentre si trovava a Roma con
Paolo, che egli assisteva durante la prigionia. Infatti il racconto si conclude con la predicazione di Paolo tenuta a Roma nella casa da lui presa in affitto (At 28:30).
(b) Il titolo è «Atti degli Apostoli» o «Atti dei santi Apostoli» secondo la lettura che
ne danno alcuni manoscritti greci minuscoli. Ed è cosí che gli apostoli vengono chiamati in Apocalisse: Rallegrati su di essa, o cielo, e voi santi apostoli (Ap 18:20). In
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altri pochi codici in minuscola il titolo è: «Gli Atti dei santi Apostoli scritti da Luca l’evangelista». [1] È la storia degli apostoli, ma vi sono anche le storie di Stefano, di
Barnaba e di altri che, per quanto non avessero fatto parte dei «Dodici», erano stati riempiti dallo stesso Spirito Santo e svolgevano la stessa opera. Per quanto riguarda gli
apostoli, si parla solo di Pietro e di Paolo (quest’ultimo ormai era uno di loro). Pietro
è presentato come l’apostolo della circoncisione, e Paolo come l’apostolo dei Gentili
(Ga 2:7). La loro storia è comunque sufficiente per esemplificare anche quanto fecero
gli altri apostoli in altri luoghi nel perseguimento del loro mandato, giacché non c’era
alcun pigro tra loro. Se pensiamo che quanto i Vangeli ci dicono su Cristo sia sufficiente, dal momento che la Saggezza infinita ha ritenuto bene cosí, lo stesso vale per
quanto ci viene detto sugli apostoli e sulle loro vicende. Ciò che la tradizione aggiunge
sulle loro fatiche, sulle loro sofferenze e sulle chiese che alcuni di loro avrebbero fondato è assai discutibile (ad esempio il fatto che Pietro abbia fondato la chiesa di Roma
e ne sia stato il conduttore). Ritengo che non si possa edificare niente di valido su
quella base. Il racconto degli Atti è oro, argento e pietre di valore costruite sul fondamento, mentre le tradizioni sono semplicemente legno, fieno e paglia (cfr. 1 Co 3:1113). [2] Sono gli atti, ossia le azioni, degli apostoli, le Gesta apostolorum, il modo in
cui hanno messo in pratica le lezioni che il Maestro aveva loro insegnato. Gli apostoli
erano uomini d’azione e, per quanto si servissero della parola per compiere i loro miracoli, questi sono giustamente chiamati i loro atti: essi parlavano o, piuttosto, lo Spirito
Santo per mezzo di loro disse e la cosa fu. Il libro degli Atti contiene tanti loro sermoni
e racconta di tante loro sofferenze. Certo, essi si affaticarono molto nella predicazione
e affrontarono di buon animo la sofferenza tanto che può benissimo definirsi i loro atti.
CAPITOLO 1
Lo storico ispirato inizia il libro degli Atti:
I. Con un riferimento all’Evangelo e un breve
riepilogo della storia della vita di Cristo, dedicando il libro al suo amico Teofilo come aveva
fatto per il suo omonimo Evangelo (vv. 1, 2);
II. Con un riassunto delle prove attestanti la risurrezione di Cristo, il suo incontro con i discepoli
e le istruzioni che Cristo diede loro durante i quaranta giorni della sua permanenza sulla terra (vv.
3-5);
III. Con la particolareggiata narrazione dell’ascensione al cielo di Cristo, nonché il dialogo che i
discepoli ebbero con Cristo, prima di tale ascensione, e con gli angeli, dopo l’ascensione (vv. 6-11);
IV. Con un quadro sommario della chiesa cristiana allo stato embrionale, e delle sue condizioni
dall’ascensione di Cristo fino alla discesa dello
Spirito Santo (vv. 12-14);
V. Con una descrizione particolareggiata del riempimento del vuoto che si era determinato nel collegio dei Dodici in seguito alla morte di Giuda mediante l’elezione di Mattia al suo posto (vv. 15-26).
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In questo paragrafo possiamo notare:
I. Il libro è indirizzato a Teofilo, e a noi
con lui. Non solo, ma vi è anche un riferimento all’Evangelo di Luca sul quale sarà
utile fissare lo sguardo prima di iniziare
lo studio de libro degli Atti. Possiamo
cosí constatare non solo che il libro degli
Atti inizia proprio dove l’Evangelo si
conclude, ma anche che, come il viso si
riflette nell’acqua (Pr 27:19, NR), lo
stesso avviene per gli atti degli apostoli
nei confronti degli atti del loro Maestro,
cioè gli atti della sua grazia.
1. Il libro è dedicato al suo paladino,
Teofilo (dovrei dire piuttosto il suo discepolo dal momento che Luca, nel dedicargli il libro, si proponeva di istruirlo e di
guidarlo, e non di sollecitarne la protezione). Nella dedica con cui inizia il suo
Evangelo, Luca lo aveva chiamato eccellentissimo Teofilo (Lu 1:3), mentre qui lo
chiama semplicemente o Teofilo, non perché questi avesse perso la sua fama di eccellenza e fosse diventato un personaggio
meno ragguardevole, ma forse perché non
occupava piú la posizione precedente,
qualunque essa fosse stata, che gli aveva
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dato diritto a quel titolo; oppure forse perché, con l’avanzare dell’età, vi teneva
assai meno che in passato. Ma può anche
darsi che Luca avesse stretto con lui rapporti di piú stretta amicizia che gli consentivano di rivolgersi a lui con maggiore
libertà. A quel tempo era diffusa la pratica
per gli scrittori, di dedicare le proprie
opere a una persona specifica, e il fatto
che alcuni libri facenti parte delle
Scritture contengano una dedica, ci impone di riceverli come indirizzati a noi
personalmente. Infatti tutte queste cose
sono state scritte per ammonire noi (1 Co
10:11, NR).
2. Il suo omonimo Evangelo viene qua
chiamato il mio primo libro, quasi a indicare uno stretto legame tra le due opere,
come dire, un proseguimento e la conferma del racconto precedente (gr. tòn
proton lógon). I discorsi riportati nei
Vangeli sono assolutamente veritieri; e
non esistono discorsi veritieri che non
siano stati trascritti, poiché essi contengono tutto quello che Gesú prese a fare e
ad insegnare (v. 1). Pertanto, rifiutiamo di
accettare come ortodosso ciò che non
concorda con quanto è stato scritto nella
Parola di Dio. Luca aveva già scritto il
primo volume, ma ora è divinamente ispirato a scriverne un altro, poiché i seguaci
di Cristo devono tendere alla perfezione
(Eb 6:1) e i conduttori devono aiutarli in
questo, insegnando al popolo la conoscenza (cfr. Os 4:6; Ef 4:11-15) e non ritenere che le loro precedenti fatiche, per
quanto buone, li esonerino da ulteriori fatiche. Costituisce per loro un incoraggiamento e un esempio il fatto che Luca,
dopo aver posto le fondamenta in un libro
precedente, si accingesse a costruire su di
esse con questo secondo volume.
Carissimi, non sostituiamo mai l’antico
con il nuovo, non dimentichiamo i sermoni e i libri del passato per sostituirli
con quelli moderni, ma consideriamo
questi ultimi come una continuazione dei
precedenti affinché dal punto al quale
siamo arrivati, continuiamo a camminare
per la stessa via (Fl 3:16).
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Introduzione
3. Il contenuto dell’Evangelo di Luca
consiste in tutto quel che Gesú prese a
fare e ad insegnare (v. 1). Lo stesso dicasi
anche per gli altri scritti. Questa espressione, ci dice diverse cose:
(a) Cristo insegnava e operava. La dottrina che insegnava trovava riscontro
nelle sue azioni miracolose le quali attestavano che egli era un dottore venuto da
Dio (Gv 3:2). Ed egli ci ha lasciato un
esempio di ciò, poiché li riconoscerete
dai loro frutti (Mt 7:16, 20). I migliori
servitori di Dio sono quelli che agiscono
e insegnano, ossia quelli la cui vita è un
sermone costante.
(b) Cristo ha posto le basi di tutto ciò
che sarebbe stato insegnato e fatto nella
Chiesa Cristiana. Gli apostoli dovevano
portare avanti e continuare ciò che egli ha
iniziato, facendo e insegnando le stesse
cose. Cristo diede loro l’avvio e poi li lasciò proseguire, ma mandò il suo Spirito
per dar loro potenza sia nell’azione che
nell’insegnamento. È motivo di conforto
per chi si impegna di portare avanti l’opera dell’Evangelo, sapere che fu proprio
Cristo a darvi inizio. La grande opera di
salvezza, infatti, è stata annunziata prima
dal Signore (Eb 2:3).
(c) I quattro evangelisti, e Luca in particolare, ci hanno trasmesso tutto quel che
Gesú prese a fare e ad insegnare, ma non
tutti i particolari perché il mondo non
avrebbe potuto contenerli (cfr. Gv 21:25).
In realtà i quattro evangelisti, ci hanno
trasmesso tutte le cose essenziali, ossia
una grande quantità e varietà di episodi
tale da darci un’idea del resto. Nei
Vangeli abbiamo la narrazione della
prima predicazione di Cristo (Mt 4:17) e
del suo primo miracolo (Gv 2:11). Luca
ha tenuto conto dell’intero operato e di
tutti gli insegnamenti di Gesú, dandoci
cosí un’idea generale, pur non trasmettendoci ogni dettaglio.
4. Il periodo della storia che è oggetto
della narrazione dei Vangeli termina con
il giorno in cui Gesú fu assunto in cielo
(v. 2). Fu in questo momento che egli lasciò fisicamente questo mondo.
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L’Evangelo di Marco si conclude infatti
affermando che Gesú fu assunto in cielo
(Mr 16:19) e lo stesso dicasi per quello di
Luca (Lu 24:51). Cristo continuò a operare e ad insegnare fino all’ultimo, finché
venne assunto all’altra opera che egli
avrebbe compiuto oltre la cortina.
II. Viene ribadita e dimostrata la veridicità della risurrezione di Cristo (v. 3).
La parte di ciò che era stato scritto nel
primo libro era tanto essenziale che si
rendeva necessario ripeterla in ogni occasione. La prova della risurrezione fu che
egli si presentò vivente con molte prove ai
suoi apostoli: essendo vivo, si presentò
come tale facendosi vedere da loro. Gli
apostoli erano persone di provata sincerità della cui testimonianza ci si può senz’altro fidare, ma ci si può chiedere se
non fossero stati ingannati, come può accadere a chiunque. No, essi non furono
ingannati poiché:
1. Le prove erano ineccepibili (gr. tekmerion) sia per quanto riguarda il fatto
che egli fosse vivente (camminò, parlò,
mangiò e bevve con gli apostoli) sia perché si trattava proprio di lui e non di un
altro dato che mostrò loro ripetutamente
le ferite sulle mani, sui piedi e sul costato,
il che costituiva la prova piú decisiva che
si potesse dare o che potesse essere richiesta.
2. Le prove furono molte e ripetute: si
fece veder da loro per quaranta giorni (v.
3), non stando del continuo con gli apostoli, ma apparendo loro spesso tanto da
cancellare la tristezza della sua partenza.
Il fatto che Gesú, ormai entrato in una
condizione di gloria e di esaltazione, si
fermasse ancora sulla terra allo scopo di
rafforzare la fede dei suoi discepoli e di
recare conforto ai loro cuori, è un esempio della sua premura e della sua compassione nei confronti dei credenti, e ci dà la
ferma certezza di avere un Sommo
Sacerdote che può, simpatizzare con noi
nelle nostre infermità (Eb 4:15).
III. Un cenno sulle istruzioni che
Cristo impartí ai discepoli nel momento
di lasciarli. Discepoli che furono resi ca-
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paci di comprenderle allorché Cristo soffiò su di loro lo Spirito Santo (Gv 20:22)
e aprí loro la mente per intendere le
Scritture (Lu 24:45).
1. Cristo istruí i suoi sull’opera che
avrebbero dovuto compiere. Egli diede
mediante lo Spirito Santo dei comandamenti agli apostoli che aveva scelto (v. 2).
Teniamo presente che quando Cristo sceglie qualcuno gli affida sempre un compito. Quelli che aveva scelto si aspettavano forse un trattamento di favore, invece egli diede loro dei comandamenti. È
come se «un uomo, andando in viaggio,
lasciasse la sua casa e ne desse la potestà
ai suoi servitori, a ciascuno il compito
suo» (Mr 13:34). Egli diede mediante lo
Spirito Santo dei comandamenti, ossia
mediante quello Spirito di cui egli era ripieno e che aveva soffiato su di loro. Nel
donare lo Spirito Santo, Cristo diede ai
discepoli anche i suoi comandamenti
giacché il Consolatore avrebbe dovuto essere una guida, poiché il suo compito sarebbe stato di «ricordare tutto quello che
Cristo aveva detto» (Gv 14:26). Quando
avvenne questo? Nel momento in cui
Cristo soffiò su di loro e disse: Ricevete lo
Spirito Santo (Gv 20:22). In quel momento essi ricevettero il sigillo dello
Spirito Santo, ma egli non fu assunto in
Cielo, prima di avere affidato loro il mandato, e cosí concluse la sua opera.
2. Egli li istruí a proposito della dottrina che dovevano predicare, parlando
delle cose relative al regno di Dio (v. 3).
Già aveva dato loro un’idea generale del
regno e del tempo in cui esso sarebbe
stato instaurato (Mr 13), ma qui li istruí
piú sulla sua natura di regno di grazia in
questo mondo e di regno di gloria nei
cieli, e rivelò loro quell’alleanza che è il
grande piano divino nel quale era incluso.
Ciò aveva lo scopo di:
(a) Prepararli a ricevere il battesimo
nello Spirito Santo e a procedere secondo
il piano prefissato per loro. Egli disse loro
in segreto ciò che avrebbero dovuto dire
al mondo, e in seguito essi si sarebbero
resi conto che lo Spirito di verità, una
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volta venuto, avrebbe detto le stesse cose
(cfr. Gv 16:13).
(b) Costituire una delle prove della risurrezione di Cristo: i discepoli, cui si
mostrò vivente, non lo riconobbero soltanto per ciò che egli mostrò loro, ma
anche per ciò che egli disse. Nessuno, se
non lui, avrebbe potuto parlare in modo
cosí chiaro ed esaustivo delle cose relative al Regno di Dio. Non li intrattenne
con discorsi di natura sociologica, politica o filosofica, ma soltanto su ciò che
concerneva Dio e il suo regno di grazia.
Perché erano queste le cose che avevano
a cuore e per le quali gli apostoli sarebbero stati mandati.
IV. Gesú fece una promessa particolare agli apostoli: di lí a non molto avrebbero ricevuto il battesimo nello Spirito
Santo. Per questo ordinò loro di aspettare
(vv. 4, 5), trovandosi con essi, probabilmente nell’incontro avvenuto sul monte
della Galilea che egli aveva convocato
prima della sua morte. Infatti, si parla di
una nuova riunione (v. 6) nella attesa
della sua ascensione. Per quanto l’ordine
fosse di raggiungere la Galilea, gli apostoli non dovevano pensare di rimanere
là, ma dovevano tornare a Gerusalemme e
non allontanarsene. Pertanto, possiamo
notare:
1. Cristo ordinò ai discepoli di attendere. Con quest’ordine Egli vuole far sorgere in loro l’attesa di qualcosa di grandioso, ed era giusto che si aspettassero
grandi cose dal loro Redentore glorificato.
(a) Essi dovevano aspettare fino al
tempo stabilito che sarebbe giunto tra non
molti giorni (v. 5). Chi crede che le benedizioni promesse troveranno adempimento, deve attendere con pazienza il
tempo stabilito (cfr. Ge 18:14). E quando
il tempo si avvicina, come allora stava avvenendo, lo dobbiamo attendere con passione come Daniele (Da 9:3).
(b) Essi dovevano aspettare nel luogo
stabilito, a Gerusalemme, poiché proprio
lí, sarebbe disceso lo Spirito Santo.
Infatti, Cristo doveva regnare sul monte di
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Introduzione
Sion poiché da Gerusalemme sarebbe
uscita la parola dell’Eterno (Is 2:3).
Questa sarebbe stata, come dire, la Chiesa
madre. Lí Cristo fu ingiuriato e ucciso, e
perciò lí avrebbe dovuto ricevere onore.
Questo privilegio è accordato a
Gerusalemme per insegnarci a perdonare
i nostri nemici. Gli apostoli erano piú
esposti al pericolo a Gerusalemme di
quanto non lo sarebbero stati in Galilea,
ma sappiamo che possiamo avere piena
fiducia in Dio per quanto riguarda la nostra sicurezza se noi gli siamo fedeli e gli
ubbidiamo. Gli apostoli stavano per assumere un ruolo pubblico e dovevano
quindi osare presentarsi in un contesto
pubblico. Gerusalemme era il candelabro
in cui la loro luce avrebbe trovato la collocazione piú adeguata.
2. Gesú assicura gli apostoli che avrebbero ricevuto la benedizione promessa
dello Spirito Santo.
(a) Il dono dello Spirito Santo sarebbe
giunto: voi sarete battezzati in Spirito
Santo (v. 5, NR), cioè: [1] Lo Spirito
Santo sarà versato su di voi piú copiosamente che mai. In effetti, lo Spirito Santo
era già stato soffiato su loro (Gv 20:22) ed
essi ne avevano già gustato il beneficio,
ma adesso stavano per riceverne una benedizione maggiore poiché avrebbero ricevuto i suoi doni, le sue grazie. Sembra
che qui si alluda ad alcune profezie
dell’Antico Testamento relative allo spargimento dello Spirito Santo (cfr. Gl 2:28;
Is 44:3; 32:15). [2] Voi sarete ulteriormente lavati e purificati dallo Spirito
Santo, cosí come i sacerdoti venivano lavati con acqua al momento della consacrazione alle loro sacre funzioni. Loro ebbero il segno, mentre voi riceverete la
cosa da esso simboleggiata. Voi sarete
santificati nella verità quando lo Spirito
Santo vi guiderà sempre di piú in essa e le
vostre coscienze verranno purificate, cosicché potrete servire il Dio vivente con il
vostro apostolato. [3] Voi sarete piú che
mai stretti al vostro Maestro e alla sua
guida. Come Israele fu battezzato nella
nuvola e nel mare per essere di Mosè,
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cosí voi sarete strettamente uniti a Cristo
da non poterlo piú abbandonare per timore della sofferenza, come avete fatto in
passato.
(b) Il dono dello Spirito Santo è definito. [1] La promessa del Padre, la quale
avete udita da me e su cui potete quindi
fare pieno affidamento. In primo luogo, lo
Spirito Santo fu dato sotto forma di promessa, della grande promessa, quella del
Messia (Lu 2:72) e quella della vita eterna
(1 Gv 2:25). Le benedizioni temporali
vengono elargite dalla Provvidenza, ma lo
Spirito Santo e le sue benedizioni vengono dati sotto forma di promessa (Ga
3:18). Lo Spirito di Dio non viene dato
allo stesso modo in cui ci viene dato lo
spirito dell’uomo, che si forma in noi mediante un processo naturale (Za 12:1), ma
attraverso la Parola di Dio. Perché questo? Per tre ragioni fondamentali: 1)
Primo, affinché il dono fosse piú prezioso, e in questo modo Cristo fece della
promessa dello Spirito Santo un bene da
lasciare in eredità alla sua Chiesa. In secondo luogo, affinché fosse piú sicuro e
gli eredi della promessa potessero avere
piena fiducia nell’immutabilità del consiglio di Dio. In terzo luogo, affinché venisse concesso per grazia e potesse essere
ricevuto per fede, riposando sulla promessa. Come Cristo, anche lo Spirito
Santo è ricevuto per fede. Poi è detto che
si tratta della promessa del Padre, ossia
del Padre di Cristo che, nella sua qualità
di Mediatore, non perdeva di vista il
Padre, condividendo e possedendo il suo
disegno in tutto e per tutto. Ma anche del
nostro Padre che, se ci ha dato l’adozione
di figliuoli (Ga 4:5, 6) ci darà certamente
lo Spirito di adozione. Egli ci darà lo
Spirito Santo nella sua qualità di Padre
degli astri luminosi, di Padre degli spiriti
e di Padre delle misericordie (Gm 1:7; Eb
12:9; 2 Co 1:3). Infine, si tratta della promessa del Padre che gli apostoli avevano
sentito molte volte da Cristo, specialmente nel sermone di commiato che egli
aveva predicato poco prima della sua
morte quando li aveva assicurati ripetuta-
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mente che sarebbe venuto il Consolatore
(Gv capp. 14-16). Ciò conferma la promessa di Dio e ci esorta a fare pieno affidamento su di essa poiché tutte le promesse di Dio hanno in lui il loro sí e il
loro amen (2 Co 1:20). [2] La predizione
di Giovanni Battista a cui Cristo indica
ora di guardare (v. 5): «Voi non l’avete
udito soltanto da me ma anche da
Giovanni: quando egli vi invitò a volgervi
a me vi disse: io vi battezzo in acqua; ma
viene colui che è piú forte di me... Egli vi
battezzerà in Spirito Santo e fuoco (Lu
3:16, NR). È un grande onore che Cristo
tributa a Giovanni, non solo citando le sue
parole ma anche presentando questo
grande dono dello Spirito Santo, ora vicino, come l’adempimento delle stesse.
Cosí io confermo la parola del mio servo
e mando ad effetto le predizioni dei miei
messaggeri (Is 44:26). Cristo può però
fare assai piú di quanto possa fare qualsiasi suo ministro. È un onore per i pastori
suoi ministri essere usati per dispensare i
mezzi della grazia, ma è prerogativa di
Cristo dare lo Spirito di grazia, poiché
Egli vi battezzerà in Spirito Santo, e lo
Spirito vi insegnerà ogni cosa, vi darà del
mio e intercederà per voi (Gv 14:26;
16:14, 15; Ro 8:26), il che è assai piú di
quanto possa fare la predicazione eccellente del piú consacrato ministro.
(c) Il dono dello Spirito Santo promesso, profetizzato e atteso, viene elargito sugli apostoli nel capitolo successivo, in cui la promessa ha il suo adempimento: essa era ciò che stava per accadere
e gli apostoli non aspettavano altro, dato
che era stato detto che si sarebbe realizzata tra non molti giorni (v. 5). Cristo non
specifica i giorni esatti dell’attesa, perché
dovevano essere pronti per riceverlo ogni
giorno. Altri passi delle Scritture parlano
del dono dello Spirito Santo promesso ai
credenti, e ciò si riferisce a un’autorità
speciale che, per opera dello Spirito
Santo, investí i primi cristiani rendendoli
capaci di predicare l’Evangelo e di mettere per iscritto la dottrina di Cristo e di
trasmetterla ai posteri. In virtú di questa
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promessa e del suo adempimento, noi riceviamo il Nuovo Testamento come ispirato da Dio e affidiamo ad esso le nostre
anime.
1:6-11
A Gerusalemme Cristo aveva ordinato
ai discepoli, per mezzo del suo angelo, di
andare in Galilea per incontrarlo, e là ordinò loro di recarsi a Gerusalemme per
incontrarlo ancora in un certo giorno.
