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FONDATO DA P. NAZARENO TADDEI SJ
edito da
Il Papa delle «villas miserias»
ROMA
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educazione
audiovisiva
435
44
anni
dicembre 2015
SUSSIDIO MENSILE DI «LETTURA» DEI MEDIA E D’USO DEI LORO LINGUAGGI
FONDATO DA P. NAZARENO TADDEI SJ
Hanno collaborato a questo numero: Olinto
Brugnoli, VR; Andrea Fagioli, FI; Manfredi Mancuso, PA; Luciano Nicastro, LI; Sara Romanelli,
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Luigi Zaffagnini, RA – per le ricerche: Gabriella
Grasselli, CiSCS ed Edav sas.
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Al passo con i tempi
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MAEDIA
M
L’occhio strabico dei media:
diritti umani e mondo islamico
di LUIGI ZAFFAGNINI
Come impostare l’analisi.
Abbiamo talvolta accennato al tema del rapporto tra i diritti umani e i media. Ora prendiamo,
specificatamente, in considerazione un aspetto che
i media dei nostri giorni trattano in modo distorto.
Anche in prossimità del Natale, quando pure ce
ne sarebbe motivo, il confronto tra cultura e civiltà
dell’Occidente e del Mondo Islamico viene evitato. L’unico criterio, utile a
fare chiarezza sull’origine
della violenza terroristica
odierna in seno all’Islam, è
quello di indagare sulla diversa concezione dei diritti
umani.
Libri, titoli di giornale,
servizi televisivi e talk-show
strillano letteralmente che
siamo in guerra, ma non
vanno oltre a una diffusione
della paura e non forniscono se non in rari casi strumenti di giudizio.
Chi segue TV, giornali e social è toccato emotivamente dalle recenti vicende, ma impreparato
culturalmente e metodologicamente a comprendere
la realtà di un quadro mediorientale, dove da millecinquecento anni si radica una concezione del mondo diametralmente opposta a quella occidentale. Ci
sono in Italia, grosso modo, tre «scuole di pensiero»
che si disputano il consenso (anche politico) di un
vastissimo pubblico.
La prima tendenza di pensiero è quella di coloro
che trovano modo di approfittare del conflitto in atto
per spezzare una lancia a favore dell’ateismo e del
nichilismo. Sostenendo, infatti, che tutte le credenze
religiose monoteistiche sono intrinsecamente portate
al fondamentalismo, lasciano intendere che senza
religioni si favorirebbe la pace. Infatti, secondo
costoro, i popoli o meglio le masse, si combattono
per una fede, ignorando i veri interessi economicofinanziari che il potere persegue con la guerra. Il secondo orientamento di pensiero è quello di
coloro che, laici o cattolici, non importa, militano
nel campo dei teorici dell’universalismo astratto e
della utopica convivenza pacifica. Costoro hanno
inventato il termine islamista per indicare, non
chi studia l’Islam, ma un
atteggiamento radicale rispetto a islamico. Vedono
il terrorismo come un fenomeno violento che non ha
nulla da spartire con la fede
religiosa e distinguono, in
modo un po’ bizantino,
un Islam moderato da un
Islam violento di una minoranza salafita. Ovviamente
costoro offrono una buona
sponda alle dichiarazioni
pubbliche di quei musulmani che vivono in Italia e
che (in buona o in mala fede) non hanno interesse a
essere sospettati come silenziosi fautori della guerra
santa (jihad).
La terza tendenza di pensiero, seguita in gran
parte da cattolici, ma anche da qualche cosiddetto
«ateo devoto», intuisce bene che la cultura occidentale include gli aspetti della religione cristiana
e la difesa di valori e tradizioni, compresi quelli del
patrimonio della sensibilità popolare (il presepe, i
crocifissi nelle aule ecc.). Tuttavia non pochi manifestano il timore di esternare attaccamento a certi
segni. In parte, perché temono di fornire un alibi a
coloro che speculano politicamente sul loro atteggiamento e, in parte, perché il desiderio di andare
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dove ci si accontenta delle molte fedi sotto lo stesso
cielo. Ma soprattutto il Vangelo (se ben ricordiamo
Marco 6,7-13 sgg.) non autorizza una ricerca di
dialogo con chi non vuole ascoltare. E chi da sempre ha avuto come primo obiettivo la sottomissione
delle altre comunità per creare una dar-al-Islam
universale (terra pacificata dalla religione di Allah)
e ha sempre piú portato via
agli «infedeli» il loro spazio,
sul quale combattere come
in una dar-al-Harb (terra della
guerra), non dialoga certo con
intendimento di pace.
Nel momento in cui una
storia bimillenaria sta per
essere definitivamente compromessa, la terza guerra mondiale a pezzi (come l’ha chiamata Papa Francesco), in casa
nostra è qualcosa di piú che
la paura del terrorismo. Il rischio di sconfitta, propiziato
dai media, è rappresentato da
un cedimento strutturale del
rigoroso metodo ragionativo
della scienza e della filosofia
dell’Occidente. L’arroganza
di un fraintendimento tecnico (v. l’eugenetica, e la
sperimentazione sugli embrioni) e la deriva relativistica, cosí ben delineata da Benedetto XVI, dicono
fin troppo bene la difficoltà di affrontare un sistema
di pensiero tetragono come quello islamico, che
fa tutt’uno della Legge islamica1 e della vita civile.
d’accordo con tutti fa mettere il silenziatore anche
a innocenti canzoncine natalizie o fa «fare passi
indietro» nella difesa della propria identità culturale.
Tirando le somme di queste posizioni, si può affermare che la stragrande maggioranza degli italiani,
consapevolmente o inconsapevolmente, porta acqua
al mulino della secolarizzazione e si attira, non il
rispetto, ma il disprezzo da
parte dell’Islam, che, quanto
a difesa della propria fede, è
strenuo combattente fin dai
tempi del Profeta.
Quale strumento per vederci
chiaro?
Che cosa dunque può aiutare a capire una situazione
intricata, senza uniformarsi
alle correnti di pensiero dominante? Ancora una volta
distacchiamoci dalla mentalità di massa creata dai
media con una buona lettura
strutturale. Poiché non siamo
fortunatamente presenti ai
tragici eventi che accadono,
ma li apprendiamo dai media,
dobbiamo imparare a leggere tra le righe dei resoconti su immigrazione, Islam, terrorismo e conflitti
mediorientali. I grandi eventi vanno visti per quello
che proiettano o proietteranno sulla nostra realtà
quotidiana. Ed è buona norma chiedersi sempre,
nella nostra esperienza, cosa sta accadendo, come
accade e perché accade, a fronte di cosa i media ci
presentano, di come ce lo presentano e del perché
ce lo presentano in quel modo.
Purtroppo non tutti sono dotati di uno spirito di
ricerca autonoma, cosicché emergono una cultura
e un pensiero deboli, che si soffermano su aspetti
parziali e momentanei dei fenomeni, senza notare
cause e prevedere i mutamenti di vita che ci coinvolgeranno.
Una forte coscienza identitaria della nazione
andrebbe riscoperta come primo strumento capace
di opporsi allo snaturamento della propria cultura.
Invece troppi, ormai, si ritengono appagati da un superficiale ed emozionale atteggiamento. Richiamandosi ai principi astratti della pace e della fratellanza
universale, dimenticano che proprio proclamando
questi ideali sono stati costruiti i regimi che piú
hanno contribuito alla privazione della libertà dei
popoli. Lo spirito del Vangelo, al contrario, quando
parla di pace e di fraternità (Vi dò la MIA pace) non
intende certo lo sventolio di bandiere arcobaleno,
dove le ideologie vanno a braccetto con le religioni o
Un’ottica diversa.
La prospettiva, allora, con cui vogliamo guardare
la situazione non è quella dello scontro di religioni,
né quella della rinuncia a far sentire la propria voce
nei confronti di una progressiva diffusione dell’Islam in Europa. Desideriamo, invece, mettere bene
in evidenza che sono proprio i fondamenti della
corretta separazione dei ruoli tra Stato e Chiesa a
marcare profonde differenze culturali con il punto
di vista islamico. Inizieremo pertanto ad adottare un’ottica «laica»
per dimostrare che essa, se ben interpretata, può
rafforzare la prospettiva religiosa, senza far incorrere
La Legge Islamica o Sharjah in senso pragmatico è
un modo di vivere completo che dà le indicazioni giuste
(secondo il Corano e la tradizione della Sunna) per il
comportamento umano; nessun aspetto della vita umana
è fuori del suo dominio. Quindi il Corano piú la tradizione sono la base della giurisprudenza islamica che rappresenta il corrispettivo del nostro diritto positivo.
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Partiamo dall’inizio.
Sarebbero tanti gli aspetti fraintesi (compreso
quello storico) sui quali bisognerebbe soffermarsi per
non imboccare scorciatoie semplicistiche nel dare
giudizi, ma per ora ci limitiamo a fissare i primi caratteri distintivi dei due mondi (occidentale e islamico)
secondo la normativa giuridica e le dichiarazioni
di principio, circa i diritti umani. Un argomento che
piú laico non si può. Il 10 dicembre 1948 la
neonata (dopo la Società delle
Nazioni) ONU vota e proclama i trenta articoli della
Dichiarazione Universale dei
Diritti dell’Uomo come ideale
comune da raggiungersi da
tutti i popoli e da tutte le Nazioni e per il quale esercitare
un controllo sull’operato dei
singoli stati. È questo il risultato di uno sforzo teoretico e
normativo compiuto al fine
di arrivare a un insieme di
principi inviolabili ai quali è
conferito il carattere dell’universalità.
Di fronte al testo della dichiarazione l’Arabia Saudita, capofila degli Stati islamici, rifiuta di firmarlo
con la seguente motivazione: «Il nostro rifiuto significa la volontà irremovibile di proteggere, garantire
e salvaguardare la dignità dell’uomo [...] in virtú del
dogma islamico rivelato da Allah e non in virtú di
legislazioni ispirate da considerazioni materialiste
e perciò soggette a continui cambiamenti.»
Appare subito evidente che la prospettiva internazionalistica, propria dell’ONU, rappresenta un
modello di teoria cui si oppone la regionalizzazione
dei diritti umani voluta dagli stati arabo-musulmani,
certo non per motivi di laicità dello stato.
Bisogna arrivare al 19 dicembre 1981 perché si
abbia una Dichiarazione islamica universale dei
diritti dell’uomo, emanata dal Consiglio Islamico
d’Europa. Questo, invece di accettare la dichiarazione ONU del 1948, rivendica ed afferma a
livello internazionale la propria specifica identità
culturale. Si tratta di una teorizzazione che risulta
essere patrimonio esclusivo dei paesi islamici, che
permette a chi la sottoscrive di rifiutare tout court la
partecipazione agli accordi internazionali ogniqualvolta questi siano in conflitto con le norme interne
di uno stato islamico.
Il 5 agosto 1990 l’Organizzazione della Conferenza Islamica (OCI) formula la Dichiarazione del
Cairo dei diritti dell’uomo nell’islam. Questa, che
al momento apparve l’elaborazione di una teoria dei
nessuno nell’accusa spesso gratuita, ma difficile da
scalzare, di fondamentalismo cattolico crociato.
Che il terrorismo dello Stato Islamico ci abbia
messo in una condizione di legittima paura e di allarme generale è un fatto incontestabile, ma dire che
siamo alle viste di un conflitto puramente religioso
tra Crociati, e Credenti musulmani, ci sembra riduttivo, pretestuoso ed effetto di un grave strabismo nella
osservazione della realtà.
