Magritte 16 marzo - 8 luglio 2001 L`importante mostra di Magritte al

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Magritte 16 marzo - 8 luglio 2001 L`importante mostra di Magritte al
Magritte 16 marzo - 8 luglio 2001
L'importante mostra di Magritte al Complesso del Vittoriano, nel Museo del Risorgimento, può
essere l'occasione per una riflessione sullo specifico valore dell'apporto innovativo del linguaggio e
sul ruolo e suo peso che ha il contenuto in questo pitture, ma per estensione, anche nella pittura del
'900. Il mondo di Magritte è popolato di figure e di oggetti, di cui si può ben dire che diventino
'contenuto' effettivo dell'opera solo nella relazione specifica che
viene a stabilirsi fra di essi.
E, in sé, questi oggetti e queste figure non hanno emozione
intrinseca, perché anche questa insorge solo nella relazione. Si
potrebbe addirittura dire che il materiale figurativo non sia fatto
sostanzialmente di oggetti, ma di relazioni. E così, la 'logica'
dominante che li tiene insieme è quella di una 'semantica'
relazionale e non ontologica. Una costruzione relazionale del
contenuto esclude pertanto semplicistiche operazioni di
Les Amants
'automatismo', nel senso usato in Bréton: [1] la relazione deve
essere sempre pensata e poi 'costruita', per poter essere tale. E così non si può neanche parlare di
'descrizione' del reale, per questo linguaggio pittorico, perché seppure è evidentemente possibile
descrivere ogni singolo oggetto reale, non ha invece senso la 'descrizione' della relazione degli
oggetti, in quanto tale. Il 'tema' di questa pittura è la relazione e questa, come tale, non ha
descrizione possibile. Dietro la 'messa in relazione' ci deve essere qualcosa di più. È qui che viene a
definirsi il nuovo modo di vedere, cioè il nuovo modo di costruire i contenuti (che è un 'porre in
relazione'); ed è questo che fa vedere cosa si può nascondere, non nella singola cosa, ma nel suo
rapporto con le altre. È nella 'relazione' delle cose che nasce dunque l'emozione.
Questa non emerge sul piano espressivo, ma opera solo su quello soggettivo e, in particolare,
attraverso la stessa 'latenza' che si manifesta nella relazione raffigurativa. In questo senso non c'è
segno di una emozione 'gestuale' o dei volti delle figure o, altrimenti, segno di emozioni di tipo
'materico', nella figurazione stessa e nella trattazione del colore (sia esso preso per la densità della
materia appunto, sia come tonalità e contrasto delle tonalità).
Si pone così quello specifico atto di creazione dei contenuti-relazione, che è una scelta, anziché di
normali e superficiali rapporti naturali fra le cose, di rapporti associativi inattesi e sconosciuti, di
rapporti che generano un vero shock e 'provocano' la sorpresa.
La sorpresa getta una luce enigmatica sul 'rapporto' e, in esso, sulle singole cose. L'enigma non è
l'altro, ma l'altro nella relazione. Il visibile, attraverso questa strategia creativa dei contenuti, si
rivela come mistero del visibile.
La relazione, in quanto pensata, ha una chiarezza logico-razionale, che viene tuttavia occultata per
effetto della eccezionalità del rapporto stesso; è così che 'rivela' allora il mistero del visibile, in
questa frattura, determinatasi fra il pensiero (che ha prodotto la relazione) e il contrasto delle cose
stesse (che si danno nella relazione). L'occultamento del pensiero lascia l'immagine sempre
separata e quindi alludente. Solo la 'relazione' fa intravedere i livelli del pensiero, i piani della
memoria, le sensazioni e le emozioni.
Non si deve confondere, a questo punto, ciò che è l''arcano', il mistero del visibile (generato
artificialmente attraverso un'associazione soggettiva) e quell'aspetto specifico della sintassi pittorica
di Magritte, che chiamiamo e vedremo essere la magia della luce.
