“Tocqueville dà consigli a un giovane: l`antico regime, la

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“Tocqueville dà consigli a un giovane: l`antico regime, la
per il ciclo
Che cos’è la democrazia?
terzo appuntamento
“Tocqueville dà consigli a un giovane: l’antico regime,
la centralizzazione, il diritto amministrativo”
incontro con
Sabino Cassese, Giudice della Corte Costituzionale Italiana,
Emerito di Storia delle istituzioni politiche nella Scuola Normale Superiore di Pisa.
Salvatore Carubba, editorialista de Il Sole 24 Ore
Sala Verri di via Zebedia 2, Milano
Venerdì 14 marzo 2014
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Via Zebedia, 2, 20123 Milano
tel. 0286455162-68 fax 0286455169
www.centroculturaledimilano.it
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“Tocqueville dà consigli a un giovane: l’antico regime, la centralizzazione, il diritto amministrativo”
SALVATORE CARRUBBA: […] il viaggio che il Centro Culturale di Milano ha organizzato
assieme a Critica Sociale, saluto Ugo Finetti, alla Fondazione Corriere. L’attenzione non sta
scemando, anzi, devo dire che c’è un pubblico attento, fedele, che sta scoprendo o ri-scoprendo
Tocqueville grazie anche ai relatori che abbiamo avuto e che continueremo ad avere nell’ultima
puntata, questa sera, con il prof. Cassese. Naturalmente vi porto anche il saluto di Camillo
Fornasieri, che mi ha incaricato di farlo. Questa sera dicevo affrontiamo un ulteriore aspetto del
pensiero di Tocqueville, riguardo il quale, per la verità, qualche cenno già era emerso. Ricordo
soprattutto al prof. Cassese che nelle due precedenti puntate Angelo Panebianco ha introdotto il
tema della democrazia e della politica in Tocqueville; Francesco Forte è andato un passo avanti
rispetto a questa analisi che fece la prima sera Panebianco parlandoci delle degenerazioni della
democrazia e dei costi economici che questa degenerazione provoca, con un’analisi molto
moderna e anche molto contemporanea. Stasera parliamo di un particolare aspetto e ci
accostiamo anche a una fonte nuova di Tocqueville. Abbiamo parlato delle sue due grandi opere:
Democrazia in America, L'ancien régime et la révolution. Questa sera il Tocqueville lo
sentiremo attraverso le sue lettere. L’epistolario di Tocqueville è una miniera ricchissima per
conoscere questo personaggio. Pensate che nell’opera completa di Tocqueville pubblicata in
Francia le lettere prendono 15 volumi. Fortunatamente non avevano ancora Twitter e scrivevano.
Fra l’altro in queste lettere emergono molti elementi ulteriori sul suo pensiero e devo dire anche
che emerge – su indicazione del prof. Cassese sono andato a guardare certe lettere anch’io – una
straordinaria umanità del personaggio Tocqueville. Doveva essere veramente un personaggio
delizioso, oltre che di straordinaria intelligenza! Oggi avremo appunto un assaggio di queste sue
lettere nei brani che ha scelto l’ospite di questa sera, che vi presento: Sabino Cassese è uno dei
maggiori giuristi italiani, un maestro nell’ambito del diritto amministrativo; è stato Ministro della
funzione pubblica con il governo Ciampi e, dal novembre del 2005, è giudice della Corte
Costituzionale. Noi lo ringraziamo e gli diamo il nostro benvenuto. Il prof. Cassese ha scelto per
noi queste lettere e stasera seguiremo una regia diversa: non avremo una lettura da parte di
Matteo Bonanni prima dell’intervento del prof. Cassese, ma sarà lo stesso prof. Cassese che in
certi punti introdurrà, invitando il lettore a farci sentire le parole di Tocqueville. Queste lettere ci
introducono a due aspetti che vorrei qui soltanto accennare, perché poi prenderà la parola il prof.
Cassese. Il primo aspetto è la diffidenza che Tocqueville ha per il diritto amministrativo, non in
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“Tocqueville dà consigli a un giovane: l’antico regime, la centralizzazione, il diritto amministrativo”
quanto branca in sé – rispettava moltissimo il diritto amministrativo – ma perché temeva che
esso potesse diventare uno strumento con il quale si manifesta l’onnipotenza e magari anche la
pre-potenza dello Stato, che attraverso il diritto amministrativo tenta di intervenire su tutto. Il
secondo aspetto riguarda un tema che è già stato adombrato nelle letture che avevamo ascoltato
con Francesco Forte, cioè il rischio dell’accentramento, nel quale, secondo Tocqueville, sta la
causa della Rivoluzione Francese e soprattutto del suo esito, così diverso da quello della
Rivoluzione Inglese (vi ricorderete che vi fu un accenno anche a questo aspetto). Emerge dunque
una visione, un modello, molto particolare, riassunto bene da Tocqueville stesso in un suo
articolo del 24 novembre del 1844, di cui vi cito qualche riga. In questo brano Tocqueville
riprende un tema al quale era molto affezionato, cioè quello della necessità di contrastare la
tendenza accentratrice della democrazia e in particolare i rischi della tirannia della maggioranza
attraverso un forte decentramento, sulla scorta e sull’esempio del suo viaggio in America,
durante il quale aveva visto le comunità americane continuare un modello di democrazia più
diretta. «Tocqueville riconosce – traggo queste righe da una citazione di uno studioso di
Tocqueville – in queste townships della Nuova Inghilterra unirsi nello stesso tempo la sovranità
del popolo e la decentralizzazione amministrativa, dei costumi e dei comportamenti. La forza
critica – aggiunge questo studioso – dell’esempio proposto ai francesi viene dalla sovranità del
popolo, così come essa è organizzata, messa quotidianamente in pratica e vissuta in America.
Tocqueville critica in realtà con una violenza dissimulata la concezione francese che affida allo
Stato la realtà di questa sovranità del popolo, così vantata a partire dal 1789, e quindi riconosce
in questo aspetto una delle caratteristiche principali della democrazia, così come si forma». Vi
voglio poi citare l’articolo di Tocqueville del 1844 a cui accennavo prima (quella letta finora era
una citazione indiretta): in questo testo, scritto per una rivista, Tocqueville affronta di nuovo il
problema sopra introdotto e si chiede che cosa possa produrre una combinazione così nuova,
come quella realizzatasi in Francia. Secondo Tocqueville infatti, la Francia sembrava avere in sé
il mescolarsi di due modelli completamente opposti, cioè il governo parlamentare britannico e
una struttura fortissimamente accentrata, come quella prussiana. Scrive Tocqueville: «La nostra
amministrazione centrale tiene in qualche modo nelle proprie mani tutta la macchina sociale, ne
controlla da sola tutte le leve. Non vi è grande affare che non abbracci, né piccoli dettagli che
non voglia regolare. I dipartimenti, le città, i semplici villaggi sono i suoi pupilli. Essa influisce
ogni giorno direttamente sul patrimonio, sulla posizione, sul futuro, sull’onore di ciascuno di noi.