Riduttivo, perché questa
visione non tiene conto degli
aspetti geopolitico, economico-finanziario e antropologico che stanno dietro al fenomeno del terrorismo islamico.
Ma soprattutto perché l’Occidente europeo, a dispetto di
come lo vedono i suoi attuali
nemici, è tutt’altro che una
terra di crociati. Basterebbe
ricordare in proposito il rifiuto delle radici cristiane nella
costituzione europea e le
legislazioni sistematicamente
contrarie ai valori cristiani
non negoziabili.
Pretestuoso, perché l’argomento, come sopra si
è detto, viene sfruttato strumentalmente in chiave
mediatica e politica per tenere quotidianamente
viva nella opinione pubblica la contrapposizione tra
«partigiani progressisti» e «moderati conservatori». Questa, che, nella cultura e informazione italiane,
è da sempre una vera guerra fratricida, contribuisce
a indebolire la tenuta della società e fa cadere nella
trappola dell’autodistruzione tutti coloro (e sono
tanti) che, in nome del multiculturalismo, pensano
di risolvere la situazione solo con l’accoglienza e i
buoni sentimenti.
E qui spazziamo subito via uno dei luoghi comuni
piú perniciosi, che fa parte del bagaglio culturale dei
pensatori deboli. Quando si dice che le società, e soprattutto quella italiana, sono un crogiolo di razze e
di altre consuetudini, si dimentica che, a partire dalle
prime invasioni barbariche, il cemento unificante di
etnie diverse sono stati proprio due fattori forti, quali
il diritto romano e la conversione al cristianesimo,
accettati e condivisi dai nuovi venuti. Oggi, al contrario, non c’è alcuna condivisione di regole e di
valori, ma ancora e solo un vantaggioso godimento
di diritti conquistati in lunghi anni di impegno civile
dai cittadini italiani, cui non corrisponde, però, una
diffusa intenzione di integrarsi con regole, doveri e
cultura da parte di non pochi di quegli ospiti, paghi
come sono della loro comunità etnica e dei servizi
messi a disposizione.
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diritti umani in un’ottica tipicamente islamica, specifica come la Legge islamica (Sharjah) abbia vigore
nel definire i rapporti tra uomo e Dio, tra esseri umani
e, infine, nel regolare i rapporti tra uomo e donna.
Nel 1994 viene promulgata la Carta araba dei
diritti dell’uomo da parte della Lega degli Stati arabi
composta da 22 stati membri a religione islamica.
Questa carta, emendata nel 2004, apparentemente è
la piú politica e la piú «laica» dei documenti sui diritti
umani. Tuttavia non solo formula il diritto alla libertà
di religione in modo da non contemplare l’ipotesi di
una conversione ad un credo diverso dall’Islam, ma
specifica anche che la parità tra uomini e donne vale
sí «quanto a dignità umana, diritti e doveri, [ma] in un
quadro di discriminazioni positive previste in favore
delle donne dalla Sharjah islamica». Dunque si tratta
di una limitazione discriminante abilmente nascosta
dietro il termine «positive». Ugualmente il diritto a
fondare una famiglia non poligamica con pari diritti
tra i coniugi non ottiene specifica menzione. La
cura educativa dei figli spetta al padre, quella della
crescita fisica alla madre. In ogni caso di conflitto
tra quanto affermato a livello inter-arabo e quanto
stabilito dal legislatore interno di ogni stato prevale
la conformità ai principi della Sharjah.
Ci si può chiedere: come mai tante dichiarazioni,
mentre quella delle Nazioni Unite è stata sempre
tale?
La risposta è presto data. Quelle islamiche, lungi
dal rappresentare un tentativo di allineamento con
i principi elaborati in ambito universale, sempre
rivendicano ed affermano, davanti al mondo, la
propria specifica identità culturale, senza possibilità
di controllo sull’operato dei singoli stati.
Come esempi di questa filosofia islamica non
citiamo il Corano, ma solo un paio di articoli della
Dichiarazione del 1981, che rappresenta il riferimento per tutte le altre, riservandoci in futuro di
continuare il confronto storico-giuridico tra Islam e
Occidente sempre secondo l’ottica laica dei diritti
umani. Su queste poche righe invitiamo a riflettere.
Art.1 «….il carattere sacro della vita umana può
essere cancellato solo in nome della Legge islamica
(sharjha)». Art.12 «Ogni persona ha diritto di pensare e di
credere, e dunque di esprimere quanto pensa e
crede, senza che alcuno venga ad interferire oppure
a porre ostacoli, finchè tale diritto rispetti i limiti
generali che la Legge islamica ha predisposto in
materia. Nessun individuo è autorizzato a diffondere
l’errore né a propagare quanto sarebbe di incoraggiamento al vizio o di avvilimento per la Comunità
islamica (…)».
Un insegnamento, allora, dobbiamo trarre da
tutto questo. Quando ci occupiamo di eventi che
richiedono una vista chiara su ciò che siamo e su
ciò che altre culture rappresentano in fatto di valori
e conquiste civili, guardiamo dritto in faccia la realtà
(cioè documentiamoci bene noi) e non fidiamoci
dello sguardo strabico dei media.
CiSCS
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CHIAMATEMI FRANCESCO
di Daniele Luchetti
Il film narra alcuni episodi
della vita di Jorge Mario Bergoglio, gesuita argentino, nato a
Buenos Aires nel 1936, figlio di
una famiglia di immigrati italiani, divenuto Papa con il nome di
Francesco.
Il racconto avviene attraverso
un lungo flashback. Il film, infatti, inizia con l’arrivo a Roma nel
marzo del 2013 dell’arcivescovo
di Buenos Aires convocato per
il Conclave che dovrà eleggere
il successore di Benedetto XVI
dopo la rinuncia al pontificato. Il
cardinale Bergoglio viene presentato attraverso una serie di
gesti semplici come stendere
i panni sulla terrazza che si affaccia su San Pietro. Ed è qui,
al tramonto, che si domanda
(attraverso la voce fuori campo)
cosa ci stia a fare a Roma. E
perché, alla vigilia di un appuntamento cosí importante come
il Conclave, non abbia in testa
pensieri elevati ma solo una
vecchia musica sulle cui note
parte il flashback.
I ricordi di Bergoglio, ovvero
i fatti mediati dalla memoria, si
materializzano per lo spettatore a partire da quando il giovane Jorge Mario era un ragazzo
come gli altri, con tanto di fidanzata, ma ancora incerto sulla
strada da prendere. Tutto cambia quando la vocazione lo por-
regia: Daniele Luchetti – fotogr.: Claudio
Collepiccolo, Ivan Casalgrandi – sogg.:
Daniele Luchetti, Martín Salinas, Pietro
Valsecchi – scenegg.: Daniele Luchetti,
Martín Salinas, Piero Balzoni - (collaborazione), Luisa Cotta Ramosino
- (collaborazione), Paolo Marchesini
- (collaborazione) – mus.: Arturo Cardelús – mont.: Mirco Garrone, Francesco
Garrone – scenogr.: Mercedes Alfonsín,
Luana Raso – cost.: Marina Roberti –
suono: Ignacio Ángel Goyén Stryjeck
(presa diretta) – interpr. princ.: Rodrigo
De La Serna (Jorge Bergoglio 19612005), Sergio Hernández (Jorge Bergoglio 2005-2013), Muriel Santa Ana (Alicia
Oliveira), José Ángel Egido (Velez), Àlex
Brendemühl (Franz Jalics), Mercedes
Morán (Esther Ballestrino), Pompeyo
Audivert (Monsignor Angelelli), Paula
Baldini (Gabriela), Claudio De Davide
(Cardinale Tarcisio Bertone), Andrès Gil
(Padre Pedro), Alfredo Castro – colore –
durata: 98’ – produz.: Taodue Film, con
Mediaset Premium – origine: ITALIA,
2015 – distrib.: Medusa (3.12.2015).
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terà a entrare, poco piú che ventenne, nella Compagnia di Gesú
con il proposito di andare missionario in Giappone. Non sarà
accontentato, proverà il dovere
dell’obbedienza e la rigidità dei
Gesuiti, ma ben presto, nonostante la giovane età, sarà nominato Padre Provinciale. Sono
gli anni della terribile dittatura
militare di Rafael Videla, il generale salito al potere nel 1976
con un colpo di stato ai danni
di Isabelita Perón e deposto a
sua volta nel 1981. L’incarico di
responsabilità, in un momento
cosí difficile, metterà alla prova, nel modo piú drammatico, la
fede e il coraggio di padre Bergoglio, che nonostante i rischi
si impegnerà in prima persona
nella difesa dei perseguitati dal
regime, pur pagando un prezzo
umanamente altissimo vedendo
morire o «scomparire» alcuni tra
i suoi piú amati confratelli e amici. Da questa esperienza uscirà
cambiato e pronto a vivere il suo
impegno futuro nella costante
difesa degli ultimi e degli emarginati.
Un altro ritorno al presente
cinematografico e ai pensieri
dell’anziano cardinale Bergoglio
sulla terrazza romana, permette di passare dalla drammatica
esperienza dei desaparecidos e
del terrorismo di stato agli anni
Novanta e al nuovo impegno di
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padre Jorge Mario sacerdote di
strada, tra galline e maiali, fino
alla chiamata del cardinale Antonio Quarracino, arcivescovo
di Buenos Aires
e Primate d’Argentina, che gli
chiede di diventare vescovo ausiliare e di occuparsi dei «curas
villeros», ovvero
dei preti che vivono nelle «villas miserias», le
baraccopoli di Buenos
Aires. Sarà proprio per
salvare uno di questi miseri insediamenti dalle
ruspe del Comune che
il neovescovo ausiliare
riuscirà ad ottenere l’impegno diretto dell’arcivescovo titolare ed evitare
l’abbattimento. Sul
trionfo di Bergoglio,
osannato dai poveri abitanti delle
baracche, si chiude
anche questa parte del film e si apre
quella breve con il
cardinale di Buenos
Aires in partenza
per il Conclave.
L’ultima
parte,
prima di alcune immagini di repertorio e
dei titoli di coda che
hanno una loro particolarità, è dedicata
all’elezione di Bergoglio all’interno della
Cappella Sistina. Qui
l’arcivescovo argentino segue con preoccupazione lo spoglio
delle schede che riportano il suo cognome fino a
che i cardinali, certi che il quorum
sia stato raggiunto, si sciolgono
in un lungo applauso. Bergoglio
sembra incredulo, quasi assen-
te, ma poi si lascia andare sullo
schienale della sedia e inizia a
ridere rilassato. A questo punto
tono anche i titoli di coda dietro
ai quali scorrono delle immagini
del film non viste prima con Bergoglio da giovane e da anziano
in giro per le sue periferie.
