PREVENZIONE La Promozione della Salute di Genere nelle

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PREVENZIONE La Promozione della Salute di Genere nelle
PREVENZIONE
La Promozione della Salute di Genere nelle patologie cardiovascolari
R. M. Paola Antifora * - Domenica D. Ancona *
Un’analisi epidemiologica ha voluto indagare nel territorio della Asl BT sulle condizioni di salute e
la distribuzione del benessere della popolazione femminile, per promuovere la diffusione della
prevenzione delle malattie cardiovascolari, con la definizione e l’individuazione dei più importanti
fattori di rischio.
Introduzione: Negli ultimi 30 anni si è assistito a un’importante diminuzione della
mortalità per malattie cardiovascolari nell’uomo, ma non altrettanto nella donna. L’infarto
è ancor oggi considerato una patologia squisitamente maschile, invece, è la prima causa di
morte nella donna sopra ai 65 anni. Sono questi dati allarmanti che impongono una presa
di coscienza riguardo la tutela della salute della donna, in passato simbolo dell’assistenza
del malato, “caregiver per eccellenza”, in qualità di figlia, sorella, madre, moglie. I dati dell’
OMS rivelano che nel mondo, negli ultimi anni, si sono verificati circa 17 milioni di decessi
all’ anno per cause cardiovascolari; di questi più della metà hanno interessato la
popolazione femminile (41% della mortalità nella popolazione femminile contro il 33%
nella popolazione maschile). In Italia sono responsabili di circa 250.000 decessi nell’arco
dei dodici mesi e si tratta di donne nel 54% dei casi. Contiamo, a causa delle malattie
cardio-cerebro-vascolari, 130 mila decessi di donne l’anno, di cui 33.000 per infarto del
miocardio, più del triplo del tumore della mammella. È importante sapere che clinica,
fisiopatologia, diagnostica, terapia e outcomes della cardiopatia ischemica sono differenti
nella donna rispetto all’uomo: nella donna la malattia coronarica ha esordio in età più
elevata, circa 10 anni dopo rispetto all’uomo; il dolore toracico è spesso atipico; il
microcircolo coronarico è più spesso colpito, le placche ateromasiche sono più giovani e si
erodono, mentre nell’uomo si rompono; nella donna si hanno più frequentemente la
dissezione coronarica e la rottura del cuore, oltre alla sindrome di Tako-Tsubo (o
miocardiopatia da stress); la mortalità intraospedaliera dopo infarto del miocardio è più
elevata; la donna è sottoposta a meno procedure diagnostiche e terapeutiche quali
coronarografia e stent ed è meno trattata con beta bloccanti e statine; le donne sono
meno curate per diabete, dislipidemie, ipertensione, obesità, di conseguenza gli obiettivi
terapeutici sono molto meno raggiunti. I classici fattori di rischio per malattie
cardiovascolari (diabete, fumo, ipertensione arteriosa, sindrome metabolica) sono stati
studiati quasi esclusivamente nell’uomo, mentre il loro impatto è differente nei due sessi.
Le donne in età fertile, in gran parte per la presenza di estrogeni in circolo, risultano
maggiormente protette dallo sviluppo di ipertensione arteriosa, aterosclerosi e fenomeni
trombotici. Ecco spiegare l’insorgenza di tali patologie nella popolazione femminile,
rispetto a quella maschile, in più tarda età. Tuttavia nel periodo postmenopausale
l’azione protettiva degli ormoni viene meno, incrementando il rischio , fino a 4 volte, di
eventi cardiovascolari. Con la menopausa si assiste ad una redistribuzione del grasso
addominale e ad alterazioni lipidiche che configurano un fenotipo maggiormente a rischio
di malattie cardiovascolari, con aumento delle particelle di colesterolo LDL piccole e
dense, aumento dei trigliceridi e riduzione del colesterolo HDL. Inoltre, l’aumento del
grasso viscerale e l’aumentata concentrazione degli acidi grassi nel sangue facilita la
resistenza all’insulina e, quindi, l’insorgenza del diabete mellito. Si verificano, quindi, una
serie di modificazioni a livello vascolare e del metabolismo glico-lipidico che favoriscono
l’instaurarsi di condizioni patologiche, quali il diabete mellito, la sindrome metabolica, la
dislipidemia o l’ipertensione arteriosa, che sono correlati ad eventi cardiovascolari acuti.
Quanto le donne sanno e sono consapevoli dei fattori di rischio e dei comportamenti
adeguati da assumere per limitare l’insorgenza di tali patologie? Ecco partire l’indagine
promossa dalla Asl BT e dalla FIDAPA BPW Italy , per indagare nel territorio sulle condizioni
di salute delle donne e come il loro stato di benessere, sia dalle stesse, percepito e
tutelato.