Lo shock associativo non è prodotto da una dissoluzione del fattore 'compositivo' del quadro,
come accade per le strutture 'nella cornice' di pittori come Degas o
Toulouse-Lautrec o Bonnard o Vuillard, dove le composizioni sono
'tagliate' secondo tecniche fotografiche o 'frammentate' con tecniche di
luminosità che sopprimono ogni percezione dello spazio; [2] anzi, qui la
composizione è interamente conservata e rimane quella classica. Si genera
invece una sorpresa sul piano logico-razionale. Lo shock appartiene
dunque in modo tipico al linguaggio 'manieristico' che attraversa la pittura
(meglio, l'arte) contemporanea. [3] È quella che A. B. Oliva chiama la
perdita di frontalità col mondo e l'assunzione di una lateralità come punto
di osservazione, e che è una sorta di 'effetto' (di quella Fälschung che, in
tedesco, sta ad indicare un colpo di biliardo che muta la traiettoria,
Le Chateau des Pyrénées lasciando di stucco colui che guarda): shift (come carattere del linguaggio
manieristico), dominato dall'irrazionale in quanto perdita del piano logico e delle sue attese
(paragonabile all'effetto dovette avere la scoperta del numero irrazionale nel mondo della geometria
euclidea). [4]
Un nuovo 'modo di vedere' che è una rivelazione a se stessi [5] di ciò che nasconde la relazione, sia
come elemento latente da fare percepire, sia come processo metamorfico, nella relazione d'una cosa
al suo contrario, sia come paradosso semantico del linguaggio figurativo, sia come percorso che
evidenzia qualche autoreferenzialità. [6]
La 'razionalizzazione' dell'inconscio (contenuto del mistero della relazione) opera attraverso queste
strategie (autoreferenzialità, paradosso, metamorfosi, latenza), che sono date da relazioni
'associative' e che, figurativamente, si esprimono attraverso montaggi e collage di immagini, anche
se non di materiali. L'arcano, il mistero del visibile, nella dimensione razionalizzante della
'relazione figurativa', assume il valore logico di paradosso e quindi di enigma. E l'enigma appare,
infine, come magia di un oggetto 'in relazione' (con altri oggetti, con lo spazio, con la sua
prospettiva, con le sue ombre, con le proprietà delle superfici). [7]
Ciò che si viene insomma a creare è l'oggettualità della relazione. [8]
La metamorfosi, il paradosso, l'autoreferenzialità, la latenza stessa, come relazione della cosa al suo
contrario, come divenire altro della cosa, si connette al tema del
valore simbolico del linguaggio.
In senso stretto, ogni codice linguistico ha un valore simbolico, ma
quando Goethe contrappone simbolo e allegoria allude alla
specificità della relazione del codice, come simbolizzante, al suo
simbolizzato. È in questo specifico senso che nel linguaggio di
Magritte il linguaggio non è simbolico: l'immagine non è ellittica di
una totalità immanente alla sua particolarità e, quindi, per lo stesso
motivo non vuol essere allegorico, perché l'immagine non intende
Le Faux Miroir
esemplificare un contenuto universale che la possa trascendere.
L'immagine è, invece, separata e alludente ad altro: quindi metafora. Resta con ciò la dualità, la
separazione non ricomponibile, una 'relazione', che è anche, insieme, 'frattura'. La relazione
consente solo l'allusione, che traspone, che è simulacro di qualcos'altro, che è o resta nascosto,
senza poter essere ricomponibile. Le metafore del sonaglio o dell'uovo, ma tutte le altre metafore,
'secondarie' rispetto a quelle, sono riferimenti a ciò che non è e non vuole essere espresso: il grande
trauma dell'infanzia e la distanza dall'oggetto, in quella che P. Sterckx ha voluto chiamare, col titolo
di un'opera di Magritte, la storia centrale: il suicidio della madre che attraversa la 'palude del
ricordo' e diventa pittura come 'lutto' in senso freudiano, tema della malinconia e di puritanesimo
formale, pittura priva di virtuosismo e di valori materici.
Perveniamo così al ruolo dell'immagine e della memoria, cioè delle funzioni mentali che governano
la poesia e caratterizzano il mondo del significato per cristallizzarsi in quello delle forme, della
sintassi pittorica.