CHIAMATEMI FRANCESCO
è dunque il racconto di alcune
parti del percorso che ha portato Jorge Mario Bergoglio al
Soglio pontificio. Un viaggio
umano e spirituale durato piú di
mezzo secolo, sullo sfondo di
un Paese latinoamericano che
ha vissuto momenti storici controversi. Ed é proprio concentrandosi sulla
situazione dell’Argentina che il regista Daniele
Luchetti trova gli aspetti
piú narrabili, dal punto di
vista cinematografico, di
una figura cosí complessa, importante e amata
come quella dell’attuale
Pontefice, senza cadere
nell’agiografia. Questo fa
sí che Bergoglio possa apparire
piú uomo d’azione che di spiritualità, ma per un film l’azione
è determinante. Cosí come la
drammatizzazione, persino la
crudezza di alcune scene (l’assassinio del vescovo Angelelli o
le donne gettate dall’aereo o le
torture).
partono le immagini di repertorio
con l’«Habemus Papam» e l’ormai famosissimo «Buonasera»
rivolto alla folla di fedeli in Piazza San Pietro. Dopo di che par-
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Condivisibile pertanto quello che il regista stesso ha dichiarato in un’intervista
al «Sir», l’agenzia di
stampa della Cei: «Io
ho descritto la parte
visibile di Bergoglio,
che un po’ tutti mi hanno raccontato: era un
gesuita dinamico, che
passava all’azione anche con una certa capacità di scegliere la cosa giusta. C’è una dimensione spirituale molto forte, alla quale non
mi sono accostato anche per
rispetto. Io non sono credente:
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preferisco credere nelle cose
che vedo. Ho scelto di rimanere
sul Bergoglio piú “politico” perché sicuramente era quello piú
visibile. Orson Welles diceva che
non si possono filmare le persone che fanno l’amore e le persone che pregano. E se non ci riusciva un maestro come
lui…». Ma qui Luchetti
pecca addirittura di modestia perché con pochi
accorgimenti riesce, sia
pure da non credente dichiarato, a ricreare momenti di forte spiritualità
come quando il giovane
Jorge Mario, all’inizio del
film, si reca a pregare in
chiesa per capire quale
sia la sua strada. E qui,
senza farsi distrarre dalla banale azione del prete che
cambia le lampadine, avverte
la chiamata di Dio.
Il Bergoglio «sociale» comunque prevale, ma senza
forzature. Tenendo conto che
anche la Chiesa, soprattutto negli anni della dittatura
argentina, fu tentata dall’opzione rivoluzionaria, il
Bergoglio di Luchetti
sposa la causa dei
perseguitati dal regime, dei poveri e degli
emarginati, ma sempre
nell’ortodossia
dottrinale. Non incita
mai nessuno contro
qualcun altro. Invita
tutti alla prudenza,
intesa come virtú cristiana. È aperto, questo sí. Ma solo quando
vede la sofferenza o la
buona fede delle persone, come
quando battezza il figlio della
donna magistrato che nessuno
voleva battezzare perché lei non
era sposata ed aveva addirittura
altri due figli. Intensa e veritiera
appare a questo proposito la descrizione del suo rapporto sensi-
bile e familiare con le figure femminili che hanno segnato quegli
anni, in particolare Esther, ex insegnante che finisce vittima del
regime, e la madre magistrato,
appunto, che perde il posto per
non piegarsi alle direttive dei militari.
di coda. In particolare evidenza
anche lo stile semplice e austero di Bergoglio, appassionato di
ballo e di calcio, che va in giro
senza fronzoli e che da cardinale, interpretato dall’attore cileno
Sergio Hernández, si lava e si
stende i panni come faceva da
giovane prete, ben interpretato
in questo caso dall’attore argentino Rodrigo della Serna, che
curiosamente aveva impersonato anche il giovane Che Guevara ne I DIARI DELLA MOTOCICLETTA.
In estrema sintesi, il film, raccontando la storia di Bergoglio
attraverso alcuni frammenti della vita, cerca di dimostrare come
questi, insieme a una
robusta formazione,
siano fondamentali
nel determinare gli
elementi della personalità, i quali, a loro
volta, vengono tratteggiati con lo stesso
criterio del frammento, ovvero con una
sorta di pennellate.
Fatto sta che il Bergoglio Papa non è molto
diverso dal Bergoglio
giovane gesuita, a testimonianza di quanto
appunto siano fondamentali le proprie forti
convinzioni e le proprie
forti esperienze di vita.
Concetto che può anche
essere universalizzato
in una sorta di idea centrale.
Il film dà anche concretezza
visiva a uno dei concetti cari a
Papa Francesco, quello delle
periferie esistenziali, mettendo
in scena una serie di situazioni
che bene le fanno capire, come
le ricordate immagini nei titoli
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Se il film ha un limite, può essere nei salti
temporali, forse un po’ bruschi,
ma in questo senso sarà interessante vedere la versione piú
lunga concepita per la tv e che
sarà trasmessa tra poco piú di
un anno da Canale 5 in quattro
puntate da 50 minuti. (Andrea
Fagioli)
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dicembre 2015
LA LEGGE DEL MERCATO (tit. orig.: La loi du marché)
di Sthéphane Brizé
comportamento dei clienti e dello
stesso personale addetto alle
casse. Ma ben presto si rende
conto che molto spesso chi ruba
o si comporta in modo non corretto non lo fa in mala fede ma
per sbarcare il lunario e per poter
sopravvivere. Ciononostante si
adegua ed esegue il suo lavoro
diligentemente, anche se con
una certa riluttanza. Ma quando
una dipendente, che era stata
licenziata per aver trattenuto dei
buoni sconto, si suicida, Thierry
si rende conto della disumanità
di quelle leggi del mercato e, con
grande determinazione, decide
di rompere con quel sistema,
rivendicando la propria dignità di
uomo buono e libero.
regia: Sthéphane Brizé – scenegg.: Stéphane Brizé, Olivier Gorce – fotogr.: Éric
Dumont – mont.: Anne Klotz – scenogr.:
Valérie Saradjian – cost.: Anne Dunsford,
Diane Dussaud – interpr. princ.: Vincent
Lindon (Thierry Taugourdeau), Yves
Ory (Consigliere Pôle Emploi), Karine
de Mirbeck (Moglie di Thierry), Matthieu
Schaller (Figlio di Thierry), Xavier Mathieu
(Sindacalista), Noël Mairot (Maestro di
danza), Catherine Saint-Bonnet (Bancaria), Tevi Lawson (Formatore Pôle Emploi),
Françoise Anselmi – colore – durata: 92’
– produz.: Nord-Ouest Films, Arte France
Cinéma – origine: FRANCIA, 2014 – distrib.: Academy Two (29.10.2015).
Il regista. Nato a Rennes il 18
ottobre 1966, frequenta la University Institutes of Technology e
si trasferisce a Parigi. Nel capoluogo francese inizia la carriera
artistica tra teatro e televisione,
prima di passare alla direzione di
cortometraggi e lungometraggi.
La sue opere hanno già attraversato diversi tra i piú prestigiosi
festival del cinema: LE BLEU
DES VILLES partecipò nel 1999
alla Quinzaine des Réalisateurs
a Cannes, JE NE SUIS PAS LÀ
POUR ÊTRE AIMÉ a San Sebastian, QUELQUE HEURES DE
PRINTEMPS a Locarno, oltre
a correre per quattro César,
premio vinto nel 2010 per la sceneggiatura di MADEMOISELLE
CHAMBON.
La vicenda. Thierry Taugourdeau ha cinquant’anni ed
è disoccupato. Dopo venti mesi
senza lavoro e dopo aver tentato in tutti i modi di procurarselo,
finalmente riesce ad ottenere un
posto come guardia di sicurezza in un supermercato. Il suo
compito è quello di sorvegliare,
anche con l’aiuto di telecamere, il
68° Festival
di Cannes 2015
•Migliore interpretazione
maschile a Vincent Lindon
• Menzione speciale della
Giuria Ecumenica
10
Il racconto. La struttura è
lineare e pone subito in primo
piano la figura del protagonista.
L’introduzione ce lo presenta mentre sta protestando
per il sistema che viene adottato dall’ufficio di collocamento.
Siamo in medias res e Thierry,
disoccupato, si lamenta perché,
dopo aver frequentato un corso
di formazione, non è riuscito
a trovare nessun lavoro. Ha
contattato tutte le imprese della
zona, è da quattro mesi che invia i curricoli, ma senza nessun
risultato: «Alla fine dello stage il
lavoro non è sicuro. Avvertite la
gente, siate chiari. Non mandate
la gente a fare lo stage se sapete
in anticipo che non porta a niente. La gente va trattata bene».
Thierry è preoccupato: fra nove
mesi la sua disoccupazione sarà
di 500 euro al mese. Come farà
a campare con tale somma?
435
dicembre 2015
Come riuscirà a pagare le bollette
e tutte le spese? L’impiegato si
giustifica: «Sono i datori di lavoro che assumono, non noi. Noi
cerchiamo di indirizzare». Poi gli
consiglia di frequentare un corso
per lo stoccaggio con il muletto
e di ricominciare tutto daccapo.
L’immagine si sofferma sul volto
di Therry sconsolato. Poi appare
il titolo del film con le parole in
bianco, mentre la parola “legge”
è scritta in rosso.
Prima di analizzare le varie parti del
film, che porteranno
alla decisione finale
di Thierry, vale la
pena di andare alla
ricerca di tutti quei
nuclei narrativi che
servono a connotare
la figura del protagonista, uomo buono,
disponibile, ricco
di valori.
Fin dall’inizio ci viene presentato nel contesto familiare mentre cena con la moglie e il figlio
disabile, Matthieu. L’atmosfera è
serena. La macchina inquadra i
personaggi stando loro addosso,
con un taglio dell’inquadratura
che sa molto di documentario,
senza preoccuparsi troppo dei
canoni tradizionali. I genitori
dimostrano rispetto e attenzione nei confronti del figlio che si
diverte a porre loro dei quesiti
imparati a scuola. Piú avanti vediamo Thierry collaborare nello
svolgimento dei lavori domestici:
pulisce la cucina, prepara da
mangiare, ecc. La scena delle
lezioni di ballo sottolinea la perfetta intesa e l’amore che regna
tra i due coniugi e, a casa, il
ballo diventa poi un’occasione
per coinvolgere anche Matthieu.
In altri momenti vediamo Thierry
che fa amorevolmente il bagno
al figlio, che lo aiuta a vestirsi.
Poi vediamo la famiglia riunita
mentre mangia. Nel colloquio con
la consulente finanziaria della
banca, Thierry esprime la sua
preoccupazione per il mantenimento agli studi del figlio: l’istituto si fa carico completamente
per quanto riguarda l’alloggio,
ma Matthieu ha bisogno di un
insegnante di sostegno; c’è una
spesa supplementare di 300
euro da sostenere: «Vogliamo
che continui gli studi, perché
lui si impegna». E di fronte alla
consulente che domanda: «È
la vostra priorità?», Thierry risponde: «Certo che è la nostra
priorità». Infine, nel colloquio a
scuola, i genitori sostengono il
figlio, che viene ripreso per avere
un po’ ridotto l’impegno scolastico e di conseguenza i risultati,
e lo incoraggiano a perseguire
il suo progetto di iscriversi alla
facoltà di Ingegneria biologica al
Politecnico.
Prima parte: la ricerca del
lavoro. Seguiamo ora il protagonista nel suo cammino nel mondo
del lavoro, senza dimenticare
che razza di uomo è.
In una riunione tra colleghi
di lavoro, tutti licenziati per la
chiusura della ditta nella quale
lavoravano, alcuni operai intendono fare causa ai proprietari:
«L’azienda era piú che sana.
Alla riunione del Comitato hanno
presentato i rapporti dei revisori
dei conti che sono molto chiari:
non c’erano motivi economici,
l’azienda era attiva». Un operaio, particolarmente arrabbiato,
dice che vuole fargliela pagare e
11
farli mandare tutti in galera. Ma
Thierry non ci sta: «Io non ne
posso piú. Cominciare una causa
è come rivivere tutto. Io penso
che per la mia salute mentale sia
meglio darci un taglio, passare
ad altro». Thierry dimostra di non
provare rancore e di non cercare
la vendetta.