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Essa – la macchina sociale, l’amministrazione centrale – può disturbarci in ogni istante in mille
modi o aiutarci in mille maniere. Poiché esercita o dirige tutte le funzioni del corpo sociale, essa
sceglie da sé i funzionari innumerevoli di cui sente il bisogno una società disciplinata come la
nostra. Tali sono le sue competenze ed esse aumentano ancora. Ogni nuovo bisogno che il
progresso della civiltà suggerisce le dà un nuovo potere. Essa si sviluppa quindi continuamente
con il nostro livello culturale, con le nostre ricchezze». Viene quindi prefigurato di nuovo un
modello di crescita continua dall’apparato pubblico che poi è quello al quale abbiamo assistito
negli ultimi decenni. Qui poi Tocqueville giunge ad una conclusione sconsolata, secondo la
quale bisogna prendere la Costituzione e trovare degli strumenti per poter evitare che questo
crescere continuo dell’amministrazione pubblica “ingoi” tutte le forme di autonomia della
società civile. Tocqueville indica proprio come rischio, in particolare, quello della corruzione e
dell’immobilità delle istituzioni rappresentative. La risposta a queste possibili degenerazioni
naturalmente, come dicevo prima, per Tocqueville è il modello che aveva visto in America, nella
democrazia in America, dove vede i vantaggi di una società che si affida, più che
all’amministrazione pubblica dello Stato, all’autogoverno dei cittadini, secondo appunto quelle
linee che vi ho citato di Lucien Jaume poco fa. Emerge di nuovo quel ruolo della società libera,
dell’autorganizzazione e del decentramento, necessario alla garanzia di spazi di libertà all’interno
della società, che sono il vero insegnamento, l’insegnamento forse più attuale, di Tocqueville e
che ci introducono a quelli che saranno i temi dell’ultima puntata. Quindi, come vedete , questa
sera affronteremo un aspetto particolare che ci riporta drammaticamente a molte deformazioni
della democrazia moderna, che confermano le grandi capacità premonitrici di Alexis de
Tocqueville. Su questo tema ascoltiamo il nostro ospite, dò la parola quindi al prof. Cassese.
Prego professore.
SABINO CASSESE: Grazie. Io mi propongo di introdurvi al tema che ho prescelto – l’unità del
pensiero di Tocqueville – in un modo forse diverso dal solito, cioè descrivendovi un po’ la
persona, parlandovi di come lavorava e di cosa lo interessava, facendovi notare come si
interrogava sui temi che l’hanno appassionato per tutta la vita e anche come si esprimeva sul
modo in cui studiarli; infine, ascoltando quello che lui scriveva, in particolare all’interno della
sua famiglia. Quindi in qualche modo penetrando non solo nel pensiero, ma anche nell’uomo. Ho
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scelto questa modalità perché penso che Tocqueville venga subito dopo Montaigne: voi sapete
che di Montaigne è stato detto che è il primo uomo moderno, perché si interroga e scrive saggi.
Ecco io vorrei con voi riscoprire questo lato di Tocqueville, quindi un Tocqueville che sta in
quella successione che è aperta appunto da Montaigne; lo farei con una tecnica che potrei
chiamare “cinematografica”. Voi sapete che nel cinema si possono utilizzare i primi piani, ma
anche i cosiddetti “campi lunghi”, anzi, nella tecnica cinematografica ci sono anche i “campi
lunghissimi” e toccherò cinque temi, ognuno dei quali avrà una tecnica diversa. Innanzitutto
vorrei cominciare a dire chi era e che cosa ha fatto Tocqueville; poi come è stato giudicato
Tocqueville dai suoi contemporanei, ma anche dai suoi posteri; in seguito farò un salto nella
Loira nel 1853 dove Tocqueville cominciò a pensare e a scrivere L'ancien régime et la
révolution; poi ancora un primo piano, e qui ascolteremo alcuni brani delle due lettere che
Tocqueville scrive a suo nipote Hibert. Infine un campo lunghissimo: quali sono le ragioni
dell’unità del pensiero di Tocqueville.
Vediamo innanzitutto la persona. Theodore Chassériau ha dipinto questo quadro quando
Tocqueville aveva 40 anni e lo potete vedere al Museo di Versailles, vicino a Parigi. Tocqueville
era nato nel 1805, muore giovane di tubercolosi nel ‘59 a Cannes, dove era corso per cercare di
fermare questa malattia che lo tormentava da tanto tempo. Voi avevate sentito qualcun’altra delle
lezioni tocquevilliane e sapete che lui è diventato famoso non per un motivo, ma per molti
motivi. È stato un indagatore teorico della democrazia e praticamente l’inventore della
democrazia moderna, ma nello stesso tempo ha identificato il pericolo della democrazia, cioè il
pericolo del dispotismo della maggioranza. È stato – scrivendo a non lunga distanza dalla
Rivoluzione Francese – lo storico della Rivoluzione Francese che per primo ha sottolineato il
fatto che la Rivoluzione è stata una cesura meno forte di quella che tutti avevano pensato. La
Rivoluzione ha rivoluzionato meno di quanto non si pensasse: questo è il suo contributo. È stato
il fondatore della moderna scienza politica e, come tale, ci ha lasciato un libro che è un modello
esemplare di ricerca sul campo. È stato uno storico che si è immerso negli archivi – lo vedremo,
arriveremo a Sant-Cyr-sur-Loire, dove si immergeva negli archivi – per ricostruire quello che lui
chiamava “il concatenamento delle idee”, per capire cioè le lunghe tendenze della storia. Ha
avuto uno sguardo profetico: lui è famoso perché aveva già detto a Luigi Filippo, prima che
scoppiasse la Rivoluzione del 1848, che sarebbe scoppiata la rivoluzione del 1848 e nel 1835 (lo
ha scritto nella Democrazia in America), e aveva visto che vi sarebbero stati due grandi popoli
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“Tocqueville dà consigli a un giovane: l’antico regime, la centralizzazione, il diritto amministrativo”
destinati a tenere nelle loro mani i destini del mondo: quello americano e quello russo, l’uno
fondato sull’individuo e sulla libertà, l’altro sulla società e la servitù. Chi poteva immaginare nel
1835 che l’America, che era un piccolo Paese di 20 milioni di abitanti, e la Russia, che era un
Paese praticamente ancora immerso nel feudalesimo, sarebbero stati poi le due potenze che
hanno dominato il mondo per almeno mezzo secolo dopo la Seconda Guerra Mondiale?
Ecco, è per questo che Tocqueville è diventato famoso.
Due parole per la sua vita. Aveva la formazione di un giurista, aveva studiato diritto alla
Sorbona ma contemporaneamente frequentava molto assiduamente i corsi di Giseau, un grande
uomo politico, non grandissimo storico. Dal ‘27 al ‘32 per pochi anni è stato magistrato ma a
questi anni va sottratto quell’anno famoso, il 1831, nel quale con la scusa di studiare il sistema
penitenziario americano va con l’amico Gustave de Beaumont negli Stati Uniti e scrive
successivamente La democrazia in America. Dal ‘39 al ‘48-49 è membro del parlamento, quindi
la sua attività politica si svolge fondamentalmente in quel regime che si chiama in Francia “la
monarchia di luglio”, un regime governato dal ramo d’Orleans della famiglia dei Borboni: il re è
Luigi Filippo d’Orleans. Ed è poi membro dell’Assemblea Costituente della seconda repubblica
che si afferma dopo la rivoluzione del 1848, per breve tempo, cinque mesi soltanto…sembra
quasi un ministro italiano! Diventa ministro degli Affari Esteri nel 1849 ma quando Luigi
Napoleone fa il colpo di Stato e diventa Napoleone III - Napoleone “le petit”, come era chiamato
dagli oppositori - Tocqueville abbandona la vita politica per il sommo disprezzo per l’azione di
Napoleone nel conquistare il potere come imperatore. A soli 25 anni fa il suo viaggio in
America, a soli 30 anni scrive La democrazia in America che lo rende immediatamente famoso
in Francia, Inghilterra, Stati Uniti, diciamo in quasi tutto il mondo. A 34 anni è deputato, ma
come politico è perdente perché tutte le sue idee politiche non sono state ascoltate, i suoi discorsi
parlamentari sono fondamentalmente rivolti contro quello che lui chiamava la “passion de
place”, il mostruoso connubio tra burocrazia e parlamentarismo, contro il tentativo di ogni
francese di trovare un posto nella pubblica amministrazione, però come studioso ha lasciato delle
tracce che sono veramente indelebili.