Cosí egli voleva provare la loro ubbidienza che si dimostrò pronta e gioiosa:
essi erano riuniti, come era stato loro ordinato, per essere testimoni della sua
ascensione della quale abbiamo qui il racconto. Notiamo quanto segue:
I. La domanda che rivolsero a Gesú
durante questo incontro. Essi erano riuniti in sua presenza e, come se si fossero
messi d’accordo in precedenza, gli chiesero unanimemente: Signore, è egli in
questo tempo che ristabilirai il regno ad
Israele? È una domanda che si può intendere in due modi:
1. Certamente tu non vuoi ristabilirlo
per consegnarlo agli attuali governatori di
Israele, ai capi sacerdoti e agli anziani che
hanno voluto la tua morte e che per mettere in atto questo loro proposito hanno
servilmente accettato l’autorità di Cesare,
riconoscendosi suoi sudditi. No! Proprio
a chi odia e perseguita te e noi, dovrebbe
andare il potere? Cosí non sia. Oppure,
com’è probabile:
2. Certamente tu vuoi ristabilirlo per il
popolo ebraico, purché esso si sottometta
a te come suo re. Si tratta di una domanda
che contiene due errori di valutazione riguardanti:
(a) L’attesa della cosa in sé. Essi pensavano che Cristo avrebbe ristabilito il
regno a Israele, cioè che avrebbe reso la
nazione ebraica grande e potente tra le nazioni come ai giorni di Davide e di
Salomone, di Asa e di Giosafat e che
avrebbe fatto si che lo scettro non venisse
rimosso da Giuda, né il bastone di comando di tra i suoi piedi (Ge 49:10).
Invece Cristo era venuto per instaurare il
Ascensione di Gesù
suo regno, un regno celeste, non per ristabilire il regno a Israele che era un regno
terrestre. Osserva: [1] come sono pronti
gli uomini, anche quelli devoti, a collocare la felicità della chiesa nella gloria
umana e materiale, come se Israele non
potesse essere glorioso senza il ristabilimento del suo regno, come se i discepoli
di Cristo non potessero essere onorati
senza divenirne le guide. Invece ci viene
detto di aspettarci la croce sulla terra e di
attendere il regno nell’altro mondo; [2]
come siamo pronti a rimanere legati a ciò
che abbiamo assimilato e come sia difficile superare i pregiudizi della nostra educazione. I discepoli, avendo succhiato
come il latte l’idea secondo cui il Messia
sarebbe stato un sovrano temporale, erano
ancora lungi dal pensare al suo come a un
regno spirituale; [3] come siamo naturalmente inclini a tenere conto soltanto del
nostro popolo. Gli apostoli pensavano che
Dio non avrebbe avuto un regno nel
mondo a meno che questo non venisse ristabilito a Israele. Invece i regni di questo
mondo stavano per diventare suoi, e in
essi Dio sarebbe stato glorificato indipendentemente da Israele; [4] come siamo
pronti a fraintendere le Scritture e a dare
un senso letterale a ciò che invece va inteso in senso figurato, e a comprenderle in
base ai nostri schemi mentali invece di lasciare che siano le Scritture a plasmare i
nostri schemi. Ma, quando lo Spirito sarà
dato dall’alto, i nostri errori saranno corretti, proprio come avvenne per gli apostoli poco tempo dopo.
(b) La loro domanda riguardante il
tempo del ristabilimento del regno:
Signore, è in questo tempo che farai? Ci
hai riuniti per questo scopo, in modo da
accordarci sulle misure da prendere per
ristabilire il regno a Israele? Certo, non
potrebbe esserci un’occasione migliore di
questa. Non si trascuri come la loro domanda fosse fuori luogo nel senso che:
[1] essi chiedevano cose su cui il loro
Maestro non li aveva mai sollecitati o incoraggiati ad indagare; [2] attendevano
con impazienza l’instaurazione di un
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regno in cui si ripromettevano di svolgere
una parte di rilievo, e volevano affrettare
la realizzazione del piano divino. Cristo
aveva detto loro che si sarebbero seduti
sui troni (Lu 22:30), e in quel momento
niente era piú importante per loro che sedervi immediatamente. Non ne vedevano
l’ora! Al contrario, coloro che hanno fede
non hanno fretta ma sono sereni consci
del fatto che il tempo migliore è quello
stabilito da Dio.
II. Gesú non diede seguito a questa domanda: non sta a voi di sapere i tempi e i
momenti (v. 7). Egli non confutò la loro
attesa di un ristabilimento del regno
d’Israele perché l’errore sarebbe stato
corretto dalla discesa dello Spirito Santo,
dopo la quale essi non avrebbero mai piú
pensato al ristabilimento di un regno temporale. Ma anche perché, tutto sommato,
c’era qualcosa di giusto in quel sentimento di attesa per l’instaurazione del
regno dell’Evangelo nel mondo. Il loro
fraintendimento riguardo alla promessa
non l’avrebbe certo vanificata. Cristo si
limitò a non dar seguito alla domanda sui
tempi.
1. La conoscenza dei tempi non è loro
concessa: non sta a voi di sapere e quindi
non vi compete domandare.
(a) Cristo sta per lasciarli, e li vuole lasciare amorevolmente. Tuttavia, dà loro
un ammonimento che serve alla sua
chiesa di tutti i tempi. Essa deve infatti
fare attenzione a non incorrere nell’errore
che è stato fatale ai nostri progenitori: uno
smoderato desiderio di conoscenza proibita, un volersi intromettere in cose che
volutamente non ci sono state rivelate.
Nescire velle quae magister maximus docere non vult, erudita inscitia est, non
voler conoscere ciò che il sommo
Maestro non vuole insegnarci, è un’ignoranza dotta, è follia desiderare di sapere
piú di quanto è scritto, ed è saggio accontentarsi di ciò che Dio ci ha rivelato.
(b) Cristo aveva insegnato molte piú
cose ai suoi discepoli che agli altri – ad
esempio aveva detto loro: a voi è dato di
conoscere i misteri del regno di Dio (Lu
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Atti 1:6-11
8:10) – e aveva promesso loro che il suo
Spirito ne avrebbe insegnate ancora di piú
(cfr. Gv 14:26). Ma in quell’occasione,
affinché non si gonfiassero d’orgoglio per
l’abbondanza delle rivelazioni, fece loro
comprendere che c’erano cose la cui conoscenza non era loro concessa. Ci rendiamo conto di quanto sia immotivato essere orgogliosi della propria conoscenza,
se pensiamo quante sono le cose che
ignoriamo.
(c) Cristo aveva dato agli apostoli
istruzioni sufficienti per il compimento
del loro dovere, sia prima della sua morte
che dopo la sua risurrezione. Questa conoscenza avrebbe dovuto essere sufficiente a soddisfarli, com’è sufficiente per
ogni cristiano le cui curiosità inutili non
sono altro che un capriccio infantile che
va scoraggiato.
(d) Cristo stesso aveva ragionato con i
suoi discepoli delle cose relative al regno
di Dio e aveva promesso che lo Spirito
Santo avrebbe annunziato loro le cose a
venire (Gv 16:13). Inoltre, aveva parlato
loro di alcuni segni dei tempi (cfr. Mt
24:33; 16:3) che era loro dovere osservare
e non trascurare. I discepoli non dovevano però aspettarsi, né desiderare, di conoscere tutti i particolari degli avvenimenti futuri o il momento in cui si sarebbero verificati. È bene per noi rimanere
all’oscuro e nell’incertezza, come dice il
Dott. Hammond, a proposito dei tempi e
dei momenti in cui si verificheranno i fatti
futuri riguardanti la Chiesa e noi stessi, o
anche riguardanti tutti i periodi, compreso
quello finale e quello in cui viviamo. A
proposito dei tempi e delle stagioni dell’anno, sappiamo che l’estate e l’inverno
si alternano, ma non sappiamo quale
giorno preciso dell’estate o dell’inverno
sarà bello e quale brutto. Cosí, per quanto
riguarda le nostre vicende, non possiamo
essere sicuri che l’estate della prosperità
non finirà mai: ci viene detto che verrà
l’inverno delle avversità e che, quando
verrà, non dovremo perderci d’animo e
disperare poiché ci viene assicurato che
l’estate tornerà. Cosa questo o quel giorno
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particolare porterà con sé non lo sappiamo: dobbiamo adattarci e, qualunque
cosa esso porta, usarlo nel miglior modo
possibile.
2. La conoscenza di ciò è riservata a
Dio, è una sua prerogativa, è ciò che il
Padre ha riserbato alla sua propria autorità, è nascosto in lui. Nessuno all’infuori
di lui può rivelare i tempi e le stagioni a
venire. Queste cose... a lui sono note ab
eterno (At 15:18), ma non lo sono a noi.
È in suo potere, e soltanto in esso, annunziare la fine fin dal principio (Is 46:10) e
con ciò egli dimostra di essere Dio. È
come se Cristo avesse detto: «Sebbene alcune volte il Padre ha ritenuto opportuno
che i profeti dell’Antico Testamento conoscessero i tempi e i momenti (come per
i quattrocento anni della schiavitú di
Israele in Egitto e per i settanta della sua
schiavitú a Babilonia) adesso non ha ritenuto opportuno farvene conoscere alcuno,
neanche quello della distruzione di
Gerusalemme, sul cui verificarsi potete
comunque essere certi. Con questo io non
dico che il Padre non vi farà conoscere
qualcosa di piú rispetto a quanto già conoscete sui tempi e sui momenti» – Dio li
fece conoscere piú avanti al suo servitore
Giovanni facendogli comporre il libro
dell’Apocalisse – «ma ha riservato alla
sua autorità di farlo o di non farlo, secondo il suo consiglio». E in effetti ciò
che è rivelato in questa profezia del
Nuovo Testamento è talvolta cosí oscuro
e di difficile comprensione, che quando
cerchiamo di conoscere i tempi e i momenti ci rendiamo conto che non sta a noi
conoscerli con certezza. Buxtorf cita il
detto di un rabbino a proposito della venuta del Messia: Rumpatur spiritus eorum
qui supputant tempora – muoiano gli uomini che cercano di calcolare i tempi.
III. Gesú assegna agli apostoli un
mandato e assicura loro con autorità che
sarebbero stati in grado di perseverare in
esso e di portare frutto: «non sta a voi di
sapere i tempi e i momenti, non sarebbe
un bene per voi, ma sappiate questo: voi
riceverete potenza quando lo Spirito
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Ascensione di Gesù
Santo verrà su di voi (v. 8) e non la riceverete invano. Infatti sarete testimoni di
me e della mia gloria e la vostra testimonianza non sarà inutile poiché verrà ricevuta qui a Gerusalemme, nel territorio circostante e in tutto il mondo» (v. 8). Se
Cristo mette al suo servizio per la sua gloria anche noi, nel nostro tempo e a favore
della nostra generazione, accontentiamoci. Non perdiamo tempo per calcolare
i tempi e i momenti futuri, ma disponiamoci per servirlo adesso. Qui Cristo dice
agli apostoli che:
1. Il loro operato sarebbe stato onorevole e glorioso. Voi mi sarete testimoni,
ossia essi avrebbero proclamato che
Cristo era Re e avrebbero fatto conoscere
al mondo le verità su cui sarebbe stato
edificato il suo Regno, che Egli avrebbe
governato. Questo è il messaggio che essi
avrebbero dovuto predicare al mondo.
Essi avrebbero provato la veridicità di
quanto dicevano, avrebbero confermato
la loro testimonianza, non con un giuramento, come certi testimoni, ma con il
suggello divino dei miracoli e dei doni soprannaturali. Voi sarete martiri per me, o
«miei martiri» secondo la lezione di alcune versioni. Infatti, essi avrebbero proclamato le verità dell’Evangelo a prezzo
della loro sofferenza e a volte persino
della vita.
2. La potenza accordata loro per il
compito che dovevano svolgere, sarebbe
stata sufficiente. Essi non disponevano di
alcuna forza propria, non avevano saggezza e coraggio sufficienti a tale scopo e
si collocavano, per loro natura, tra le cose
pazze e deboli del mondo (1 Co 1:27), essi
non avevano osato comparire come testimoni di Cristo al suo processo, né fino a
quel momento avrebbero agito diversamente, «Ma voi riceverete la potenza
dello Spirito Santo che verrà su di voi
(questa è una lettura possibile del passo),
sarete, cioè, animati e spinti all’azione da
uno Spirito migliore del vostro, riceverete
potenza per predicare l’Evangelo e per
confermarlo con prove tratte dall’Antico
Testamento» – e questo, quando furono
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ripieni dello Spirito Santo, lo seppero fare
in maniera ammirevole (At 18:28) – «e
per confermarlo con miracoli e con sofferenze». Osserviamo che i testimoni di
Cristo avrebbero ricevuto potenza per l’opera a cui egli li chiamava. Coloro che
Dio chiama, poi li rende idonei al suo servizio.
3. La loro influenza sarebbe stata
grande e si sarebbe estesa su larghissimo
raggio: «Voi sarete testimoni di Cristo e
porterete avanti la sua causa».
(a) a Gerusalemme, dove dovete iniziare e dove molte persone riceveranno la
vostra testimonianza; e chi non la riceverà
sarà ritenuto inescusabile,
(b) la vostra luce brillerà quindi in
tutta la Giudea, dove in passato vi siete
affaticati inutilmente,
(c) da lí procederete verso Samaria,
benché al momento della vostra prima
missione vi sia stato proibito di entrare in
alcuna città dei Samaritani,
(d) il vostro servizio si estenderà fino
all’estremità della terra e voi sarete una
benedizione per tutto il mondo.
IV. Dopo aver dato queste istruzioni ai
suoi (v. 9), Gesú li benedisse (Lu 24:50)
mentre essi guardavano, ed egli fu elevato
gradualmente e una nuvola, accogliendolo, lo tolse d’innanzi agli occhi loro. Ci
viene qui descritta l’ascensione di Cristo
al cielo. Egli non fu trasportato come Elia
da un carro di fuoco e dei cavalli di fuoco,
ma, com’era risorto dalla tomba, salí al
cielo soltanto in virtú del suo potere. Il
suo corpo era infatti ormai un corpo spirituale, potente e incorruttibile, come lo saranno i corpi di tutti i santi al momento
della risurrezione (Fl 3:20, 21). Si noti
che:
1. Quando Cristo cominciò ad ascendere al cielo, i suoi discepoli lo potevano
vedere, anzi avevano gli occhi fissi su di
lui. D’altra parte, i discepoli non avevano
assistito alla risurrezione, ma avevano
visto Cristo solo dopo la risurrezione, e
ciò era sufficiente per convincerli.
Adesso, però, lo vedono salire al cielo e
tengono il loro sguardo fisso su di lui con
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Atti 1:6-11
una sollecitudine e una serietà d’animo
tali da rendere impossibile che si ingannassero. È probabile che egli non salisse
velocemente, ma a poco a poco, affinché
i discepoli potessero vederlo bene.
2. E una nuvola, accogliendolo, lo
tolse d’innanzi agli occhi loro. È possibile che si trattasse o di una nuvola fitta –
dal momento che Dio aveva dichiarato di
abitare nell’oscurità (1 R 8:12) – oppure
di una nuvola luminosa, espressione visiva dello splendore del suo corpo glorioso. Tuttavia, dal momento che nell’occasione in cui Gesú fu trasfigurato fu una
nuvola luminosa a coprirlo con la sua
ombra (Mt 17:5), possiamo supporre che
anche questa nuvola brillasse, a quanto si
può intendere, quando Egli si trovò all’altezza a cui generalmente si trovano le nuvole. Non dovette trattarsi di una nuvola
particolarmente estesa, come quelle che
vediamo abitualmente, ma di dimensioni
sufficienti ad accoglierlo (v. 9), perché
Dio fa delle nuvole il suo carro (Sl
104:3). Dio è spesso sceso in una nuvola,
ma adesso sale in una nuvola. Il Dott.
Hammond ritiene che la nuvola che lo accolse fosse formata da angeli. E, difatti,
generalmente si parla di angeli che si presentano in forma di nuvola, come appare
dal confronto di Esodo 25:22 con quello
di Levitico 16:2. Le nuvole mantengono
una sorta di comunicazione tra il cielo e la
terra. Infatti i vapori salgono dalla terra e
la rugiada scende dal cielo. Ed era quindi
opportuno che il Mediatore tra Dio e gli
uomini, salisse al cielo in una nuvola, poiché attraverso di Lui la grazia di Dio
scende su di noi e le nostre preghiere salgono a lui (cfr. 1 Ti 2:5; Eb 8:6). Questa
fu l’ultima manifestazione visibile di
Cristo. Gli occhi di un gran numero di testimoni lo seguivano mentre egli entrava
nella nuvola e, se vogliamo sapere che
cosa avvenne successivamente, possiamo
rivolgerci al profeta Daniele: Ecco venire
sulle nuvole uno simile a un figliuol
d’uomo; egli giunse fino al vegliardo e fu
fatto accostare a lui (Da 7:13).
V. Quando Cristo fu sottratto alla loro
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vista, i discepoli continuarono ad aver gli
occhi fissi in cielo piú a lungo del necessario (v. 10). Come mai?
1. Forse speravano che Gesú tornasse
subito da loro per ristabilire il regno
d’Israele, ed erano riluttanti a credere che
ormai il distacco fosse definitivo. Infatti,
tenevano moltissimo alla sua presenza fisica anche se egli aveva detto loro: è utile
che io me ne vada (Gv 16:7). È anche
possibile che si chiedessero se non fosse
precipitato, come i discepoli dei profeti
avevano pensato di Elia (2 R 2:16), e perciò sperassero in qualche modo di riaverlo con loro.
2. Forse si aspettavano che nel cielo si
verificassero dei cambiamenti a seguito
all’ascensione di Cristo, pensavano forse
di vedere la luna... coperta di rossore e il
cielo di vergogna (Is 24:23), come se il
loro splendore fosse stato oscurato da
quello di Cristo, oppure, piú probabilmente, speravano che gli astri mostrassero qualche segno di gioia e di trionfo. È
anche possibile che speravano di riuscire
a dare una sbirciata nella gloria celeste
quando il cielo si sarebbe aperto per ricevere Cristo. D’altra parte, il Signore
aveva detto loro che avrebbero visto il
cielo aperto (Gv 2:51) e perché non
avrebbero dovuto aspettarselo?
VI. Due angeli apparvero loro portando un messaggio da parte di Dio (v.
10). C’era una moltitudine di angeli
pronta a ricevere il nostro Redentore al
suo ingresso nella Gerusalemme celeste,
e possiamo supporre che questi due fossero molto dispiaciuti della sua assenza. Il
fatto che Gesú li mandasse ai suoi discepoli dimostra quanto a cuore gli stessero
le cose della sua Chiesa sulla terra. Essi si
presentarono come due uomini in vesti
bianche di grande splendore, poiché sapevano che, conformemente al proprio dovere, servire Cristo voleva dire anche essere utili ai suoi servi sulla terra (cfr. Eb
1:14). Ed ora ci viene riferito ciò che gli
angeli dissero loro:
1. Per mettere un freno alla loro curiosità: uomini galilei, perché state a guar-
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Ascensione di Gesù
dare verso il cielo? Li chiamano uomini
galilei per ricordare loro di considerare la
roccia da cui erano stati tagliati (Is 52:1).
Cristo li aveva onorati facendo di loro i
suoi ambasciatori, ma dovevano ricordare
di essere vasi di argilla, uomini galilei,
ossia uomini illetterati che godevano di
scarsa considerazione. Gli angeli dicono:
«Perché state qui, proprio come uomini
rozzi e sgraziati, a guardare verso il cielo?
Che cosa vi aspettate di vedere? Avete
visto tutto quello che siete stati chiamati a
vedere … che cosa volete ancora? Perché
state qui a guardare come uomini spaventati e confusi, sbigottiti e fuori di senno?»
I discepoli di Cristo non dovrebbero mai
soffermarsi troppo a guardare perché
hanno un compito preciso da svolgere.
2. Per rafforzare la loro fede nella sua
seconda venuta. Il loro Maestro ne aveva
parlato spesso e gli angeli avevano l’incarico di rammentarla loro: «Questo Gesú
che è stato tolto da voi ed assunto in cielo
e che voi ancora state cercando di vedere
desiderando di riaverlo con voi, non vi ha
lasciati per sempre, perché in un giorno
stabilito verrà nella medesima maniera
che l’avete veduto andare in cielo e voi
non dovete aspettare di rivederlo prima di
quel giorno».
(a) Questo Gesú ritornerà personalmente, rivestito di un corpo glorioso, questo Gesú che è venuto una volta per annullare il peccato col suo sacrificio... apparirà una seconda volta, senza peccato
(Eb 9:26, 28). Colui che è venuto una
volta per essere giudicato con ignominia,
ritornerà in gloria per giudicare. Questo
stesso Gesú che vi ha assegnato un compito ritornerà e vi chiederà di rendergli
conto di come lo avete svolto. Lui verrà,
e non un altro (Gb 19:27).
(b) Verrà nella medesima maniera. È
salito al cielo in una nuvola e circondato
dagli angeli, e verrà nelle nuvole con
un’innumerevole schiera di angeli. Egli è
salito tra grida di trionfo... al suon delle
trombe (Sl 47:5) e tornerà con potente
grido... e con la tromba di Dio (1 Te 4:16).
Egli è sparito tra le nuvole e voi non po-
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tete seguirlo, ma lo potrete vedere in seguito, quando sarete rapiti sulle nuvole
per incontrare il Signore nell’aria.
Quando ci soffermiamo a guardare e a
perdere tempo, il pensiero della seconda
venuta del nostro Maestro dovrebbe scuoterci e svegliarci; quando ci fermiamo
paurosi, quel pensiero dovrebbe incoraggiarci.
1:12-14
In questo paragrafo possiamo notare
quanto segue:
I. Il posto da dove Cristo ascese al
cielo. Vi salí dal monte chiamato
dell’Uliveto (v. 12) e precisamente dal
versante presso cui sorgeva la città di
Betania (Lu 24:50). Là era iniziata la sua
passione (Lu 22:39) e là egli ne cancellò
l’orrore con la sua gloriosa ascensione,
mostrando cosí che la sua passione e la
sua risurrezione erano strettamente correlate. Egli salí nel suo regno guardando
Gerusalemme e quei cittadini arroganti e
ingrati che non avevano voluto che regnasse su di loro. Era stato profetizzato
che i suoi piedi si poseranno in quel
giorno sul monte degli Ulivi ch’è dirimpetto a Gerusalemme, vi si poseranno alla
fine e il monte degli Ulivi si spaccherà
per il mezzo (Za 14:4). Egli, che è l’ulivo
da cui riceviamo l’unzione (Za 4:12; Ro
12:24), salí dal monte degli Ulivi. Ci
viene detto che questo monte è vicino a
Gerusalemme, non distandone che un
cammin di sabato. Si tratta di un breve
tratto, non maggiore di quello che gli
ebrei osservanti percorrevano, meditando,
la sera del sabato dopo il termine dell’adorazione pubblica. Alcuni lo calcolano
in mille passi, altri in duemila cubiti, altri
ancora in sette o otto stadi. Betania distava da Gerusalemme quindici stadi (Gv
12:18), ma la parte del monte degli Ulivi
vicina a Gerusalemme, da cui Cristo iniziò la sua ascesa trionfale, ne distava soltanto sette o otto. La parafrasi caldea di
Rut 1 sostiene: ci è ordinato di osservare
i sabati e i giorni santi, e di non percorrere in essi piú di duemila cubiti. Essa si
13
Atti 1:12-14
basa su Giosuè 3:4 dove leggiamo che, al
momento del passaggio del Giordano,
agli Israeliti venne ordinato di seguire
l’arca a una distanza di circa duemila cubiti. Non era Dio che aveva posto quel limite, ma erano stati loro stessi a fissarlo.
Cosí è una norma per noi non viaggiare
nel giorno del Signore se non per compiere un’opera che deve essere compiuta
in quel giorno e, quando ciò è necessario,
ci viene non soltanto permesso, ma ordinato (2 R 4:23).
II. Il luogo dove ritornarono gli apostoli. Ritornarono a Gerusalemme, come
il Maestro aveva loro ordinato, anche se
in quella città erano circondati da nemici
(v. 12). Benché dopo la risurrezione di
Cristo fossero guardati a vista dagli Ebrei,
che loro temevano, quando si sparse la
voce che erano andati in Galilea e non si
era avuta notizia di un loro ritorno a
Gerusalemme, non vennero piú ricercati.