In un colloquio via Skype
Thierry risponde alle domande
che gli vengono rivolte in vista di
un’eventuale assunzione. Le immagini sottolineano l’impersonalità di tale colloquio:
non si vede mai il volto
dell’interlocutore, ma
solo quello del protagonista che sembra parlare con una macchina. Le domande sono
prevedibili: «Sarebbe
disposto ad accettare
un incarico al di sotto
di quello che aveva nella precedente azienda? È disponibile
da subito? È flessibile riguardo
l’orario di lavoro?». Thierry dimostra la massima disponibilità;
è pronto ad accettare qualsiasi
condizione. Ciononostante alla
fine gli viene detto che il suo curricolo non è redatto nella forma
migliore, che riceverà una risposta al massimo entro due settimane, e che «ci sono pochissime
possibilità che venga preso».
Piú tardi, a casa, Thierry viene
ripreso di spalle mentre guarda
fuori dalla finestra: si può intuire
tutta l’angoscia che quell’uomo
sta provando.
Nell’incontro con la consulente della banca, oltre al discorso
relativo agli studi di Matthieu,
viene affrontato il problema della
liquidità. Naturalmente secondo
una logica bancaria che non fa
altro che creare nuovi problemi al
protagonista. Gli viene prospettata la vendita dell’appartamento
«per estinguere la parte di mutuo
che le resta ancora da pagare
e trovarsi una sommetta». Ma
435
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Thierry fa presente che mancano
solo cinque anni alla scadenza
del mutuo e che vendere ora è
come avere faticato invano. Inoltre, alla sua età, non è disponibile
ad andare in affitto: «È l’unica
cosa che ci appartiene». Altra
“proposta”: «Cosa succede se
lei se ne va? Ha preso provvedimenti, ha pensato a qualcosa,
qualche forma di previdenza,
un’assicurazione sulla vita? (…)
Io penso che sia una
soluzione da prendere
almeno in considerazione. Le permetterebbe di
affrontare il futuro con piú
serenità». Thierry non risponde di fronte a quelle
proposte che lo lasciano
quasi allibito e che certamente non rispondono
alle sue esigenze e ai
suoi problemi.
Thierry e la moglie pensano di
vendere la loro casa mobile che
si trova in un campeggio vicino
al mare. L’incontro con i potenziali acquirenti è inizialmente
buono: si erano già sentiti per
telefono e avevano concordato il
prezzo. Ma dopo aver visitato la
casa, la coppia interessata offre
mille euro in meno. Ne nasce
una lunga discussione al termine della quale Thierry ha uno
scatto d’orgoglio: «Non sono
all’elemosina. Sa che le dico?
Lasciamo perdere. Non se ne fa
niente. La cosa finisce qui, non
voglio piú vendere. Basta».
In un incontro con aspiranti
lavoratori si prendono in considerazione le regole che devono
essere osservate per fare bella
figura e per «aprire la porta al
datore di lavoro». Innanzitutto la
postura da adottare («la postura
contribuisce per il 55% all’immagine che diamo di noi»). Poi il
modo di fare («l’atteggiamento
è un aspetto da curare molto in
un colloquio. È importante mostrarsi gentili»). Poi lo sguardo,
che deve essere “aperto”; il tono
della voce e il ritmo della parola
che devono essere “convincenti”,
ecc. In altre parole, quello che
conta è l’apparenza e non la
sostanza delle cose.
Seconda parte: il lavoro.
Con un’ellissi temporale troviamo
il protagonista che fa il guardiano
in un supermercato. È vestito
bene, con tanto di giacca e cravatta, anche se ha l’aria un po’
smarrita. Il suo compito è quello
di segnalare eventuali furti da
parte dei clienti. Il primo caso che
gli capita è quello di un giovane
che ha rubato un carica batterie.
Il giovane viene portato in una
stanza e interrogato da una donna, mentre Thierry assiste. Da
notare che l’immagine inquadra
sempre il volto dell’accusato,
mentre la donna che interroga
e Thierry son ripresi di spalle o
di profilo (questo avverrà anche
negli altri casi, segno che all’autore interessa mettere in rilievo
chi compie il furto e la sua varia
umanità; mentre chi interroga è
visto come qualcosa di impersonale, quasi di meccanico nella
ripetitività delle domande e dei
comportamenti). Il giovane prima nega il furto, poi lo ammette
cercando di giustificarsi dicendo
che gli è stato ordinato da un tizio
che altrimenti l’avrebbe riempito
di botte. La cosa è poco credibile
e la donna pretende il pagamento
dell’articolo per chiudere la faccenda e non dover chiamare la
polizia. Thierry, a differenza della
donna, è molto pacato e cerca
12
di mediare. Poi assiste e ascolta
quanto viene detto: è il suo primo
caso e lui esegue con diligenza,
ma si capisce chiaramente che è
molto imbarazzato.
Thierry viene istruito sull’uso
delle telecamere. L’istruttore gli
spiega i trucchi del mestiere:
bisogna stare molto attenti, perché «il ladro non ha età, non ha
colore; tutti sono potenziali ladri».
Ci sono circa ottanta telecamere
da controllare; bisogna
abituarsi; si può fare
zapping da una telecamera all’altra oppure si
può usare quella scorrevole che permette di
controllare tutti i reparti.
Poi è necessario zoomare sulle casse «per
controllare bene che
scannerizzino tutti gli
articoli, che non lascino
passare un carrello con dentro
le cose». Ma soprattutto una
raccomandazione: «Il direttore
sta cercando di aumentare il fatturato. E poi, visto che non sono
stati in molti a scegliere il prepensionamento, cerca di far fuori il
personale. Perciò se c’è qualche
problema non ci pensare due volte. Avverti l’agente alle casse per
convalidare il fermo». Thierry ha
cosí modo di conoscere da vicino
la legge del mercato.
Thierry gira per i reparti (da
notare che l’immagine è sempre
su di lui, perfettamente a fuoco,
mentre lo sfondo del magazzino
è quasi sempre sfocato). Un
anziano signore viene sorpreso
a rubare della carne e questa
volta tocca a Thierry interrogarlo. Lo fa con molto rispetto
e resta imbarazzato di fronte a
quell’anziano che evidentemente
ha rubato per necessità. Cerca
con le buone di risolvere il caso:
gli propone di andare a casa a
prendere i soldi; gli domanda se
ha dei parenti o degli amici che
possano pagare per lui. Il vecchio
si giustifica: «È la prima volta che
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dicembre 2015
mi capita; non sono in mala fede,
se potessi pagare, pagherei». A
questo punto Thierry non può
che eseguire gli ordini e manda
a chiamare la polizia. Ma con
grande riluttanza.
Finalmente Thierry, che ora
ha un contratto di lavoro, può
ottenere un prestito di 2.000 euro
dalla banca per comprarsi un’auto usata, visto che era rimasto a
piedi.
Ora è la volta di una
dipendente, la signora Anselmi, ad essere sotto inchiesta. È accusata di aver
trattenuto dei buoni sconto.
Dapprima la donna nega,
ma poi confessa. Questa
volta è il capo del personale che interviene con durezza e di fronte alla donna
che chiede timidamente se
sia possibile trovare un aggiustamento, risponde: «Francamente
non vedo come. Cosa penseranno gli altri? Penseranno che uno
può appropriarsi dei buoni sconto
e conservare tranquillamente il
suo posto». Poi la umilia: «Io non
ho fiducia in lei. Ce l’avevo, ma
ora non piú». Thierry assiste silenzioso e perplesso. La donna
viene cosí licenziata.
Siamo sotto Natale. Viene
convocata una riunione straordinaria dei dipendenti. Il capo del
personale dice che è successo
un fatto eccezionale, per cui ha
invitato il direttore delle Risorse
umane a spiegare l’accaduto. Si
viene a sapere che la signora
Anselmi «si è tolta la vita qui, proprio sul suo posto di lavoro». Ma
quello che interessa veramente
al direttore è che «nessuno qui
dentro deve sentirsi in colpa
per il suo gesto». Con grande
ipocrisia il direttore vuole convincere i dipendenti che quel gesto,
anche se compiuto sul posto di
lavoro dopo il licenziamento,
può essere dipeso da altri fattori
legati alla vita familiare o sociale
della donna. Poi, vigliaccamen-
te, insinua: «Abbiamo appena
saputo che la signora Anselmi
aveva un figlio che si drogava. È
una cosa molto pesante. Aveva
in particolare grossi problemi
finanziari, perché era lei a mantenerlo. Dunque, come vedete,
ci sono molte cose che possono
spiegare quel gesto».
Al funerale della donna partecipa anche Thierry, che viene
inquadrato a lungo, serio e pensoso. Nella sequenza successiva
l’immagine mette in evidenza i
prodotti che vengono freneticamente scannerizzati alle casse,
con abbondanza di dettagli (simbolo di un sistema arido, meccanico, quasi disumano), mentre
Thierry cammina pensieroso tra
i reparti, con lo sfondo sfocato
e la sua immagine che diventa
sempre piú scura. Poi vediamo
che si gira, con aria seria e
smarrita.
Un’altra dipendente (questa
volta di colore) viene inquisita.
Sono presente Thierry e la donna
dell’inizio che formula l’accusa:
«Ti ho visto passare la tua carta
fedeltà alla cassa ogni volta che
i clienti ne erano sprovvisti. Cosí
sulla tua carta hai recuperato i
loro punti. Ti ho visto io, ti ha visto
Thierry attraverso la telecamera, abbiamo tutte le prove». La
dipendente è intimidita e cerca
compassione. Ma la funzionaria
ribatte seccamente: «Te la vedrai
con la Direzione». Poi se ne va.
Resta con lei solo Thierry. La
donna domanda: «Non mi farete
mica un rapporto per una carta
13
fedeltà?». Thierry è ripreso in
primissimo piano e risponde
mestamente: «Non lo so».
Poco dopo il protagonista
prende una decisione. Lo vediamo ripreso di spalle (con la
camera a mano) che si allontana
velocemente dal suo posto di
lavoro. Attraversa tutto il supermercato (sfocato, come al solito),
si toglie quella cravatta e quella
giacca che rappresentavano
la sua “uniforme” e riprende
i suoi abiti normali. Poi esce,
sale in macchina e fugge da
quella realtà, fino a scomparire uscendo di campo. Per la
prima volta in tutto il film s’ode
una musica extradiegetica.
Una dissolvenza in chiusura
precede i titoli di coda.
Significazione. Thierry,
uomo buono e sensibile, essendo disoccupato, accetta di fare il
guardiano in un supermercato. Lo
fa diligentemente, ma poco alla
volta si rende conto che molte
persone che rubano lo fanno per
necessità, a volte per disperazione. Ma il sistema è senza pietà e
non guarda in faccia nessuno. La
sua è una presa di coscienza che
va in crescendo e che sfocia in un
rifiuto della “legge del mercato” in
nome della “misura di un uomo”
che non vuole rinunciare alla sua
umanità (e quindi alla pietà e alla
misericordia).
Idea centrale. Il film, già dal
titolo, si presenta come una denuncia di una realtà disumana:
nel sistema capitalistico contemporaneo vige una legge del
mercato che, apparentemente
normale e scontata, si rivela in
realtà crudele e disumana. Per
non essere complici di tale legge,
che passa sopra le persone, è
necessario rompere con il sistema, anche a costo di perdere il
lavoro, per conservare la propria
dignità e la propria umanità.