Che cosa hanno pensato di Tocqueville i suoi contemporanei e i suoi posteri? Io ho scelto
due personaggi interamente diversi; uno è una persona nata un anno prima di Tocqueville stesso,
non è un politico ma un grandissimo critico letterario: sto parlando di Charles Augustin de
Sainte- Beuve, nato un anno prima (1804) e morto 10 anni dopo rispetto a Tocqueville. L’altro è
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“Tocqueville dà consigli a un giovane: l’antico regime, la centralizzazione, il diritto amministrativo”
un famosissimo giurista e politologo tedesco, Karl Schmidt, una persona nata nel 1886 e morta
nel 1985. Il primo è contemporaneo di Tocqueville ma è su opposte sponde: Sainte-Beuve si
allinea rapidamente su Napoleone III e ha tutti i grandi onori che l’imperatore poteva dare a uno
studioso come lui. Invece il secondo, come tutti sanno, è un grande giurista ma sostenitore di
Hitler e del nazismo, che scrive negli anni successivi alla seconda guerra mondiale.
Cosa scrive Sainte-Beuve? «La complessità che è l’essenza stessa di questo spirito distinto, è
anche il marchio della sua opera. Pur appartenendo all’antico regime per i suoi natali come per i
gusti fini e delicati egli aderisce ai principi dell’ʽ89 [i principi sono quelli della Rivoluzione
Francese, della presa della Bastiglia]. L’uomo dell’89 egli è però così gelosamente attaccato alla
libertà che sta in guardia e nutre sospetti contro l’eguaglianza. Di quest’ultima egli è un
consigliere così ombroso che in certi momenti lo si direbbe un suo avversario. Al tempo stesso
preoccupato delle classi povere e lavoratrici più di quanto fosse consueto nelle file degli uomini
di Stato e dei politici istituzionali ha dei presentimenti sul futuro della società che lo portano a
prevedere delle trasformazioni radicali che egli giudica possibili e forse legittime».
Vedete con quanta penetrazione Sainte-Beuve riesce a capire che in realtà Tocqueville è un
uomo di mezzo, che sta da una parte con i liberali e dall’altra con i democratici, da un lato è
aristocratico e dall’altro si preoccupa degli operai e degli svantaggiati, delle classi disagiate. Da
una parte sostiene la democrazia, dall’altra teme la democrazia, perché teme che la democrazia
possa essere poi in conflitto con la libertà. Paragonando Tocqueville a Royer Collard, che era il
capo dei cosiddetti Doctrinaires, disse: «come uomo, Tocqueville era più debole, meno risoluto;
la sua costituzione fisica lo rivelava assai bene; la natura - sta parlando di uno scrittore che è
anche parlamentare, a quell’epoca nei parlamenti bisognava imporsi anche per la capacità
retorica - non lo aveva predisposto ad esercitare una grande autorità effettiva e presente, a
prevalere imponendosi alle Assemblee; non risaltava come l’altro – cioè Royer Collard- : non si
faceva ascoltare. Possedeva le qualità intempestive, quelle che lo scrittore conserva e dispiega
nei suoi libri». 1945-47, Schmidt è uscito dal carcere, ha evitato il processo di Norimberga, “Ex
captivitate salus” è il libro in cui scrive questa frase, dice di Tocqueville: «Egli è un moralista
nel solco della tradizione francese, come Montesquieu, e al tempo stesso un pittore nel senso
della concezione francese di peinture. Il suo sguardo è mite e chiaro e sempre un poco triste». Lo
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“Tocqueville dà consigli a un giovane: l’antico regime, la centralizzazione, il diritto amministrativo”
vedete, “uno sguardo mite e chiaro e sempre un poco triste”. Insomma Tocqueville è considerato
dai contemporanei e dai posteri un uomo pieno di dubbi, che si interroga, incerto nell’azione, che
non si impone, ma penetrante e lucidissimo nelle analisi e nelle previsioni. Scrittore più che
politico. Le immagini che voi vedete sono le immagini di una bella villa che sta al centro di una
tenuta di cinque ettari a Sant-Cyr-sur-Loire, in un bel posto della Loira, praticamente già a
quell’epoca alle porte di Tours. Nel 1853, già da tempo Tocqueville soffre di tubercolosi e i
medici gli consigliano di abbandonare la sua residenza parigina, oppure il castello di
Tocqueville, perché Alexis Tocqueville è Alexis Clérel de Tocqueville. Lui è, diciamo, il nobile
della zona, e gli consigliano di andare in una zona dove vi sia un clima più favorevole alle sue
condizioni di salute; grazie all’amico Beaumont, con cui aveva attraversato l’Atlantico e fatto il
viaggio in America, trova ed affitta per un anno alle porte di Tours questa villa. È contento di
stare lontano da Parigi, stiamo parlando del 1853. Da due anni Napoleoni III si è impossessato
del potere, è diventato imperatore, lui è molto critico nei suoi confronti, in più il barone
Haussmann agli ordini di Napoleone III sta trasformando Parigi, la Parigi haussmaniana, quella
che conosciamo, la Parigi dei grand boulevard, la Parigi che noi frequentiamo oggi. Quindi è
felice di stare lì per motivi di salute, ma anche per motivi politici. Ma c’è un terzo motivo per cui
Tocqueville è felice nel 1853 di stare in questa bella villa, e cioè che può lavorare negli archivi di
Tours, che sono conservati nella prefettura, perché a quell’epoca gli archivi, come in Italia fino a
qualche tempo fa, d’altra parte, dipendevano dal ministero dell’Interno e quindi erano conservati
nelle prefetture, e può immergersi negli archivi per cercare di capire che cos’era l’antico regime,
e per rispondere ea quella domanda che lo tormenta da molto tempo: le condizioni della
rivoluzione c’erano in quasi tutti i paesi europei, perché la rivoluzione scoppia in Francia, la
rivoluzione francese alla fine del ‘700? Questa è la domanda che tormenta Tocqueville e quindi
qui comincia a scrivere la sua seconda opera famosa, appunto
.
A quell’epoca Tocqueville è un uomo famoso in tutto il mondo, anche in Inghilterra, e riceve
molte visite di suoi amici, colleghi, estimatori, una delle quali è quella di un notissimo
economista, il ministro inglese, Nassau Senior, il quale nei suoi diari ci racconta com’era
scandita la giornata di Tocqueville in questa casa qui, di cui ho qui riprodotto l’ingresso e
l’accesso all’edificio: «5.30-9.30, lavoro serio, seguiti da una colazione, mezz’ora di passeggiata;
ancora al lavoro su testi tedeschi fino alle 2, due ore di passeggiata; la sera - che al tempo
cominciava molto più presto della nostra sera, non esisteva la luce elettrica - lettura ad alta voce
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alla moglie - aveva sposato una inglese non aristocratica, di modeste condizioni - alle 10 a letto».