Dio sa come nascondere i suoi quando si
trovano in mezzo ai nemici. Egli ha
messo in cuore a Saul di non continuare a
cercare Davide (1 S 26). A Gerusalemme
i discepoli salirono nella sala di sopra,
dove si trattennero (v. 13). Ciò non significa che essi abitassero tutti in una stanza,
ma che vi si riunivano ogni giorno e che
passavano il loro tempo in preghiera, attendendo la discesa dello Spirito Santo.
Gli studiosi hanno fatto diverse congetture sulla sala di sopra. Alcuni pensano
che si tratti di una delle stanze del tempio,
ma è difficile pensare che i capi sacerdoti,
cui competeva concedere l’uso di quelle
stanze, subissero il fatto che i discepoli di
Cristo si riunissero costantemente in una
di esse. È vero che proprio Luca ci dice
che gli apostoli erano del continuo nel
tempio (Lu 24:53), ma si riferisce ai cortili del tempio, all’ora della preghiera, cui
non si poteva impedire loro di partecipare. Sembra proprio che la sala di sopra
si trovasse in una casa privata. Gregorio
di Oxford è di questo parere, e cita un
commentatore siriaco secondo cui si tratterebbe dello stesso locale nel quale essi
avevano mangiato la Pasqua (cfr. Lu
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Atti 1:15-26
22:12, 13). Sebbene il testo greco usi due
termini diversi, anagaion e hyperoon, essi
possono avere lo stesso significato. Egli
dice: «tuttavia, se era la casa di Giovanni
l’evangelista, come sostiene Evodio, o
quella della madre di Giovanni Marco,
come ritengono altri, non può essere stabilito con certezza» (vedi commento Atti
13).
III. Chi fossero i discepoli. Tutto ciò
spinse i discepoli a rimanere uniti.
Vengono nominati gli undici apostoli (v.
13) e Maria, la madre del nostro Signore
(v. 14), e questa è l’ultima volta che le
Scritture ne parlano, se escludiamo il riferimento a lei della lettera ai Galati, nella
quale, però, non viene chiamata per nome
(Ga 4:4). C’erano poi altre persone di cui
ci viene detto che erano fratelli del nostro
Signore, fratelli secondo la carne. Dato
che si parla di circa centoventi persone riunite (v. 15), possiamo supporre che fossero presenti tutti i settanta discepoli, o la
maggior parte di essi, che erano associati
agli apostoli e avevano il compito di
evangelizzare.
IV. Come impiegavano il tempo: perseveravano di pari consentimento nella
preghiera. Si osservi che:
1. Pregavano e supplicavano. Tutti i
figli di Dio sono persone dedite alla preghiera. Quello era un momento di pericolo e di sofferenza per i discepoli di
Cristo, erano un po’ come pecore in
mezzo ai lupi (Mt 10:16). Ma la Parola ci
dice: C’è tra voi qualcuno che soffre?
Preghi (Gm 5:13). La preghiera mette a
tacere i timori e le preoccupazioni. Essi si
trovavano di fronte a compiti nuovi e importanti, e prima di iniziarli sentivano il
bisogno di pregare Dio per implorare la
sua presenza e la sua guida. Gesú aveva
pregato a lungo per loro prima di mandarli in missione la prima volta, e adesso
essi passavano molto tempo a pregare per
se stessi. Erano in attesa dell’effusione
dello Spirito Santo, e pregavano molto
per questo. D’altra parte, lo Spirito Santo
era disceso sul nostro Salvatore mentre
egli pregava (Lu 3:21, 22). E chi vive in
14
Mattia scelto al posto di Giuda
un contesto di preghiera si trova nella situazione migliore per ricevere delle benedizioni spirituali. Cristo aveva promesso
loro di mandare presto lo Spirito Santo, e
tale promessa non rendeva superflua la
preghiera, piuttosto la stimolava e l’incoraggiava. Dio vuole che le benedizioni
che promette gli vengano richieste e
quanto piú il loro adempimento sembra
vicino, con tanto maggior zelo dobbiamo
pregare per esso.
2. Essi perseveravano nella preghiera
(v. 14), passavano molto tempo pregando,
piú di quanto fossero soliti. Pregavano di
frequente e rimanevano a lungo in preghiera. Non trascuravano mai un’ora di
preghiera, risoluti a perseverare in essa
finché lo Spirito Santo sarebbe disceso
secondo la promessa; erano risoluti a pregare e a non perdersi d’animo. È scritto
che stavano continuamente... lodando e
benedicendo Dio (Lu 24:53), e qui essi
perseveravano nella preghiera. Infatti,
come lodare Dio per una sua promessa è
un modo convenevole per implorarne l’adempimento – e la lode per una promessa
adempiuta lo è per implorare ulteriori benedizioni – cosí, con il cercare Dio in preghiera lo glorifichiamo per le benedizioni
e la grazia che abbiamo trovato in Lui.
3. Essi pregavano di pari consentimento.
È evidente che erano riuniti in uno spirito
di santo amore reciproco, e che tra loro
non c’erano lamentele, animosità o discordia. Chi, come loro, conserva l’unità
dello Spirito con il vincolo della pace (Ef
4:3) è pronto per ricevere la consolazione
dello Spirito Santo (At 9:31). È anche evidente che tutti partecipassero alla preghiera: uno solo la innalzava, ma tutti pregavano. Se quando due s’accordano a domandare una cosa qualsiasi, quella sarà
loro concessa (Mt 18:19), tanto piú questo è vero quando a domandarla si accordano molte persone.
1:15-26
Il peccato di Giuda non costituí soltanto la sua ignominia e la sua rovina, ma
lasciò un vuoto nel collegio degli apo-
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stoli. Essi erano stati nominati in dodici,
con un riferimento alle dodici tribú
d’Israele che discendevano dai dodici patriarchi ed erano le dodici stelle da cui è
formata la corona della chiesa (Ap 12:1).
Ad essi erano destinati dodici troni (Mt
19:28). Essi erano stati in dodici quando
imparavano dal loro Maestro e se fossero
restati in undici, ora che dovevano insegnare, ciò avrebbe costituito per chiunque
l’occasione per fare domande sulla sorte
del dodicesimo e avrebbe tenuto vivo il
ricordo dello scandalo. Si provvide,
quindi, prima della discesa dello Spirito
Santo, a colmare il vuoto; fornendoci
anche la descrizione del procedimento
come ciò avvenne. Probabilmente il nostro Signore Gesú aveva dato delle direttive in merito, tra gli altri argomenti da lui
toccati nel ragionare con loro delle cose
relative al regno di Dio (v. 3). Si osservi
quanto segue:
I. Le persone coinvolte nella nomina.
1. Nella casa si trovavano circa centoventi persone. Qualcuno pensa che in
questo numero fossero compresi soltanto
gli uomini, escluse le donne. Il Dott.
Lightfoot ritiene che concorressero a formarlo gli undici apostoli, i settanta discepoli e circa trentanove altre persone, tutte
del parentado, della regione e del seguito
di Cristo. Essi avrebbero costituito una
sorta di sinodo di ministri, un presbiterio
a carattere permanente (At 4:23) cui nessuno ardiva unirsi (At 5:13) e a cui
avrebbe posto fine la persecuzione sopravvenuta con la morte di Stefano che ne
disperse tutti i membri, ad eccezione degli
apostoli (At 8:1). Egli ritiene anche che,
oltre a questi, ci fossero allora a
Gerusalemme molte centinaia, se non migliaia, di persone che credevano. È vero
che viene riferito che molti credettero in
lui, ma viene aggiunto che non lo confessavano per timore delle conseguenze (cfr.
Gv 12:42). Quindi, mi riesce difficile
pensare, a differenza del Dott. Lightfoot,
che queste persone si sarebbero costituite
in diverse congregazioni per la predicazione della Parola e per altri atti di culto;
15
Atti 1:15-26
né posso credere che sia avvenuto qualcosa di simile prima dell’effusione dello
Spirito Santo e delle conversioni di cui ci
parla il capitolo successivo. Qui abbiamo
la prima manifestazione della Chiesa cristiana, per cui le centoventi persone sono
il granel di senapa che è cresciuto ed è divenuto un albero, il lievito che fa lievitare
tutta la pasta.
2. Fu Pietro a prendere la parola: egli
era stato, ed era ancora, una figura di
primo piano. Il suo zelo e la sua dedizione
vengono evidenziate per dimostrare che si
era pienamente ripreso da quando aveva
rinnegato il suo Maestro. Essendo stato
designato a diventare l’apostolo della circoncisione, ebbe un ruolo importante finché l’Evangelo rimase tra gli Ebrei, mentre dopo, quando si parlerà degli stranieri,
subentrerà la figura di Paolo.
II. La proposta di Pietro per la scelta di
un altro apostolo. Egli si levò in mezzo ai
fratelli (v. 15). Non rimase seduto, come
avrebbe fatto chi si accingesse a dettar
legge o a rivendicare un qualsiasi primato
sugli altri, ma si alzò presentando la sua
mozione e mostrando cosí rispetto per i
fratelli.
1. Nel suo discorso possiamo osservare il riferimento che egli fece sul vuoto
creatosi conseguente alla morte di Giuda,
da lui descritta in modo particolareggiato.
Come uomo su cui Gesú aveva soffiato il
suo Spirito, egli constata l’adempiersi in
essa delle Scritture. Pertanto, nelle sue
parole vengono ricordati:
(a) La potenza di cui Giuda era stato
fatto partecipe: egli era stato annoverato
tra noi, e aveva ricevuto la sua parte di
questo ministero (v. 17). Si osservi come
molte persone, che in questo mondo
fanno parte dei santi, non si troveranno tra
questi nel giorno in cui avverrà la separazione tra ciò che è prezioso e ciò che è
vile. Che profitto trarremo dal fatto di essere stati annoverati tra i cristiani se poi
non siamo partecipi dello spirito e della
natura dei cristiani? Per Giuda l’aver ricevuto la sua parte nel ministero costituiva
un’aggravante del suo peccato e della sua
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rovina, e lo stesso vale per coloro che diranno di aver profetizzato nel nome di
Cristo, ma che verranno invece espulsi da
lui come operatori d’iniquità (Mt 7:23).
(b) Il peccato di Giuda. Nonostante
l’onore ricevuto, egli fece da guida a
quelli che arrestarono Gesú (cfr. Mt
26:46-50). Non soltanto informò i persecutori di Cristo sul luogo in cui lo avrebbero trovato (essi sarebbero riusciti a trovarlo anche se Giuda non si fosse fatto
vedere), ma ebbe l’impudenza di presentarsi apertamente alla testa della turba che
lo arrestò. Precedette gli altri e, come se
ne fosse orgoglioso, diede l’ordine di pigliarlo. Ahimè il peccato peggiore è
quello di chi guida gli altri a peccare, e
questo vale soprattutto per chi, in virtú del
ministero ricevuto, dovrebbe essere una
guida per chi ama Cristo e diventa invece
una guida per i suoi nemici.
(c) La rovina di Giuda in seguito al suo
peccato. Rendendosi conto che i capi sacerdoti volevano la morte di Gesú e dei
suoi discepoli, pensò di salvarsi passando
dalla loro parte e non solo, ma anche di
ottenere da loro un campo che, a quanto
sperava, avrebbe costituito soltanto un
anticipo per il servizio da lui reso.
Vediamo invece che ne fu di quel campo?
[1] Egli perse il suo denaro ignominiosamente (v. 18). Acquistò un campo con i
trenta cicli d’argento che erano il prezzo
della sua iniquità. Non si procurò quindi
il campo, ma il prezzo della sua iniquità,
come ci fa capire elegantemente l’espressione usata da Pietro, a derisione del suo
desiderio di arricchirsi con l’affare. Giuda
pensava di avere acquistato un campo per
sé, proprio come Gheazi pensava di avere
ottenuto da Naaman dei beni per mezzo di
una menzogna (2 R 5:26), ma fece vedere
di averlo acquistato per seppellire gli stranieri. Chi lo indusse a ciò? Fu un mammona iniquo a convincerlo con i suoi inganni e il prezzo della sua iniquità divenne la pietra d’intoppo della sua iniquità. [2] Egli morí ancor piú ignominiosamente: L’evangelista Matteo ci ha riferito (Mt 27:5) che si allontanò disperato e
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Mattia scelto al posto di Giuda
andò ad impiccarsi, oppure si allontanò
perché sentiva soffocare (il verbo greco
contempla anche questo significato).
Luca, come spesso fanno gli storici, aggiunge altri particolari qui. Sembra quasi
che Giuda, essendo angosciato per l’orrore commesso, sentí mancarsi il respiro,
cominciò a soffocare, ed essendosi precipitato, o «caduto sul suo volto», come traduce il Dott. Hammond, gli si squarciò il
ventre, e tutte le sue interiora si sparsero,
in parte per l’enfiarsi del suo petto, e in
parte per la violenza della caduta. Se il
diavolo che aveva posseduto un bambino
lo attaccò violentemente, lo gettò per
terra, lo torse in convulsione e lo straziò,
tanto da lasciarlo come morto, dopo che
Gesú lo ebbe cacciato da lui (Mr 9:26; Lu
9:42), non c’è da stupirsi che, essendo
Giuda interamente posseduto dal diavolo,
questi lo facesse cadere a capofitto in
modo che gli si squarciasse il ventre. Il
soffocamento di cui parla l’evangelista
Matteo fece enfiare il suo corpo fino al
punto che il suo ventre si squarciò e le sue
interiora si sparsero. Secondo il Dott.
Edwards ciò provocò un gran rumore, tale
che fu udito anche dai vicini, cosicché il
fatto divenne noto a tutti gli abitanti di
Gerusalemme (v. 19). Luca scrive con la
sua competenza di medico, e si riferisce a
tutte le viscere del medio e basso ventre.
E squarciare il ventre in modo che le interiora si spargessero, faceva parte della punizione riservata ai traditori (cfr. 2 S
20:10). Giustamente fuoriuscivano quelle
interiora che si erano chiuse all’amore per
il Signore Gesú. E chissà che Cristo non
abbia pensato alla sorte di Giuda quando
parlò del malvagio servitore che il suo padrone farà lacerare? (Mt 24:51).
(d) Il diffondersi della notizia: il fatto
divenne noto a tutti gli abitanti di
Gerusalemme (v. 19). Era come se ne
avessero parlato i giornali, costituiva il
principale argomento di conversazione
nella città. Se ne parlava come di uno
straordinario giudizio di Dio su chi aveva
tradito il suo Maestro. Non se ne parlava
soltanto nella cerchia dei discepoli, no,
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ma il fatto era sulla bocca di tutti e nessuno ne metteva in dubbio l’autenticità. A
questo punto si potrebbe pensare che tutti
coloro che avevano avuto qualche responsabilità nella morte di Cristo venissero indotti al pentimento, ammoniti dalla sorte
esemplare di colui che aveva avuto la responsabilità maggiore. Ma i loro cuori
erano induriti. La Parola e lo Spirito
Santo avrebbero operato affinché coloro
che erano sensibili meditassero sull’esempio. Una prova della notorietà di
quanto era accaduto sta nel fatto che il
campo acquistato con i soldi di Giuda
venne chiamato Acheldama, cioè,
“campo di sangue” poiché era stato acquistato con il prezzo del sangue. Ciò perpetuava l’infamia non solo di chi aveva
venduto quel prezioso sangue innocente,
ma anche di chi l’aveva comprato. Cosa
risponderanno quelle persone quando Dio
ne chiederà loro conto?
(e) L’adempimento delle Scritture che
avevano parlato chiaramente: bisognava
che si adempisse la profezia della
Scrittura (v. 16). Nessuno si sorprenda
del fatto che questa doveva essere la fine
di uno dei dodici. Infatti, Davide non
aveva previsto soltanto il suo peccato (di
cui anche Gesú aveva parlato in Giovanni
13:18 citando il Salmo 42:9: colui che
mangia il mio pane, ha levato contro di
me il suo calcagno) ma anche: [1] La sua
punizione: divenga la sua abitazione deserta (Sl 69:25). Questo Salmo parla del
Messia, e soltanto pochi versetti prima
vengono ricordati il fiele e l’aceto che gli
furono dati. Le predizioni sulla punizione
dei nemici di Davide si riferiscono,
quindi, anche alla punizione dei nemici di
Cristo, e in particolare a Giuda Iscariota.
Forse egli possedeva una casa a
Gerusalemme che diventò deserta perché,
dopo l’accaduto, nessuno vi voleva piú
abitare. Questa predizione ha lo stesso significato di quella di Bildad riguardante
l’empio: egli è strappato dalla sua tenda
che credeva sicura e fatto scendere verso
il re degli spaventi. Nella sua tenda dimora chi non è dei suoi, e la sua casa è
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cosparsa di zolfo (Gb 18:14,15); [2] La
sua sostituzione con un altro al suo posto:
l’ufficio suo (o la sua «funzione di vescovo», perché questo è il significato del
termine greco) lo prenda un altro. Pietro
cita qui il Salmo 109:8, che introduce
molto appropriatamente la proposta che
farà in seguito. Si noti a questo punto, che
la malvagità di alcune persone e il castigo
ignominioso per le loro colpe, non devono farci pensare sempre il peggio di
ogni ufficio istituito da Dio (in campo
giudiziario o ministeriale). Dio non permette che i suoi piani vengano frustrati,
che un ministero da lui istituito rimanga
vuoto o che un’opera da lui voluta rimanga incompiuta per il fallimento di coloro che avevano ricevuto l’incarico: annullerà la loro incredulità la fedeltà di
Dio? (Ro 3:3). Giuda muore ma l’ufficio
di vescovo continua. Si dice della sua abitazione: non vi sia chi abiti in essa, e
quindi egli non avrà eredi, ma non si dice
lo stesso del suo ufficio di vescovo per il
quale non mancherà un successore. Se
pure alcuni dei rami sono stati troncati,
altri verranno innestati (Ro 11:17).
Questo vale sia per i ministri di culto, sia
per gli altri membri di chiesa. È certo che
la causa di Cristo non conoscerà sconfitte
per mancanza di testimoni.
2. La mozione di Pietro per la scelta di
un altro apostolo (vv. 21, 22). A questo
proposito, si noti:
(a) I requisiti di colui che avrebbe
preso il posto di Giuda. Doveva essere
uno dei settanta discepoli, uno tra gli uomini che sono stati in nostra compagnia
tutto il tempo che il Signor Gesú è andato
e venuto tra noi, predicando e compiendo
miracoli per tre anni e mezzo, a cominciare dal battesimo di Giovanni, con cui
ebbe inizio il suo ministero terreno, fino
al giorno ch’egli, tolto da noi, è stato assunto in cielo. Chi era stato zelante, fedele e costante nell’adempiere ai propri
doveri con umiltà e sottomissione, era da
preferire a chi aveva avuto una posizione
di maggior rilievo; chi era stato fedele in
poca cosa sarebbe stato costituito sopra
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molte cose (cfr. Lu 16:10). E solo chi conosceva a fondo la dottrina e le opere di
Cristo, dall’inizio alla fine, poteva diventare un predicatore del suo Vangelo. Non
poteva diventare un apostolo chi non
fosse sempre stato in compagnia degli
apostoli, se non avesse avuto l’abitudine
di conversare da vicino con loro. Non bastava averli incontrati di tanto in tanto.
(b) Il compito che avrebbe dovuto
svolgere colui che sarebbe subentrato.
Egli doveva essere fatto testimone con
gli apostoli della risurrezione. Appare
qui evidente che altri discepoli si trovavano con gli undici quando Cristo apparve loro, perché in caso contrario non
ci sarebbe stato alcuno che potesse essere testimone con loro della risurrezione. La grande realtà che gli apostoli
dovevano attestare al mondo, era la risurrezione di Cristo, poiché essa costituiva la prova inconfutabile che egli era
il Messia e la base della nostra speranza
in lui. Perciò, si consideri come l’incarico a cui gli apostoli vennero chiamati
non aveva nulla a che vedere con un potere e una dignità secolari, ma era strettamente connesso con il predicare Cristo
e la potenza della sua risurrezione.
III. La nomina della persona che doveva succedere a Giuda nel suo ufficio di
apostolo.
1. La scelta dei candidati cadde su due
uomini, noti per aver seguito costantemente Cristo e per la loro grande integrità
morale: ne presentarono due (v. 23). Non
furono scelti dagli undici apostoli, ma dai
centoventi presenti, poiché Pietro, parlando, si era rivolto a tutta l’assemblea. I
due che vennero presentati erano
Giuseppe e Mattia. In seguito non troviamo piú notizie su di loro, a meno che
Giuseppe non si identifichi con quel Gesú
detto Giusto di cui parla Paolo nella lettera ai Colosessi (Cl 4:10), definendolo
della circoncisione, cioè appartenente al
popolo ebraico, proprio come vi apparteneva Giuseppe, e descrivendolo come
uno tra i suoi pochi collaboratori per il
regno di Dio che gli erano di conforto. Se
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le cose stessero in questo modo, si può
osservare che, per quanto fosse stato a un
passo dal diventare apostolo, egli non lo
era diventato, ma che fu molto utile nello
svolgimento di un compito minore.
Perciò è detto: sono tutti apostoli? Sono
forse tutti profeti? Sono forse tutti dottori? (1 Co 12:29). Qualcuno pensa invece che Giuseppe fosse quel «Iose», o
«Giosè», (Mr 6:3) fratello di Giacomo il
piccolo (Mr 15:40) e che venisse chiamato sia «Iose il giusto» che «Giacomo il
giusto». Altri lo confondono con quel
Giuseppe che è menzionato in Atti 4:36,
ma quest’ultimo era di Cipro e non della
Galilea. Sembra che proprio per distinguerli si chiamasse l’uno Barnaba (figlio
di consolazione) e l’altro Barsabba (figlio
del giuramento). Sia Giuseppe che Mattia
erano uomini talmente integri e qualificati
che l’assemblea non riusciva a decidere
quale dei due fosse il piú adatto al compito. Tutti però erano d’accordo che la
scelta non poteva cadere su altri oltre loro
due. Non erano stati loro a proporsi come
candidati – essi sedevano umilmente in
silenzio – ma erano stati gli altri a proporli.
2. I presenti si rivolsero a Dio in preghiera per essere guidati. Non gli chiesero
su quale dei settanta, ma su quale di questi due (vv. 24, 25) dovesse cadere la
scelta. Era infatti opinione comune a tutti
che nessuno potesse competere con loro.
(a) Essi si rivolsero a Dio, come a
colui che conosce i cuori: «Tu Signore,
che conosci i cuori di tutti, mentre noi
non li conosciamo e che li conosci meglio
di quanto ognuno conosca il proprio». Si
noti come per scegliere un apostolo si
guardava alla sua indole, alla disposizione del suo cuore. Gesú, che conosceva
il cuore di tutti gli uomini, aveva scelto
per un fine giusto e santo Giuda come uno
dei dodici. Ci è di conforto sapere che
nelle preghiere che gli rivolgiamo, intercedendo per la chiesa e i suoi ministri, il
Dio da noi invocato conosce i cuori di
tutti e tiene su di essi non solo il suo
sguardo, ma anche la sua mano. In tal
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modo egli trasforma i loro cuori secondo
la sua volontà rendendoli idonei a realizzare i suoi scopi.
(b) Essi desideravano sapere quale dei
due Dio avesse scelto: Signore... mostra
quale di questi due hai scelto. È giusto
che sia Dio a scegliere i suoi servitori, e
quando egli fa capire, attraverso le disposizioni della sua provvidenza o i doni
dello Spirito Santo chi o che cosa abbia
scelto per noi, dobbiamo attenerci alla sua
volontà.