(Olinto Brugnoli)
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TUTTO PUÒ ACCADERE A BROADWAY
(tit. orig.: She’s funny that way)
di Peter Bogdanovich
regia: Peter Bogdanovich – scenegg.: Peter
Bogdanovich, Louise Stratten – fotogr.: Yaron Orbach – mont.: Nick Moore, Pax Wasserman – scenogr.: Jane Musky – cost.:
Peggy Schnitzer – mus.: Edward Sheamur
– Arredamento: Jonathan Rose – suono:
Missy Cohen, Robert Hein – interpr. princ.:
Owen Wilson (Arnold - Derek), Imogen
Poots (Izzy – Isabella Patterson), Jennifer
Aniston (Jane Claremont), Kathryn Hahn
(Delta Simmons), Rhys Ifans (Seth Gilbert),
Will Forte (Joshua Fleet), George Morfogen
(Harold Fleet), Austin Pendleton (giudice),
Sydney Lucas (Josie) – colore – durata:
93’ – produz.: Lagniappe Films con Red
Granite International, Venture Forth, Three
Point Capital, Holly Weirsma Productions –
origine: USA, 2014 – distrib.: Rai Cinema
– 01 Distribution (29.10.2015).
Durante un’intervista televisiva, la giovane Isabella ricorda
gli avvenimenti che l’hanno portata a lasciare la professione di
escort per diventare un’attrice
acclamata. Un giorno, durante la
sua carriera da “squillo”, Isabella
viene assoldata per passare una
notte con Derek, regista teatrale
che ha il “vizio” di tradire la moglie con giovani escort alle quali,
dopo il sesso, dona un’ingente
somma in denaro per cambiare
vita.
Isabella sfrutta la chance,
concentrandosi nel perseguire il
suo sogno di attrice e partecipa
cosí al provino per uno spettacolo
teatrale nel quale, ironia della
sorte, deve impersonare il ruolo
di una giovane prostituta.
Con sua grande sorpresa, la
ragazza si presenta al provino
per scoprire che il regista dello
spettacolo, Arnold Albertson, non
è altri che lo stesso Derek, che
sta dirigendo la piece insieme
alla moglie Delta (anch’ella attrice) e a Seth, attore che è a sua
FUORI CONCORSO
volta segretamente innamorato
di Delta.
Superato il grande imbarazzo reciproco, i due decidono di
lavorare insieme allo spettacolo,
ma la loro collaborazione dà il via
a una girandola di relazioni che
produce indubbi effetti comici:
Isabella è infatti anche seguita
da un vecchio “cliente” che ha
sviluppato una vera e propria ossessione per la ragazza, tanto da
farla pedinare da un investigatore
privato, che però è anche il padre
di Joshua, giovane sceneggiatore dello spettacolo. A sua volta,
Joshua - che sviluppa presto un
interesse per Isabella - è però
impegnato in una poco fortunata
relazione sentimentale con Jane,
nevrotica psicoterapeuta, che ha
come clienti sia la giovane prostituta che il vecchio avvocato.
14
Dopo una serie d’incontri fortuiti, le cose precipitano quando
Delta scopre l’ ”hobby” del marito.
Nel frattempo, Isabella comincia
a frequentare Joshua, sempre
piú insofferente per il comportamento della fidanzata Jane, che
però viene anch’essa per caso
a sapere dell’interesse del suo
fidanzato per la ex escort, e lo
molla.
Si arriva cosí alla notte prima
delle prove generali, dove, ancora una volta per una serie di fortuite quanto incredibili coincidenze,
Arnold, Delta, Isabella, Seth e il
vecchio avvocato si incrociano in
un turbinio di equivoci ed errori.
La vicenda si avvia cosí al termine: la piece teatrale si rivela
un successo, mentre Arnold si
separa dalla moglie e Isabella
(diventata attrice cinematografica) rivela di essere adesso felicemente innamorata di un attore
di film di Kung Fu.
Fin dai titoli di testa (che ricordano nello stile e nella grafica
quelli dei film dell’epoca d’oro
di Hollywood), il regista, Peter
Bogdanovich, esprime l’intento
di comporre la piú classica delle
commedie, ricorrendo a tutti
gli elementi caratteristici di tale
genere: equivoci, situazioni inverosimili e gag a ritmi sostenuti. Di
fatto il film, messo (ottimamente)
sullo schermo da Bogdanovich,
non tratta nè propone grossi
argomenti tematici, tranne sciorinare una semplice moralina
sull’importanza di mantenere
uno sguardo positivo sul mondo,
senza lasciarsi frenare da rancori
o giudizi frettolosi, ma restando
aperti alle opportunità offerte dal-
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dicembre 2015
la vita. La protagonista Isabella
fa infatti proprio questo. Personaggio tutto sommato positivo,
nonostante qualche ambiguità
di fondo, Isabella mostra subito
il suo carattere fin dall’inizio,
quando, corretta dalla pignola
intervistatrice su un aneddoto
della storia del cinema (che ne
mette in luce tutta l’ignoranza
della sua professione), la ragazza risponde pacatamente,
facendo notare come la “realtà”
dell’evento ne faccia però perdere «tutta la magia».
Ingenua e sognatrice, Isabella
non critica, nè ha parole aspre
per nessuno, cosí la sua ex professione di prostituta viene cambiata in quella di «musa»; l’infedele e immaturo regista Arnold /
Derek viene da lei elogiato per
aver aiutato molte ex prostitute
a cambiare vita; il vecchio avvocato sporcaccione ossessionato
«non è cosí cattivo», la nevrotica
psicoterapeuta «non è cosí pazza come nei ricordi», etc...
L’atteggiamento di Isabella trova in ultimo, a maggiore
conferma, la convalida del suo
valore tramite lo spezzone di un
film di Ernst Lubitsch (Fra le tue
braccia, 1946), nel quale il personaggio dichiara in un dialogo:
«alcuni vanno al parco e danno
le noccioline agli scoiattoli, ma se
altri vogliono andare al parco e
dare gli scoiattoli alle noccioline,
che male c’è se questo li fa felici?
E chi sono io per giudicarli?».
Poco stupisce quindi che, in
una società di nevrotici e insoddisfatti come quella ritratta impietosamente e con molta ironia
da Bogdanovich, un personaggio
guidato se non da saldi valori,
per lo meno da un pacifico atteggiamento di comprensione e
bonarietà, come Isabella, riesca
a spuntarla, conquistando fama
e felicità. Che poi tale felicità e
tale fortuna siano basate su fondamenta molto friabili, come pare
suggerire a tratti il regista, è
un aspetto che non tutti gli
spettatori colgono – e ciò
dovrebbe far riflettere – ma
che non diminuisce la verve
comica del film.
L’opera, ultima fatica del
celebre regista Newyorkese, è quindi insieme una
(leggera) commedia ben
confezionata e un omaggio
alla “Screwball Comedy”
degli anni ‘30 e ‘40, che propone
qualche valore positivo, pur velato da un pessimismo di fondo
riguardo la stabilità e onestà delle
relazioni umane, specie quelle
sentimentali. (Manfredi Mancuso)
CON IL VENTO NEL PETTO
di Alberto Di Giglio
Un docufilm sulla parabola
umana, professionale e spirituale
del Prof. Contardo Ferrini (nato a
Milano nel 1859 e scomparso nel
1902 a Suna di Verbania, sul Lago
Maggiore): accademico, giurista,
scienziato. Terziario Francescano.
Patrono dei giuristi cattolici e
delle università.
Il documentario ripercorre tutti
i luoghi dall’infanzia, agli studi,
alla formazione professionale,
all’impegno politico, agli incontri
con i suoi maestri.
Un originale contributo viene
dagli attori Bruno Furini nel ruolo
regia: Alberto Di Giglio – testi: Marco Invernizzi e Alberto Di Giglio – illustrazioni:
Spartaco Ripa – fotogr. e mont.: Daniele
Massa – colonna sonora: Beppe Frattaroli
– attori: Bruno Furini (Contardo Ferrini),
Stefano Grillo (speciale testimone del passato), Sebastiano Russo ­voci narranti: Massimo Dapporto, Rosario Tronnolone, Piero
Bernacchi – durata: 93’ – produz.: Piccola
Porziuncola di Verbania e OFS di Verbania –
ITALIA, 2015 – www.conilventonelpetto.it
15
di Contardo Ferrini e da Stefano
Grillo nel ruolo di uno speciale
testimone del passato. Accanto
alle voci narranti di Massimo
Dapporto, di Rosario Tronnolone
e di Piero Bernacchi e all’incantevole colonna sonora di Beppe
Frattaroli.
Il 14 aprile del 1947 venne
beatificato da Papa Pio XII.
Dal 1942 il suo cuore è custodito in un reliquiario nella chiesa
di Santa Lucia di Suna di Verbania, mentre il corpo riposa nella
cripta dell’Università Cattolica a
Milano.
435
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THE WALK
di Robert Zemeckis
regia: Robert Zemeckis – sogg.: Philippe
Petit (libro) - scenegg:: Robert Zemeckis,
Christopher Browne - fotogr.: Dariusz
Wolski - mus.: Alan Silvestri - mont.:
Jeremiah O’Driscoll – scenogr.: Naomi
Shohan – cost.: Suttirat Larlarb (Suttirat
Anne Larlarb) – effetti: Kevin Baillie –
interpr. princ.: Joseph Gordon-Levitt
(Philippe Petit) – Ben Kingsley (Papa
Rudy), Charlotte Le Bon (Annie Allix),
Ben Schwartz (Albert), James Badge
Dale (Jean-Pierre/J.P.), Steve Valentine
(Barry Greenhouse), Clèment Sibony
(Jean-Louis), Mark Camacho (Guy
Tozolli), Sergio Di Zio (Agente Genco),
Benedict Samuel (Jean-Louis), Jason
Blicker (Agente Daley), Mizinga Mwinga
(Agente Foley), Jason Deline (Tessio),
Karl Werleman (Sergente Reese),
Daniel Harroch (Agente Clemenza) –
colore – durata: 100’ – produz.: Steve
Starkey, Robert Zemeckis, Jack Rapke
per Imagemovers, Sony Entertainment
(SPE) Tristar Productions – origine:
USA, 2015 – distrib.: Warner Bros
Entertainment Italia (22/10/2015).
È la storia di un funambolo
francese, Philippe Petit, che
desidera realizzare il sogno,
pericolosissimo e, in apparenza, impossibile, di attraversare
su una fune di ferro e metallo il
percorso che congiunge le due
torri gemelle di New York (le Twin
Tower alte piú di 400 metri), mettendo in atto un meccanismo che
conceda una minima stabilità.
Permane sulla fune un po’ meno
di un ora, percorrendola avanti e
indietro, dalla Torre Est alla Torre
Sud. Assistono a questa impresa la sua donna (Annie Allix),
gli amici, complici ed educatori
(Papà Rudy funambolo circense)
ritrovati durante la preparazione di ciò che Petit chiama «il
colpo». Mentre la polizia cerca
di arrestarlo, la città intera e il
mondo lodano questa impresa,
mai vista prima. Realizza quindi
il suo sogno nella terra dei sogni,
nell’America, che, all’epoca, è
molto declamata e di cui le due
torri gemelle rappresentano
l’emblema (potenza, altezza,
ricchezza e magnificenza).