Nella pittura di Magritte l'immaginazione, come funzione, è
interamente proiettata nel ricordo, nel passato, [9] e il suo compito
creativo di oggetti-immagine, nello spazio 'razionale' della logica
relazionale, è soprattutto compito di proiezione nella memoria e,
insieme, di occultamento di essa attraverso operazioni strategiche che
abbiamo chiamato di 'lateralizzazione'.
E veniamo all'altro tema, che dall'arcano (o mistero del visibile) ci
porta alla magia della luce e che abbiamo distinto dal primo, all'inizio
di questo scritto.
S'è detto che la 'paradossalità' della relazione (logica) si pone con le
proprietà che appartengono alla categoria razionalistica dell'enigma; e
L'Homme au Chapeau melon che l'enigma appare allora come magia di oggetti in relazione.
Ma la 'magia', quando si riferisce alla luce, assume un valore che non è più di contenuto, ma di
forma e diventa, in tal modo, un carattere specifico della sintassi del linguaggio di Magritte, non
della sua semantica, non dello spazio dei suoi significati. Si dice questo perché la specifica qualità
di 'luminosità magica' non è né un dato costante, ravvisabile in tutta l'opera di Magritte, né è un dato
paragonabile, dal punto di vista degli apporti innovativi al linguaggio, al contenuto dell'opera. In
effetti, bisogna ricordare che i caratteri della sintassi del linguaggio di Magritte sono tutti improntati
alla tradizione e non presentano particolarità tali da assicurare alla sua opera un posto particolare
nella storia del linguaggio pittorico: composizione, colore, spazialità e prospettiva, dinamismi,
espressione, matericità, tutto è conforme a sintassi già sperimentate. Ma non così la luce. Quindi il
peso del contenuto, preponderante, al cospetto della forma, nell'opera intera, si rovescia quando la
forma è segnata dalla magia della luce. Vediamo meglio.
L'evaporazione delle barriere tra contenitore e contenuto (come in Il modello rosso), tra oggetto e
nome (come in La chiave del sogno), tra interno ed esterno (come in Il falso specchio), l'alterazione
dei rapporti di scala (come in La temba dei lottatori), di prospettiva (come in Le manie di grandezza
o in La notte di Pisa) e anche di illuminazione (come in La fata ignorante), sono tutti eventi inscritti
dentro la tradizione formale della iconografia oggettiva (alterazioni e metamorfosi riguardano, come
s'è detto, la 'relazione'). Ma nel periodo che copre il ciclo L'empire des lumières (fra il '54 e il '65,
anno in cui Magritte è costretto a interrompere l'attività creativa) accade qualcosa di diverso, di cui
non credo sia ben nota la causa: è la scoperta della luce in quanto tale: non degli oggetti e neppure
della 'logica' di una relazione (giorno-notte o luce-buio), che fa apparire il mistero del visibile, ma
della luminosità al confine fra due poli (la luce cangiante, metamorfica, mutevole ed equivoca); è
questa che diventa elemento magico ed inquietudine della visione. Non è la contraddizione della
compresenza (chiaro-giorno o scuro-notte) a generare la sorpresa e lo shock surreale, ma è
l'equivocità luministica a generare quella magia della luce. Radicalmente diverso è, infatti, il caso di
altre 'relazioni di luce', come in La fée ignorante, dove la candela accesa 'illumina' di buio la zona
circostante e quindi, con un riflesso di luce, lo spazio che dovrebbe essere in ombra.
La magia della luce, da un punto di vista strettamente formale è, invece, un contributo unico nella
storia della pittura. Accade qualcosa, nella ricerca di Magritte, che cambia radicalmente il punto di
vista. L'attenzione si sposta dalla 'magia' del contenuto (relazionale) alla 'magia' della forma (cioè
della luce, in quanto uno dei caratteri formali del linguaggio pittorico). E questo periodo è l'unico
effettivamente innovativo nella forma (cioè, per il 'linguaggio' della pittura in generale).