E tutto questo, dice Nassau Senior, “con una routine inflessibile”. Tocqueville si era sposato ma
la moglie non gli aveva dato figli, e lui era molto legato a questo nipote, Hubert, che è il figlio
del fratello Edouard, ed era nato nel 1832. Tocqueville, lo ripeto, era nato del 1805, c’era quindi
una differenza di venticinque anni fra zio e nipote, purtroppo quest’ultimo morirà a soli trentadue
anni nel 1864. Tocqueville era critico nei confronti di questo nipote, lui riteneva che fosse troppo
serio, oggi diremmo un “secchione”, troppo poco mondano e cercava di trasmettergli le
tradizioni nello stesso tempo familiari e della nobiltà locale. Tocqueville era un aristocratico e
voleva che entrasse in magistratura - lo sentiremo adesso in una lettera - e sperava che
continuasse la tradizione dei nobili francesi, antica tradizione che si era perduta, ma che
Tocqueville vedeva viva in Inghilterra: nobili che restano sul luogo, che hanno dei rapporti con i
loro dipendenti, con i contadini, con le collettività locali, che sono una aristocrazia che non ha
perduto le radici, come quella francese.
Nel 1854 da Tour, da Saint-Cyr-sur-Loire Tocqueville scrive due lettere al nipote e come
sentiremo dà dei consigli sulla professione da scegliere. Parla del suo lavoro sulla Rivoluzione
Francese, espone le sue tesi sull'ancient Regime e queste lettere sono interessanti e le sentiremo
tra un minuto. Ma prima di sentirle vorrei che ricordaste che è una persona di 49 anni che scrive
ad una persona di 22 anni, che le due lettere sono state scritte durante il secondo impero che è un
regime che Tocqueville aborre, critica, e che in qualche modo sono lettere della maturità di
Tocqueville, quella maturità nella quale va cercando, come lui dice, "una libertà moderata e
ragionevole". Queste due lettere fanno parte della correspondance familiale che è stata
pubblicata solamente in epoca recente, quindi non si trovano nell'edizione Beaumont della
correspondance che è un'edizione ottocentesca.
Per quello che a me risulta non sono mai state tradotte in italiano e sono state tradotte qui dal
centro. Io pregherei a questo punto di sentire non le intere lettere, che sono molto lunghe, ma
alcuni brani di queste lettere dalla viva voce o dalla viva parola di Tocqueville.
LETTERA A SUO NIPOTE HUBERT 15 FEBBRAIO 1854:
Mio caro amico,
già da molto tempo volevo rispondere alla tua lettera e non ne trovavo il tempo. Lo faccio
oggi, brevemente. Prima di tutto ti dico che sono stato molto lieto della tua lettera. Tu mi
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spieghi con grande chiarezza le tue ragioni, e i sentimenti che esprimi mi fanno piacere.
Continua a dispiacermi. Conserva sempre questo modo di pensare e di sentire risoluto e
indipendente, che è adatto alla tua posizione, alla tua famiglia, al nome che porti; sarebbe per
me una grande tristezza vederti contaminato dal modo di pensare fiacco e volgare della
maggioranza dei giovani, su questi argomenti.
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he lo si voglia. Le tue
osservazioni sulla compiacenza di molti magistrati sono fin troppo vere; tuttavia in loro queste
debolezze sono volontarie; e la differenza sta lì. Esse sono dovute alla debolezza del loro
carattere, e non alle necessità della loro posizione; poiché, anche se in questi tempi nulla è
assolutamente saldo, tuttavia si può dire che se qualcosa lo rimane ancora è lo scranno del
giudice In quanto al Consiglio di Stato tu osservi che apre la strada a due carriere, e che una
delle due permett d
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si può riuscire a rimanere onesti e indipendenti, per quanto non sia facile, se si vuole far
carriera. N
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Ti invito dunque a valutare ancora bene ciò che intendi fare. Ma se sceglierai il diritto
amministrativo, almeno fai molta attenzione a questo; non vi è nessuna materia che comporti più
del diritto amministrativo il rischio di restringere e deviare la mente, se non si fa attenzione.
Tutti gli autori che hanno trattato questa materia, anche i più celebri, sono stati o sono ancora
delle menti poco elevate, che non hanno saputo giudicare autonomamente il valore e la validità
delle norme che insegnavano, né hanno saputo scorgere, al di là della materia che stavano
commentando, la scienza più generale e più grande che insegna quali sono le condizioni per far
prosperare le società. Vi sono tra loro degli abili commentatori, dei giuristi di qualità, dei
notevoli scrittori; ma n
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infatuati della loro materia, e si
sono immaginati che non vi sia nulla di più perfetto a questo mondo. Evita un simile errore.
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La centralizzazione amministrativa, di cui il diritto amministrativo ha come oggetto di
insegnare le norme, è sicuramente una macchina costruita solidamente e si può provare
ammirazione per essa, se la si vuole considerare unicamente dal punto di vista della facilità che
dà ai governi di arrivare dappertutto, di condurre e di dominare tutti gli uomini e tutte le
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la libertà, le virtù pubbliche che determinano
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cadute e che fa sì che da loro ogni movimento sia come impedito.
Potrei scrivere un libro su questo argomento; e, quando vorrai, ne potremo parlare a lungo. Ciò
che ti voglio raccomandare oggi è di studiare il diritto amministrativo preservando
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LETTERA DEL 7 MARZO 1854:
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vederne la conclusione, nemmeno in lontananza. Soltanto la sua forma e i suoi limiti nella mia
mente diventano più precisi, e tutta la prima parte, cioè la metà di un volume, spero sarà
terminata quando lascerò questo eremo, in maggio. Si tratta, come già sai, di un libro sulla
Rivoluzione francese. Non è un libro di storia, e nemmeno una serie di osservazioni filosofiche, è
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un misto tra le due cose. Io la seguo, attraverso le sue fasi successive, a partir d
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Cerco di cogliere, in ogni epoca, la caratteristica peculiare del momento, ciò che lo ha
provocato, ciò che successe dopo, e così guido il lettore attraverso tutti questi avvenimenti
eterogenei, senza fargl p d
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avvenimenti più che ai dettagli specifici. Il soggetto di per sé stesso è vastissimo. Ma il libro che
lo tratta può essere un grande libro solo per merito dello scrittore. Tutto qui. Il che sarebbe
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Credo di avere scoperto, con questi studi, molti fatti e molte considerazioni nuovi, che spiegano
non solo perché questa grande rivoluzione è avvenuta in Francia, e perché essa ha avuto le
caratteristiche che abbiamo visto; ma anche perché sono accaduti molti degli avvenimenti che
noi crediamo nuovi e da cui derivano una quantità di abitudini, di opinioni e di tendenze che noi
crediamo nuovi ma che hanno la
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parte che sarà terminata, lo ripeto, quando me ne andrò da qui. E, se così sarà, non avrò
sprecato il mio tempo. Perché ho dovuto dedicarmi ad un lavoro di preparazione enorme e fatto
quasi sempre alla cieca. [….]