Il Racconto viene cosí rappresentato:
1) in Parigi, Petit, inizia i
suoi primi passi con lo scopo di
diventare un funambolo. Nelle
piazze della città, si propone
come tale e realizza anche giochi di prestigio per fare soldi. È
molto felice per quello che riesce
a realizzare e, mentre si trova
dal dentista, concepisce il suo
sogno, quando sfogliando una
rivista, vede l’immagine delle
Twin Towers in costruzione. La
sua esuberanza e il suo sogno di
funambolo partono dal ricordo di
quando era bambino. In un circo
circense, aveva visto Papà Rudy
esibirsi come funambolo, in uno
spettacolo molto partecipato ed
applaudito. Inizia cosi ad organiz-
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zarsi, come equilibrista. Quando,
da adulto, incontra lo stesso circo
circense, all’insaputa di tutti, prova a camminare sul filo del circo
stesso. Qui incontra Papà Rudy
che subito lo rimprovera, poi,
decide di impartigli gli elementi e
i principi educativi di funambolo,
tanto da rappresentare per lui
una sorta di padre spirituale. Gli
insegna le piú svariate tecniche
dello spettacolo e come gestire lo
stesso in rapporto al pubblico. Gli
trasmette anche gli insegnamenti
del nonno frutto dell’esperienza
sua e degli antenati. Petit, però,
sente la necessità di andare
oltre, con esperienze nuove, pur
facendo propri gli insegnamenti a
lui impartiti. Papà Rudy piange di
gioia dopo l’impresa del «colpo»
ed è felice di aver ritrovato un
«figlio» nuovo nell’arte di funambolo.
Per realizzare una grande
impresa, l’esperienza degli anziani è indispensabile, anche
se poi è necessario utilizzare,
in positivo, le innovazioni legate al tempo in cui si vive.
2) Mentre si esibisce a Parigi, incontra in una piazza la sua
futura ragazza, che suona una
chitarra: con il suo camminare
sulla fune e coi suoi giochi di prestigio, ruba ad Annie gli spettatori
che stavano ascoltando la sua
esibizione musicale. Da lí, dopo
un primo diverbio, inizia la loro
storia d’amore e il concepimento
del grande sogno di Petit. Realizza l’attraversata dei campanili
di Notre Dame a Parigi, senza
autorizzazione, quindi nell’illegalità, ma, provando in questa
esperienza sensazioni incredibili,
decide, con la sua ragazza di
partire per l’America e affrontare
le Torri Gemelle.
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Per realizzare dei grandi
sogni, l’amore di un partner è
necessario ed indispensabile.
3) Petit comprende la difficoltà dell’impresa, quando si trova
sotto le Twin Towers, ma procede ugualmente ed escogita un
piano per realizzare il «colpo» e
superare tutte le difficoltà che si
presentano (legare le due
torri con una fune, superare
la vigilanza delle torri, superare i controlli delle forze
dell’ordine, ecc.). Salito su
una torre per studiare meglio
la situazione dall’alto, affronta la prima sensazione di
vuoto. Decide di respingere
tutti i demoni della paura, ed
inizia, a concepire e a realizzare l’impresa con l’aiuto di
amici e complici che lo possono aiutare. Decidono insieme che l’impresa avrebbe
dovuto realizzarsi il 7 Agosto
1974, preparano tutto il materiale necessario, studiano come
organizzare l’evento in modo
quasi maniacale: i preparativi del
«colpo» vengono rappresentati in
modo molto particolareggiato.
Per realizzare una importante e complicata operazione
serve molta preparazione ed
una meticolosa precisione.
4) Dopo aver tirato il filo tra
le due torri, Petit si prepara per
l’attraversata. Mentre compie
l’impresa, Annie porta l’attenzione dei passanti sull’avvenimento
in corso. Petit, nel camminare sul
filo, prova le stesse sensazioni
che già aveva provato a Notre
Dame: un senso di leggerezza,
di gioia, di gratitudine (si inginocchia e si sdraia sul filo, saluta il
pubblico e l’intera città, e, chi
assiste, applaude), si sente sereno, calmo e libero. Dopo aver
percepito, però, una minaccia per
il filo che avrebbe potuto rompersi, rientra dalla camminata in
modo vittorioso e si fa arrestare
dalle forze dell’ordine che erano
arrivate sulle torri gemelle. Tutti
i presenti si complimentano e
riceve tanti applausi.
Quando si realizzano imprese straordinarie che vengono
riconosciute come tali, facilmente queste stesse passano
alla storia.
5) Non possono mancare l’Incontro e il brindisi con gli amici/
complici che non l’hanno mai
abbandonato e che, con questa
impresa, hanno favorito l’amore
per le Torri Gemelle da parte
della città. Infine, avviene il saluto
ad Annie che torna a Parigi per
scoprire il proprio sogno e cercare di realizzarlo. Petit ritorna
spesso sulle torri per rivivere le
forti sensazioni provate durante
la sua attraversata.
Qui emerge la gratitudine
per l’aiuto ricevuto e la ricerca
del sogno di Annie, un nuovo
sogno da realizzare.
Tutto il racconto filmico inizia e si conclude con Petit che
racconta la sua storia (anche
durante il film con voce fuori
campo) sulla fiaccola della Statua della Libertà di New York, che
ha come sfondo le torri gemelle
ora non piú presenti. Il film non
cita il loro abbattimento, ma lo
lascia intendere. Negli spettatori,
infatti, il richiamo all’11 settembre
è costante. Il sogno americano
di quel periodo, oggi non esiste
piú. Se poi teniamo presente
ciò che dice Petit all’inizio del
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film sul concetto di morte (non
vuole sentirne parlare, vuole solo
parlare di vita quale condizione
indispensabile per realizzare il
sogno), scaturisce l’indicazione
che ogni impresa straordinaria,
non deve lasciarsi condizionare
da eventuali pericoli, perché
questo timore potrebbe far fallire
l’impresa e costituirebbe un
fattore di insuccesso.
L’idea centrale, quindi,
potrebbe essere: «Per realizzare un sogno straordinario,
qualunque esso sia, non ci
si può lasciar condizionare
dalla paura dell’insuccesso
o della «morte»; è necessario poter contare oltre che
sulle proprie forze, anche su
amici/complici, esserne loro
grati, coinvolgendoli nel progetto. È necessario inoltre
organizzare ogni aspetto con
perfezionismo e determinazione,
a cui va aggiunta una buona dose
di professionalità. Questo metodo e questo comportamento scaturiscono anche dall’esperienza
formata dagli anziani/antenati,
e devono essere accompagnati
dall’amore. Ogni sogno realizzato, conosce però il degrado del
tempo e può evaporare. Quindi
è sempre necessario ricercare
nuovi sogni, adeguati al tempo in
cui si vive. Le Torri Gemelle sono
il simbolo di un emblematico sogno americano che non esiste
piú e che ha bisogno di essere
rinnovato con lo stesso metodo
utilizzato dal funambolo Petit».
Il film è ben costruito e sa trasmettere forti emozioni, oltre che
un’idea forte: tenuto conto della
precedente esperienza, volgere
lo sguardo oltre, alla ricerca di
un nuovo sogno, senza la paura
delle difficoltà che si potrebbero presentare per realizzarlo;
le difficoltà vanno individuate,
affrontate e risolte. (Gian Lauro
Rossi)
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SI
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EV
L
TE
E
N
O
LE NOZZE DI LAURA
di Pupi Avati
Rai1, 7 dicembre 2015 in prima serata – regia: Pupi
Avati –­ produzione Rai Fiction realizzata da Duea
Film e prodotta da Antonio Avati – sogg.: Pupi e
Tommaso Avati – scenegg.: Tommaso e Pupi Avati,
Cesare Bastelli – con la consulenza di Charlie Owens,
Francesco Pezzulli – suono Piero Parisi scenogr.:
Roberto Giusini, Giulia Parigi – cost.: Beatrice Giannini – mont.: Ivan Zuccon – mus.: Rocco de Rosa­
fotogr.: Blasco Giurato – interpr. princ.: Marta Iagatti
(Laura), Valentino Agunu (Karimu), Alessandro Sperduti («Lui»), Nicola Rignanese (Domenico Riviello)
e Rita Abela (Anna), Neri Marcoré (Hermes), Lina
Sastri (Maria), Andrea Roncato (nel ruolo di se
stesso), Tony Santagata, Fabrizio Amicucci, Antonio
Spagnuolo, Rita Abela, Barbara Manzato, Emilio
Martire, Vittorio Introcaso.
Laura, ragazza calabrese, introversa e timida,
si trova a Roma per studiare dizione. Ma piú che
dall’insegnante sembra attratta da un giovane studente, che dà l’impressione di ricambiare l’interesse.
All’uscita, però, non combinano nulla e Laura, proprio nel giorno del suo compleanno, si ritrova sola a
vedere uno spettacolo teatrale. Qui incontra Hermes,
presunto titolare di una lavanderia, che, con la scusa
di avere appena scoperto di essere stato tradito dalla
moglie, approfitta dell’ingenua ragazza lasciandola
incinta e scomparendo nel nulla. Laura decide cosí
di tornare in Calabria, a Rocca Imperiale, dove la
benestante famiglia possiede un agrumeto. Il ritorno
a casa non è dei migliori. La ragazza è costretta dal
padre a lavorare nell’azienda di famiglia in mezzo a
incomprensioni e diffidenza. Gli unici a capirla e a
sostenerla sono la zia Maria, che gestisce un negozio
di mobili, e il figlio di lei, ovvero il cugino, che in paese chiamano semplicemente «Lui», considerandolo
un ragazzo problematico, strano, che va in giro con
un paio di amici altrettanto strani. Fino a che Laura
non conosce Karimu, giovane africano, studente a
Bologna, che si mantiene facendo lo stagionale in
Calabria, mentre al suo Paese, in Ciad, è una sorta
di principe. Karimu ottiene (via skype) il consenso
dei familiari in Africa al matrimonio con Laura. Ma
quando il padre di lei viene a conoscenza dell’intento della figlia, oltre che della gravidanza a causa
di un altro uomo, fa cacciare Karimu accusandolo
di furto e cambia le serrature per non far rientrare in
casa la figlia. A questo punto interviene il cugino di
Laura che riesce a convincere il giovane africano a
tornare indietro e a sposare la ragazza.
Il racconto inizia con l’immagine di un intarsio
in legno che rappresenta una scena evangelica.
All’apparenza può essere scambiata per un Ultima
cena, ma poi si capisce che si tratta della testata di
un letto matrimoniale, raffigurante in bassorilievo
le Nozze di Cana, che lo zio di Laura, ormai scomparso, ha realizzato per la nipote e che la zia Maria
conserva nel suo negozio di mobili. Seduta su questo
letto, Laura rivelerà alla zia che non si sposerà mai,
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mentre al cugino, in un successivo incontro, racconterà della gravidanza e dell’intento di abortire. Ma
«Lui» la inviterà a stare tranquilla perché c’è Dio
che le vuole bene e che le sarà vicino. Una volta
conosciuto Karimu e
accettata la proposta
di matrimonio, Laura si sdraierà con il
futuro marito sullo
stesso letto, che si
conferma cosí primo
elemento simbolico
del film. Il letto, in
quanto matrimoniale,
è il simbolo stesso del
matrimonio, opera di
un falegname sposato con Maria e
quindi moderno Giuseppe, sposo
perfetto. Il resto va da sé. Maria,
fosse anche per il solo nome, è una
Madonna dei nostri giorni (interpretata tra l’altro da Lina Sastri non
nuova, anche in teatro, a prestare
il volto alla Madre di Dio). «Lui»,
il cugino di Laura, ma soprattutto
il figlio di Giuseppe e Maria, non
può che essere un Gesú dei nostri
giorni, che viaggia in sidecar con
due stralunati amici, che manco a
dirlo sono gli apostoli. Il regista
ci fa cosí anche capire quello
che potevano pensare e provare
di fronte a Gesú i suoi contemporanei. «Le sue idee non
riusciranno a prevalere, ma ha
ragione lui», dice la madre, che
in questo caso non chiederà il
miracolo al figlio, ma «si limiterà» ad assecondarlo quando
darà vita a un banchetto di
nozze notturno, all’aperto, su
una strada provinciale, in attesa
che si compia il miracolo: il ritorno di Karimu. La preparazione è resa però difficile
dall’intervento dei dipendenti del padre di
Laura, che buttano all’aria i tavoli e colpiscono «Lui», proprio quando sul posto arriva
la madre. Sarà lei stessa ad aiutare il figlio
a rimettere insieme i tavoli per il banchetto
e a invitare al matrimonio (come racconta
un’altra parabola) gli anonimi passanti. Intanto il miracolo si compie: Karimu torna e il
film si chiude sull’abbraccio dei due novelli
sposi, lasciando nello spettatore un senso di
sorpresa, ma anche di emozione.
