Azione - Settimanale di Migros Ticino 50 anni di rock svizzero in
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Azione - Settimanale di Migros Ticino 50 anni di rock svizzero in
50 anni di rock svizzero in italiano Nuovo disco e nuovo tour di Marco Zappa al via il 14 marzo al Sociale di Bellinzona / 06.03.2017 di Zeno Gabaglio L’attenzione verso quello che ti sta accanto – triste ma vero – è sempre minore (pigra, svogliata) rispetto all’attenzione verso quello che viene da lontano nel tempo e nello spazio. Così capita che una riflessione apparentemente elementare sul tema della cultura musicale nella Svizzera italiana ci venga indotta da un interessamento esterno, nella fattispecie un semplice messaggio proveniente dalla sede zurighese della SUISA, la cooperativa svizzera degli autori ed editori di musica: Marco Zappa è l’unico artista svizzero ad aver continuativamente incarnato il rapporto tra la canzone e la cultura italiana. Non è questione di gusti – che ben si sa, se si vuol ragionare seriamente di cultura contano assai poco – ma di dati di fatto: in tutta la nazione non c’è nessun altro musicista che abbia generato un rapporto pluridecennale con l’autorialità in italiano (ivi compresi i dialetti) scandito da puntuali appuntamenti discografici e concertistici. Nessuno. E chiunque vorrà mai interessarsi seriamente della cultura musicale nella Svizzera italiana – cioè il mondo in cui la Svizzera italiana si è rappresentata nella canzone, tra fine Novecento e inizio Duemila – non potrà che passare da qui. Anche perché il percorso tracciato da Marco Zappa non è di poco conto, e proprio in quest’inizio di 2017 se ne celebrano i cinquant’anni con un nuovo disco di inediti – PuntEBarrier – e con un tour che inizierà il prossimo 14 marzo al Teatro Sociale di Bellinzona. L’occasione non poteva quindi che apparire propizia per incontrare Marco Zappa e fare un passo indietro di circa mezzo secolo. «È iniziato tutto da mia madre, che mi vedeva come musicista in ambito classico. Abitavamo ancora a Bellinzona ed ero appena un bambino. Ho suonato due anni quasi per forza il pianoforte ma poi una zia mi fece scoprire la chitarra. In quel periodo imperversavano Celentano e i primi “cantanti urlatori” e immediatamente mi appassionai, raccogliendo i miei compagni di ginnasio in un gruppo per suonare alle feste degli studenti». Una band di ragazzi che suonano rock; oggi un’immagine socialmente piuttosto consolidata e anche accettata, ma nel Ticino degli anni Sessanta com’era la situazione? «Band praticamente non ne esistevano. C’era sì il bisogno di incontrarsi nel far musica, ma in genere ci si rivolgeva al repertorio popolare e anch’io ho passato diversi anni a cantare e suonare la Verzaschina o il Boccalino». Esistevano tutt’al più orchestrine, anche solo di 4-5 elementi, che proponevano «musica leggera» e «tornando a casa da scuola mi fermavo sempre affascinato ad ascoltarle davanti ai bar di Locarno». Quella delle orchestrine era però una musica già «vecchia» per l’epoca: cosa portò Marco Zappa verso le più moderne sonorità del rock? «La chitarra elettrica! Durante una serata in cui con il mio gruppo suonavamo all’Oratorio di Minusio, il prete che organizzava l’incontro diffuse dall’impianto il brano Apache degli Shadows. Una folgorazione, quegli iniziali suoni di chitarra elettrica riverberata» al punto da dover immediatamente cercare di replicarli sul proprio strumento. «Un amico elettrotecnico mi disse che utilizzando la parte inferiore dalla cornetta del telefono si poteva ricavare un microfono per la chitarra. Cosa che noi facemmo collegando i fili a una vecchia radio: ecco la mia prima chitarra elettrica, e ancora mi ricordo gli attraversamenti della città con la vecchia radio legata sul motorino per andare a fare le prove…». Peccati di gioventù, si potrebbe dire, anche se di lì a poco le cose si sarebbero fatte serie. In lingua inglese. «Ero cresciuto con il rock britannico, ascoltando mille volte i 45 giri per imparare gli assoli di chitarra e memorizzare i testi. E se anche la conoscenza della lingua era per tutti approssimativa, si scriveva e si cantava in inglese. I primi due LP li realizzammo appunto in inglese, e l’orgoglio fu che a produrceli c’era la EMI (la casa discografica dei Beatles!). Il passaggio all’italiano avvenne nel 1979: attorno a noi erano cambiati i gusti musicali e le attitudini culturali, ma soprattutto ero io ad aver maturato una nuova consapevolezza: la lingua che usi è come uno strumento che ti deve appartenere, le parole che scegli devi sentirle completamente tue».