Materiali e Metodi: Per il tramite delle socie dell’ associazione femminile FIDAPA BPW
Italy , Sezione di Bisceglie e Trani, sono stati somministrati sul territorio questionari
articolati in semplici domande a risposta multipla riferite a fumo, peso, attività fisica,
alimentazione, alcol, esposizione al sole e screening oncologici. Il questionario ha risposto
a criteri quali la fruibilità (essere facile da leggere), l’essere mirato (occuparsi delle
informazioni veramente importanti), la maneggevolezza (riportare istruzioni chiare), il
suscitare interesse (le domande sono state formulate in modo da rappresentare lo stesso
stimolo per tutte le rispondenti). La parte conclusiva è stata riservata alle domande che
hanno rilevato dati sensibili riguardo l’aspetto socio-demografico del campione, nel
rispetto del principio fondamentale di garantire la privacy e l’anonimato. Il questionario è
stato rivolto alla popolazione femminile residente nei comuni di Bisceglie e Trani e di età
non inferiore a 16 anni. Le due città si identificano nel territorio che costituisce il Distretto
Socio Sanitario n.5 della Asl BT, campione prescelto per rappresentare la popolazione
femminile dell’intera Asl (femmine >16 anni DSS 5 pari al 42,4% della popolazione tot DSS
5 vs femmine >16 anni Asl BT pari al 42,0% della popolazione tot Asl BT fonte Istat 2011).
Nel rispetto dell’anonimato, il campione è stato stratificato per età, titolo di studio e
professione.
Risultati: Sono stati validati 707 questionari contro i 720 somministrati, individuando un
campione di 707 donne così composto: per età [16/24 anni il 19%, 25/39 anni il 19%,
40/54 anni il 43%, ≥55 anni il 19%] con un’età media di 44 anni, per titolo di studio
[diploma inferiore 29%, diploma superiore 50%, laurea 21%] e per professione [casalinga
17%, studentessa 17%, pensionata 6%, lavoro dipendente 18%, professioni afferenti
all’artigianato e commercio 12%, professioni afferenti al mondo della scuola 12%,
professioni afferenti al mondo della sanità 9%, libero professionista 4%, disoccupata 2%].
In riferimento al primo quesito posto, poco più della metà delle intervistate, ha dichiarato
di non essere fumatrice, mentre il 26% dice di fumare meno di un pacchetto al giorno, il
19% più di un pacchetto al giorno. La maggiore percentuale di forte fumatrice si è
registrata nelle fasce di età più giovani (il 21% nella fascia 16/24 anni, il 27% nella fascia
25/39 anni). Smettere di fumare è sempre la decisione migliore e solo se, la donna decide
entro i trenta anni, potrà allontanare definitivamente i rischi di mortalità per malattie
legate al tabacco. Perpetrare, invece, il vizio fino ad età avanzata, causa la morte ben 11
anni in media prima delle donne non fumatrici. Non salva il fumare poche sigarette al
giorno, ciò che fa la differenza è il tempo trascorso a fumare, più che il numero delle
sigarette fumate.
Il secondo quesito ha riguardato il peso ponderale delle intervistate: non si è forse
utilizzato l’indicatore più rigoroso, ma la domanda mirava a conoscere il giudizio, di
ciascuna intervistata, sulla propria immagine riflessa nello specchio. La percezione del
proprio peso è un aspetto importante da considerare in quanto condiziona la scelta di un
cambiamento. Il 52% dichiara di avere un peso nella norma, il 33% afferma di avere un
paio di chili di troppo, il 5% di essere in sovrappeso. L’eccesso di peso è un importante
fattore di rischio per patologie croniche ed è correlato alle aspettative di vita e alla qualità
della vita stessa.
Gli esperti stimano che una regolare attività fisica possa ridurre la mortalità per tutte le
cause del 10%. Si è chiesto alle donne il loro rapporto con il movimento: il 40% ammette di
non svolgere alcun tipo di attività fisica, il 48% solo in modo occasionale, solo il 12% di
andare in palestra tutti i giorni. E’ sufficiente correre 3 chilometri al giorno o camminare
per 30 minuti con passo sostenuto per tutelare la propria salute.
Ad alcuni alimenti è riconosciuto un ruolo protettivo nell’insorgenza di malattie
cardiovascolari, in particolare si raccomanda il consumo di almeno cinque porzioni di frutta
e verdura al giorno. Il 33% del campione ha riferito di mangiare non con costanza frutta e
verdura, il 43% non troppa ma tutti i giorni, il 24% di mangiarne cinque porzioni al giorno.
L’appartenenza ad un territorio, dove la dieta mediterranea esprime il meglio della
tradizione alimentare locale, si manifesta in maniera preponderante anche nelle risposte al
quesito successivo. Si è chiesto quali grassi si usino in cucina: le intervistate hanno risposto
olio extra vergine d’oliva per l’86%, burro per il 9% e margarina per il 5%. L’olio
extravergine grazie alla presenza dell’acido oleico e linoleico, polifenoli e vitamina E, è un
potente alleato nel rallentare l’invecchiamento delle cellule e nel prevenire
l’arteriosclerosi.