Il film, realizzato in esclusiva per la tv e visto
nella serata del 7 dicembre su Raiuno da quasi 4
milioni e 300 mila telespettatori (stando almeno
all’Auditel), fa parte di un progetto di Pupi Avati e
del fratello Antonio, in collaborazione con Rai Fiction e DueA Film, che
vuole raccontare il Vangelo in chiave
moderna. Avati ha cosí raccontato una
parabola come fosse una favola, anche
perché entrambe hanno una morale,
un insegnamento. All’interno della parabola, o della favola d’amore, con la
quale il regista si conferma cantore del
matrimonio a dispetto di ogni tendenza contraria, molti altri temi: l’aborto,
l’immigrazione, il lavoro nero,
lo sfruttamento, le differenze
culturali, l’integrazione. «Leggo il Vangelo ogni sera – ha
raccontato Avati –. In un contesto come quello che stiamo
vivendo, probabilmente riproporre la lezione evangelica è
l’unica possibilità per tornare
a riavvicinarci». Cosí il regista
continua a raccontare storie
che gettano ponti e abbattono muri, avvicinano culture
diverse attraverso personaggi
di una semplicità disarmante (interpretati da attori dalle
facce vere), che si
trovano comunque
ad affrontare grandi questioni della
vita. Ma è l’amore
il protagonista assoluto: l’amore capace di superare ogni
ostacolo. (A ndrea
Fagioli)
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C
R
A
I cattolici tra immagine sacra e religiosa
È in corso presso l’Università degli Studi di Milano il Progetto di ricerca coordinato da Tomaso Subini su «I cattolici e il cinema in Italia tra gli anni ’40 e gli anni ’70».
Lo scopo dell’attività di ricerca è raccogliere dati – d’archivio e da quotidiani e riviste – che
permettano di ricostruire i profili delle istituzioni e delle personalità coinvolte e quindi di tracciare un primo quadro delle relazioni tra la Chiesa cattolica e il cinema in Italia.
Il CiSCS collabora al progetto con i documenti d’Archivio relativi al tema con particolare
riferimento al ruolo e all’attività di Padre Nazareno Taddei.
Un momento di confronto tra studiosi è stato il convegno dell’11 novembre 2015, «I cattolici tra immagine sacra e religiosa – Casi di studio sul cinema e la televisione in Italia tra gli anni
‘40 e gli anni ‘70», di cui diamo sommariamente conto.
I lavori, coordinati da Raffaele De Berti, sono
aperti da Ruggero Eugeni e Carla Bino (Università Cattolica di Milano). Bino pone idealmente le
basi teoriche per l’intero workshop indagando le
riflessioni della patristica alto-medievale sul valore dello spettacolo e sul significato dell’immagine
sacra. La riflessione viene subito ripresa da Eugeni,
che si concentra sul concetto di «film religioso» e
sulle diverse interpretazioni che ne sono state date
negli anni ’50 del XX secolo, citando tra gli altri
le riflessioni di Diego Fabbri, Félix Morlion, André
Ruszkowski e Nazareno Fabbretti.
Pierre Sorlin (Université Sorbonne Nouvelle) riflette sul rapporto tra la bestemmia e il senso del
sacro nel cinema. Dopo aver precisato che il sacro
è una concetto che si estende anche oltre la sfera religiosa, esamina le modalità con cui i cattolici hanno affrontato la bestemmia nel cinema. Distingue la bestemmia assoluta, intesa come rifiuto
dello spirito o come abbandono della fede, dalla
bestemmia secondaria. È sulla bestemmia secondaria che in genere i cattolici si sono concentrati, trascurando quella assoluta, peraltro assai piú rara nel
cinema. Un caso di bestemmia assoluta è il suicidio
di Steiner in LA DOLCE VITA. Come noto, il film
suscitò riprovazione in gran parte del mondo cattolico; tuttavia le accuse mosse a Fellini non riguardarono questo episodio bensí aspetti riconducibili
alla bestemmia secondaria. Sorlin ricorda come, in
contrasto con la condanna esplicita del CCC, padre Nazareno Taddei abbia saputo cogliere la com-
plessità di questo film. Un atteggiamento analogo si
ebbe nei confronti di TEOREMA, attaccato da gran
parte del mondo cattolico per la rappresentazione
della sessualità, senza indagare a fondo il rapporto
conflittuale con il sacro messo in gioco da Pasolini.
Nazareno Taddei fu protagonista anche della polemica sviluppatasi attorno al documentario GELA
ANTICA E NUOVA di Giuseppe Ferrara, ripercorsa
da Carmelo Marabello (Università IUAV di Venezia) nell’ambito di una riflessione sul pensiero antropologico del cattolicesimo italiano e sulle sue
connessioni con il cinema. Padre Taddei, infatti,
prese le difese delle espressioni di religiosità popolare tipiche della Sicilia, che nella pellicola di
Ferrara, commissionata dall’ENI, uscivano svilite
dal confronto con il progresso economico e tecnologico.
Federico Ruozzi (Università di Modena e Reggio Emilia) analizza invece il modo in cui la RAI
seguí il Concilio Vaticano II, evento che ebbe enorme risonanza televisiva. Fin dall’inizio del pontificato di Giovanni XXIII la televisione aveva assunto un ruolo di primo piano nella presentazione
del «papa buono». In occasione del Concilio, due
furono i progetti elaborati in area cattolica per la
RAI: uno a opera di padre Taddei e padre Angelo
Arpa, incentrato su conferenze tenute da alti prelati; l’altro, effettivamente realizzato, messo a punto
dai cosiddetti «professorini» di Bologna, con approfondimenti sulla storia della Chiesa e analisi del
Concilio. Tra i progetti sul Concilio che non si con-
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cretizzarono, particolarmente interessante appare
Vatican II di Diego Fabbri e Jean Daniélou: un’idea
di documentario basata su interviste a vescovi e
cardinali, che nelle intenzioni degli autori avrebbe
dovuto indagare lo stato della Chiesa alla luce del
Concilio.
Mons. Dario Edoardo Viganò (Pontificia Università Lateranense) ricostruisce la stesura dell’istruzione pastorale «Communio
et Progressio» sugli strumenti
della comunicazione sociale,
la cui pubblicazione, avvenuta nel 1971, era stata disposta
proprio dal Concilio Vaticano II. Esaminando documenti
conservati nell’Archivio Pontificio delle Comunicazioni
Sociali, Viganò spiega come
l’elaborazione si sia articolata
in tre fasi lungo un arco di ben
sette anni. L’esigenza di approdare a un testo sintetico, infatti,
si scontrava con l’eterogeneità
e con l’enorme quantità delle
risposte ottenute consultando
episcopati di vari Paesi.
Tomaso Subini chiude la
prima sessione del convegno
analizzando i diari privati di
Gian Luigi Rondi, di prossima pubblicazione. Si
tratta di diari che in passato sono stati copiati e dattiloscritti, i cui originali sono andati perduti; in alcuni casi potrebbero essere stati soggetti a ripensamenti dell’autore in vista della pubblicazione. Per
una corretta interpretazione occorre dunque raffrontarli con documenti d’archivio e con gli articoli
pubblicati a suo tempo dallo stesso Rondi. Subini
individua tre gruppi di cattolici attivi nell’ambito
del cinema in Italia: quelli di governo, inevitabilmente chiamati a compromessi; quelli attivi nelle
istituzioni ecclesiastiche; e i dissidenti, non integrati in alcuna istituzione. Subini inquadra l’opera
di Gian Luigi Rondi all’interno del primo gruppo.
Ogni gruppo, ed è questo un nodo fondamentale
per l’intero progetto di ricerca, ha declinato differentemente il proprio rapporto con il cinema.
Enrico Menduni (Università di Roma Tre) apre
la sessione pomeridiana, coordinata da Elena Dagrada. Evidenzia come in anni e luoghi diversi siano state distribuite versioni differenti di PASTOR
ANGELICUS; alcune di esse comprendono sequenze che documentano eventi successivi alla fine della guerra, mentre altre risultano tagliate. Alla luce
di queste sistematiche trasformazioni, PASTOR
ANGELICUS si presta dunque a essere interpreta-
to come un format, adattabile e rimodulabile sulla
base di esigenze politiche contingenti.
A PASTOR ANGELICUS si dedica anche Gianluca della Maggiore (Università Tor Vergata di Roma),
che inquadra il film sia nel piú ampio contesto del
rapporto tra il papato di Pio XII e il cinema, sia nello scenario delle politiche perseguite della Santa
Sede tra la fine del secondo conflitto mondiale e
il dopoguerra, quando dovette riposizionarsi sullo scacchiere geopolitico.
Alessio Scarlato (Università La
Sapienza di Roma) approfondisce
il tema del sacro nel cinema realista italiano alla luce del pensiero
di André Bazin e Amédée Ayfre.
È significativo che sia stata la visione di un film neorealista, GERMANIA ANNO ZERO, a indurre
Ayfre a contattare Bazin, segnando l’avvio di un percorso critico
capace di combinare fenomenologia e teologia.
Paola Valentini (Università di
Firenze) esamina l’evoluzione
delle rubriche religiose trasmesse
dalla RAI fino agli anni Settanta,
individuando analogie e differenze tra le trasmissioni di padre
Mariano, la figura piú riconoscibile della programmazione italiana, e quelle del reverendo Fulton
Sheen, predicatore televisivo statunitense.
Damiano Garofalo (Università di Padova) esamina le rubriche nelle quali la rivista Famiglia Cristiana risponde alle lettere dei lettori, spesso dedicate al rapporto con i media. Tali rubriche danno
voce da un lato ai timori dei lettori riguardo all’immoralità di cinema e televisione, dall’altro ai dubbi
sull’uso accorto dei due mezzi (ad esempio rispetto
al valore liturgico della Messa in televisione).
Pietro Bocchia (University of Notre Dame) torna a Pasolini, citato già da Sorlin. Dallo studio del
lungo percorso di elaborazione della versione letteraria di TEOREMA emerge la complessità di un’opera tra le piú significative del cinema religioso
italiano.
Il convegno si conclude con l’intervento di Marco Vanelli (direttore della rivista Cabiria) dedicato
all’attività di sceneggiatore di Diego Fabbri, capace
di declinare in molti modi la propria identità di cattolico nel mondo del cinema: da PASTOR ANGELICUS e dai film devozionali ai kolossal, fino alla
collaborazione con Ferreri e ad altre pellicole d’autore che ne testimoniano la spiritualità complessa.
(Sara Romanelli, Andrea Vigoni)
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U
C
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NELLO SPECCHIO DEL CIELO (tit. orig.: En el espejo del cielo)
di Carlos Salces
Corso di introduzione alla lettura strutturale del film, per ragazzi della scuola secondaria di primo grado. Un corto adatto a sollevare il problema Realtà-Finzione.
Lettura strutturale e utilizzazione didattica di Luciano Nicastro.
