Washington Square Romance e altre storie erotiche Maxim
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Washington Square Romance e altre storie erotiche Maxim
Washington Square Romance e altre storie erotiche Maxim Jakubowski Cover Design by Gabriele Ciufo DELIRIUM EDIZIONI © 2011 ISBN: 9788866070412 3 4 Washington Square Romance A Broadway, le comprò un timbro di gomma che diceva I LOVE YOU, che non sarebbe mai stato usato. A Ground Zero, osservando di traverso il mostruoso buco nel terreno ed i primi segni di ricostruzione, la tenne stretta a sé e cercò di non piangere. Non per simpatia o compassione per le vittime della tragedia, ma perché sentiva di non esserle mai stato vicino come in quel momento. Sotto l'arco di Washington Square, la baciò. Era arrivata all'aeroporto di Barcellona in anticipo ed aveva superato i controlli di sicurezza e del passaporto con più di due ore libere prima della partenza del suo volo per New York, ed aveva passato il tempo sorseggiando caffè in uno dei mille splendenti bar della zona duty free, sfogliando svogliatamente alcuni dei suoi libri di letteratura Catalana e fantasticando. Quando chiamarono il suo volo, non si era affrettata a mettersi in coda, solo per accorgersi una volta raggiunto l'ultimo controllo di non riuscire a trovare il passaporto. Il suo cuore si fermò. Dove poteva averlo lasciato? Lo aveva in mano quando aveva lasciato la sua unica valigia al checkin. Senza fato, era corsa alla zona duty free ed al bar. Al tavolo che aveva occupato c'era seduta ora un'altra persona. Sentì il cuore balzarle nel petto, il suo stomaco 5 contrarsi per l'ansia. Chiese all'uomo se avesse trovato qualcosa sul tavolo quando si era seduto. Lui l'aveva guardata con un'occhiata perplessa. Automaticamente si era rivolta a lui in italiano, che palesemente non comprendeva. Era passata all'inglese. No, il tavolo era stato vuoto. Le suggerì di andare a chiedere alla cameriera al bancone. Cosa che fece. La ragazza di turno aveva appena attaccato a lavorare. Completò l'ordine sul quale stava lavorando e poi fnalmente si diresse verso una porta posteriore per chiedere ad un collega. Pochi minuti dopo, un uomo più anziano con sopracciglia grigie e lineamenti leonini entrò con un ampio sorriso sul volto. L'attenzione di Giulia fu immediatamente attratta alla sua mano destra. Nella quale stringeva il suo passaporto. Un immenso sollievo attraversò il suo corpo. Si sentì debole. Trattenne il respiro. “Grazie, grazie, grazie, mille grazie” disse, in spagnolo stavolta. L'uomo le sorrise di rimando, consegnandole in silenzio il passaporto smarrito. Lo ringraziò nuovamente circa una dozzina di volte o più, con gioiosa fretta, e ritornò di corsa all'ultimo checkpoint di controllo. Tuttavia, una volta raggiunto, fu informata del fatto che il personale dell'aereo aveva già chiuso le porte e che aveva perso il volo. La sua valigia solitaria era già stata scaricata. Espose supplicando il suo caso, cominciò a singhiozzare senza ritegno, ma niente. Un impiegato della compagnia aerea la scortò gentilmente alla zona bagagli in modo che potesse 6 ritirare la valigia, e poi al desk dell'American Airlines. Non c'erano più voli per il JFK quel giorno, ma considerate le circostanze e anche se non non erano tenuti a farlo, acconsentirono a trovarle un posto sullo stesso volo il giorno seguente, che fortunatamente aveva ancora dei posti liberi. Con le lacrime che dovevano ancora asciugarsi sulle sue guance e trascinandosi sconsolatamente la valigia alle spalle, Giulia si trovò nuovamente in partenza e nell'area del check in del Terminal A. Tirò fuori il cellulare dalla borsa, controllò le stampate delle email che si erano scambiati e chiamò il suo albergo a New York. Non era in stanza. Perché avrebbe dovuto? Lasciò un messaggio dicendogli di richiamarla. Quando lo fece, era tornata nel suo dormitorio a nord di Plaza Catalunya, ed aveva esaurito tutte le lacrime che un essere umano può spendere nell'arco di una mezza giornata. Singhiozzando tra le parole, balbettando, piangendo senza controllo, lo informò che aveva perso l'aereo. Poteva quasi sentire il peso ricadere come un martello sul suo cuore nonostante le migliaia di miglia di distanza. Ma la sua voce rimase calma e la tranquillizzò, quando infne riuscì a spiegare che sarebbe arrivata lo stesso, sullo stesso volo del giorno seguente. “Andrà tutto bene” le disse. “E' solo un giorno, una notte in meno. La cosa principale è che possiamo comunque stare insieme. Cerca solo di farti una bella notte di sonno, arriva all'aeroporto con calma, e non attardarti sul caffè questa volta” disse, con una sfumatura di affetto e scherzo nella sua voce profonda. “Ti aspetto.” 7 “Si.” “E non dimenticarti di prendere un taxi dal JFK a Washington Square,” aggiunse. “Lo pago io. Non vogliamo sprecare altro tempo, giusto?” “Ti voglio così tanto.” Ebbe appena il tempo di lasciar andare la valigia sul pavimento prima che lui volesse svestirla. Aveva aspettato nella lobby dell'albergo che il suo viaggio da 50 dollari dall'aeroporto alla città si concludesse, leggendo una rivista, distratto da ogni nuovo arrivo. Mentre lei ignorava il facchino per corrergli incontro, fece un ampio sorriso. Lei lo abbracciò, stringendolo a sé, e tutto il dolore e l'angoscia del disastro del giorno precedente sbiadì in un istante. Chiamarono l'ascensore, e per quanto non fossero soli, lei sentì la sua mano carezzarle il culo attraverso la sottile gonna di lino che indossava. “Voglio vederti. Tutta,” disse, mentre si allontanava da lei una volta entrati nella stanza color fucsia. Rapidamente lei sgusciò fuori dalla gonna e lui l'aiutò a liberarsi della maglietta Strangers in Paradise. Non portava il reggiseno. Non ne aveva mai avuto bisogno. Lui sospirò nel vedere nuovamente quei capezzoli la cui sfumatura di colore non riusciva mai a catturare con le parole, una sottile variazione tra il marrone chiaro ed il rosa che non aveva mai trovato prima di allora in alcuna donna che avesse mai visto nuda. Il respiro gli si mozzò in gola. Lei rise e si avvicinò a lui. Lo spinse sul letto e lo cavalcò. 8