(c) Essi erano decisi a riceverlo come
un fratello scelto da Dio. Non cercavano
di conservare gelosamente per sé maggior dignità impedendo agli altri di accedervi, ma desideravano che un fratello
partecipasse al loro ministero ed apostolato, che si unisse a loro nel servizio e
che condividesse con loro l’onore da cui
Giuda era decaduto per la sua trasgressione, autoescludendosi con l’abbandono e il tradimento del suo Maestro, dal
posto di apostolo di cui era indegno, per
andarsene al suo luogo, quello piú
adatto a lui, riservato ai traditori: non la
forca, ma l’inferno. Chi si allontana da
Cristo scade non soltanto dall’onore di
essere in comunione con Lui, ma precipita nella rovina piú assoluta. Ci viene
riferito che Balaam tornò a casa sua (Nu
24:25). Altri traducono: al suo luogo
che, a detta di un rabbino, significa in
questo caso all’inferno. Il Dott. Whitby
cita Ignazio di Antiochia il quale sostiene che per ogni uomo è preparato un
idios topos, ossia un «luogo proprio». E
ciò vuol dire, in altre parole, che Dio
renderà a ciascuno secondo l’opera sua
(Mt 16:27). Il nostro Salvatore aveva
detto a questo proposito che meglio sarebbe per quell’uomo se non fosse mai
nato (Mt 26:24, NR). E a rendere ancora
piú radicale la sua rovina è il fatto che
Giuda era stato un ipocrita, e il luogo
preparato per gli ipocriti, che lo condivideranno con gli altri peccatori, è l’inferno (Mt 24:51).
(d) Il dubbio venne risolto traendo a
sorte (v. 26). L’assemblea si appellava a
19
Atti 1:15-26; 2
Dio con un procedimento cui è lecito ricorrere per decidere su questioni non altrimenti risolvibili, a condizione che vi si
ricorra in un’atmosfera di solenne religiosità e di preghiera, la preghiera della fede:
si gettano le sorti nel grembo, ma ogni
decisione viene dall’Eterno (Pr 16:33).
Mattia non venne consacrato con l’imposizione delle mani, perché essendo stato
scelto con l’estrazione a sorte, egli era
stato consacrato da un atto di Dio che con
in modo straordinario aveva rivelato la
sua volontà. Egli doveva venire battezzato e consacrato dallo Spirito Santo,
come tutti gli altri, entro pochi giorni.
Cosí il numero degli apostoli venne ripristinato. In seguito, quando Giacomo, un
altro dei dodici, subí il martirio, Paolo fu
fatto apostolo.
CAPITOLO 2
Tra la promessa della venuta del Messia e il
suo adempimento intercorsero molti anni (anche
se dovessimo tener conto dell’ultima volta in cui
questa è stata fatta), ma tra la promessa della discesa dello Spirito Santo e il suo adempimento intercorsero pochi giorni durante i quali gli apostoli,
per quanto fosse stato loro ordinato di predicare
l’Evangelo a ogni creatura iniziando da
Gerusalemme, rimasero ancora completamente
inattivi e in incognito. In questo capitolo però si
svegliano i venti e si svegliano anch’essi. Li troviamo cosí, come dire, sul pulpito. Ed ecco il contenuto di questo capitolo:
I. La discesa dello Spirito Santo sugli apostoli
e sulle persone che erano riunite con loro il giorno
della Pentecoste (vv. 1-4).
II. Le congetture che su questo avvenimento
avanzarono le persone giunte a Gerusalemme da
molti luoghi (vv. 5-13).
III. Il discorso con cui Pietro spiegò che
quello spargimento dello Spirito Santo costituiva
l’adempimento di una promessa dell’Antico
Testamento (vv. 14-21), comprovava ulteriormente che Cristo era il Messia (vv. 22-32) come la
sua risurrezione aveva già dimostrato, ed era un
frutto e una prova della sua ascensione al cielo
(vv. 33-36).
IV. La conversione alla fede in Cristo, in seguito a tale discorso, di molte persone che vennero
aggiunte alla chiesa (vv. 37-41).
V. La fede e la carità dimostrate in misura cosí
ragguardevole da quei primi cristiani, e i segni
evidenti della presenza di Dio in loro e della potenza loro conferita (vv. 42-47).
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Atti 2:1-4
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2:1-4
Questo paragrafo riguarda la discesa
dello Spirito Santo sugli apostoli.
Notiamo:
I. Quando e dove lo Spirito Santo discese. Questo viene messo in particolare
evidenza per dare maggiore certezza al
fatto.
1. Lo Spirito Santo discese quando il
giorno della Pentecoste giunse. In questa
espressione sembra esserci un riferimento
al modo in cui fu istituita la festa:
Dall’indomani del sabato, dal giorno che
avrete portato l’offerta agitata del fascio
di spighe, conterete sette settimane intere
(Le 23:15) che era il secondo giorno dopo
la Pasqua, ossia il 16° giorno del mese di
Abib, il giorno della risurrezione di
Cristo. Quel giorno era pienamente
giunto, il che significa che erano passati
la notte precedente e una parte del giorno
stesso.
(a) Lo Spirito Santo discese mentre le
persone stavano celebrando una festa solenne. Per quella occasione, infatti, una
moltitudine di persone si era mobilitata da
ogni parte del Paese per recarsi a
Gerusalemme, compreso numerosi proseliti. Ciò avrebbe fatto sí che l’avvenimento avesse maggior risonanza e che la
sua fama si diffondesse quanto prima e
quanto piú lontano possibile, contribuendo all’ingresso dell’Evangelo in tutte
le nazioni. Allora, come precedentemente
in occasione della Pasqua, la festa ebraica
costituiva un’occasione assai favorevole
alla predicazione dell’Evangelo.
(b) La festa della Pentecoste veniva
osservata per commemorare il giorno in
cui Dio aveva dato a Mosè la Legge sul
monte Sinai, e a cui in certo senso risale
la costituzione della “chiesa” ebraica.
Secondo i calcoli del Dott. Lightfoot
erano passati da quel giorno 1.447 anni.
Quale migliore occasione per Dio di elargire il battesimo nello Spirito Santo, che
discese sui discepoli in forma di lingue di
fuoco, affinché venisse promulgata, non
solo per un popolo ma per ogni creatura,
la Legge dell’Evangelo.
Lo Spirito Santo scende a Pentecoste
(c) La festa della Pentecoste cadeva il
primo giorno della settimana, il che costituisce un onore conferito a quel giorno e
una conferma del fatto che esso è il «sabato cristiano», il giorno che l’Eterno ha
fatto (Sl 118:24), perché in esso si mantenga vivo nella chiesa il ricordo delle
due grandi benedizioni: la risurrezione di
Cristo e il dono del battesimo nello
Spirito Santo. Ciò serve non soltanto a
giustificare il fatto che consideriamo quel
giorno il giorno del Signore, ma a spingerci a santificarlo, lodando Dio in modo
specifico per queste due grandi benedizioni. Ritengo che ogni giorno del
Signore durante l’anno in ogni nostra preghiera e in ogni nostra lode dovremmo ricordarcene, mentre ciò avviene in alcune
chiese una volta all’anno, il giorno di
Pasqua, per la risurrezione, e il giorno di
Pentecoste, per il dono dello Spirito
Santo. Oh, ci sia dato di lodare Dio per
queste benedizioni con la dovuta riconoscenza!
2. Lo Spirito Santo discese quando
tutti erano insieme nel medesimo luogo
(v. 1). Non ci viene detto se fossero nel
tempio, dove si recavano per le riunioni
pubbliche (Lu 24:53), oppure nella loro
sala di sopra, dove si incontravano in ore
diverse. Si trovavano comunque a
Gerusalemme, perché quello era il luogo
che Dio aveva scelto perché il suo nome
vi dimorasse e da cui, secondo la profezia, sarebbe uscita la Parola di Yahwè (cfr.
Is 2:3). In quel giorno Gerusalemme era
anche il luogo in cui erano convenute
tutte le persone devote. Là Dio aveva promesso di venir loro incontro e di benedirle, e proprio là essi ricevettero la piú
grande tra le benedizioni. Per quanto
Gerusalemme fosse colpevole del peggiore oltraggio immaginabile nei confronti di Cristo, egli le fece questo onore,
insegnandoci cosí a non nutrire pregiudizi
nei confronti di quella città, né di alcun
altro luogo, poiché ovunque Dio ha un
suo popolo, un residuo, e ne aveva uno
anche là. I discepoli non si trovavano piú,
come fino allora, in luoghi diversi, ma
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Lo Spirito Santo scende a Pentecoste
erano tutti riuniti nello stesso luogo che,
per quanto non ampio, li conteneva tutti.
E tutti erano perfettamente uniti in una
medesima mente e in un medesimo sentire
(1 Co 1:10). Non possiamo dimenticare
che spesso, quando il Maestro era ancora
con loro, i discepoli avevano avuto delle
contese per sapere chi di loro fosse reputato il maggiore (Lu 22:24ss.), ma adesso
ogni contesa era finita, e non ne sentiremo
piú parlare. Questo perché essi avevano
già ricevuto il sigillo dello Spirito Santo
quando Cristo aveva soffiato su di loro
correggendo in parte gli erronei presupposti su cui erano basate le loro contese, e
li aveva resi inclini a un santo amore (cfr.
Gv 20:22). Essi avevano pregato insieme
piú del solito (At 1:14) e questo aveva
contribuito ad accrescere il loro amore reciproco. Con la sua grazia il Signore li
aveva preparati al dono dello Spirito
Santo. Infatti, quella benedetta colomba
non scende dove ci sono clamori e contese, ma si posa sulla superficie delle
acque quiete e non di quelle agitate.
Vogliamo che lo Spirito Santo soffi su di
noi dal cielo? Adoperiamoci allora per
avere una sola mente e, pur non avendo
necessariamente gli stessi interessi e le
stesse opinioni, come senza dubbio avveniva per i discepoli, siamo concordi nell’amarci l’un l’altro, poiché solo dove i
fratelli dimorano insieme nell’unità vi
sono le condizioni perché l’Eterno ordini
alla sua benedizione di scendere su di loro
(cfr. Sl 133).
II. Il modo in cui lo Spirito Santo discese sui discepoli.
Nell’Antico Testamento leggiamo che
spesso Dio scendeva in una nuvola, come
quando prese possesso per la prima volta
del tabernacolo e in seguito del tempio, il
che dimostra quanto oscura fosse quella
dispensazione. Anche Cristo salí al cielo
in una nuvola, dimostrando cosí quanto
poco sappiamo del Cielo superiore. Lo
Spirito Santo non discese però in una nuvola, poiché egli avrebbe dissipato le nuvole che coprono le menti degli uomini e
avrebbe portato la luce nel mondo.
21
Atti 2:1-4
1. Qui si parla di un suono che fu udito
dai discepoli e che accese in loro l’aspettativa di qualcosa di grande (v. 2). Di esso
si dice che:
(a) Si fece di subito, cioè che non si intensificò gradualmente come avviene di
solito per i venti, ma che raggiunse immediatamente il colmo dell’intensità.
Esso giunse prima di quanto i discepoli si
aspettassero e li sorprese mentre erano insieme, in attesa; probabilmente impegnati
in qualche esercizio religioso.
(b) Era un suono che veniva dal cielo,
come uno scoppio di tuono (Ap 6:1). Ci
viene detto che Dio fa uscire il vento dai
suoi tesori (Sl 135:7) e che raccoglie il
vento nel suo pugno (Pr 30:4). Infatti,
questo suono proveniva proprio da Lui,
come quello di una voce che gridasse:
Preparate... la via dell’Eterno.
(c) Era un suono di vento perché lo
Spirito Santo discende in maniera simile
al vento, tu ne odi il rumore, ma non sai
né d’onde viene né dove va (Gv 3:8).
Quando lo Spirito di vita stava per entrare
nelle ossa secche, ci viene detto che al
profeta fu ordinato di profetizzare al
vento: vieni dai quattro venti, o spirito
(Ez 37:9). E per quanto Dio non si sia manifestato a Elia nel vento, fu il vento a
prepararlo a scoprire la sua voce in un
suono dolce e sommesso (1 R 19:11, 12).
Ci viene detto che l’Eterno cammina nel
turbine e nella tempesta (Na 1:3) e che rispose a Giobbe dal seno della tempesta
(Gb 38:1).
(d) Si trattava di un vento impetuoso,
un vento forte e violento, che si manifestò
non solo con gran rumore, ma anche con
gran forza, come se volesse travolgere
tutto quello che incontrava, preannunziando cosí le potenti operazioni dello
Spirito di Dio sulle menti degli uomini e,
attraverso di essi, sul mondo intero poiché
essi dovevano ricevere da Dio la potenza
necessaria per abbattere le vane immaginazioni.
(e) Quel vento riempí non solo la sala,
ma tutta la casa dov’essi sedevano (v. 2).
Probabilmente tale vento fu percepito con
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timore dall’intera città, ma, a dimostrazione del suo carattere soprannaturale, si
diresse su quella casa fermandosi su di
essa, proprio come il vento scatenato da
Dio per fermare Giona avrebbe investito,
secondo alcuni, soltanto la nave su cui si
trovava il profeta (Gn 1:4); un po’ come la
stella che aveva guidato i Magi d’Oriente,
che si fermò sulla casa in cui stava il
Bambino, inducendo le persone che l’avevano osservata a raggiungere il luogo
per informarsi sulla natura del fenomeno.
Il vento che riempí la casa indusse nei discepoli un riverente timore, e contribuí a
porli in uno stato d’animo di profonda serietà e raccoglimento, preparandoli a ricevere lo Spirito Santo. Cosí lo Spirito
Santo convince per aprire la strada alle
sue consolazioni. Fu cosí che le violente
raffiche di quel vento benedetto prepararono i cuori dei discepoli allo spirare di
una mite brezza.1
2. Ecco un segno visibile del dono che
i discepoli stavano per ricevere. Essi videro delle lingue come di fuoco che si dividevano e se ne posò (gr. ekathisen) una
su ciascuno di loro (v. 3). Fu lo Spirito
Santo, che si manifestava nelle lingue di
fuoco, a fermarsi, collocarsi, quasi a “sedersi” su di loro, come apprendiamo che
si era fermato sui profeti dell’Antico
Testamento. Il Dott. Hammond ha scritto:
«Si vedeva su ciascuno di loro qualcosa
di simile a un fuoco fiammeggiante e luminoso che si divideva in piú parti e assumeva cosí, sulle loro teste, separate le
une dalle altre, l’aspetto di lingue». La
fiamma di una candela ha la forma di una
lingua e c’è un fenomeno meteorologico
che i naturalisti chiamano ignis lambens –
22
Lo Spirito Santo scende a Pentecoste
una fiamma tenue – non un fuoco divorante, proprio come le lingue di fuoco che
si posarono sugli apostoli. Pertanto, possiamo notare che:
(a) Le lingue di fuoco erano un segno
chiaramente percepibile che confermava
la fede dei discepoli, ed era atto a convincere altre persone. Anche la prima missione dei profeti dell’Antico Testamento
era stata spesso confermata da segni in
modo che tutto Israele potesse rendersi
conto che essi erano stati stabiliti come
profeti.
(b) Il segno dato era un segno di fuoco:
si adempiva cosí quanto Giovanni
Battista aveva detto di Gesú: Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco (Lu 3:16,
NR). Era la festa della Pentecoste e si
stava celebrando il ricordo del giorno in
cui la Legge era stata data sul monte
Sinai. E, poiché era stata data nel fuoco,
essa era chiamata «Legge di fuoco», e tale
è l’Evangelo (cfr. De 33:2). La missione
del profeta Ezechiele fu confermata dalla
visione di carboni ardenti (Ez 1:13) e
quella di Isaia da un carbone ardente con
cui fu toccata la sua bocca (Is 6:7). Cosí,
come un fuoco, lo Spirito Santo scioglie i
cuori, separa e brucia le scorie e suscita
sentimenti buoni e santi nell’anima. E
proprio nell’anima, come nel fuoco sull’altare, vengono offerti sacrifici spirituali. È questo il genere di fuoco che
Cristo è venuto a gettare sulla terra (Lu
12:49).
(c) Il fuoco apparve diviso in molte
lingue, e molti furono gli effetti operati
dallo Spirito Santo. Tra essi vi fu quello
del parlare in altre lingue, che ci rimanda
alle lingue di fuoco e che fu dato separa-
1) Per una chiara comprensione dell’espressione «si fece dal cielo un suono come di vento impetuoso» (At 2:2), è necessario afferrare bene il senso sia di «suono» sia di «vento impetuoso». Procedendo per ordine, dico che rendere il termine greco echos con
«suono», come fanno la maggior parte delle versioni, secondo me non è molto preciso perché non tiene conto della differenza che
c’è nello stesso immediato contesto tra il «suono» del versetto 2 e il «suono» del versetto 6, che invece è traduzione del greco
phoné che significa: «suono», «rumore», «voce». Il termine echos equivale in italiano a «eco», e quindi contiene in sé l’idea di risonanza quale fenomeno di riproduzione acustica associato al movimento vibratorio, un suono che si ripete e provoca oscillazioni.
In tale suo significato, il termine non ha sussistenza propria ma è pura dipendenza dinamica, pura filiazione in rapporto a quel termine correlato che ne rappresenta l’origine e che verrà introdotta in forma esplicita solo al versetto 6, e cioè phone (cfr. il v. 2 con
il v. 6). Per quanto concerne il «vento», bisogna dire che si tratta della traduzione del greco pnoe che fondamentalmente significa
«soffio». Infatti nella versione dei Settanta, questo verbo traduce di norma l’ebraico nešämäh, che proviene dalla radice našam
che significa «ansimare», «respirare intensamente e affannosamente». Perciò, il termine indica «il soffio», «l’ansimare intenso e
vigoroso» riferito sia a Dio che all’uomo (cfr. Is 30:33; 42:14; Sl 18:16). Quindi, secondo me, il giorno di Pentecoste non ci fu un
«vento» qualsiasi, ma un «soffio» violento – nel senso di veemente, impetuoso, vigoroso – di Dio; infatti è detto che proveniva
«dal cielo». Per queste ragioni propongo una traduzione diversa da quella tradizionale, ossia: «Improvvisamente si fece dal cielo
un eco come di un’aura vigorosa, che riempí tutta la casa dove essi sedevano».
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tamente dagli altri, affinché costituisse un
primo segnale dei doni dello Spirito. [1]
Erano lingue poiché dallo Spirito Santo
riceviamo la Parola di Dio, ma anche perché, per mezzo dello Spirito, Cristo parla
al mondo. Egli infatti non diede lo Spirito
Santo ai discepoli soltanto per riempirli di
conoscenza, ma anche per rivestirli di potenza, affinché proclamassero al mondo
ciò che conoscevano. Infatti lo Spirito
viene dispensato ad ognuno perché ne
tragga beneficio. [2] Le lingue erano divise per manifestare che Dio voleva, per
mezzo di esse, far sí che tutte le nazioni
condividessero la conoscenza della sua
grazia, come nella sua provvidenza aveva
fatto sí che condividessero la luce dei
corpi celesti (cfr. De 4:19). Per quanto divise, le lingue erano in perfetta armonia
reciproca. Infatti, è possibile un’autentica
unità di sentimenti anche dove c’è diversità di espressione. Il Dott. Lightfoot osserva che con la divisione delle lingue a
Babele gli uomini malvagi, perdendo l’unica lingua nella quale si parlava di Dio e
lo si predicava, avevano perso anche la
conoscenza di Dio e della religione, ed
erano caduti nell’idolatria. Dopo diversi
migliaia di anni, però, Dio ripristinò, proprio con la divisione delle lingue, la conoscenza di sé tra i popoli.
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Atti 2:1-4
(d) Il fuoco si fermò a lungo sui discepoli per mettere in evidenza che lo Spirito
Santo sarebbe rimasto costantemente accanto a loro. I doni profetici dell’Antico
Testamento erano stati conferiti misuratamente e soltanto in certi periodi, mentre la
Chiesa non avrebbe mai perso i doni dello
Spirito, anche se il segno, a quanto possiamo supporre, a un certo punto disparve.2 Non sappiamo con certezza se
quelle fiamme passassero da uno all’altro,
o se ci fossero tante fiamme quante erano
le persone. Doveva comunque trattarsi di
fiamme forti e splendenti, tali da essere
visibili anche alla luce del giorno.
Sappiamo infatti che il giorno era al suo
colmo.
III. Quale effetto immediato ebbe la
discesa dello Spirito Santo?
1. Tutti furono ripieni dello Spirito
Santo piú abbondantemente e potentemente di quanto non lo fossero mai stati.3
Essi erano ripieni delle grazie dello
Spirito ed erano piú che mai sotto la sua
influenza santificante, il loro animo era rivolto al Cielo. Erano distaccati da questo
mondo e si sentivano piú vicini all’altro.
Erano piú che mai ripieni delle consolazioni dello Spirito di Dio e gioivano piú
che mai nell’amore per Cristo e nella speranza del Cielo. Avevano superato tutte le
2) Talvolta le opinioni dottrinali di Matthew Henry si discostano da quelli di altri evangelici, come nel caso del pedobattesimo,
mentre altri evangelici suoi contemporanei, come gli anabattisti, insegnavano e praticavano il battesimo per immersione riservato
agli adulti. Per la stessa ragione, oggi vi sono molti evangelici i quali credono che nel Nuovo Testamento non v’è nulla che indichi una qualche intenzione da parte di Dio di rimuovere i doni spirituali; anzi è detto chiaramente il contrario (cfr. Mr 16:17, 20;
At 2:39). John E. Steinmueller e K. Sullivan affermano: «a proposito delle perpetuazione dei carismi [dello Spirito Santo, n.d.r.]
possiamo dire che, sebbene si manifestarono piú frequentemente nella chiesa apostolica, non c’è mai stato un periodo nel corso
della storia della Chiesa, in cui questi furono completamente assenti» (cfr. Chatolic Biblical Encyclopedia, Harper & Brothersm,
New York 1952, pag. 768). Tuttavia, non si può negare che dopo l’età apostolica ci sia stata una diminuzione dei doni dello Spirito
Santo, e negli scritti dei cosiddetti “Padri della Chiesa” troviamo delle indicazioni in questo senso. Però, questo avvenne non perché il Signore aveva ritirati i suoi doni, ma, come disse John Wesley, «perché l’amore di molti, di quasi tutti i cosiddetti cristiani,
si era raffreddato» (S.H. FRODSHAM, With Sign Following, Gospel Publishing House, Springfield, 1946). Infatti, è significativo che
in tempi di risveglio, attraverso tutta la storia del Cristianesimo, i doni dello Spirito Santo siano riapparsi in qualche forma (cfr.
F.L. CROSS, «Glossolalia», The Oxford Dictionary of the Christian Church, Oxford University Press, London 1958, pag. 564). E
ciò è accaduto, malgrado la storia ufficiale li abbia ignorati, oppure ne abbia parlato con disprezzo riportando solo le calunnie degli
avversari. Sono questi i motivi per cui non si sa molto intorno alla tematica dei «doni dello Spirito» nella storia, fino agli inizi del
XX secolo quando Dio suscitò il Movimento Pentecostale.
3) Il termine «ripieni» in greco è eplesthesan, aoristo passivo indicativo del verbo pímplemi (= riempio, colmo). Si tratta di un termine particolarmente caro a Luca, visto che ricorre tredici volte nel suo Vangelo, di cui quattro nei racconti dell’infanzia, e nove
in Atti. E questo è significativo se si considera che in tutto il Nuovo Testamento tale verbo ricorre solo altre due volte (cfr. Mt
22:10; 27:48). D’altra parte, non deve passare inosservato che questo verbo viene usato spesso in rapporto allo Spirito Santo (cfr.