Nell'ultimo punto che toccherò cercherò di fare un campo lungo come si dice in cinematografia.
Risaliamo da queste due lettere - non le voglio commentare perché sono così chiare - alle opere
principali di Tocqueville. Dal piccolo quotidiano, dalla lettera al nipote, alle due grandi ricerche
di Tocqueville: "La démocratie en Amerique, 1835", "Second démocratie, 1840" cioè la seconda
parte, "L'ancient régime, 1856". Sono queste le due grandi opere, ma ce n'è una terza che
bisognerebbe leggere, che è "Souvenirs", i ricordi, scritti nel 1850 che è una specie di galleria di
personaggi, ritratti pieni di finezza psicologica e di giudizi taglienti. Racconta la preparazione
della rivoluzione, lo scoppio della rivoluzione, il modo in cui il sistema politico reagisce.
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“Tocqueville dà consigli a un giovane: l’antico regime, la centralizzazione, il diritto amministrativo”
Queste due opere che ho citato sono state pubblicate a distanza di circa venti anni l'una dall'altra.
Hanno d'oggetto due paesi completamente diversi: l'America, quella che noi oggi potremmo
chiamare una "stateless society", e invece la Francia, una società "étatisé" dominata dallo Stato.
Sono due opere scritte con due metodi interamente diversi. La prima è un'opera con un metodo
che noi diremmo sociologico-politologico; Tocqueville l'ha scritta dopo aver fatto centinaia di
interviste, dopo aver letto documenti a stampa, non perdendo tempo negli archivi. La seconda
invece è un'opera da storica, cioè scritta da qualcuno che si immerge negli archivi e cerca
attraverso le carte degli archivi, poi erano pochissimi gli archivi conservati dell'Ancient Régime
ed è per questo che lui va vicino a Tour, perchè quelli di Parigi erano stati bruciati, e quindi è
un'opera che noi diremmo da storico. Eppure nonostante tanta distanza tra le due opere c'è
un'unità. Il tema centrale di ambedue è la libertà nelle società democratiche. Tocqueville è un
liberale che esamina con ammirazione e nello stesso tempo con sospetto, ricordate il brano di
Saint-Beuve, la democrazia, consapevole che può condurre alle libertà democratiche oppure
all'opposto, alla tirannide democratica.
Vorrei dire ancora due parole molto brevemente proprio su queste due unità, l'unità del metodo e
l'unità della tematica trattata nelle due opere. Tocqueville è convinto, lo scrive lui all'inizio della
"Démocratie", che è necessaria una scienza politica nuova per un mondo completamente
rinnovato, quindi Tocqueville rovescia completamente la posizione di Montesquieu, che parte
dai principi e ne trae delle conseguenze. E infatti lui spiega il suo metodo nei "Souvenirs" di cui
vi leggo questo brano: "Io [….] odio i sistemi assoluti che fanno dipendere tutti gli avvenimenti
della storia da grandi cause prime […]. Io credo [….] che molti fatti storici importanti non
potrebbero essere spiegati se non con circostanze accidentali, e che molti altri restano
inesplicabili, e finalmente che il caso o non piuttosto il groviglio delle cause secondarie […]
entra per la maggior parte in tutto ciò che noi vediamo sul teatro del mondo; credo però che il
caso non faccia nulla che non sia preparato già da prima. I fatti anteriori, la natura delle
istituzioni, gli atteggiamenti spirituali, il costume, sono i materiali con i quali il caso produce
l’inaspettato che ci meraviglia e ci spaventa". Vedete, in questa breve sintesi c'è il metodo che lui
segue.
L'ambizione di Tocqueville non è quindi di partire dalle grandi idee, deduttivamente, ma di
muovere da quelle che lui chiama le cause secondarie e quindi non di riscostruire narrativamente
ma di comprendere filosoficamente. Tocqueville pensa sempre comparativamente. Ha scritto una
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“Tocqueville dà consigli a un giovane: l’antico regime, la centralizzazione, il diritto amministrativo”
volta una frase che lascia stupefatti molti ascoltatori: "Chi abbia veduto e studiato solo la Francia
non intenderà mai nulla della Rivoluzione Francese". E' una cosa singolare perché qualunque
persona può pensare che per studiare la Rivoluzione Francese bisogna studiare la Francia. No;
Tocqueville dice: guardate voi non capirete mai nulla di questo. E infatti perché a 25 anni va
negli Stati Uniti affrontando un viaggio faticoso durato un mese? Va negli Stati Uniti perché
vuole capire la Francia, perché solo confrontando gli Stati Uniti con la Francia riesce a capire le
cose di casa sua.
Tocqueville studia paesi diversissimi perché è morto a 54 anni e non ha avuto modo di
completare le sue ricerche. Lavora sull'Inghilterra e sull'America, ma anche sull'India e sulla
Germania e si mette a studiare il tedesco perché vuole studiare i residui di feudalesimo che sono
in Germania. Quindi Tocqueville è importante anche per un'altra cosa: rompe l'eurocentrismo
della cultura.
La cultura europea è stata sempre eurocentrica fino a Tocqueville, finché egli capisce che
bisogna uscire fuori dall'Europa per capire l'Europa, fuori dalla Francia per andare in America e
per capire la Francia.
Ho parlato dell'unità metodologica, vediamo l'unità tematica. Che cosa colpisce dell'America
Tocqueville? L'assenza di una gerarchia aristocratica, il suffragio quasi universale, quindi la
sovranità popolare, la partecipazione di tutti al potere locale, c'è una bella frase che vi voglio
ripetere: "Il comune viene prima della contea, la contea viene prima dello stato, lo stato viene
prima dell'unione". Questa brevissima frase dà l'idea di un'immagine capovolta rispetto al
modello étatisé francese dove innanzitutto c'è lo stato e il Re che lo impersona. Quindi il potere
non centralizzato amministrato in sede locale, senza un diritto amministrativo e senza controlli
centrali. E invece il posto importantissimo riservato alle corti, il potere giudiziario - dice
Tocqueville nella "Démocratie en Amerique"- è il primo potere dello stato. E che cosa preoccupa
Tocqueville della realtà americana? Che l'eguaglianza prevalga sulla libertà dando luogo alla
tirannide della maggioranza intollerante rispetto alle minoranze.
Quello che lui chiama un potere "immenso e tutelare" del dispotismo statale è sempre in agguato,
dice Tocqueville, e può essere bilanciato solo in un modo: rafforzando la società civile, quello
che oggi si chiama comunemente il capitale sociale, non il capitale economico, il capitale
sociale, cioè la capacità di costituire associazioni, di decentrare, l’opera della legge aggiunge dei
giuristi e il ruolo della religione.
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“Tocqueville dà consigli a un giovane: l’antico regime, la centralizzazione, il diritto amministrativo”
Uno dei passaggi più importanti della "Démocratie Amerique" è proprio quello relativo al ruolo
che ha la religione, non in quanto religione ma in quanto componente della società civile che può
costituire un contropotere, un bilanciamento allo strapotere della democrazia e della maggioranza
che con la democrazia si afferma.