Tutto intorno, nel tempo della creazione di Magritte, l'innovazione riguarda
scelte di contenuti. Occorre quindi dire che, nella storia della pittura in
quanto specifico linguaggio formale, è questo il periodo che coinvolge l'arte
(proprio in quanto forma), il resto essendo un grande discorso sulla cultura,
in quanto immissione in pittura di nuovi contenuti.
Questa 'svolta', che contrappone una pittura perfino formalmente banale,
definita anche 'prosaica' e 'grafica' fino ad influire sul linguaggio
pubblicitario, pone due questioni assai interessanti: da un lato, quella del peso
del contenuto (degli oggetti-relazione) sulla forma e, dall'altro, più in
generale, il peso del contenuto sulla pittura metafisica e surrealista (e sulle
loro derivazioni), dove non c'è sostanziale innovazione formale.
Le Thérapeute
Quest'ultimo aspetto è chiaro e la risposta è drastica: a partire dalla pittura
metafisica e surrealista non conta più il modo, la forma della pittura, ma il che cosa, il contenuto del
dipingere.
Il primo aspetto è altrettanto chiaro e la risposta ancora una volta drastica: il contenuto relazionale,
con le sue implicazioni arcane e magiche non ha peso alcuno sul linguaggio formale di Magritte,
fino alla 'svolta' della magia della luce, dove si modifica il rapporto semantica-sintassi (si rovescia
anzi il rapporto contenuto-forma). Ed un'ultima considerazione, sulla funzione che Magritte assegna
al titolo dell'opera, nei confronti dell'immagine. Esso non rappresenta affatto un dato iconologico,
quanto piuttosto un problema di approfondimento ermeneutico.
[1] Non entro qui nel merito del rapporto Bréton-Magritte e quindi del surrealismo del secondo.
Sono questioni già ampiamente trattate, su cui non ho da aggiungere nulla di nuovo.
[2] Cfr. Ch. Bouleau, La geometria segreta dei pittori, Electa, Milano 1996, p. 229 sgg.
[3] In proposito, cfr. Gustav René Hocke, Malerei der Gegenwart. Der Neo-Manierismus. Von
Surrealismus zur Meditation, Limes Verlag, Wiesbaden und München 1975 e Achille Bomito
Oliva, L'ideologia del traditore. Arte, maniera, manierismo, Electa, Milano 1998.
[4] La tradizione vuole che lo scopritore dei numeri irrazionali e divulgatore della teoria fosse
condannato dagli dei e flagellato in eterno dalle onde. Cfr. Egmont Colerus, Piccola storia della
matematica. Da Pitagora a Hilbert, Einaudi, Torino 1949, p. 29.
[5] De Chirico sottolinea questo aspetto. Cfr Claudio Strinati, in Magritte. La storia centrale,
(Catalogo in occasione della mostra), Skira, Ginevra-Milano 2001, p. 9.
[6] Il circuito naso-pipa del fumo, come i percorsi autoreferenziali di Escher o il ciclo dove una
colatura si erge a candela, che si scioglie a sua volta in colatura, in La lampe philosophique.
Sull'artista olandese Maurits C. Escher e le sue rappresentazioni in geometrie non euclidee, cfr.
Roger Penrose, La mente nuova dell'imperatore, Rizzoli, Milano 1992, p.207 sg.
[7] P. es. la convessità assolutamente 'polita' del sonaglio e la sua fenditura.
[8] In questo senso ci si può forse anche riferire al concetto di pittura 'oggettrice', espresso da Pierre
Sterckx, I canti d'amore di una storia centrale, in Magritte. La storia centrale, cit., p. 21 sgg.
[9] Sterckx parla di memoria come 'finzione' retroattiva, che appartiene al regno della Phantasia,
cioè dell'immaginazione. Cfr. Op. cit. La cornice vuota e il fondo monocromatico (ivi, p. 30),
proprio perché privi di relazione allusiva che ponga in relazione col passato, privi di immagine con
cui proiettarsi nella memoria, sono e alludono insieme al 'quadro perfetto', perché in esso si
compirebbe l'unificazione di immagine e ricordo e l'annullamento, la scomparsa, della totalità del
problema del rapporto ragione-immagine, da un lato, e del radicamento nell'inconscio, dall'altro.