La finanza del «quant» ribelle

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La finanza del «quant» ribelle
16/5/2016
La finanza del «quant» ribelle | Cultura | www.avvenire.it
Cultura
La provocazione
La finanza del «quant»
ribelle
Marco Girardo
19 febbraio 2014
Sono i giorni concitati dello
scandalo Mps. La
magistratura scartabella i
bilanci della banca più antica
al mondo ­ vecchia ge stione ­
e spuntano come funghi
opera zioni finanziarie oscure
dai nomi seducenti o
inquietanti. Ce n’è per tutti i
gusti: 'San torini', 'Alexandria',
'Cheyne', 'Anthra cite'…
Chiediamo lumi, per provare a
galleggiare in questo ma re di
matematica sofisticatissima, a
aul Wilmott, direttore ed editore del
P
Wilmott Magazine, una rivista da cento dollari a numero
uno che di algorit mi e soldi se
ne intende. Anzi: di matematica spalmata sulla finanza, dicono,
Paul Wilmott sembra capirne co me pochi al mondo. Il Financial
Times lo considera 'un insegnante di culto', per il Sunday
Business è addirittu ra 'il Mozart dell’industria finanziaria'. In gergo
mister Wilmott è un 'quant', emulo del primo e più grande fra tutti,
Fisher Black, esperto a un tempo di modellistica fisica, strumenti
matematici e capacità computaziona li applicati alla finanza. Solo
che, a differenza dei con fratelli quantitativi, questo londinese
tranquillo, figlio di un contabile e di un’imprenditrice, è un 'quant
ribelle'. Wilmott risponde subito alla richiesta di aiuto. Ma quan to
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adduce è di primo acchito spiazzante: «Mi spiace, non è proprio la
mia materia», si scusa. Vorrebbe darci una mano, aggiunge, ma
la questione è troppo complicata: «Non capisco ­ afferma ­ non
so». Potrebbe anche suo nare come un diniego cortese. In realtà,
avendo in men te chi è Paul Willmott, emerge tra le righe un
atteggia mento in linea con la battaglia che 'il quant ribelle' con ­
duce da oltre un decennio contro la deriva matematiz zante della
finanza. Una guerriglia all’ultima formula culminata in un vero e proprio
'Manifesto' firmato nel 2009 insieme al collega Emanuel Derman,
all’epoca di rettore del Master in Ingegneria finanziaria alla Colum ­
bia University, un sessantenne sudafricano laureato in fisica delle
particelle e soprannominato perciò 'l’Einstein di Wall Street'. Il
pamphlet riecheggia sin dall’incipit il celeberrimo an tesignano.
Anche il 'Manifesto dei modellizzatori fi nanziari' si apre infatti
raccontando di uno spettro che si aggira per il mondo. Non
perseguita i lavoratori ­ in prima battuta, almeno ­ , ma i nuovi
investitori: «Lo spet tro della mancanza di denaro, del
congelamento dei conti correnti, e del fallimento dei modelli
finanziari». Pure Wilmott e Derman immaginano una 'rivoluzio ne',
in questo caso epistemologica, contro cultura e pra tiche all’origine
dell’ultima grande crisi globale: «I mo delli familiari di valutazione ­
sostengono ­ sono diven tati inaffidabili. Nonostante ciò, tutti gli
operatori del ri schio hanno ascritto le proprie perdite a uno
tsunami irripetibile». Ecco perché, suggerisce il loro Manifesto, i
veri analisti quantitativi dovrebbero sottoscrivere una sorta di
giuramento d’Ippocrate. Cinquantadue anni poco scalfiti, Wilmott
ha fatto da giovane fortuna con i numeri. Studente a Oxford si pa ­
gava la birra esibendosi per strada con le clavette da gio coliere.