E quali sono invece le principali conclusione dell’analisi di Tocqueville dell’evoluzione della
società francese? Tocqueville dice che la rivoluzione in Francia è scoppiata per un motivo molto
semplice: la nobiltà è stata richiamata dai re a Parigi e ha continuato a conservare dei privilegi in
sede provinciale; quindi i contadini quando hanno cominciato a diventare piccoli proprietari
hanno avuto sopra di se un potere che loro ritenevano arbitrario e illegittimo, di qualcuno che
stava a Parigi e andava a riscuotere il danaro che i contadini col loro lavoro avevano raccolto nei
loro possedimenti o nei possedimenti del padrone una volta all’anno. Questo distacco della
nobiltà rispetto alla società civile ha prodotto un’insofferenza in una classe che andava
crescendo, cioè quella dei contadini e poi della borghesia; un’ insofferenza che ha dato luogo allo
scoppio della rivoluzione in Francia. I contadini dovevano pagare le tasse a nobili assenti e senza
poteri, forti soltanto dei fasti del passato, questo dice Tocqueville è la ragione per cui la
rivoluzione è scoppiata innanzitutto in Francia. Ecco mi pare che anche da questo rapidissimo
esame si comprenda quali siano le due forze in conflitto per Tocqueville che sono la libertà e
l’eguaglianza.
Nella tensione tra queste due forze egli riassume i caratteri dei due Paesi e dello sviluppo dei
sistemi politici. Al centro della sua analisi c’è un solo problema, quello dell’equilibrio tra libertà
e democrazia. Tocqueville osserva con grande interesse e partecipazione il bisogno crescente di
eguaglianza, ma nota anche che questo porta a una sempre maggiore centralizzazione e
uniformità, vede nel diritto amministrativo lo strumento caratteristico dell’accentramento. Teme
che ne possano discendere limitazioni alla libertà e che le minoranze possano quindi rimanere
oppresse, va alla ricerca dei modi in cui la libertà - specialmente quella delle minoranze - possa
difendersi. Ecco, qui secondo me sta l’unità del pensiero di Tocqueville e l’insegnamento ancora
vivo di Tocqueville.
S. CARUBBA: Grazie professor Cassese per questa lettura così appassionante e cosi ricca di
riferimenti a tutto il pensiero e a tutta l’opera di Tocqueville, con quegli ulteriori richiami a
manifestazioni dell’attualità del pensiero di Tocqueville che non possono che impressionarci e
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“Tocqueville dà consigli a un giovane: l’antico regime, la centralizzazione, il diritto amministrativo”
lasciarci ammirati. Grazie naturalmente anche a Matteo Bonanni per la voce che ha prestato
anche questa sera a Tocqueville.
Vorrei ricordare una curiosità: nella seconda lettera a Hubert del 1854, Tocqueville parla della
prossima guerra di Crimea, quindi quella dove andò anche Cavour. Anche lì aveva anticipato
delle questioni di cui ci saremmo occupati dopo centocinquant’anni.
Ora, come vuole la tradizione, se il professor Cassese ci consente abbiamo qualche minuto per
fare delle domande.
DOMANDA 1: Volevo solo ricordare storicamente una cosa: il partito di Vladimir Ilich Ulianov,
detto Lenin, si chiamava socialdemocratico. Questo significa che il termine democrazia nel
Novecento è veramente passato. Mentre prima, nell’Ottocento – forse io non sono uno storico,
però sono un conoscitore della letteratura e della cultura russa – da una concezione ambivalente
tra libertà e uguaglianza, è passato con Lenin e quello che ne è seguito, ad una concezione
fondamentalmente egualitaria, ma in realtà centralistica e burocratica.
Siccome negli anni Settanta facevo l’interprete, mi domandavo come facesse a stare in piedi uno
stato come l’Unione Sovietica che sembrava vincente perché io ero entrata nelle sue fabbriche
con degli industriali italiani e mi sembrava contraddittorio. Io ero una donna di casa che studiava
letteratura e invece avevo visto giusto perché la maggior parte dei sovietici semplicemente uguali
non lavoravano, quindi il centralismo, come ha detto lei, che ha garantito e giustificato
nell’Unione Sovietica l’uguaglianza, senza libertà, ma l’uguaglianza, ha portato un popolo a
diventare ad essere incapace di lavorare. Incapace perché non lo faceva, perché non aveva nessun
interesse a farlo. Non parlo dell’industria bellica della quale non so nulla, ma di quelle industrie
che potevano essere viste dagli occidentali, questo si. Quindi volevo il termine “democrazia”.
DOMANDA 2: Grazie professore di questa presentazione. Nella prima lettera al nipote, lei ci ha
regalato questa citazione di Tocqueville con una non impietosa ma lucida descrizione delle
potenzialità del diritto amministrativo. Sembra quasi che Tocqueville in quel testo mostri che vi
sia una fisiologica miopia del diritto amministrativo. La mia domanda, un po’ brutale, è:
nell’attuale contesto italiano, lavorando nella pubblica amministrazione, a suo parere, siamo
ancora nel fisiologico o siamo entrati quasi auspicabilmente in un patologico? Auspicabilmente
nel senso che ad un certo punto si possa cambiare, toccando il fondo. Quindi se quello che
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“Tocqueville dà consigli a un giovane: l’antico regime, la centralizzazione, il diritto amministrativo”
stiamo sperimentando oggi attiene ancora alla fisiologia del diritto amministrativo o siamo di
fronte, in quello che io intravedo nell’azione quotidiana della pubblica amministrazione, a una
dimensione invece patologica.
S. CASSESE: Come la libertà anche la democrazia ha avuto molte declinazioni. E proprio a
causa di questa polisemia del termine e questa varietà di interpretazione e declinazioni della
democrazia che Tocqueville si preoccupa della democrazia. Tocqueville sa che l’estensione di un
regime democratico può portare fino a degli estremi che comportano anche quello che lui chiama
un “dispotismo democratico”, quindi non c’è dubbio che nel potenziale dell’istituto democrazia
ci sia questa sua possibilità di applicazione della democrazia in un regime che si immerge in
istituzioni che sono fondamentalmente zariste.
Uno studioso americano, faccio solo questo esempio, quarant’ anni fa, ha fatto un’indagine sulla
struttura della giustizia nell’Unione Sovietica quando esisteva l’Unione Sovietica, e si è chiesto
quanto il pensiero marxista e socialista avesse influenzato il funzionamento della giustizia
nell’Unione Sovietica. La conclusione di quello studioso è che l’aveva influenzato molto
superficialmente, ma le vere radici della giustizia stavano nella tradizione zarista.
Quindi questo dimostra, come d’altra parte aveva capito Tocqueville, che spesso delle istituzioni
si vanno a sovrapporre in istituzioni sociali, tradizioni, culture, mentalità, che trasformano quelle
stesse istituzioni. Al di là delle dichiarazioni – “paese comunista” ispirato al socialismo – questo
paese conservava in realtà le tradizioni di tipo zarista, che ovviamente erano ancora più arretrate.
Riguardo a Tocqueville e al diritto amministrativo, Tocqueville ha un atteggiamento ambivalente
nei confronti del diritto amministrativo: in un altro passaggio di un suo famoso scrito - scusate
faccio un passo indietro – si vede che Tocqueville a un certo punto, nel 1851, diventa Presidente
dell’Accademia delle Scienze, della sezione Scienze Morali, e in questa funzione deve presentare
dei libri ai suoi colleghi. Fa la presentazione di un famoso libro di diritto amministrativo, e dice
che il diritto amministrativo, che pure può essere uno strumento di dittatura, però può essere
anche «lo stato nuovo del mondo». Quindi lui ritiene che il diritto amministrativo, come la
centralizzazione, abbiano una doppia valenza, come una moneta con due facce, possono essere
usate in due modi; infatti lui non raccomanda al nipote di non studiare diritto amministrativo, ma
di entrare al Consiglio di Stato e di studiare il diritto amministrativo, ma gli dice di non studiarlo
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“Tocqueville dà consigli a un giovane: l’antico regime, la centralizzazione, il diritto amministrativo”
in modo acritico, di avere la capacità di criticarlo, non farsi prendere dalla infatuazione per il
diritto amministrativo, come i commentatori.