Lu 1:15, 41, 67; 2:4; 4:8, 31; 9:17; 13:9). Inoltre, l’uso dell’aoristo puntualizza efficacemente la modalità nella quale si è operato
tale «riempimento» dello Spirito Santo nei circa centoventi riuniti in preghiera. Il carattere dell’azione è puntuale, momentanea,
come procedente da una dimensione metatemporale e che si sia improvvisamente imposta sul piano temporale. Dal punto di vista
di un’esegesi teologica e sincronica è sorprendente rilevare come il concetto di «riempimento» indica la completezza dell’azione
del riempire, che di per sé suppone una certa irruzione, o versamento di un liquido da un recipiente all’altro. Non solo, ma l’enfasi qui non è solo sulla quantità, nel senso di «molto», ma è soprattutto sul concetto di riempire, colmare, saziare la vacuità e al
tempo stesso di essere anche principio di coesione e unificazione: «Ogni valle sarà colmata e ogni monte e ogni colle sarà spianato» (Lu 3:5). Il riempimento colma la valle e unisce le cime dei monti prima distanti tra loro.
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loro paure e i loro dolori, e, a riprova di
ciò, erano ripieni dei doni dello Spirito
Santo che vengono qui specificatamente
menzionati: avevano ricevuto potenza per
operare miracoli al fine di promuovere il
progresso dell’Evangelo. A me sembra
evidente che non solo i dodici apostoli,
ma tutte le centoventi persone ricevessero
lo Spirito Santo in uguale misura e contemporaneamente. Infatti, i settanta discepoli dovevano svolgere la stessa attività
degli apostoli, e anche gli altri presenti
avrebbero predicato l’Evangelo. È detto
infatti nella lettera agli Efesini: Salito in
alto (e questo corrisponde ad At 2:33)...
egli (Cristo) ha fatto dei doni agli uomini
e non solo ad alcuni apostoli, cioè ai
Dodici, ma ha dato gli uni come apostoli;
gli altri come profeti; gli altri come evangelisti (e tali erano molti dei settanta discepoli che svolgevano un ministero itinerante di predicazione); gli altri, come
pastori e dottori (cui è affidato un ministero fisso nelle diverse chiese) e possiamo supporre che alcuni dei presenti divenissero in seguito pastori e dottori (Ef
4:8, 11). Quindi, probabilmente ricevettero questi doni tutti quelli che erano insieme nel medesimo luogo (vv. 1, 14, 15).
2. Cominciarono a parlare in altre lingue, diverse dalla loro lingua madre, per
quanto non ne avessero mai imparata
un’altra.4 Non parlavano di argomenti futili, ma della Parola di Dio e lodavano il
suo nome secondo che lo Spirito dava
loro d’esprimersi, vale a dire di esprimere
concetti sostanziali e meritevoli di essere
ricordati. È probabile che tutti fossero in
grado di parlare piú lingue, a seconda
delle occasioni che si presentassero loro e
non che ognuno ne parlasse soltanto una,
come era avvenuto per i gruppi che si
erano dispersi da Babele nel mondo.
24
Lo Spirito Santo scende a Pentecoste
Inoltre, possiamo supporre che essi comprendessero non solo quelle lingue, ma
anche un’altra, quella che i costruttori
della torre di Babele non comprendevano
piú (cfr. Ge 11:7). Non dobbiamo pensare
che pronunciassero di tanto in tanto una
parola in un’altra lingua o che farfugliassero qualche frase sgrammaticata, no, essi
parlavano senza esitazioni in maniera appropriata e corretta, come se si stessero
esprimendo nella loro lingua madre.
Infatti, i miracoli non danno frutti di seconda mano, ma i frutti migliori. Essi non
parlavano esprimendo pensieri propri o
meditazioni precedenti, ma secondo che
lo Spirito dava loro d’esprimersi. Era lo
Spirito Santo a dare loro non solo la lingua, ma anche gli argomenti di cui parlare.
(a) Ciò costituiva un grandissimo miracolo, perché si trattava di un miracolo
operato sulla mente (e quindi di un miracolo simile a quelli dei Vangeli). Infatti è
nella mente che si formano le parole. Non
solo i discepoli non avevano mai studiato
quelle lingue, ma neanche una qualsiasi
lingua straniera che ne facilitasse l’apprendimento, anzi, a quanto sembra, non
avevano mai avuto occasione di sentire
qualcuno che le parlasse, e non avevano
la minima idea su di esse. Non erano né
studiosi, né viaggiatori e non avevano
avuto la minima opportunità di apprenderle dai libri o dalla conversazione.
Pietro era effettivamente in grado di parlare adeguatamente la sua lingua madre,
ma gli altri non erano dei gran parlatori,
né erano particolarmente istruiti. Non soltanto il cuore degli sconsiderati capirà la
saggezza, e la lingua dei balbuzienti parlerà veloce e distinta (Is 32:4, NR), ma
quando Mosè si lamentò con Dio dicendo
Ahimè Signore, io non sono un parlatore
4) L’espressione «parlare in altre lingue» in greco è lalein heterais glossais dove l’aggettivo heteros (= altro) va distinto da allos
(= altro). Sebbene talvolta i due aggettivi siano usati in modo interscambiabile, conservano una differenza di fondo. Il primo termine, heteros, significa «un altro fra due», «un altro di differente natura», mentre il secondo, allos, significa «un altro fra molti»,
«un altro della stessa natura». Ecco un esempio: «Mi meraviglio che cosí presto voi passiate, da colui che vi ha chiamati mediante
la grazia di Cristo, a un altro (gr. heteros) vangelo. Che poi non c’è un altro (gr. allos) vangelo; però ci sono alcuni che vi turbano
e vogliono sovvertire il vangelo di Cristo» (Ga 1:6, 7). Il fatto che l’aggettivo heteros significhi «altro di differente genere o natura» (cfr. Mr 16:12; 1 Co 15:40; Fl 3:15), ci porta alla conclusione che nel giorno di Pentecoste, sebbene il parlare in lingue sia
stata una xenolalia, ossia un parlare lingue straniere che alcune persone potevano comprendere (At 2:6), si trattava comunque di
lingue non di natura umana, ma celeste; ossia di un linguaggio che proveniva direttamente dal Cielo, appunto «come lo Spirito
Santo dava loro di esprimersi» (At 2:4).
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(Es 4:10), Dio gli rispose che egli sarebbe
stato con la sua bocca e con quella di
Aaronne che lo avrebbe affiancato. Per
questi suoi messaggeri Dio fece però di
piú.
(b) Colui che aveva fatto la bocca dell’uomo, plasmò a nuovo le bocche di
Mosè e Aaronne, un miracolo molto opportuno e utile. La lingua parlata dai discepoli era l’aramaico, e, quindi, era indispensabile che ricevessero questo dono
per comprendere sia l’ebraico, in cui era
stato scritto l’Antico Testamento, sia il
greco, in cui sarebbe stato scritto il
Nuovo. Ma questo non era tutto: essi dovevano infatti predicare l’Evangelo a
ogni creatura e ammaestrare tutti i popoli
(cfr. Mt 28:19, 20). C’era però una difficoltà per loro insormontabile: come sarebbero potuti arrivare a padroneggiare le
diverse lingue necessarie per farsi comprendere chiaramente da tutti i popoli?
Per impararle sarebbe bastata a malapena
la vita di un uomo. E quindi, a comprova
del fatto che Cristo poteva conferire l’autorità di predicare il suo Vangelo a tutti i
popoli, egli diede ai discepoli la capacità
di predicare nel linguaggio di ciascuno.
Sembrerebbe che in ciò sia giunta ad
adempimento la promessa che Egli aveva
fatto loro: chi crede in me farà anch’egli
le opere che fo io; e ne farà di maggiori
(Gv 14:12). Infatti, considerando bene il
tutto, si può riconoscere in ciò un’opera
maggiore delle guarigioni miracolose
operate da Cristo. Cristo non aveva mai
parlato in altre lingue, né aveva conferito
ai suoi discepoli il potere di farlo mentre
era con loro. Questo miracolo fu il segno
iniziale del battesimo nello Spirito Santo.
Il Dott. Tillotson è del parere che anche
oggi, se degli uomini devoti si dedicassero con sincerità e impegno per la conversione degli infedeli, Dio li benedirebbe in modo straordinario proprio come
fece il giorno della Pentecoste.
2:5-13
Abbiamo qui un resoconto delle reazioni suscitate dalla notizia, divenuta di
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Atti 2:5-13
dominio pubblico, di questo straordinario
dono ricevuto inaspettatamente dai discepoli. Pertanto, possiamo notare:
I. La grande affluenza di persone a
Gerusalemme. Sembra che quell’anno ci
fosse un’affluenza maggiore del solito. Si
trovavano di soggiorno a Gerusalemme
dei Giudei, uomini religiosi, cioè «timorati di Dio» (questo è qui il significato del
termine). Alcuni di essi erano proseliti di
giustizia, circoncisi e membri ammessi
nella comunità ebraica; altri soltanto proseliti di passaggio che avevano abbandonato l’idolatria per adorare il vero Dio,
ma non si sottoponevano alla legge cerimoniale. Insomma, si trovava a
Gerusalemme gente arrivata di ogni nazione che è sotto il cielo (v. 5). Alcuni
erano Ebrei nella dispersione, altri proseliti stranieri. L’espressione è iperbolica e
significa che c’erano persone provenienti
da quasi tutte le dieci parti del mondo allora conosciuto. Infatti, come Londra è
oggi, in un certo modo, il luogo d’incontro per chi si occupa di commerci internazionali, cosí Gerusalemme lo era quel
giorno per le persone religiose provenienti da ogni dove.
1. Ci viene qui riferito da quali Paesi
fossero giunti quegli stranieri (vv. 9-11).
Alcuni erano venuti da Oriente, come i
Parti, i Medi, gli Elamiti e gli abitanti
della Mesopotamia, tutti discendenti da
Sem. Vengono poi ricordati anche gli abitanti della Giudea. Infatti, benché i discepoli parlassero la loro stessa lingua, prima
di allora l’avevano parlata nel dialetto e
con l’accento del Nord – Certo anche tu
sei di quelli (cioè fai parte di quei Galilei
che seguivano Gesú) perché anche il tuo
parlare ti fa conoscere (Mt 26:73, NR) –
ma quel giorno la parlavano correttamente come gli abitanti della Giudea.
Seguono coloro che provenivano dalla
Cappadocia, dal Ponto e da quella regione
della Propontide che costituiva la provincia romana dell’Asia. Là vivevano, come
forestieri nella dispersione, degli Ebrei ai
quali Pietro indirizzò la sua prima epistola (1 P 1:1). C’era anche chi, prove-
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Atti 2:5-13
nendo dalla Cilicia e dalla Panfilia, Paesi
posti a Occidente, faceva parte della discendenza di Iafet, come gli avventizi
Romani; c’era chi era giunto dall’Egitto,
dalle parti della Libia Cirenaica, chi invece dall’isola di Creta o dai deserti
dell’Arabia. Tutte queste persone erano
Ebrei che vivevano nella dispersione, oppure proseliti originari di quei Paesi. Il
Dott. Whitby osserva che Filone e
Giuseppe Flavio, i due storici ebrei che
hanno scritto su quel periodo, affermano
entrambi che vi erano Ebrei stanziati in
ogni parte della terra e che non c’era popolo sulla terra tra il quale non si trovassero degli Ebrei.
2. Possiamo chiederci: ma che cosa
spinse tutti quegli Ebrei e quei proseliti a
riunirsi a Gerusalemme proprio allora?
Non doveva trattarsi di una rapida visita
in occasione della festa di Pentecoste,
poiché ci viene detto che essi soggiornavano
a
Gerusalemme
(v.
5).
Evidentemente vi avevano preso alloggio,
poiché era viva un’aspettativa generale
sulla manifestazione del Messia. Erano
appena terminate le settimane di Daniele,
lo scettro era stato rimosso da Giuda e si
pensava che il regno di Dio stesse per
esser manifestato immediatamente (Lu
19:11). Per questo motivo le persone piú
zelanti e devote erano venute a
Gerusalemme, per fermarvisi e avere subito parte al regno di Dio e alle sue benedizioni.
II. Gli stranieri sono meravigliati
quando odono i discepoli esprimersi nelle
loro rispettive lingue. Sembra che i discepoli le parlassero ancora prima di incontrarli. Leggiamo, infatti, che ciò che indusse la moltitudine a raggiungerli fu l’avere udito quel suono (v. 6), e ciò è vero
soprattutto per coloro che provenivano da
altri Paesi, dal momento che il miracolo
riguardava piú da vicino loro che non gli
abitanti di Gerusalemme.
1. Essi si resero conto che quelli che
parlavano erano tutti Galilei che conoscevano soltanto la loro madrelingua (v. 7),
persone tenute generalmente in scarsa
26
Lo Spirito Santo scende a Pentecoste
considerazione e da cui non ci si aspettava istruzione e garbo. Dio ha però scelto
le cose deboli e pazze del mondo per
svergognare i savi e i potenti (1 Co 1:27).
D’altra parte, anche Cristo era ritenuto un
Galileo, e i suoi discepoli, uomini senza
cultura e rozzi, lo erano effettivamente
(At 4:13).
2. Si resero anche conto che i discepoli
parlavano con prontezza e in maniera
chiara le loro lingue (e di ciò erano ovviamente i migliori giudici) e che si esprimevano cosí correttamente che nessuno
dei loro compatrioti avrebbe potuto superarli. Li udiamo parlare ciascuno nel nostro proprio natio linguaggio (v. 8). I
Parti udivano uno di loro parlare la loro
lingua, i Medi ne udivano un altro e lo
stesso vale per tutti gli stranieri che erano
presenti, i quali li sentivano parlar delle
cose grandi di Dio nelle proprie lingue (v.
11). Si trattava di lingue non solo sconosciute a Gerusalemme, ma probabilmente
anche disprezzate e sottovalutate. Era
quindi non soltanto una sorpresa, ma una
piacevole sorpresa per ognuno di loro
sentire parlare la propria lingua, come lo
è naturalmente per chi si trovi in un Paese
straniero.
(a) Le cose di cui gli stranieri sentivano parlare i discepoli erano le cose
grandi di Dio (gr. megaleia tou Theou),
Magnalia Dei (Vulgata Clementina),
ossia «le opere meravigliose di Dio». È
probabile che i discepoli parlassero di
Cristo, della sua opera di redenzione e
dell’Evangelo di grazia. Sono queste effettivamente le cose grandi di Dio che saranno per sempre meravigliose agli occhi
nostri.
(b) Li sentivano lodare Dio per quelle
grandi cose e istruire le persone intorno a
esse, rivolgendosi a ciascuno nella propria lingua. Capivano infatti, sentendo
parlare i loro ascoltatori o coloro che
chiedevano di loro, quale lingua parlassero. Benché alcuni degli stranieri fossero, forse, da un po’ di tempo a
Gerusalemme e avessero imparato un po’
di ebraico, tanto da essere in grado di
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Discorso di Pietro
comprendere i discepoli se avessero parlato in quella lingua, tuttavia ciò produsse
in loro delle emozioni: [1] Sentirli parlare
nella propria lingua era piú straordinario e
li aiutava a comprendere che quella dottrina veniva da Dio. Infatti le lingue servono di segno non per i credenti, ma per i
non credenti (1 Co 14:22). [2] Era anche
una manifestazione di simpatia che aiutava a promuovere dei sentimenti d’amicizia, un chiaro segno di benevolenza nei
confronti dei Gentili. Se ne deduceva che
la conoscenza e l’adorazione di Dio non
sarebbero piú state riservate agli Ebrei e
che il muro di separazione sarebbe stato
abbattuto (Ef 2:14). Ciò è per noi una
chiara indicazione dei propositi e della
volontà di Dio. Egli vuole che le sacre testimonianze sulle sue opere meravigliose
vengano conservate, che le Scritture vengano lette e che gli si offra un culto pubblico in ogni nazione nel volgare locale.
3. Essi stupivano ed erano perplessi (v.
12). Erano «fuori di sé» (questo vuol dire la
parola) considerando straordinario questo
fatto, ed erano in dubbio sul suo significato.
Aveva forse lo scopo di introdurre il Regno di
Dio, da loro tanto atteso? Si chiedevano quindi
l’un l’altro: Tí thelei touto einai; (testo greco),
Quidnam vult hoc esse? (Vulgata Clementina)
Che cosa significa questo? (v. 12, NR). Quale
scopo si propone? Sicuramente lo scopo di
conferire dignità a quegli uomini e di manifestare la loro qualità di messaggeri di Dio, e
quindi, proprio come Mosè quando vide il
pruno in fiamme che non si consumava, gli
stranieri decisero: andiamo a vedere questa
grande visione (Es 3:3).
III. Il dileggio di alcuni presenti, originari di Gerusalemme e della Giudea, probabilmente scribi, Farisei e capi sacerdoti
che avevano sempre opposto resistenza
all’opera dello Spirito Santo. Secondo
loro i discepoli erano pieni di vino dolce o
nuovo, avendo bevuto troppo in occasione della festa (v. 13). Non erano tanto
sciocchi da pensare che il troppo vino in
corpo rendesse capaci di parlare lingue
mai imparate, ma, essendo originari della
Giudea, non capivano, a differenza degli
Atti 2:14-36
27
altri, che le lingue parlate erano effettivamente lingue di altri Paesi e ritenevano
quindi che i discepoli blaterassero, come
fanno a volte gli ubriaconi. Quando avevano deciso di non credere che lo Spirito
Santo fosse all’opera nei miracoli di
Cristo, ne avevano dato questa interpretazione: Egli caccia i demoni per l’aiuto del
principe dei demoni (Mt 9:34; 12:24), e
quando decisero di non credere che nella
predicazione degli apostoli vi fosse la
voce dello Spirito di Dio diedero questa
interpretazione sono pieni di vino dolce.
E, dal momento che avevano definito un
mangiatore e un beone il padrone di casa,
non c’è da meravigliarsi che definissero
cosí i suoi servitori.
2:14-36
Scorgiamo qui i primi frutti dello
Spirito Santo nella predicazione che
Pietro tenne immediatamente, rivolgendosi non agli stranieri in una lingua straniera (non abbiamo ancora parlato della
risposta che diede a quelli che erano stupiti e si chiedevano che vuol esser questo), ma agli Ebrei, da cui era partito il dileggio, nella lingua locale. Infatti, egli iniziò proprio parlando di questo (v. 15) e si
rivolse (v. 14) ai suoi ascoltatori chiamandoli uomini Ebrei, e voi tutti che abitate in
Gerusalemme. Però, abbiamo motivo di
credere che gli altri discepoli continuassero a parlare delle cose grandi di Dio a
coloro che li capivano (e che quindi si
erano assembrati intorno a loro) nelle lingue dei loro rispettivi Paesi. Quindi tremila persone credettero e furono aggiunte
alla chiesa, non solo per mezzo della predicazione di Pietro, ma anche per quanto
dicevano in altre lingue i circa centoventi
discepoli o la maggior parte di loro. Ci
sono state tramandate soltanto le parole di
Pietro per dimostrare che egli era stato
completamente riabilitato dopo la sua caduta e che era pienamente ristabilito nel
favore di Dio. Proprio lui che aveva vilmente rinnegato Cristo, adesso lo confessa con grande coraggio. Osserviamo
quanto segue:
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Atti 2:14-36
I. Il modo in cui Pietro introdusse il suo
discorso. Prima di iniziare a parlare, egli
cercò di catturare l’attenzione del suo uditorio alzandosi in piedi a dimostrazione
del fatto che non era ubriaco (v. 14). Con
lui si alzarono gli Undici, tutti d’accordo
su quanto diceva. Probabilmente anch’essi
parlarono a loro volta in maniera simile.
Coloro cui era stata conferita l’autorità
maggiore si alzarono quindi per parlare
agli abitanti della Giudea da cui era partito
il dileggio e per affrontare con coraggio
quegli oppositori blasfemi, lasciando ai
settanta discepoli il compito di parlare ai
proseliti stranieri, ben disposti e non prevenuti, nelle loro rispettive lingue. Infatti,
alcuni tra i ministri di Cristo hanno ricevuto doni maggiori e sono chiamati a
istruire gli oppositori, a brandire la lancia
e la spada, mentre ad altri, con doni minori, è assegnato il compito di istruire chi
desidera essere istruito, svolgendo cosí
mansioni di vignaiolo e di agricoltore.
Pietro... alzò la voce dimostrando cosí la
sua assoluta certezza e il suo profondo coinvolgimento in ciò che diceva, di cui non
si vergognava e che non temeva di palesare. Egli si rivolse al suo uditorio con
queste parole: «uomini giudei (gr. andres
ioudaioi), e specialmente voi tutti che abitate in Gerusalemme e siete stati complici
di chi ha voluto la morte di Cristo, vi sia
noto questo, che prima non vi era noto e
che adesso è nel vostro interesse conoscere, prestate orecchio alle mie parole
che vi porteranno a Cristo e non a quelle
degli scribi e dei Farisei che vi porterebbero lontano da lui. Il mio Maestro, le cui
parole avete spesso udito senza trarne profitto, se n’è andato e non avrete piú occasione di sentirlo parlare personalmente,
ma egli vi parla oggi per mezzo di noi.
Quindi, prestate orecchio alle nostre parole».
II. Il modo in cui Pietro risponde alle
loro blasfeme calunnie (v. 15): «costoro
non sono ebbri, come voi supponete.
Questi discepoli di Cristo che ora parlano
in altre lingue, parlano sensatamente e
sanno ciò che dicono, come lo sa chi è
28
Discorso di Pietro
condotto dalle loro parole alla conoscenza
delle cose grandi di Dio. Non potete pensare che abbiano bevuto troppo perché
non è che la terza ora del giorno». Erano
infatti le nove del mattino, e prima di
quell’ora nei sabati e nelle feste solenni
gli Ebrei non mangiavano e non bevevano. Generalmente chi era ubriaco lo era
quindi di sera e non di mattina. Bisognava
veramente essere bevitori piú che incalliti
per dire: «quando mi sveglierò... tornerò a
cercarne ancora» (Pr 23:35).
III. Il sermone di Pietro sulla miracolosa effusione dello Spirito Santo atto a
indurre gli ascoltatori ad abbracciare la
fede in Cristo e ad entrare a far parte della
Chiesa. Egli chiarí alcuni punti: si trattava
di un adempimento delle Scritture; si trattava di un frutto della risurrezione e dell’ascensione di Cristo; si trattava anche di
una prova della veridicità sia dell’una che
dell’altra. Scendiamo piú nello specifico.
1. Si trattava di un adempimento delle
profezie dell’Antico Testamento relative
al regno del Messia, e quindi una prova
che quel regno era giunto e che le predizioni su di esso si erano avverate. Pietro
ne citò una, quella del profeta Gioele (vv.
16-21; cfr. Gl 2:28-32). Vale la pena di osservare che, per quanto Pietro fosse ripieno dello Spirito Santo e parlasse in
altre lingue, secondo che lo Spirito gli
dava di esprimersi, non mise da parte le
Scritture, né si ritenne superiore ad esse.
Infatti, il suo sermone è costituito in gran
parte da citazioni dell’Antico Testamento,
cui si appellava e per mezzo del quale
provava ciò che sosteneva. Gli studiosi
cristiani non ne sanno mai piú della loro
Bibbia, e lo Spirito Santo non ci viene
dato perché prenda il posto delle
Scritture, ma per renderci capaci di comprenderle e di farne buon uso (cfr. Gv
16:13; 1 Co 2:14-16; 2 Ti 2:7).
(a) Il testo citato da Pietro (vv. 17-21).