Poi ha fondato diverse imprese applicando gli algoritmi alla
finanza, compreso l’hedge fund da 170 mi lioni di sterline chiuso
nel 2005 dopo il ritiro dei soci. Og gi passa buona parte del tempo
in famiglia e dirige la ri vista più costosa al mondo: ci vogliono 600
dollari per abbonarsi ai sei numeri del Wilmott Magazine. La scor ­
sa estate è uscita una raccolta degli articoli più brillanti comparsi
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negli ultimi 10 anni. Il bimestrale di satira e fi nanza ospita spesso
editoriali di matematici ed econo misti di fama mondiale. Geni dei
numeri, precisa Wil mott, «che hanno preferito guadagnare soldi
piuttosto che ricevere il Nobel». Come Edward O. Thorp, che sco prì per primo il modello
matematico con cui battere il croupier a Blackjack, ma si è visto
soffiare il brevetto. Di questo ne sa qualcosa la Columbia
University, «maestra indiscussa ­ a detta di Wilmott ­
nell’accaparrarsi le idee di altri al fine di goderne i diritti». Se non
è in viaggio (per piacere, con la famiglia, moglie e due figli, Oscar
e Za chary, entrambi col pallino dei numeri) tiene conferen ze ­ è
stato anche ospite al Festival della Letteratura di Mantova ­ , cura
il suo blog, insegna e non smette di stig matizzare quello che
spiegò in un famoso articolo del 2000, il cattivo uso e l’abuso della
matematica nella fi nanza ('The Use, Misuse and Abuse of
Mathematics in Finance'). Fu in quella pubblicazione che Wilmott
spiegò per la prima volta come persino il colosso Procter&Gamble
si fosse fatto fregare e quasi mettere in ginocchio dai de rivati.
Perché i suoi manager strapagati non erano in grado di leggere
tra le righe (e le formule) i termini di quel la che si sarebbe presto
rivelata una scommessa persa. Wilmott dimostrò come tali
previsioni astruse e poten zialmente disastrose fossero in realtà
intellegibili grazie a semplici 'back­of­an­envelope calculations', i
cosid­ detti 'calcoli sul retro della busta'. I conti della serva, in ­
somma.
Nello stesso articolo paventava un collasso dei mercati finanziari
guidato proprio dagli 'abusi' mate matici, tracollo che puntualmente
si verificò otto anni dopo, ed ebbe quale epilogo la drammatica
bancarotta di Lehmann Brothers. Nello splendido documentario
Quants: The Alchemists ofWall Street , scritto e diretto da Marije
Meerman, Wilmott si lascia andare a una fuga ce autocritica:
«Forse avremmo potuto fare di più». Co me? «Intervenendo
quando tutto è iniziato». «Quando» sono i primi anni Settanta. Fu
l’inedito mo dello di Merton­Black­Scholes a inaugurare l’era della
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matematizzazione in finanza. Una vera e propria rivo luzione. Oltre
a mettere in campo i tipici strumenti del la fisica matematica ­
come il tempo continuo, i processi stocastici e le equazioni
differenziali ­ il modello ha u nificato le metodologie di valutazione
dei prezzi e dei rischi. La valutazione degli asset , cioè, ha iniziato
ad es sere utilizzata anche per misurare i rischi connessi agli
investimenti, mentre l’analisi dei rischi ha cominciato a sfornare
una ridda di algoritmi capaci di assegnare un prezzo agli asset .
Sono proprio i modelli e le formule con cui viene assegnato un
prezzo ai prodotti derivati che Wilmott smonta uno dopo l’altro
durante il corso di 'Fi nanza quantitativa' che tiene ormai da anni
nel cuore della City. Per stanare i quant e dare una sveglia all’in ­
tero sistema. Perché «quello che una volta era un busi ness da
gentiluomini ­ scriveva Wilmott già nel suo pri mo lavoro ­ è
diventato un gioco per giocatori». E i gio catori sono tecnicamente
sempre più sofisticati. «Negli anni Settanta ­ sostiene ­ avrebbero
studiato Storia ad Oxford. Negli anni Novanta era diventata invece
quasi una moda per le banche d’affari assumere i cosiddetti 'East­
end barrow boys', i perditempo dell’East End, spesso privi di
educazione universitaria, ma con gran de istinto per gli affari e pari
sfrontatezza». Serve «gen te fiera, furba e attenta», ghignava Gordon Gekko nel
film Wall Street . Dal 2000 la ribalta è infine tutta per i quants :
«Solo quelli con un PhD in matematica sono or mai in grado di
maneggiare la complessità dei mercati finanziari». Su questo
cambio di paradigma Wilmott ha iniziato a in terrogarsi sin dai
tempi di Oxford, quando studiava ma tematica e prese un dottorato
in meccanica dei fluidi. Ed è diventata quasi un’ossessione
compagna dei tanti interessi curiosi. Al college, prima di
'quantizzarsi', a veva disegnato un modello che analizzava la
velocità e l’efficienza di un rasoio a doppia lama. In seguito ha
congegnato turbine per il produttore di jet Rolls Royce, fondato
società, fatto l’editore, tenuto corsi e conferen ze sulla finanza
quantitativa. Ma Paul Wilmott non è mai andato a lavorare per una
banca.
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