Questo in generale per il diritto, poi la sua domanda si riferiva all’amministrazione del diritto
amministrativo retta oggi in Italia. Per dirla molto brevemente, le carenze fondamentali in Italia
non stanno nell’assetto dell’amministrazione, ma nel fatto che l’amministrazione è adespota.
L’amministrazione è un corpo, e un corpo deve avere una testa, e la testa non c’è, perché
nell’amministrazione italiana – questo riguarda gli ultimi 25 anni – è stato sostituito il
funzionario di carriera dal sistema che viene malamente definito “delle spoglie”, spoil system.
In questo modo si è creata una forma di precariato che riguarda non solo le persone che sono
gradite ai ministri e sono nominate tra persone prese dall’esterno, ma anche le persone di carriera
al loro interno che scadono con lo scadere del ministro. Faccio un esempio. Già alcuni anni fa,
uno dei più importanti capi di un ufficio ministeriale a Roma mi disse: «Professore, io negli
ultimi cinque anni sono stato nominato sette volte», perché erano passati sette governi, – lei sa
che i governi in Italia durano meno di un anno – ad ogni governo lui scadeva e veniva
rinominato. Questa è un eccezione, perché almeno lui veniva riconfermato, era di carriera, ma si
metta nei panni della persona che sa che le sue condizioni sono quelle di assoluta precarietà e
ogni volta deve conquistare la fiducia di qualcuno che arriva. Il problema fondamentale del
nostro diritto amministrativo è che dobbiamo ricostruire il corpo dell’amministrazione, ma per
ricostruirlo dobbiamo abbandonare questo sistema per cui il direttore della ASL è di nomina
politica, il direttore generale, il capo del dipartimento, il segretario regionale del ministro scade
quando scade il ministro, e se non viene rinominato lui viene rinominata un’altra persona: quindi
la presenza di questi “ministri transeunti” che nominano una “amministrazione transeunte”. Lei
pensa sia possibile continuare ad avere un’amministrazione di persone transeunti? Non è
possibile, perché il principio fondamentale di un’amministrazione è la continuità del servizio, è
la regola essenziale di ogni amministrazione.
C. FORNASIERI: Mi ha interessato molto il passaggio del ribaltamento di metodo da grandi
principi da cui si deducono conseguenze e la possibilità invece di un metodo opposto.
Due domande molto simili: se la democrazia è sostanzialmente una vita che continua a rinnovarsi
e a studiarsi e ad adeguarsi alla realtà vivente, quali sono secondo lei i punti, o quali ha visto
essere i punti dove la possibilità, cioè il potere incarnatosi col consenso e con le sue strutture
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“Tocqueville dà consigli a un giovane: l’antico regime, la centralizzazione, il diritto amministrativo”
istituzionali, coglie un segno di rinnovamento, cioè, come può essere contestato, contestualizzato
dalla società? La seconda domanda è: nei funzionari, in quest’ultimo finale di sua risposta, nelle
persone anche di carriera, cioè in coloro che servono una storia, un’esperienza, un diritto, delle
funzioni, qual è il loro punto dove questo rinnovamento può diventare suggerimento e non
ricerca di consenso? Perché anche loro sono un settore della società. In un’idea di democrazia c’è
una compenetrazione tra chi svolge il potere e chi lo suggerisce, lo contesta, lo contestualizza;
nello stesso tempo gli aspetti della burocrazia, che è un elemento decisivo e funzionale, sono
anche loro elementi della società. Dove può avvenire questa funzione che non è poi quella del
consenso del consulente che viene rinnovato e quindi cerca appunto di ottenere il suo lavoro?
S. CASSESE: Per rispondere a questa domanda faccio un piccolo passo indietro. Noi definiamo
correntemente la democrazia come democrazia dei sistemi che secondo la classificazione
tradizionale aristotelica sono dei sistemi oligarchici controllati da periodiche ripetute elezioni.
Quindi non è che democrazia voglia dire che il potere è del popolo, vuol dire che il popolo dà
una delega a qualcuno che è periodicamente sottoposto ad una verifica. Detto questo e quindi
chiariti quali sono i limiti strutturali di quello che chiamiamo democrazia, i problemi
fondamentali della democrazia sono, primo, che la democrazia ha bisogno di conoscenza. Un
politico eletto può interpretare la volontà popolare, ma ha bisogno di conoscere fatti precedenti e
ha bisogno quindi di quelli che, il grande nostro filosofo Benedetto Croce - che aveva fatto
un’esperienza come ministro di Giolitti agli inizi del Novecento - chiamava i competenti. Noi
adesso li chiamiamo i tecnici. Ecco questo è il primo aspetto.
Il secondo aspetto è che la democrazia, specialmente la democrazia americana, non è una
democrazia costruita nella forma di una piramide – popolo, parlamento e governo – è una
democrazia costruita in parte come una piramide, in parte come un sistema di bilanciamento. Se
tu dici questo qualcun’altro può dire quest’altro. Tu congresso puoi approvare una legge ma c’è
la corte suprema che te la può annullare - non a caso i padri costituenti americani nominarono i
giudici della corte suprema con una espressione particolare “a vita”, come i re, come il Papa. I
membri della corte suprema sono nominati senza un termine di scadenza, ci possono restare
finché vogliono, perché volevano che fosse un contropotere ma non è l’unico contropotere e
quindi, la democrazia è imperfetta, secondo, la democrazia non si nutre soltanto di un
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“Tocqueville dà consigli a un giovane: l’antico regime, la centralizzazione, il diritto amministrativo”
meccanismo ascendente ma anche di un meccanismo bilanciante. Galbraith parlava di
countervailing powers, di poteri contrapposti.
In terzo luogo, sta cambiando al nostra concezione della democrazia. Noi vogliamo che molte
decisioni, vogliamo essere informati di molte decisioni. Si pensi soltanto alle decisioni di tipo
ambientale, e queste non erano decisioni dei tempi di Tocqueville, si figuri chi si preoccupava
dell’ambiente ai tempi di Tocqueville! Oggi noi sappiamo che l’ambiente tocca la nostra salute,
tocca il nostro modo di vivere e vogliamo in qualche modo essere partecipi del processo di
decisione che riguarda l’ambiente. E quindi il diritto comunitario, le convenzioni internazionali,
stabiliscono un principio che è fissato nella famosa dichiarazione di Rio che più o meno suona
così: i problemi dell’ambiente sono meglio trattati dai poteri pubblici se questi lasciano ai
cittadini la possibilità di partecipazione. E questo dà luogo a quel fenomeno che si chiama in
Francia enquête publique, public inquiry in inglese. Ha delle procedure che noi non abbiamo o
abbiamo in maniera molto imperfetta in Italia. Terzo punto quindi il bisogno di democrazia e
l’interpretazione che noi diamo della democrazia che in fondo è lo strumento per cui la voce del
popolo viene ascoltata, muta in relazione alle esigenze del popolo stesso e quindi i cittadini
avanzano delle altre proposte e in questo senso si affaccia il grande capitolo che oggi è
all’attenzione di tutti nel mondo, dell’arricchimento della democrazia rappresentativa con la
democrazia deliberativa. L’espressione deliberativa è la brutta traduzione della parola
deliberative inglese, che in realtà deve essere tradotto “dibattimentale” che è una cosa diversa.