Esso si riferisce agli ultimi giorni perché
la dispensazione del Regno di Dio tra gli
uomini, cui l’Evangelo dà inizio, è l’ultima dispensazione della grazia divina tra
gli uomini e non dobbiamo aspettarci
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Discorso di Pietro
altro che il suo proseguimento fino alla
fine dei tempi. Secondo altre interpretazioni il profeta Gioele avrebbe parlato di
ultimi giorni in vista del lungo periodo
che sarebbe intercorso tra la fine delle
profezie dell’Antico Testamento e il loro
adempimento, oppure si tratterebbe degli
ultimi giorni precedenti alla distruzione
della nazione ebraica, degli ultimi giorni
per quel popolo, appena prima dell’avvento del grande e glorioso giorno di cui
si parla, che è il giorno del Signore (v.
20). Come dire: «Esso è stato profetizzato
e promesso. Quindi, dovete aspettarlo e
non sorprendervene; desiderarlo e dargli
il benvenuto, non metterlo in dubbio o
considerarlo non meritevole d’attenzione». L’apostolo citò per intero il brano
del profeta Gioele, e questo viene a dirci
quanto sia importante prendere le
Scritture nella loro interezza. Ecco quanto
era stato predetto in quel passo: [1] Che ci
sarebbe stata dall’alto un’effusione dello
Spirito di Dio, piú ricca e piú ampia di
ogni precedente effusione. I profeti
dell’Antico Testamento erano stati ripieni
di Spirito Santo, e leggiamo che Dio
aveva dato al popolo d’Israele il suo
buono Spirito per istruirlo (Ne 9:20). Era
però giunto il momento in cui lo Spirito
Santo sarebbe stato sparso su ogni carne,
sugli stranieri non meno che sugli Ebrei,
per quanto Pietro, evidentemente, non intendesse cosí la profezia, come appare
evidente da Atti 11:17. È anche possibile
che l’espressione su ogni carne si riferisca a persone di ogni ceto e condizione
sociale. Infatti, i dottori ebrei insegnavano che lo Spirito Santo veniva dato solo
ai sapienti e ai ricchi purché fossero progenie di Abramo, ma Dio non è vincolato
dalle loro regole. [2] Che lo Spirito Santo
che avrebbero ricevuto sarebbe stato uno
Spirito di profezia. Per mezzo dello
Spirito di Dio essi avrebbero potuto predire cose future e predicare l’Evangelo a
ogni creatura. Questo potere sarebbe
stato dato senza distinzione di sesso o di
età: «non solo i vostri figli, ma anche le
vostre figlie profeteranno e i vostri gio-
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Atti 2:14-36
vani vedranno delle visioni, e i vostri vecchi sogneranno dei sogni in cui riceveranno rivelazioni divine da comunicare
alla chiesa. Non ci sarà neppure distinzione di condizione sociale: anche i servi
e le serventi riceveranno lo Spirito e profeteranno». Si può però anche intendere
che ci si riferisca qui agli uomini e alle
donne che Dio chiama suoi servi e sue
serventi. All’inizio dell’età profetica,
nell’Antico Testamento, c’erano state
delle scuole di profeti e, prima di ciò, lo
Spirito di profezia era sceso sugli anziani
di Israele che erano stati scelti per governarlo. Da quel giorno, però, lo Spirito
Santo sarebbe sceso anche su persone di
ceto piú modesto, che non erano state
istruite in una scuola di profeti. Infatti, il
Regno del Messia sarebbe stato di natura
puramente spirituale. Il fatto che si parli
delle figlie (v. 17) e delle serventi (v. 18)
farebbe pensare che le donne menzionate
in Atti 1:14 ricevessero, come gli uomini,
il dono splendido dello Spirito Santo.
L’evangelista Filippo aveva quattro figliuole... che profetizzavano (At 21:9) e
Paolo, trovando sovrabbondanza di doni
sia di lingue che di profezia nella chiesa
di Corinto, ritenne necessario proibire
alle donne di farne uso in pubblico (cfr. 1
Co 14:26, 34). [3] Che una delle grandi
cose su cui dovevano profetizzare era il
giudizio che stava per cadere sulla nazione ebraica. Era questo infatti l’avvenimento piú importante che Cristo stesso
aveva profetizzato (Mt 24), sia quando
stava per entrare in Gerusalemme (Lu
19:41), che mentre veniva condotto alla
morte (Lu 23:29). Il giudizio sarebbe caduto sulla nazione per punire il disprezzo
e l’opposizione con cui l’Evangelo, benché accompagnato da tante prove, vi era
stato accolto. Coloro che non avevano voluto sottomettersi alla grazia di Dio, in
quella meravigliosa effusione dello
Spirito Santo, sarebbero caduti al soffio
della sua ira e non si sarebbero piú rialzati. Coloro che non avevano voluto piegarsi sarebbero stati spezzati. Pertanto,
possiamo fare alcune ulteriori osserva-
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zioni. In primo luogo la distruzione di
Gerusalemme, che si verificò circa quarant’anni dopo la morte di Cristo, è qui
chiamata il grande e glorioso giorno del
Signore, poiché pose fine all’economia
mosaica: il sacerdozio levitico e la legge
cerimoniale ne risultarono aboliti. La desolazione che colpí il Paese fu tale che
non se ne vide mai una maggiore, né
prima né dopo, in nessun altro Paese.
Quel giorno fu il giorno del Signore, cioè
il giorno della sua vendetta su quel popolo per la crocifissione di Cristo e la persecuzione dei suoi ministri; quell’anno fu
l’anno in cui quel popolo dovette rendere
conto di tutto il sangue dei santi e dei
martiri versato, a partire dal sangue del
giusto Abele (Mt 23:35). Fu un breve
giorno di giudizio, fu un grande giorno.
Gioele lo definisce terribile poiché tale fu
per gli uomini sulla terra, ma Pietro lo definisce glorioso perché tale fu per Cristo
in cielo. Esso fu la sua epifania, la sua apparizione, come egli stesso aveva affermato (Mt 24:30). La distruzione degli
Ebrei fu un sollievo per i cristiani, odiati
e perseguitati da loro. Per incoraggiarli, i
profeti del tempo parlavano spesso di
quel giorno come la venuta del Signore è
vicina... il Giudice è alla porta (Gm 5:8,
9). In secondo luogo, troviamo qui profetizzati i terribili segni precursori della distruzione: prodigi su nel cielo, e segni giú
sulla terra...il sole sarà mutato in tenebre,
la luna in sangue (vv. 19, 20). Nella prefazione alla sua «Storia delle guerre giudaiche», Giuseppe Flavio parla dei segni
e dei prodigi che le precedettero: ci furono tuoni terribili, fulmini e terremoti;
una cometa molto luminosa si fermò sulla
città per un anno e si vide una spada fiammeggiante puntata dall’alto su di essa,
una luce apparve sul tempio e sull’altare a
mezzanotte come se fosse pieno giorno. Il
Dott. Lightfoot interpreta diversamente
questi segni: il sangue del Figlio di Dio, il
fuoco dello Spirito Santo che si era appena manifestato, il vapore di fumo in cui
Cristo era asceso al cielo, il sole mutato in
tenebre e la luna in sangue durante la pas-
30
Discorso di Pietro
sione di Cristo sarebbero tutti chiari avvertimenti dati a quel popolo che non voleva credere per prepararlo al giudizio che
lo attendeva. È anche possibile intendere
che la profezia si riferisca agli avvenimenti, essi stessi dei giudizi, che precedettero e prepararono la desolazione finale e questa interpretazione sembra convincente. Il sangue si riferirebbe alle
guerre tra Ebrei e popoli vicini
(Samaritani, Siriani e Greci) che erano
costate molto sangue, e alle rivolte, anch’esse molto sanguinose, di gruppi sediziosi tanto che non c’era pace né per chi
usciva, né per chi entrava. Il fuoco e il vapore di fumo, qui profetizzati, costituirebbero un riferimento preciso agli incendi
delle città, delle sinagoghe e del tempio.
Il sole mutato in tenebre e la luna in sangue significherebbero la dissoluzione dell’autorità civile e religiosa e il venir meno
della loro luce. In terzo luogo: viene promesso (v. 21) che il popolo di Dio sarà
esemplarmente preservato: Chiunque
avrà invocato il nome del Signore (cioè
ogni vero cristiano – 1 Co 1:2) sarà salvato. Egli scamperà al giudizio e ciò costituirà un tipo e una caparra della salvezza eterna. Quando Gerusalemme, nel
giorno dell’ira dell’Eterno, era stata distrutta dai Caldei, un residuo era scampato; e quando la distrussero i Romani
nessun cristiano morí. Coloro che si distinguevano per la loro grande devozione
vennero distinti dagli altri, avendo salva
la vita. Notiamo anche che quel residuo
era formato da persone che pregavano.
Infatti, ci viene detto che invocavano il
nome del Signore. Non vennero quindi risparmiati per i loro meriti o per la loro
giustizia, ma soltanto per la grazia di Dio
che invocavano in preghiera. Il nome del
Signore che essi invocavano era la loro
forte difesa.
(b) Come la profezia di Gioele venne
applicata da Pietro ai fatti appena verificatisi (v. 16): Questo è quel che fu detto
per mezzo del profeta Gioele. Ci si trovava di fronte al pieno adempimento di
tale profezia. Ecco realizzata quell’attesa
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effusione dello Spirito su ogni carne. Non
dobbiamo attenderne un’altra, proprio
come non dobbiamo attendere un altro
Messia. Infatti come ora il nostro Messia
vive in cielo, regnando ed intercedendo
per la sua chiesa sulla terra, cosí il suo
Spirito di grazia, l’Avvocato e il
Consolatore, effuso allora secondo la promessa, resterà, secondo la promessa, con
la chiesa sulla terra fino alla fine dei
tempi ed opererà in essa, per essa e per
ogni suo membro indistintamente, attraverso le Scritture ed i ministeri.
2. Si trattava di un frutto della risurrezione e dell’ascensione di Cristo.
Riallacciandosi a questo dono dello
Spirito Santo, Pietro predica Gesú ai suoi
ascoltatori e introduce questa parte del
suo discorso con parole solenni (v. 22):
«Uomini israeliti, udite queste parole. È
una grazia per voi essere qui ad udirle ed
è vostro dovere prestarvi attenzione». Gli
Israeliti avevano buone ragioni per accettare le parole riguardanti Cristo. Pietro
diede loro:
(a) Un riassunto della storia della vita
di Cristo (v. 22), chiamandolo Gesú il
Nazareno, perché era quello il nome con
cui era generalmente conosciuto, ma proseguí (e questo era sufficiente per allontanare ogni biasimo relativo all’origine galilea) dicendo che era un uomo accreditato da Dio tra voi, vituperato e condannato dagli uomini, ma accreditato da Dio.
Dio aveva dimostrato di approvare la sua
dottrina conferendogli il potere di compiere miracoli. Egli era un uomo designato da Dio. Il Dott. Hammond dà questa lettura del passo: «era un uomo straordinario che si distingueva tra voi che mi
state ascoltando. Era stato mandato a voi,
innalzato su di voi come una luce gloriosa
nel vostro Paese. Voi stessi siete testimoni
di come divenne noto per opere potenti e
prodigi e segni, opere che andavano ben
oltre i poteri naturali, fuori dal corso abituale della natura e contrarie ad esso,
opere che Dio fece per mezzo di lui, cioè
che Egli fece per il potere divino di cui
era rivestito e attraverso il quale Dio ope-
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Atti 2:14-36
rava con Lui. Infatti nessun uomo può
fare queste opere se Dio non è con lui».
Notiamo come Pietro pose l’accento sui
miracoli di Cristo: [1] Si trattava di dati di
fatto che era impossibile negare: “Essi
erano stati fatti tra voi, nel vostro Paese,
nella vostra città, nelle vostre solenni assemblee, come voi stessi ben sapete. Siete
stati testimoni oculari dei suoi miracoli.
Mi appello a voi: avete delle obiezioni in
proposito o potete presentare delle prove
contrarie? [2] Non ha senso contestare le
uniche deduzioni che se ne possono
trarre: esse sono non meno evidenti dei
fatti: se Egli fece quei miracoli, certamente Dio lo approvava, attestava che
Egli era chi dichiarava di essere: il Figlio
di Dio e il Salvatore del mondo. Il Dio
della verità non avrebbe infatti mai apposto il suo sigillo su una menzogna.
(b) Una descrizione della sua morte e
delle sue sofferenze di cui essi erano stati
testimoni poche settimane prima. Il piú
grande tra i miracoli era stato che un
uomo cosí approvato da Dio sembrasse
abbandonato da lui, e che un uomo cosí
approvato dal popolo fosse stato abbandonato anche da questo. Entrambi questi
misteri vengono però spiegati (v. 23) e la
morte di Cristo viene considerata: [1]
Come un atto di grazia e di saggezza divine straordinarie. Egli era morto per il
deliberato consiglio e la prescienza di
Dio. Quindi, Dio non si era limitato a permettere che fosse messo a morte, ma lo
aveva abbandonato alla morte: Dio non
ha risparmiato il suo proprio Figliuolo,
ma l’ha dato per tutti noi (Ro 8:32). Egli
era approvato da Dio che lo aveva abbandonato alla morte, non certo in segno di
disapprovazione, ma per il suo determinato consiglio e la sua prescienza, con infinita saggezza e per scopi santi, che
Cristo stesso condivideva, e che attraverso la sua morte si sarebbero realizzati.
Morte che era necessaria per soddisfare la
giustizia divina, salvare i peccatori, ripristinare il rapporto tra Dio e l’uomo e glorificare Cristo stesso. Corrispondeva
quindi non solo al volere di Dio, ma al
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Atti 2:14-36
consiglio della sua volontà, un consiglio
eterno che non poteva essere mutato, che
Cristo soffrisse e morisse. Fu questo a far
sí che Cristo si sottoponesse volontariamente alla morte in croce: «Padre, la tua
volontà sia fatta, glorifica il tuo nome,
realizza il tuo scopo e fa sí che il grande
risultato sia raggiunto» (cfr. Lu 22:42).
[2] Come un atto del popolo e, da parte di
questo, come un atto estremamente peccaminoso e folle. Perseguitare un uomo
che Dio approvava come il Benamato del
Cielo, significava lottare contro Dio e
perseguitare Colui che era la piú grande
benedizione data al mondo; significava
lottare contro i suoi doni. Né il loro peccato poteva essere scusato dal fatto che
Dio avesse preordinato il suo piano prima
della fondazione del mondo, oppure dal
fatto che Egli ne traesse un bene eterno.
Infatti, si trattava di un atto volontario,
basato su un presupposto moralmente riprovevole e quindi «erano mani d’iniqui
quelle con cui voi, inchiodandolo sulla
croce, lo uccideste». È probabile che fossero presenti alcuni di quelli che avevano
gridato sia crocifisso, sia crocifisso o che
in altra maniera avevano contribuito al
terribile misfatto e ne erano stati complici. Pietro lo sapeva bene. Comunque la
condanna di Gesú era considerata un atto
voluto dall’intera nazione, in quanto su di
essa erano stati unanimi il voto del
Sinedrio e la voce di una grande folla. È
regola che refertur ad universos quod publice fit per maiorem partem – ciò che è
deciso pubblicamente dalla maggioranza
noi lo ascriviamo a tutti. Pietro l’attribuisce in particolare ai suoi ascoltatori in
quanto facenti parte della nazione su cui
sarebbe ricaduto il castigo, per portarli
con maggiore efficacia alla fede e al pentimento che erano gli unici mezzi per distinguersi dai colpevoli e per allontanare
da sé la colpa.
3. Si trattava di una prova della veridicità della sua risurrezione e della sua
ascensione che aveva cancellato pienamente l’onta della sua morte (v. 24).
Colui che lo aveva abbandonato alla
32
Discorso di Pietro
morte lo liberò dalla morte, dimostrando
cosí di approvarlo, forse in modo ancora
piú evidente di quanto aveva dimostrato
mediante le opere potenti, prodigi e segni
fatti per mezzo di Lui. Per questo Pietro si
soffermò ampiamente su questo punto.
(a) Pietro fa una relazione sulla risurrezione di Cristo: Dio lo risuscitò avendo
sciolto gli angosciosi legami della morte
perché non era possibile ch’egli fosse da
essa ritenuto. L’espressione «angosciosi
legami della morte» traduce il greco odinas tou thanatou, che letteralmente significa «le doglie della morte» (v. 24, Diod).
Perciò qualcuno ha pensato che qui ci si
riferisca all’angoscia e all’agonia di
Cristo al colmo della sofferenza, fino alla
morte. Da queste sofferenze dell’anima
Dio lo liberò quando morendo egli disse:
Tutto è compiuto! Il Dott. Godwin spiega
cosí il testo: «I terrori che prostravano
l’anima di Heman tra i morti (Sl 88:5, 15)
si erano avventati su Cristo, ma egli era
troppo forte per lasciarsi vincere, e ne
uscí aprendosi vittoriosamente un varco.
Fu questa la risurrezione della sua anima
(ed è una gran cosa sollevare la propria
anima dal profondo dell’agonia spirituale); fu questo il non lasciare la sua
anima nell’Ades, mentre il non aver visto
la corruzione, decomposizione, si riferisce alla risurrezione del suo corpo. La sua
gloriosa risurrezione è il risultato del
sommarsi di questi due elementi». Il Dott.
Lightfoot dà un’altra interpretazione:
«Avendo sciolto gli angosciosi legami
della morte per tutti coloro che credono in
lui, Dio risuscitò Cristo e, con la sua risurrezione, spezzò tutto il potere della
morte e distrusse tutti i suoi tormenti per
il suo popolo. Egli ha abolito la morte, ne
ha cambiato le proprietà e, dal momento
che non era possibile ch’egli fosse da
essa trattenuto a lungo, non è possibile
che il suo popolo sia da essa trattenuto per
sempre». Molti, però, pensano che Pietro
si riferisca alla risurrezione del corpo di
Cristo. La morte – dice Baxter – come separazione dell’anima dal corpo è una
pena che avviene per sottrazione, anche
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Discorso di Pietro
se non è necessariamente dolorosa. Il
Dott. Hammond mette tuttavia in evidenza che la Versione dei Settanta, e l’apostolo che da essa trae la citazione, usa il
termine legami, come nel Salmo 18:4, cui
si addice perfettamente la metafora dello
sciogliere e dell’esser ritenuto. Cristo è
stato tenuto prigioniero per il nostro peccato, è stato avvinto dai lacci della morte,
ma una volta soddisfatta la giustizia divina non era piú possibile che ne fosse
trattenuto, poiché aveva vita in sé, aveva
potere sulla vita e aveva sconfitto il principe della morte (Gv 5:26; 1 Co 15:5557).5
(b) Pietro testimonia la veridicità della
risurrezione di Cristo: Iddio l’ha risuscitato; del che noi tutti siamo testimoni (v.
32), cioè «noi apostoli e gli altri che erano
con noi e che lo conoscevano molto bene
prima della sua morte, che hanno parlato
con lui a lungo dopo la sua risurrezione,
che hanno mangiato e bevuto con lui».
Tutti questi hanno ricevuto potenza con la
discesa dello Spirito Santo al fine di poter
essere testimoni qualificati, fedeli e coraggiosi della risurrezione, sebbene i nemici di Cristo li accusino di aver rubato il
suo corpo.
(c) Pietro dimostra che la risurrezione
costituisce un adempimento delle
Scritture e, dal momento che secondo le
Scritture Cristo doveva risorgere prima
che il suo corpo subisse la decomposizione, era impossibile che venisse trattenuto dalla morte e dal sepolcro. Infatti,
Davide aveva parlato della sua risurrezione (v. 25). Pietro cita qui un Salmo di
Davide (Sl 16:8-11) che, per quanto in
parte applicabile a Davide, si riferisce
principalmente a Gesú Cristo, di cui
Davide era un tipo. Il testo è citato per
esteso (vv. 25-28), perché tutto in esso si
era adempiuto. Esso ci mostra che il nostro Signore Gesú: [1] Aveva tenuto costantemente lo sguardo rivolto al Padre in
33
Atti 2:14-36
tutto il suo operare: Io ho avuto del continuo il Signore davanti ai miei occhi (v.
25). Glorificare il Padre era stato il suo
scopo in ogni suo atto. Infatti, egli vedeva
che le sue sofferenze avrebbero onorato il
Padre, e che da esse sarebbe scaturita la
sua stessa gioia. Esse erano poste davanti
a lui, le aveva davanti agli occhi in tutto il
suo operare e il suo soffrire. Proprio questa prospettiva lo sosteneva e lo faceva
perseverare (cfr. Gv 13:31, 32; 17:4, 5).
[2] Aveva la certezza che il Padre e la sua
potenza erano continuamente con lui:
«Egli è alla mia destra – la mano destra è
quella dell’azione – dandomi forza, guidandomi e facendo sí che io non sia
smosso malgrado le sofferenze attraverso
cui dovrò passare». Era questo un articolo
del patto di redenzione: La mia mano
sarà salda nel sostenerlo, e il mio braccio
lo fortificherà (Sl 89:21). Egli confidava
quindi che l’opera sarebbe giunta a buon
termine nelle sue mani. Se Dio è con noi
non saremo smossi. [3] Si premurò a portare a termine la sua opera, malgrado le
sofferenze attraverso cui doveva passare:
«Essendo convinto che non sarò smosso,
ma che il buon piano di Dio si realizzerà
nelle mie mani, s’è rallegrato il cuor mio
e ha giubilato la mia lingua e il pensiero
delle mie sofferenze non mi pesa». Si noti
come sia stato sempre motivo di gioia per
il nostro Signore Gesú guardare al compimento della sua opera nella certezza di un
esito glorioso. Egli era compiaciuto della
sua opera poiché essa avrebbe avuto un
risultato corrispondente al piano divino.
Egli giubilò per lo Spirito Santo (Lu
10:21); ha giubilato la mia lingua (v. 26).
Nel testo ebraico originale del Salmo qui
citato troviamo: la mia gloria esulta (Sl
16:9) e ciò ci fa capire che la nostra lingua è la nostra gloria; che la facoltà di
parlare è un onore per noi, soprattutto
quando è usata per lodare Dio. La lingua
di Cristo ha giubilato poiché proprio men-
5) Il termine greco odinas, accusativo femminile plurale di odin, indica ordinariamente i «dolori», specialmente le «doglie del
parto». L’intera espressione sembra una citazione del Salmo 18:5 (18:6 nel Testo Masoretico) che nel testo ebraico ha «funi della
morte», mentre la Versione greca dei Settanta traduce «angosce (doglie) della morte» (Sl 17:6 nella LXX). Questa traduzione dipende dallo scambio che si è fatto tra le parole ebraiche hebel (angoscia) e hebel (fune). Però, poiché Pietro stava parlando agli
Ebrei in aramaico, deve aver citato l’originale ebraico e non la difettosa traduzione greca. La morte è vista, in modo metaforico,
a una fune che, come un serpente, ti avvinghia e ti stringe fino a soffocarti (cfr. Sl 18:5, 6; 116:3; 119:61).
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Atti 2:14-36
tre si avvicinava il momento del suo martirio, alla fine dell’ultima cena, egli cantò
un inno (Mt 26:30). [4] Aveva il proprio
sguardo sulla prospettiva gloriosa del risultato della sua morte e delle sue sofferenze: fu questa a sostenerlo attraverso
esse, conferendogli non solo coraggio, ma
anche volontà di affrontarle. È vero, il
mio corpo sta per essere sacrificato, ma la
mia carne riposerà nella speranza; perché tu non lascerai l’anima mia nell’Ades
(vv. 26, 27, NR).