Il bambino (ripreso per dettagli)
«COSA»
sta costruendo una cassetta di leLettura «Durante»
gno con un lato apribile. È di nuoAttraverso i filari di un campo
vo alla pozza, sistema la cassetta
di mais dapprima si intravede una
(come una trappola) in posizione e
figuretta, poi ne emerge un bampoi si stende sul prato ad aspettare,
bino che guarda assorto.
la testa appoggiata alla mano, sente
Titolo di testa rappresentato
vari rumori (un cane che abbaia, lo
con movimento «liquido».
stormire delle fronde) vede piante
Il bambino, inginocchiato in
ed alcuni animali, finché il rombo
un grande prato, viene attratto da
Regia e mont.: Carlos Salces
dal cielo si fa sentire di nuovo:
un forte rumore e rapido volge lo
– interpr.: Malcom Vargas, Alicia
il bimbo corre alla «trappola»
sguardo verso l’alto. In conseguenLaguna – mus.: Carlos Warman
tenendo aperto lo sportello, vede
za di ciò che ha visto, prende a
– fotogr.: Chuy Chavez – durata:
avvicinare l’immagine dell’aereo
correre (musica tambureggiante)
10’ – origine: MESSICO, 1997.
finché questo sembra sparire nella
verso una larga pozza d’acqua
cassetta, guarda verso l’alto, il cienella quale compare l’immagine di
Vincitore dei Festival di Berlo è libero e silenzioso. Prende la
un aereo in volo. Il bambino corre
lino, Clermont-Ferrand, Havana,
cassetta e l’avvicina all’orecchio,
e poi salta sull’immagine, natuMontreal, Oberhausen e Seattle.
poi la porta a casa.
ralmente resta impantanato nella
Notturno nella povera casupopozza e rimane deluso, mentre
Fonti: Emanuele Bevilacqua (a
la, la mamma dorme, il bimbo si
guarda rammaricato il cielo.
cura di), «I Corti – I migliori film
alza e prende la cassetta nascosta
In un ambiente, interno di una
brevi da tutto il mondo», Einaudi
sotto il letto, poi la scuote ed ecco
povera baracca, il bambino sta
Stile Libero 2001.
riapparire il rumore, il bimbo gli
mangiando una semplice minestra
intima il silenzio ma il rumore
su un tavolo mentre la mamma,
che lui guarda, tende dei panni, quando si ode di rischia di svegliare la madre che si agita nel sonno,
nuovo il suono misterioso dall’alto. Il bambino scom- il bimbo disperato prende la scatola «frusciante»
pare dal tavolo, ora corre (musica tambureggiante) e la porta in un capanno (sullo sfondo una grande
con una coperta pesante verso la pozza nella quale luna piena). All’interno del capanno seppellisce la
è riflessa l’immagine dell’aereo, lancia il telo che cassetta nel mais finché il rumore cessa.
Al mattino si sveglia, lava appena il viso e poi è
copre l’immagine galleggiando, poi entra nell’acqua,
solleva il telo e sente di nuovo il rumore proveniente nel capanno, dissotterra la scatola ma non sente piú il
dal cielo, sotto il telo non c’è nulla, nuova delusione. rumore, scuotendola sente come uno sferragliamenIl bambino cammina lungo un sentiero tornando to, è preoccupato e corre (musica tambureggiante) di
verso casa, la mamma lo aspetta con aria severa, le nuovo verso la grande pozza, appoggia la scatola sul
bordo e poi, tutto agitato, apre lo sportello, sul primo
passa davanti con il telo bagnato in spalla.
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momento non sente niente, poi si ha l’impressione
che qualcosa esca liberata, il bimbo sorride.
Il bambino è disteso sul prato e guarda il cielo, il
viso corrucciato, poi il volto si distende in un sorriso
mentre si ode il familiare rombo frusciante, schermo
al buio, titoli di coda.
«COME»
Lettura «Dopo»
Il Racconto ha uno sviluppo cronologico e i vari
blocchi sono sottolineati dagli stacchi; la Struttura
presenta una breve Introduzione, una Prima Parte,
una Seconda Parte ed una Conclusione. L’ambiente
è quello della campagna messicana, dalla scheda del
film veniamo a sapere che il nome del bambino è Luis.
La breve Introduzione presenta, con ripresa
dall’alto, un campo di mais ed il bambino, Luis, che
ne esce e, in MF, si pone all’ascolto di un rumore
che lo sovrasta. Titolo su fondo nero con un forte
rumore di acqua.
La Prima parte mostra, all’inizio il bambino inginocchiato in CLL con la mdp che panoramica su
di lui finché un forte rumore lo attrae e lui si volge
rapido con lo sguardo verso l’alto a destra; poi, in rapida sequenza, sono descritti tre tentativi (sottolineati
da musica tambureggiante e sempre con movimento
da destra verso sinistra) con i quali il bambino cerca
di catturare l’immagine di un aeroplano che tutti i
giorni sorvola un piccolo specchio d’acqua vicino
alla propria abitazione. Durante il primo, cercando
di saltarvi sopra, resta deluso e immerso fino alle
ginocchia nell’acqua melmosa (con ripresa dall’alto),
mentre lo sovrasta il suono: un rombo «frusciante»
di aereo. Nel secondo usa una tecnica da pescatore
e getta la sua coperta a coprire l’immagine ma la
«pesca» è ancora infruttuosa e di nuovo (ancora
inquadratura dall’alto, quasi a piombo) il suono
incombente si allontana; la coperta bagnata non
lascia indifferente la madre che lo osserva con aria
severa e perplessa. Il terzo tentativo, sottolineato da
musica forte e vivace, è piú elaborato e la trappola
realizzata sembra funzionare, l’immagine scompare
nella cassetta poi, sul PP di Luis, lo specchio d’acqua vuoto e il cielo libero, in soggettiva, sembrano
confermare la «cattura».
La Seconda Parte si apre con la scena notturna durante la quale il bambino sembra non saper
controllare il rumore assordante proveniente dalla
«trappola», l’espediente di sommergerlo nel mais
risolve il problema ma, al mattino, il suo prezioso
«prigioniero» sembra aver sofferto della mancanza
d’aria; altra corsa (ma questa volta è da sinistra verso destra), la trappola viene riaperta nello specchio
d’acqua e, con movimento di macchina dall’interno
della cassetta, dopo un lungo attimo di preoccupa-
zione nell’espressione del viso, «qualcosa» sembra
uscire con il rombo frusciante solito, il tutto sottolineato dal volto in PP sorridente di Luis.
Nella Conclusione il bambino, ripreso dall’alto
a piombo è ora disteso sul prato e, mentre la mdp si
muove su di lui ruotando, si coglie il volto corrucciato ma, giunti al PP, lo si vede sorridere e si ode
il familiare rombo; Luis ora sta guardando il cielo,
non piú lo specchio d’acqua.
Colonna sonora il film è senza dialogo, solo
musica a commentare le azioni del bambino: tambureggiante durante le sue corse, veloce e forte a
sottolineare la sua invenzione e poi il rombo frusciante del motore che proviene dal cielo.
Protagonista è naturalmente Luis, il bambino che
gioca a catturare gli aerei; unico altro personaggio la
madre, presente solo un alcune scene a evidenziare
i comportamenti del figlio.
Livello al quale è considerato il Protagonista,
Luis è un bambino caratterizzato da certi elementi
fisiognomici e ambientali che lo collocano in una
regione volutamente identificabile (Messico), fa
parte di una famiglia che vive poveramente in una
casupola di legno sul limitare di grandi campi di
mais; è un bimbo ricco di fantasia e inventiva, sa
impegnarsi, il suo è un gioco «serio», come quelli
dei bambini che credono in quello che fanno; la
sua evoluzione è già nello sviluppo delle tecniche
di «caccia», dalla piú semplice e ingenua alla piú
complessa, la «trappola», che richiede anche una
sua particolare abilità di costruttore; la sua decisione
di «liberare» il «prigioniero» per la sua salvezza è
ancora espressione della sua fantasia (anche se viene sottolineata da rumori che sembrano avvalorare
la sua visione fantastica) però il suo gioco rimane
legato all’illusione rappresentata dall’immagine
dell’oggetto riflesso «nello specchio del cielo» (da
qui il titolo); solo nell’ultima inquadratura, con tutto
se stesso rivolto verso il cielo aperto, ritrova il sorriso
nel rombo «libero» del motore di un aereo in volo.
In sede di formulazione dell’Idea Centrale occorre ben considerare che l’evoluzione nel gioco,
e nella sensibilità/comprensione del bambino, è
sia nell’atto di liberazione (contrasto tra l’idea di
possesso e quella di libertà) del suo «prigioniero»,
sia, e in maniera piú profonda, nel suo rapporto con
la realtà: prima la sua visione mediata attraverso lo
specchio d’acqua nel quale le cose si riflettono e
quindi attraverso Immagini, poi immediata, nell’osservazione diretta del cielo dove le cose reali sono
(anche se non le può catturare). Cioè, il bambino
coglie, nel suo gioco, certo il valore della libertà,
ma anche, seppure è da dubitare che ve ne sia piena
consapevolezza, l’idea di realtà che supera – sta di
sopra, in alto – quella del suo semplice riflesso.
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435
dicembre 2015
IL METODO TADDEI:
ecologia mentale
44
anni
SOMMARIO n° 435
dicembre 2015
Le ricerche sul rapporto tra comportamento umano
e struttura encefalica, insieme con le piú recenti scoperte delle neuroscienze circa l’attivazione dei “neuroni
specchio”, costituiscono un importante riscontro in
campo sperimentale alla teoria delle «comunicazioni
inavvertite».
La Metodologia di P. Taddei, integrata da tali ricerche, rappresenta oggi uno strumento formativo di
straordinaria attualità.
L’applicazione di questa metodologia, vera e propria
operazione di Ecologia mentale (v. schema), ha ora la
possibilità di essere utilizzata in diverse realtà e istituzioni per una corretta formazione della personalità. Prima
fra tutte la scuola (disagio giovanile e sociale, abbandono
scolastico, bullismo, ecc.) e poi le realtà di gestione della
cosa pubblica, quelle private e religiose, per una riflessione sulla incidenza dei media sulla libertà di pensiero e
sulla secolarizzazione. Infine anche l’ambito delle realtà
aziendali, ove la formazione alla auto-conoscenza delle
procedure mentali e comportamentali è oggi indiscussa
risorsa, può giovarsi validamente di questa metodologia
integrata.
24
EDAV 2016
pag. 2
studio
L’ O C C H I O S T R A B I C O D E I
MEDIA:DIRITTI UMANI E
MONDO ISLAMICO di Luigi
Zaffagnini
pag. 3
letture di film
CHIAMATEMI FRANCESCO di
Daniele Luchetti (Andrea Fagioli)
LA LEGGE DEL MERCATO
di Sthéphane Brizé (Olinto
Brugnoli)
TUTTO PUÒ ACCADERE A BROADWAY di Peter Bogdanovich
(Manfredi Mancuso)
THE WALK di Robert Zemeckis
(Gian Lauro Rossi)
pag. 7
pag. 10
pag. 14
pag. 16
cinema
CON IL VENTO NEL PETTO
documentario di Alberto Di Giglio
pag. 15
televisione
LE NOZZE DI LAURA di Pupi Avati
(Andrea Fagioli)
pag. 18
archivi
I CATTOLICI TRA IMMAGINE
SACRA E RELIGIOSA (Sara
Romanelli e Andrea Vigoni)
pag. 20
scuola
NELLO SPECCHIO DEL CIELO di
Carlos Salces (Luciano Nicastro)
pag. 22
finestrella
CiSCS quote sociali 2016
pag. 6