Quindi la democrazia basata sul criterio che prima di prendere una decisione si informa, si
dibatte con gli interessati, in modo tale che tutti possano essere coinvolti in un processo di
decisione, nel quale, poi, da ultimo c’è un decisore ultimo che è il potere rappresentativo; ma
così si intrecciano la democrazia rappresentativa (Parlamento, Consiglio regionale, Consiglio
Comunale) con la democrazia deliberativa (il processo di decisione basato sul dibattimento, sulla
trasparenza, l’informazione e il diritto di essere uditi, diritto che viene solitamente illustrato dai
miei colleghi professori americani ai loro studenti più o meno in questo modo: quando il buon
Dio decise di cacciare Adamo ed Eva gli chiamò chiedendogli se avevano da dire qualcosa, cioè
li ascoltò, è lo stesso principio: ascolta prima di decidere, audere alteram partem, il principio
dell’obbligatorietà dell’earing; questo è un punto essenziale della democrazia). Quindi, per
riassumere, la democrazia è un sistema altamente imperfetto che può essere perfezionato da un
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sistema di poteri controbilanciantesi e può essere ulteriormente perfezionato con un meccanismo
che consenta apertura, trasparenza, dibattito, discussione pubblica.
S. CARUBBA: Anche se, professor. Cassese, le nuove tecnologie stanno consolidando
l’illusione che si possa arrivare a forme di democrazia diretta in cui non c’è più da deliberare e
da discutere, ma proprio da decidere. Molto spesso si cortocircuitano questi meccanismi della
discussione e della deliberazione, perché queste forme di democrazia diretta, di cui si vedono
alcune tracce nella rete, nei social-network, ecc., molto spesso non accettano il dibattito, ma anzi
molto spesso cercano di rafforzare il consenso attorno a delle decisioni già prese.
S. CASSESE: non credo che dobbiamo rifiutare in principio il fatto che vi sia manifestazione di
una conclusione per il si o per il no; credo che dobbiamo chiedere che il si e il no siano preceduti
da una ragione. Questo è il vero problema. Non è che la consultazione della rete che si può
concludere con sono d’accordo/non sono d’accordo sia un male in sé; quello che è un male è che
non sia preceduto da un motivo, “non sono d’accordo per questo motivo, sono d’accordo per
quest’altro motivo”, è questo un punto capitale, e quindi non bisogna essere contrari, ma essere
favorevoli a questi strumenti e arricchirli.
S: CARUBBA: Grazie. Un’ultima domanda in fondo.
DOMANDA: Relativamente a quanto lei a detto sullo spoil system, come si può assicurare
collegamento e coordinamento tra l’amministrazione e il governo senza lo spoil system?
S. CASSESE: Potrei rispondere dicendo che lo si può assicurare come lo si fa in tutti gli altri
paesi del mondo dove non esiste lo spoil system. Lei sta infatti riflettendo l’opinione per cui io
sono il ministro, vado a fare il ministro, se non cambio tutta la struttura la struttura sarà contro di
me. Ma questa è una premessa sbagliata. Il funzionario pubblico è tenuto ad adempiere ai suoi
doveri e a rispettare le leggi dettate dal Parlamento e le direttive firmate dal ministro, e non è che
può opporsi a questo. Quindi, da questo punto di vista non è uno strumento indispensabile per la
realizzazione dei programmi governativi di qualunque organo rappresentativo fare piazza pulita e
nominare dei propri fedeli, perché devono esserci delle persone non fedeli ma leali. Lei sa che in
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Inghilterra sarebbe addirittura inconcepibile che un ministro avesse un proprio gabinetto? Un
ministro può avere dei consiglieri politici, ma non può avere dei funzionari amministrativi e un
proprio gabinetto, perché gli altri burocrati dicono “siamo noi i tuoi collaboratori e noi
eseguiamo lealmente gli indirizzi del governo conservatore e di quello laburista, perché il nostro
compito è di attuare le leggi e di applicare le direttive del ministro”, tanto che agli alti burocrati
inglesi si richiede di non presentarsi alle lezioni politiche perché renderebbero pubbliche le loro
personali inclinazioni politiche, cosa che non si vuole; mentre si vuole che loro siano – come
dicono gli inglesi – a faceless figure, una figura senza volto, perché deve rispettare fedelmente
gli indirizzi legislativi e politici sia dei governi conservatori che di quelli laburisti.
Sarebbe perfettamente possibile avere un sistema permanente, stabile e continuo e poi un sistema
politico che da gli indirizzi. Tanto è vero che in Italia, da più di vent’anni, abbiamo stabilito un
criterio per cui la politica indirizza e controlla e l’amministrazione gestisce. Ora, nella
successione logica c’è l’indirizzo, la gestione e il controllo; vede? La politica deve fare la prima
e la terza cosa, e in mezzo, come in un sandwich, c’è la gestione, quindi il ministro deve dare i
suoi indirizzi che qualcuno deve imparzialmente gestire (perché chiediamo ai funzionari pubblici
di essere imparziali, perché c’è scritto nell’art. 97 della Costituzione che l’amministrazione deve
essere imparziale? Proprio per questo, perché non deve essere parte di un partito politico).
Poi la politica deve fare una seconda cosa, cioè quella di controllare, ovvero verificare se gli
indirizzi che sono stati dati sono stati effettivamente posti in essere ed eseguire. Quindi è
perfettamente possibile, come dimostrano quasi tutti i paesi del mondo, che vi sia una struttura
permanente stabile che non varia, non passa con il passaggio dei ministri; se noi ad ogni
passaggio dei ministri vediamo queste transumanze di decine di centinaia di persone che escono
e poi l’altra transumanza di qualcuno che entra – cui si aggiungono le transumanze dei gabinetti,
perché io sto parlando dei capi delle strutture amministrative, non sto parlando di quelli che noi
chiamiamo gabinetti e cioè gli staff del potere politico – lei capisce bene che ogni passaggio è
veramente qualcosa di irreale. Io oggi ho ricevuto una email di un mio ex allievo, che ha fatto
una grande carriera, che mi confessava che non riusciva a capire dove stessero le carte.
Un’amministrazione che non sa dove stanno le carte vuol dire che ha perso i contatti con la realtà
perché per amministrare bisogna avere il dossier, bisogna sapere dove sono i precedenti, non si
può cominciare tutto da capo, altrimenti non finisce mai. Questa è purtroppo la conseguenza del
fatto che vi sono persone che entrano ed escono come in una piccola commedia.
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“Tocqueville dà consigli a un giovane: l’antico regime, la centralizzazione, il diritto amministrativo”
S. CARUBBA: Questo potrebbe rafforzare l’ipotesi che siamo vicino al “punto zero” della
situazione! Grazie a tutti voi. Ringraziamo molto il professor Cassese e ringraziamo Tocqueville
che come vedete è una guida all’azione politica nei nostri anni. Buona serata a tutti.
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