4. Pietro spiega il contenuto della speranza (certezza) di Cristo, la quale attesta
che:
(a) La sua anima non sarebbe rimasta a
lungo separata dal corpo poiché, a parte il
fatto che ciò non è facile per un’anima
umana fatta per il suo corpo, questo
avrebbe costituito un perdurare del
trionfo della morte su di Lui, che era invece il vincitore della morte: «Tu non lascerai l’anima mia nell’Ades (l’Ades, è il
«soggiorno dei morti», ma etimologicamente il termine significa probabilmente
«qualcosa di invisibile»), ma per quanto
tu sopporti che vi entri per un breve periodo, tu non vuoi lasciarvela per sempre,
come vi lasci le anime degli altri uomini».
(b) Il suo corpo doveva rimanere nella
tomba soltanto per poco tempo: Non permetterai che il tuo Santo vegga la corruzione. Il corpo non doveva rimanere inanimato fino al punto di decomporsi, ma
doveva ritornare in vita non oltre il terzo
giorno successivo alla morte. Cristo era il
«Santo di Dio», santificato e messo a
parte per l’opera di redenzione. Egli doveva morire perché doveva essere santificato dal suo stesso sangue (cfr. Eb
10:29), ma non doveva vedere la corruzione perché la sua morte doveva essere
per Dio un odore soave. Di ciò era un tipo
la legge riguardante il sacrificio secondo
cui quel che sarà rimasto della carne del
sacrificio fino al terzo giorno non dovrà
essere mangiato (Le 7:15-18).
(c) La sua morte e le sue sofferenze
avrebbero costituito, non solo per lui ma
per tutti i suoi, l’accesso a una benedetta
34
Discorso di Pietro
immortalità: «Tu m’hai fatto conoscere le
vie della vita (v. 28), non solo, ma per
mezzo di me le hai fatte conoscere e le hai
mostrate al mondo». Quando il Padre
diede al Figlio di aver vita in se stesso
(Gv 5:26), cioè il potere di deporre la sua
vita e di riprenderla (Gv 10:18) e gli fece
conoscere le vie della vita, le porte della
morte furono aperte per lui ed egli vide le
porte dell’ombra della morte (Gb 38:17)
che attraversò nei due sensi, per la redenzione del genere umano.
(d) Tutte le sue sofferenze lo avrebbero portato a una gioia perfetta ed
eterna: Tu mi riempirai di gioia con la tua
presenza (v. 28, NR). Il premio che lo attendeva era una pienezza di gioia alla presenza di Dio che gli era stato vicino nel
suo operare, come lo sarebbe stato, per
amor suo, a tutti coloro che avrebbero
creduto in lui. Il compiacimento con cui il
Padre lo accolse quando, con la sua
ascensione giunse fino al Vegliardo (Da
7:13) lo riempí di una gioia inesprimibile,
che è la gioia dell’Eterno a cui tutti coloro
che gli appartengono avranno accesso e in
cui saranno per sempre felici. Segue poi il
commento del testo di Davide citato, soprattutto su ciò che in esso si riferisce alla
risurrezione di Cristo. Pietro si rivolge
agli ascoltatori con un appellativo di rispetto: Uomini e fratelli (v. 29). Voi siete
uomini e quindi dovreste essere guidati
dalla ragione, ma siete anche fratelli e
quindi dovreste accettare di buon grado
ciò che vi viene detto da una persona che,
essendo affine a voi, vi ha a cuore e desidera il vostro bene. Permettetemi allora di
dirvi liberamente intorno al patriarca
Davide ch’egli morí e fu sepolto, e non
offendetevi se affermo che non si possono
intendere le sue parole come riferite a se
stesso. Esse sono infatti riferite al Messia
che doveva venire. Davide viene qui definito patriarca perché era stato il capostipite della famiglia reale e un uomo di
chiara fama nella sua generazione, il cui
nome e la cui memoria erano tenuti in
grande considerazione. Ora, quando noi
leggiamo questo suo Salmo – proseguí
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Discorso di Pietro
Pietro – dobbiamo tener presente che
Davide: [1] Non poteva dire queste cose
di se stesso, dal momento ch’egli morí e
fu sepolto e la sua tomba è ancora al dí
d’oggi tra noi e in essa ci sono le sue ossa
e le sue ceneri. Nessuno ha mai preteso di
sostenere che sia risorto, quindi egli non
poteva dire di se stesso che non avrebbe
visto la decomposizione. Infatti, è evidente che l’ha vista. Paolo ribadirà in seguito questo punto (At 13:35-37). Per
quanto fosse un uomo secondo il cuore di
Dio, Davide se ne andò per la via di tutti
gli abitanti della terra, sia nella morte che
nella sepoltura, come egli stesso disse di
sé (cfr. 1 R 2:2). [2] È quindi certo che in
questo Salmo, Davide ha parlato profeticamente guardando al Messia, le cui sofferenze e le glorie, che dovevano seguire,
sono state anticipatamente testimoniate
dai profeti. Infatti, possiamo notare:
Davide sapeva che il Messia sarebbe
disceso dai suoi lombi, poiché Dio gli
aveva con giuramento promesso che sul
suo trono avrebbe fatto sedere uno dei
suoi discendenti (v. 30). Dio gli aveva
promesso un Figlio il cui trono sarebbe
stato stabilito saldamente (2 S 7:12), e
aveva fatto a Davide questo giuramento
di verità (Sl 132:11). Quando il nostro
Signore Gesú doveva nascere, l’angelo
aveva promesso a Maria: il Signore Iddio
gli darà il trono di Davide suo padre (Lu
1:32). Tutto Israele sapeva che il Messia
sarebbe stato il Figlio di Davide secondo
la carne, cioè per la sua natura umana,
mentre secondo lo spirito, cioè per la sua
natura divina, egli sarebbe stato il Dio di
Davide, non suo figlio (cfr. Ro 9:5).
Poiché Dio aveva giurato a Davide che il
Messia promesso ai suoi padri sarebbe
stato il suo successore, il frutto dei suoi
lombi, l’erede del suo trono, Davide
guardò a lui scrivendo questo Salmo.
Poiché Cristo era suo discendente, ed
era quindi nei suoi lombi quando Davide
scrisse questo Salmo (come ci viene detto
che i figli di Levi erano nei lombi di
Abramo quando questi pagò le decime a
Melchisedec, Eb 7:5), se ciò che sembra
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Atti 2:14-36
applicabile alla sua persona non lo è
(com’è evidente), dobbiamo concludere
che si riferí a quel suo figlio che era nei
suoi lombi, in cui la sua stirpe e il suo
regno avrebbero raggiunto la perfezione e
l’eternità, e che quando affermò che non
sarebbe stato lasciato nell’Ades, né la sua
carne avrebbe visto la decomposizione
dobbiamo senza ombra di dubbio concludere che parla della risurrezione di Cristo
(v. 31). E se Cristo è morto... secondo le
Scritture... risuscitò il terzo giorno secondo le Scritture, del che noi tutti siamo
testimoni.
C’è qui anche un accenno all’ascensione. Come Davide non è risorto dalla
morte, cosí, a differenza di Cristo, non è
salito in cielo con il corpo (v. 34). Per dimostrare che Davide si riferiva alla risurrezione di Cristo, Pietro fece osservare
che in un altro Salmo egli aveva parlato
del passo successivo verso l’esaltazione
riferendosi chiaramente a una persona diversa da lui, che era il suo Signore (Sl
110:1). Il Signore ha detto al mio Signore,
quando lo ha risuscitato dalla morte, siedi
alla mia destra, conferendogli cosí la piú
alta dignità e il massimo potere. Come
dire: ti sia affidata l’amministrazione del
Regno per quanto riguarda la provvidenza
e la grazia, siedi finché io abbia fatto in
modo che i tuoi nemici diventino amici
oppure li abbia posti per sgabello dei tuoi
piedi (v. 35). Cristo sorse dalla tomba per
salire in alto, e quindi Davide non può
aver parlato d’altro che della risurrezione
di Cristo nel Salmo 16, non certo della
propria che non è mai avvenuta perché
egli non ha avuto modo di lasciare la propria tomba e di salire al cielo.
5. Le varie applicazioni di Pietro sulla
morte, la risurrezione e l’ascensione di
Cristo.
(a) Questo chiarisce la ragione della
meravigliosa effusione dello Spirito
Santo. Alcuni tra la folla si erano domandati: Che cosa significa questo? (v. 12) Ve
lo spiegherò, disse Pietro. Questo Gesú…
essendo stato esaltato alla destra di Dio –
come leggono alcuni – dalla destra di Dio
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Atti 2:14-36
– come leggiamo noi – siede ora alla sua
destra con potere e autorità, e avendo ricevuto dal Padre al quale è asceso lo
Spirito Santo promesso ha dato quanto
aveva ricevuto (Sl 68:18) e ha sparso
quello che ora vedete e udite. Infatti, lo
Spirito Santo doveva essere dato dopo la
glorificazione di Cristo, non prima (Gv
7:39). Adesso, ci vedete e ci sentite parlare in lingue che non abbiamo mai imparato – probabilmente c’era stato anche un
cambiamento nell’espressione del loro
volto che era stato notato, cosí come era
stato notato il cambiamento della voce e
della lingua – perché ciò viene dallo
Spirito Santo, la cui discesa prova che
Gesú è stato esaltato e ha ricevuto questo
dono dal Padre per darlo alla Chiesa.
Questo prova che lui è il Mediatore tra
Dio e la Chiesa (cfr. 1 Ti 2:5). Il dono del
battesimo nello Spirito Santo è: 1) In
primo luogo l’adempimento di una delle
promesse divine risalenti al passato, perciò si parla dello Spirito Santo promesso.
Molte erano state le preziose e grandissime promesse fatte a noi dal Signore onnipotente, ma questa è la promessa per eccellenza, come lo è stata quella del
Messia, ed è la promessa che include tutte
le altre. Infatti, Dio, dando lo Spirito
Santo a coloro che glielo domandano (Lu
11:13), dà loro anche tutte le cose buone
(Mt 7:11). Cristo ricevette lo Spirito
Santo promesso, cioè il dono promesso
dello Spirito Santo e lo sparse su di noi.
Infatti tutte le promesse di Dio, hanno il
loro «sí» in lui; perciò pure per mezzo di
lui noi pronunciamo l’Amen alla gloria di
Dio (2 Co 1:20, NR). 2) In secondo luogo
questo dono è un pegno di tutte le altre
grazie che Dio ha deciso di elargirci.
Sembra dire qui l’apostolo: «quello che
voi vedete e udite non è altro che una caparra di cose piú grandi».
(b) Questo costituisce una prova di
quanto voi tutti siete tenuti a credere,
vale a dire che Cristo è il vero Messia e
il Salvatore del mondo. Fu questa la
conclusione del discorso di Pietro, la
conclusione di tutto quanto aveva detto,
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Discorso di Pietro
il quod erat demonstrandum – la verità
che doveva essere dimostrata: Sappia
dunque sicuramente tutta la casa
d’Israele che Iddio ha fatto e Signore e
Cristo quel Gesú che voi avete crocifisso (v. 36). Gesú aveva vietato ai suoi
discepoli di dire ad alcuno ch’egli era il
Cristo (Mt 16:20)... finché il Figliuol
dell’uomo non fosse risuscitato dai
morti (Mt 17:9), ma adesso bisognava
predicarlo sui tetti, a tutta la casa
d’Israele. Chi ha orecchi da udire oda.
Pietro non presentò una probabilità, ma
testimoniò un fatto certo: Sappia dunque sicuramente tutta la casa d’Israele,
sappiate che è vostro dovere accettare
come degno di fede che: [1] Dio ha glorificato quel Gesú che voi avete crocifisso. Costituiva un’aggravante del loro
peccato l’aver crocifisso Colui che Dio
aveva designato a essere glorificato e
far morire come un ingannatore Colui
che aveva dato prove cosí decisive della
sua missione divina. Magnificava la
saggezza e il potere divini il fatto che,
per quanto essi l’avessero crocifisso,
pensando cosí di averlo bollato con un
indelebile marchio d’infamia, Dio lo
aveva glorificato, e che l’affronto da
Lui subito aveva accresciuto lo splendore della sua gloria. [2] Dio lo aveva
glorificato al punto di fare di lui
Signore e Cristo. Ciò significa che egli
è il Signore di tutti e che non è un usurpatore, ma il Cristo, ossia unto per essere tale. Egli è il solo Signore dei
Pagani che avevano avuto tanti dei; è il
Messia degli Ebrei, e questi titoli esprimono pienamente le sue funzioni. Egli è
il Re Messia, come lo definisce la parafrasi caldaia; oppure, come l’aveva chiamato l’angelo rivolgendosi a Daniele, il
Messia, il principe, un unto, un capo
(Da 9:25). È questa la grande verità
dell’Evangelo cui dobbiamo credere:
quel Gesú stesso, sí, proprio quello che
è stato crocifisso a Gerusalemme è colui
al quale dobbiamo fedeltà e da cui possiamo attenderci protezione, perché egli
è il Signore e il Cristo.
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I primi convertiti
2:37-41
Abbiamo visto un meraviglioso frutto
della discesa dello Spirito Santo nell’influenza esercitata sui predicatori
dell’Evangelo. Mai nella sua vita Pietro
aveva parlato tanto efficacemente, ampiamente, chiaramente e potentemente.
Stiamo ora per vedere, nell’influenza
esercitata sugli ascoltatori dell’Evangelo,
un altro suo frutto benedetto. Non appena
venne presentato questo messaggio, si
percepí in esso una potenza divina, e Dio
gli diede di fare miracoli: era lo scettro
della potenza di Dio esteso da Sion (Sl
110:2, 3) e migliaia di persone vennero
portate da esso all’ubbidienza della fede
(Ro 1:5; 16:26). Abbiamo qui le primizie
di quel grande raccolto di anime che per
mezzo di esso accettarono Gesú Cristo.
Vediamo, in questi versetti, il Redentore
glorificato che procede, su questi carri
della salvezza da vincitore, ma altresí
constatiamo che la Parola di Dio e lo
Spirito Santo iniziano e portano avanti
una buona opera di grazia nel cuore di
molte persone. Vediamo in che modo:
I. Gli astanti rimasero sbigottiti, e posero una seria domanda (v. 37): Udite
queste cose, avendo pazientemente ascoltato Pietro senza interromperlo continuamente come avevano fatto con Cristo (ed
era un buon passo avanti che fossero attenti alla Parola) furono compunti nel
cuore e rivolsero ai predicatori una domanda che era, come si rendevano conto,
di fondamentale importanza per loro, ma
a cui non sapevano rispondere da soli: che
dobbiamo fare? Era veramente singolare
che tutti provassero repentinamente una
tale impressione. Infatti, erano Ebrei, cresciuti nella convinzione che la loro religione fosse sufficiente a salvarli, avevano
di recente visto Gesú crocifisso, nella sua
debolezza e nell’onta subita, e avevano
sentito dire dai loro capi che era un ingannatore. Pietro li aveva accusati di aver
messo mano, una man d’iniqui alla sua
37
Atti 2:37-41
morte, il che avrebbe dovuto verosimilmente esasperarli nei suoi confronti.
Invece, ascoltando il suo discorso chiaramente basato sulle Scritture, ne furono
molto colpiti.
1. Furono compunti nel cuore.
Leggiamo di altre persone che fremevano
di rabbia nei loro cuori ed erano indignate nei confronti del predicatore (At
7:54). Qui, invece, troviamo delle persone compunte nel cuore, indignate contro se stesse per aver contribuito alla
morte di Cristo. Con quest’accusa Pietro
risvegliò le loro coscienze, li toccò sul
vivo, e le riflessioni che fecero erano
come una spada che penetrasse nelle loro
ossa e li straziasse, come loro avevano
straziato Cristo. Si noti che quando i cuori
dei peccatori si aprono, questi non possono fare a meno di essere compunti nel
cuore per il loro peccato e di provare un
disagio interiore. Ciò significa avere un
cuore stracciato (Gl 2:13), un cuor rotto e
contrito (Sl 51:17). Avere il cuore rotto è
mortale, per questo Paolo dice: per questo
io morii (Ro 7: 9), per dire che «Tutte le
buone opinioni che avevo sulla mia persona e la fiducia che riponevo in me
stesso sono venute meno».
2. Ciò li spinse a chiedere, poiché dall’abbondanza del cuore la bocca parla
(Mt 12:34), e cosí, essendo compunti i
loro cuori, le loro bocche parlarono.
Pertanto, possiamo notare:
(a) A chi si rivolsero: a Pietro e agli
altri apostoli (v. 37). Ciascuno a un apostolo, essi aprirono i propri cuori, poiché
da essi erano stati convinti e da essi si
aspettavano quindi consigli e aiuto. Non
si appellarono agli scribi e ai Farisei per
giustificarsi dall’accusa degli apostoli,
ma a questi ultimi, riconoscendo la propria colpa, demandando a essi la loro situazione e chiamandoli «uomini e fratelli», come Pietro aveva chiamato loro
(vv. 29, 37, K.J.)6. Come dire: «Siete uomini, giudicateci con umanità; siete fratelli, giudicateci con amor fraterno». Si
6) Il commento dell’autore si basa sulla Authorized Version, comunemente chiamata «King James», che qui ha «uomini e fratelli»,
traducendo alla lettera il testo greco andres adelphoi.
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Atti 2:37-41
noti come i pastori e i ministri di culto in
genere, sono medici spirituali, perciò dovrebbero consultarli coloro le cui coscienze sono ferite. Infatti, è buono conservare buoni rapporti con loro e sentirsi
liberi di esprimersi, poiché essi come uomini si occupano delle anime dei loro fratelli come della propria.
(b) La domanda che posero: che dobbiamo fare? [1] Essi parlarono come uomini che non sapevano cosa fare, oltremodo sorpresi: «Ma allora questo Gesú
che abbiamo crocifisso è proprio Signore
e Cristo? Che ne sarà di noi? Siamo rovinati!». Notiamo come l’unico modo per
raggiungere la pace sta nel riconoscimento della propria miseria. Quando sentiamo il pericolo della perdizione eterna,
c’è per noi la speranza della vita eterna.
[2] Essi parlarono come uomini decisi
nell’ubbidire subito a qualunque cosa venisse loro comandata. Non volevano
prendere tempo per vagliare la questione
o aspettare un periodo piú propizio per
aggiornare le loro convinzioni, ma desideravano fortemente sentirsi dire cosa dovevano fare per salvarsi dalla miserabile
situazione di cui erano responsabili. Si
noti come coloro che erano convinti di
peccato, trovarono la via della pace e del
perdono (cfr. At 9:6; 13:48; 16:30).
II. Pietro e gli altri apostoli esposero
loro in poche parole cosa dovevano fare e
cosa potevano aspettarsi dopo averlo fatto
(vv. 38, 39). I peccatori convinti del loro
peccato devono essere incoraggiati, e chi
è ferito deve essere fasciato (Ez 34:16).
Era necessario fare sapere che la loro situazione era triste, ma non disperata;
c’era speranza per loro.
1. Ed ecco, in ordine, le cose che Pietro
disse che essi dovevano fare:
(a) Ravvedersi, questa è una tavola cui
aggrapparsi dopo un naufragio. Come
dire: «Che il sentimento dell’orribile peccato di cui vi siete macchiati con la morte
di Cristo vi induca a riflettere su tutti i vostri altri peccati (cosí come la richiesta di
saldo di un grande debito porta alla luce
tutti i debiti di un debitore insolvente) e
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I primi convertiti
risvegli in voi rimorso e dolore profondi
per averli compiuti». Era questa la stessa
necessità predicata da Giovanni Battista e
da Cristo: Ravvedetevi, ravvedetevi, ossia
cambiate la vostra mente, cambiate le vostre vie, rinnovate il vostro pensiero.
(b) E ciascun di voi sia battezzato nel
nome di Gesú Cristo il che significa:
«credere fermamente alla dottrina di
Cristo, sottomettersi alla sua grazia e alla
sua Signoria, professarlo apertamente e
pubblicamente, assumere un impegno e
perseverare in esso sottomettendosi all’ordinanza del battesimo in acqua, seguire Cristo e la sua santa religione, rinunziando alla vostra infedeltà». Essi dovevano essere battezzati nel nome di
Gesú Cristo. Essi credevano nel Padre e
nello Spirito Santo che parlava attraverso
i profeti, ma dovevano credere anche nel
nome di Gesú che era il Cristo, il Messia
promesso ai loro padri. Perciò, «fate di
Gesú il vostro re e giurategli fedeltà mediante il battesimo, fate di lui il vostro
profeta e ascoltatelo; fate di lui il vostro
sacerdote che compie l’espiazione per
voi».
(c) Ognuno era invitato a compiere
questi passi personalmente: ciascuno di
voi. Come dire: «Anche quelli tra voi che
sono stati i piú grandi peccatori saranno
ben accetti per essere battezzati se si ravvedono e credono; in quanto a quelli che
ritengono di essere stati i piú grandi santi,
devono anch’essi credere, ravvedersi ed
essere battezzati. La grazia di Cristo è
sufficiente per ognuno di voi, per quanti
voi siate, è una grazia valida per ogni situazione. Nei tempi antichi Israele è stato
battezzato per esser di Mosè, tutti gli
Israeliti insieme sono stati battezzati nella
nuvola e nel mare (1 Co 10:1, 2), perché
il patto che faceva di loro il tesoro particolare del Signore, era un patto nazionale,
ma ora ciascun di voi, singolarmente, sia
battezzato nel nome di Gesú Cristo e si
assuma la responsabilità personale di questa grande decisione» (cfr. Cl 1:28).
2. Pietro incoraggia gli astanti a imboccare questa strada:
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I primi convertiti
(a) «Per la remissione dei vostri peccati. Pentitevi dei vostri peccati ed essi
non vi condanneranno; siate battezzati
nella fede di Cristo e in verità sarete giustificati, il che non sarebbe possibile per
mezzo della legge di Mosè. Mirate a ciò,
fidatevi di Cristo e voi otterrete ciò. Come
il calice nella Cena del Signore è il nuovo
patto nel sangue di Cristo per la remissione dei peccati, cosí il battesimo nel
nome di Cristo è per la remissione dei
peccati. Siate lavati e sarete netti».
(b) «Riceverete il dono dello Spirito
Santo come lo abbiamo ricevuto noi, poiché esso apporterà una benedizione generale: alcuni di voi riceveranno questi doni
che appaiono all’esterno e ognuno di voi,
se la fede e il ravvedimento sono sinceri,
riceverà le benedizioni e le consolazioni
interiori e il suggello dello Spirito Santo
(Ef 4:30). Teniamo presente che coloro
che ricevono la remissione dei loro peccati, ricevono anche lo Spirito Santo.
Tutti coloro che sono giustificati sono
anche santificati».
(c) «Questo patto riguarda anche i vostri figli. Infatti, anch’essi avranno diritto
a ricevere il suggello dello Spirito Santo.
Venite a Cristo per ricevere queste inestimabili benedizioni. Infatti, per voi sono la
promessa della remissione dei peccati con
il dono dello Spirito Santo e per i vostri
figliuoli» (v. 39). Dio aveva dichiarato:
Spanderò il mio Spirito sulla tua progenie
(Is 44:3) e il mio Spirito... e le mie parole... non si dipartiranno mai... dalla
bocca della tua progenie, né dalla bocca
della progenie della tua progenie (Is
59:21). Quando aveva rinnovato il suo
patto con Abramo gli aveva detto: Io sarò
l’Iddio tuo e della tua progenie dopo di te
(Ge 17:7) e, di conseguenza, ogni
Israelita fa circoncidere i propri figli all’età di otto giorni. È quindi giusto che
ogni Israelita, quando con il battesimo sta
per entrare nella nuova dispensazione del
patto si chieda: «Che ne sarà dei miei
figli? Saranno cacciati o accolti con
me?». Pietro disse. «Accolti certamente,
perché la promessa, quella grande pro-
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Atti 2:37-41
messa di Dio di essere il vostro Dio è valida tanto per voi come per i vostri figli,
ora non meno che in passato».