L’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN) ha abbassato la
definizione di quantità soglia per il consumo forte di alcol. Se per l’uomo è definita come
l’assunzione giornaliera di più di due unità alcoliche (1 unità alcolica è pari a 12 g di
etanolo, contenuti in 1 lattina di birra o 1 bicchiere di vino o 1 bicchierino di liquore), per le
donne scende a più di una unità alcolica. Il 62% del nostro campione dice di bere solo
acqua o bevande non alcoliche, il 31% di assumere solo un bicchiere di vino o di birra al
giorno. Il 7% delle donne intervistate afferma di superare i due bicchieri di alcol al giorno,
classificandosi come forti bevitrici, con una percentuale che raggiunge il 10% nella fascia di
età 40/54 anni. Il consumo di alcol coinvolge non soltanto la sfera sanitaria, ma anche
quella sociale: si stima che i costi indotti da un suo abuso ammontino all’1% del PIL del
paese. E’ importante individuare le categorie più a rischio, quali soggetti esposti a
solitudine, routine domestica, forti bevitori occasionali, frequenti nell’età giovanile, per
indirizzare azioni educazionali mirate.
Considerare solo gli effetti benefici derivanti dall’esposizione al sole può indurre ad
adottare comportamenti errati. Forse eredità di modelli di costume ormai del passato, un
fisico abbronzato è percepito non solo come piacevole da guardare, ma corrisponde, anche
per una donna, ai canoni di un corpo sano e ben curato. Solo il 53% delle intervistate
riferisce di esporsi al sole con una adeguata protezione e di evitare le ore più calde, il 17%
dichiara di non fare uso di creme protettive, raggiungendo il 30% nelle fasce di età 16/24
anni e 55+ anni, il 30% del campione usa protezioni ma trascorre ore al sole. Il progressivo
aumento di tumori cutanei, a partire dagli anni’ 70, sono riconducibili agli effetti dannosi
dei raggi solari. Gli UVB sono responsabili di eritemi, pigmentazioni e ustioni di 1° e 2°
grado, gli UVA del fotoaging, calo delle difese immunitarie e patologie oculari, quali
congiuntiviti e cataratta. Il 60% degli UV cade tra le 10 e le 14 di ogni giorno; è opportuno,
quindi, valutare sia la quantità dell’esposizione che la qualità della stessa. Anche l’utilizzo
indiscriminato delle lampade abbronzanti può portare ad un aumento del 74% del rischio
di sviluppare un melanoma.
L’ultimo quesito ha voluto sollecitare le intervistate sulla prevenzione oncologica e i dati
emersi hanno dato conferma dell’acquisizione di una sensibilità importante a riguardo,
probabilmente perché riferita a patologie specificatamente femminili. Alla domanda se si
fossero sottoposte ad esami di routine di prevenzione al cancro, quali pap-test,
mammografia ed ecografia, la risposta è stata mai per il 15%, il 18% ha risposto di no, ma
aggiungendo di avere già pensato di doverlo fare, il 67% ha risposto in maniera
affermativa, con valori sino all’87%, proporzionalmente al crescere dell’età anagrafica
delle intervistate.
Conclusioni Se tappa fondamentale nell’approccio strategico a problematiche sanitarie, e
non solo,
è “la conoscenza del fenomeno”, l’indagine condotta ha permesso di
individuare le criticità e programmare di conseguenza gli interventi più appropriati. In una
società contemporanea, dove la somministrazione del farmaco pare come l’unico percorso
possibile ad ogni situazione opportunamente medicalizzata, emerge sia la mancanza di
adeguata formazione da parte degli operatori sanitari sulla gestione di un paziente
“donna”, sia la mancanza di azioni incisive di informazione sanitaria per il pubblico delle
donne. La scelta metodologica di coinvolgere un’associazione femminile, ben radicata nel
territorio, si è rivelata efficace nel ridurre le distanze tra la Asl, organo periferico
preposto alla tutela della salute, e l’assistito donna, destinatario finale dell’iniziativa
posta in essere. E’ estremamente importante responsabilizzare e promuovere nella donna
la consapevolezza delle sue condizioni in termini di rischio cardiovascolare e, affinché un
programma di prevenzione sia proficuo, è necessario che la donna ne diventi protagonista.
Nonostante negli ultimi anni tale consapevolezza rispetto a queste problematiche sia
cresciuta sensibilmente, ancora oggi, meno del 15% delle donne ritiene utile eseguire una
visita cardiologica. Alla classe medica chiediamo che la donna sia trattata con aggressività,
in particolare per quanto riguarda diabete e ipertensione, e con un approccio globale che
educhi all’adozione di stili di vita corretti. Gli studi clinici potranno chiarire i meccanismi
fisiopatologici peculiari che in un soggetto femminile sono alla base degli eventi acuti sia
coronarici che cerebrovascolari, per esempio la maggior componente autoimmune,
portando all’individuazione in un futuro prossimo di molecole farmacologiche tutte “rosa”.
I decisori della sanità, non ultimi stakeolders coinvolti in tale processo, tra valutazioni
farmacoeconomiche e riallocazione di risorse esigue, dovranno farsi promotori di una
rivoluzione socioculturale, perché la diversità venga riconosciuta terapeuticamente come
tale (adulto vs bambino, uomo vs donna). Ciò potrà contribuire al salto di qualità degli
outcomes attesi e raggiunti dal nostro sistema assistenziale.
* Area Farmaceutica Territoriale Asl BAT
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