(d) «Benché la promessa sia estesa
come in passato ai figli, essa non è piú,
come allora, limitata a voi e ai vostri figli,
ma è estesa anche a tutti quelli che sono
lontani»; e noi potremmo aggiungere e
per i loro figli perché la benedizione di
Abramo viene sui Gentili in Gesú Cristo
(Ga 3:14). La promessa è appartenuta per
lungo tempo agli Israeliti (Ro 9:4), ma
oggi essa è rivolta a tutti quelli che sono
lontani, alle nazioni straniere e anche a
ogni singola persona che è lontana. La limitazione che segue deve essere messa in
relazione con la regola generale: per
quanti il Signore Iddio nostro ne chiamerà (v. 39), per ogni individuo che il
Signore Dio nostro chiamerà efficacemente alla fede in Cristo. Osserviamo che
la chiamata di Dio può raggiungere coloro che sono lontani e che nessuno può
venire a lui, se non è egli che li chiama.
III. Queste direttive furono seguite da
un avvertimento necessario (v. 40). Con
molte altre parole, ugualmente importanti, Pietro testimoniava le verità
dell’Evangelo ed esortava a ubbidire
all’Evangelo. Quando le sue parole incominciarono ad agire continuò a parlare.
Aveva già detto molte cose in breve (vv.
38, 39) e ciò che aveva detto – si potrebbe
pensare – includeva tutto, invece aveva
ancora qualcosa da dire. Quando noi
udiamo delle parole che fanno bene alla
nostra anima non possiamo che desiderare di udirne altre, di udirne molte altre
simili. Tra le altre cose Pietro disse – e
sembra che sia rimasto impresso nella
mente dei suoi ascoltatori – salvatevi da
questa perversa generazione. Siate liberi
da essa. Gli Ebrei che non avevano creduto, erano una generazione perversa e
ostinata che non piaceva a Dio, ed era avversa a tutti gli uomini (1 Te 2:15), dedita
al peccato e votata alla rovina. Per quanto
li riguarda:
1. «Siate zelanti nel salvarvi dalla loro
rovina, non lasciatevi coinvolgere in essa
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e rifuggite tutte queste cose». Ciò che i
cristiani fecero: Ravvedetevi e ciascun di
voi sia battezzato; cosí non condividerete
la rovina di coloro con cui avete condiviso il peccato. Non mettere l’anima mia
in un fascio con i peccatori (Sl 26:9).
2. A tale scopo non perseverate con
essi nel loro peccato, non perseverate nell’incredulità. Salvatevi, vale a dire separatevi, siate diversi da questa perversa generazione. Non siate ribelli come lo è
questo popolo, non prendete parte ai suoi
peccati e non dovrete condividerne le calamità. Osserviamo che separarsi dalle
persone perverse è l’unico modo per salvarsi da esse. Per quanto ciò attiri su di
noi il loro odio e la loro ira, in realtà ci
salviamo da loro. Infatti, se consideriamo
in che direzione si affrettino, ci renderemo conto che è miglior cosa sostenere
la fatica di nuotare controcorrente che
correre il pericolo di esser trascinati a
fondo dalla loro corrente. Chi si ravvede
dei propri peccati e si affida a Gesú
Cristo, deve comprovare la propria sincerità rompendo ogni legame intimo con i
malvagi. Dipartitevi da me, o malvagi
deve dire chi decide di osservare i comandamenti del suo Dio (Sl 119:115).
Dobbiamo salvarci da essi, vale a dire
dobbiamo evitarli con un santo timore,
come faremmo nei confronti di un nemico
che cerchi di rovinarci o da una casa infettata dalla peste.
IV. L’epilogo trionfante del discorso di
Pietro (v. 41). Lo Spirito Santo, mediante
la Parola, aveva operato miracoli. Molte
di quelle persone erano state testimoni
oculari della morte di Cristo e dei prodigi
che vi avevano fatto seguito, e non ne
erano rimaste colpite, ma ciò che li convinse di peccato fu la predicazione
dell’Evangelo, poiché esso è potenza di
Dio per la salvezza di chiunque crede (Ro
1:16, NR).
1. Essi accettarono la Parola di Dio. La
Parola di Dio compie il suo effetto benefico in noi se l’accettiamo, l’abbracciamo
e l’accogliamo con gioia.
2. Essi ricevettero la Parola di Dio.
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I primi convertiti
Erode Agrippa ascoltò la Parola di buon
grado, ma queste persone la ricevettero
con gioia per la grazia di Dio, pur sapendo che essa avrebbe portato un cambiamento evidente nelle loro vite, esponendoli all’odio dei loro connazionali.
3. Essi vennero battezzati. Credendo
con il cuore, confessarono con la bocca e
si aggiunsero ai discepoli di Cristo con
quel santo ordinamento che Cristo aveva
istituito. Per quanto Pietro dicesse:
Ciascun di voi sia battezzato nel nome di
Gesú Cristo (dal momento che la verità
da lui predicata allora era la dottrina di
Cristo), abbiamo motivo di credere che i
nuovi discepoli venissero battezzati con
l’uso dell’intera formula trinitaria comandata da Cristo stesso: «nel nome del
Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»
(Mt 28:19). Teniamo presente che tutti
quelli che diventano partecipi del patto
cristiano dovrebbero essere battezzati con
il battesimo cristiano.
4. In quel giorno vennero cosí aggiunte ai discepoli circa tremila persone.
Tutti coloro che avevano ricevuto lo
Spirito Santo erano all’opera con la voce
per predicare e con le mani per battezzare.
Di certo, non era questo il momento per
riposarsi, poiché vi era una grande messe
da raccogliere. La conversione di questi
tremila era un’opera maggiore dello sfamare i quattro o cinquemila con pochi
pani. Israele incominciava a moltiplicarsi
dopo la morte del nostro Giuseppe. Ci
viene parlato di tremila persone (e questa
parola viene usata per indicare uomini,
donne e bambini, come in Genesi 14:21:
dammi le persone o in Genesi 46:27: settanta persone). Ne deduciamo che vennero battezzati meno di tremila uomini,
ma un numero di capifamiglia tale da costituire, insieme ai figli e ai servitori, un
gruppo di circa tremila persone. Cosí, in
quel giorno, vennero aggiunte a loro
circa tremila persone. Chi si era unito a
Cristo si aggiungeva ai discepoli di Cristo
e si univa a loro. Quando facciamo di
Yahwè il nostro Dio dobbiamo anche fare
del suo popolo il nostro popolo.
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Spesso parliamo della chiesa delle origini, interessandoci di essa e della sua storia. In questi versetti abbiamo la storia di
quella che è veramente stata la chiesa antica, a partire dai suoi primi giorni, dalla
sua infanzia e, quindi, dai giorni della sua
massima semplicità di cuore.
I. Essi si attenevano strettamente ai
santi ordinamenti e praticavano in larga
misura ogni atto di devozione, poiché il
Cristianesimo rende capaci di ciò, dispone l’anima alla comunione con Dio in
tutte le forme in cui egli ci ha detto che
possiamo incontrarlo e ha promesso di incontrarci.
1. Erano perseveranti e diligenti nell’attendere all’insegnamento degli apostoli. Perseveravano nell’insegnamento
apostolico e non lo contestavano, né
l’abbandonavano, anzi perseveravano
con costanza nell’attendere all’insegnamento degli apostoli. Infatti, dopo il battesimo essi dovevano ricevere l’insegnamento, e loro desiderano questo.
Osserviamo che chi si è abbandonato a
Cristo deve avere il desiderio di ascoltare la sua Parola, poiché in tal modo lo
onora e si rafforza nella sua santissima
fede (cfr. Gd, 20).
2. Essi perseveravano anche nella comunione dei santi. Erano perseveranti
nella comunione fraterna (v. 42) e tutti i
giorni erano di pari consentimento assidui al tempio (v. 46). Non soltanto si amavano l’un l’altro, ma passavano molto
tempo insieme. Quando si erano separati
dalla perversa generazione, non erano diventati degli eremiti, ma avevano instaurato rapporti reciproci di amore fraterno, e
coglievano ogni occasione per incontrarsi. Dove si vedeva un discepolo, se ne
vedevano altri. Erano infatti persone che
avevano qualcosa di molto prezioso in comune. Osserviamo come questi discepoli
si amassero tra di loro. Si occupavano
l’uno dell’altro, provavano simpatia l’uno
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Atti 2:42-47
per l’altro, e ognuno faceva propri gli interessi degli altri. Si riunivano insieme
per l’adorazione; si incontravano al tempio, là avvenivano i loro incontri poiché
la comunione con Dio di piú persone riunite insieme, è la migliore forma di comunione che queste possano avere tra di
loro (1 Gv 1:3). Osserviamo che:
(a) Erano tutti i giorni nel tempio, non
solo il sabato e le feste solenni, ma tutti i
giorni. Adorare Dio deve essere il nostro
impegno quotidiano. E quando se ne presenta l’occasione, la cosa migliore è che
ciò avvenga in una riunione pubblica. Dio
ama le porte di Sion, e anche noi dobbiamo amarle.
(b) Essi erano di pari consentimento:
non solo tra loro non c’erano litigi o discordia, ma c’era un forte amore fraterno,
ed essi si riunivano con tutto il cuore per
i loro culti pubblici. Per quanto incontrassero gli altri Ebrei nei cortili del tempio,
si riunivano solo tra cristiani ed erano
unanimi nella loro santa devozione.
3. Si riunivano spesso per osservare
l’ordinamento della Cena del Signore.
Erano assidui nello spezzare il pane, ricordando cosí la morte del loro Maestro,
non vergognandosi di confessare la loro
relazione con il Cristo crocifisso e la
loro dipendenza da lui. Non potevano
dimenticare la morte di Cristo e perseveravano nel ricordarla, facendo di ciò
una pratica costante, poiché era stata
istituita da Cristo e doveva essere trasmessa alla chiesa del futuro.
Spezzavano il pane nelle case (gr. kat’oikon)7 e non pensavano di celebrare la
Cena del Signore nel tempio, poiché,
per la sua istituzione peculiarmente cristiana, essa doveva essere celebrata in
case private, scegliendo, a seconda dell’opportunità, le case dei cristiani convertiti frequentate dai vicini. Ci si spostava da una abitazione privata all’altra,
che fungevano a mo’ di piccole sinagoghe o cappelle familiari, per quelle case
che ospitavano una chiesa, e lí vi si ce-
7) La preposizione greca kata, qui ha senso distributivo. Quindi, la traduzione sarebbe «in ogni casa», oppure «di casa in casa»
come fanno le versioni Diodati e Nuova Diodati (cfr. At 5:42).
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lebrava la Cena del Signore con coloro
che abitualmente si incontravano per
adorare Dio.
4. Erano perseveranti nella preghiera.
Dopo che lo Spirito Santo era stato sparso
su di loro, come prima, quando ne attendevano la discesa, pregavano continuamente. Infatti, la necessità di pregare non
verrà mai superata fino a quando la preghiera diventerà parte della lode eterna.
La Cena del Signore era accompagnata
dalla preghiera e dall’ascolto della Parola
di Dio, cui è strettamente legata e per cui
costituisce uno stimolo. La Cena del
Signore è una predicazione che colpisce
l’occhio, una conferma della Parola che
Dio ci ha rivolto. È anche un incoraggiamento a pregare e una solenne manifestazione dell’elevarsi a Dio delle nostre
anime.
5. Lodavano Dio con molte preghiere
di ringraziamento (v. 47). La lode era
parte integrante, e non già un aspetto
marginale delle loro preghiere. Chi ha ricevuto il dono dello Spirito Santo, non
può fare a meno di lodare continuamente
Dio.
II. Si amavano l’un l’altro intensamente: il loro amore era pari alla loro devozione, e il riunirsi per celebrare i santi
ordinamenti del Signore Gesú faceva crescere l’affezione reciproca e univa i loro
cuori.
1. Avevano frequenti incontri per attività cristiane (v. 44): tutti quelli che credevano erano insieme, non tutte le migliaia di persone in un solo posto, perché
ciò sarebbe stato impossibile, ma, come
spiega il Dott. Lightfoot, si riunivano in
diversi gruppi, a seconda della lingua,
della nazionalità o di altre caratteristiche.
Quindi, il loro riunirsi viene definito un
riunirsi insieme, sia perché non vi avevano parte i non credenti, sia perché avveniva nella stessa professione e pratica
dei doveri religiosi. Questo riunirsi era
espressione del loro amore reciproco e
contribuiva a rafforzarlo.
2. Avevano ogni cosa in comune: probabilmente avevano tavole in comune
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I primi convertiti
(come gli Spartani nell’antichità) all’insegna della familiarità, della temperanza e
della libertà di conversazione e prendevano il loro cibo assieme in modo che chi
aveva molto potesse ricevere la parte piú
piccola ed essere cosí preservato dalla
tentazione dell’abbondanza, e chi aveva
poco potesse avere di piú ed essere cosí
preservato dalle tentazioni proprie dell’indigenza e del bisogno. Oppure gli uni
si interessavano tanto agli altri e c’era una
tale disponibilità all’aiuto reciproco, ogni
volta che se ne presentava l’occasione,
che si può ben dire: avevano ogni cosa in
comune e, secondo la legge della carità,
l’uno non mancava di ciò che l’altro
aveva, perché poteva averlo chiedendolo.
3. Essi erano molto disponibili e generosi nell’amministrare i propri beni. Oltre
che dalla pratica dei loro doveri religiosi
(lo spezzare il pane per le case), ciò appare evidente dal fatto che prendevano il
cibo insieme con letizia e semplicità di
cuore. Essi portavano il beneficio della
tavola di Dio ai loro fratelli, e ciò esercitava su di loro un duplice effetto positivo:
(a) Riempiva il loro cuore di gioia,
mangiavano il pane con gioia e bevevano
il vino che rallegrava il loro cuore sapendo che ora Dio accettava le loro opere.
Nessuno ha tanto motivo per rallegrarsi
quanto il Cristiano. È un peccato che non
sempre ci sia la giusta disposizione d’animo per godere di questo dono.
(b) Li rendeva molto generosi verso i
loro fratelli piú poveri e riempiva il loro
cuore di amore. Essi prendevano il loro
cibo assieme con… semplicità di cuore
(gr. en… apheloteti kardias) o «con liberalità di cuore», come traducono alcune
versioni. Perciò, essi non mangiavano il
cibo da soli, ma il povero era benvenuto
alla loro tavola, non a malincuore ma con
tutta la liberalità che si può immaginare.
Teniamo presente che i cristiani devono
avere i cuori aperti e le mani distese verso
i poveri, mani pronte a donare e a spargere abbondantemente la buona semenza
come Dio l’ha sparsa in loro, e sperare in
un raccolto abbondante.
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4. Essi crearono un fondo da destinare per
scopi caritativi, cosí vendettero le possessioni e
i beni (v. 45) – che secondo alcuni studiosi la distinzione si riferirebbe ai beni immobili e ai
beni mobili – e distribuirono il ricavato ai loro
fratelli secondo il bisogno di ciascuno. Ciò non
doveva annientare la proprietà, ma l’egoismo.
In questo modo, tenevano probabilmente presente l’ordine che Cristo aveva dato al giovane
ricco per saggiare la sua sincerità: vendi ciò che
hai e distribuiscilo ai poveri (Mt 19:21). Si trattava di un ordine che non costituiva in alcun
modo una regola fissa a cui i cristiani di ogni
epoca e di ogni nazione dovevano attenersi.
Tant’è vero che le epistole di Paolo, scritte dopo
i fatti qui narrati, parlano spesso della distinzione tra ricchi e poveri e Cristo aveva detto: i
poveri li avrete sempre con voi (Mt 26:11).
Piuttosto i ricchi devono essere pronti a fare del
bene al prossimo con i profitti dei propri affari e
le rendite dei propri beni, cosa che non potrebbero fare se li vendessero e dessero via tutto in
una volta sola. Pertanto, è chiaro che questa fu
un’eccezione.
(a) Dio non lo aveva ordinato ed essi
non erano obbligati a farlo, come risulta
da ciò che Pietro disse ad Anania: se questo restava invenduto, non restava tuo?
(v. 5:4). Si tratta comunque di un esempio
molto lodevole della loro superiorità rispetto al mondo, del loro non attaccamento ai beni terreni, della loro compassione per i poveri, del loro zelo per la crescita del Cristianesimo. Gli apostoli avevano lasciato tutto per seguire Cristo e si
dedicavano esclusivamente alla predicazione della Parola e alla preghiera cosicché
per il loro mantenimento bisognava offrire
qualcosa. Questa liberalità eccezionale era
simile a quella dimostrata da Israele nel
deserto per la costruzione del tabernacolo,
cui si era dovuto porre un freno (Es 36:5,
6). La nostra regola deve essere di offrire
in proporzione a quanto Dio ci ha provveduto, ma in una situazione eccezionale
sono da lodare coloro che danno oltre i
loro mezzi (2 Co 8:3, NR).
(b) Coloro che vendettero i loro beni
erano Ebrei, e poiché credevano in Cristo,
dovevano credere che la nazione ebraica
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Atti 2:42-47
sarebbe stata presto distrutta e quindi
avrebbero perso i beni e i terreni che possedevano. Credendo ciò, li vendettero per
sopperire al servizio di Cristo e ai bisogni
immediati della Chiesa.
III. Dio era con loro e dava loro chiari
segni della sua presenza (v. 43): molti prodigi e segni erano fatti dagli apostoli,
segni di diverso tipo che confermavano la
dottrina apostolica e dimostravano incontestabilmente di venire da Dio. Quelli che
erano in grado di operare miracoli avrebbero anche potuto provvedere il necessario
per mantenere se stessi e i poveri che erano
tra loro con dei miracoli, come aveva fatto
Cristo quando aveva sfamato con poco
cibo migliaia di persone, ma era piú per la
gloria di Dio che ciò avvenisse per mezzo
di un miracolo di grazia (mettere in cuore
ai discepoli di vendere i loro beni) che non
per mezzo di un miracolo operato sul
mondo naturale. Ma il Signore non si limitò a dare loro il potere di fare miracoli:
Egli aggiungeva ogni giorno alla loro comunità quelli che erano sulla via della salvazione (v. 47). La Parola da loro predicata
operava miracoli. Dio benediceva i loro
sforzi volti a far crescere il numero dei credenti. Teniamo presente che aggiungere
anime alla Chiesa è opera di Dio, e che il
vederlo è di grande incoraggiamento per
gli evangelisti e gli altri ministri di culto,
ma anche per tutti i cristiani.
IV. Le persone, che osservavano tutto
questo dall’esterno, ne erano colpite (vv.
43, 47).
1. Esse provavano timore e nutrivano
venerazione per gli apostoli (v. 43). Molti
tra quelli che vedevano i segni e i miracoli fatti da loro temevano che, se non
fossero stati rispettati come si conveniva,
la nazione sarebbe diventata preda della
desolazione. Il popolo era preso da timore
nei loro confronti, come già Erode aveva
temuto Giovanni Battista. Per quanto fossero vestiti dimessamente, a differenza
degli scribi che amavano passeggiare in
lunghe vesti, ed esser salutati nelle piazze
(Mr 12:38), c’era in loro una tale ricchezza di doni spirituali che incuteva un
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Atti 3:1-11
Lo zoppo guarito
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profondo rispetto. Ogni anima era presa
da timore, tutti erano colpiti in maniera
singolare dalle loro parole e dalla loro
vita.
2. Essi erano favorevoli agli apostoli
(v. 47). Per quanto abbiamo ragione di ritenere che ci fosse chi li odiava e li disprezzava (siamo sicuri che questo era il
caso dei Farisei e dei capi sacerdoti), la
maggior parte del popolo li osservava con
simpatia, infatti è detto che essi avevano
il favore di tutto il popolo. Cristo era stato
violentemente denigrato e malmenato
dalla folla che gridava: sia crocifisso, sia
crocifisso, per cui si sarebbe indotti a pensare che la sua dottrina e i suoi seguaci
non avrebbero mai riscosso l’interesse
delle masse. Invece, godevano il favore di
tutti. Quindi, appare evidente che le persone che avevano perseguitato Cristo vi
erano state indotte dagli inganni dei sacerdoti, e che adesso erano ritornate in sé,
erano rinsavite. Devozione e amore non
finti incutono rispetto; e l’affaticarsi volonterosamente al servizio di Dio avvicina alla fede coloro che ne sono estranei.
L’espressione avendo il favore di tutto il
popolo è in greco ekontes karin pros
holon ton laon che alcuni traducono con
«avevano amore per tutto il popolo». Il
loro amore non era limitato ai membri
della loro Comunità, ma era universale e
questo fa loro molto onore (cfr. Ga 6:10).
3. Essi si aggiungevano a loro. C’erano
sempre nuove persone che si aggiungevano, anche se non cosí numerose come il
primo giorno, quelle che erano sulla via
della salvazione. Si noti come coloro che
Dio conosce sin dall’eternità prima o poi
si convertiranno a Cristo. Il Signore aggiungeva ogni giorno quelli che venivano
salvati (v. 47, NR) attraverso gli ordinamenti del Signore: il battesimo in acqua e
la Cena del Signore.
CAPITOLO 3
Questo capitolo narra l’episodio di uno zoppo
guarito e della predicazione che ne seguí. Tale miracolo serví da introduzione al sermone e a con-
fermare la dottrina in esso contenuta, oltre che a
predisporre le persone a ricevere la Parola di Dio.
Tale predicazione non solo forní l’occasione per
spiegare il miracolo, ma fu come un seme interrato nei cuori del popolo, “terreno” che era stato
appena dissodato dal miracolo.
I. Il miracolo consistette nella guarigione, per
mezzo della parola, di un uomo zoppo fin dalla
nascita (vv. 1-8); miracolo che ebbe un grande impatto sui presenti (vv. 9-11).
II. Lo scopo della predicazione, che prese
spunto proprio dalla guarigione dello zoppo, era di
condurre gli astanti a Cristo e di far sí che questi
si ravvedessero dal peccato di averLo fatto crocifiggere (vv. 12-19) e credere che egli adesso era
glorificato, attenendosi cosí al proposito di Dio
Padre (vv. 20-26). La prima parte della predicazione aprí una ferita, mentre la seconda parte ne
presentò il rimedio.
3:1-11
Nel capitolo precedente è detto che
molti prodigi e segni erano fatti dagli
apostoli (At 2:43). Tuttavia, questa affermazione ci appare generica poiché evita
di scendere nei particolari. D’altra parte,
nel libro degli Atti non sono riportati tutti
i miracoli, ma solo quelli che lo Spirito
Santo ha ritenuto opportuno per il nostro
ammaestramento (cfr. Ro 15:4), né gli
apostoli operarono miracoli su tutte le
persone che incontravano, ma essi si lasciavano guidare dallo Spirito Santo coerentemente al mandato ricevuto da
Cristo. In questo paragrafo possiamo notare:
I. Gli strumenti che Dio usò per operare il miracolo. Questi furono Pietro e
Giovanni, due discepoli particolarmente
noti, il primo come il portavoce del
gruppo e il secondo come il discepolo che
Gesú amava (cfr. Gv 19:26; 20:2; 21:7,
20), e tali erano rimasti. È possibile che
quando piú tardi la chiesa fu suddivisa in
gruppi – a seguito della conversione di
migliaia di persone – Pietro e Giovanni
abbiano presieduto il gruppo di cui faceva
parte Luca, che cosí ha potuto riferire con
dovizia di particolari le loro gesta, come
piú tardi avrebbe riferito quelle di Paolo,
a cui egli si uní durante i viaggi missionari di quest’ultimo. Ad ogni modo questo costituisce un esempio di ciò che