Cenni storici - Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica
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Cenni storici - Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica
Facoltà di Architettura Valle Giulia Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico Giorgio Monti Silvia Alessandri A.A. 2007-2008 Cenni storici Appunti tratti da “La Scienza delle Costruzioni” di Edoardo Benvenuto Dispensa ad uso interno Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri 2 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri 1. Periodi ellenico e romano • Aristotele • Archimede • I meccanici alessandrini: Erone e Pappo • Vitruvio 2. Lo sviluppo dei concetti statici e meccanici nel Medioevo 3. Il Rinascimento • Leonardo da Vinci • Galileo Indice 4. Archi, volte, cupole • Cognizioni scientifiche sulle strutture voltate prima del XVIII secolo • Le prime teorie statiche sull’arco in muratura • Le due memorie di Claude A. Couplet • La cultura scientifica italiana • Gli ulteriori sviluppi nel secolo XIX 5. La scienza delle costruzioni durante la rivoluzione industriale • La rivoluzione industriale • Edifici civili • Il ferro nella costruzione dei ponti • Le grandi coperture e le esposizioni universali 6. L’ingresso del calcolatore • Mutamenti linguistici • Uso del calcolatore • Il metodo degli elementi finiti 3 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri 1. Periodi ellenico e romano • • • • • • • • 1.1. Aristotele • • • • • • Autore della Fisica, della Metafisica e di importanti opere di etica, politica e retorica (384 – 322 a.C.) Fondò nel 335 a.C. ad Atene il celebre “Liceo”. Concepì la fisica come uno studio qualitativo dei fenomeni naturali Nella sua cosmologia la Terra, posta al centro dell’Universo, risultava composta da quattro elementi: terra, acqua, fuoco e aria, dotati di moto rettilineo e discontinuo. I corpi celesti (sole, pianeti e stelle) costituiti di etere, possedevano moto circolare e continuo e ruotavano su sfere concentriche. La concezione aristotelica della meccanica fu presente in tutto il pensiero scientifico successivo per più di un millennio Nel XIII secolo la fisica aristotelica divenne il fondamento dell’istruzione universitaria. Ben poco è rimasto oggi della meccanica aristotelica, ma tutti sanno quanto sia stato lungo e difficile il combattimento della nuova scienza – dal XVI sec. in poi – per smuovere uno a uno i grandi assiomi, supportati da un rigido argomentare intessuto metafisicamente, che erano divenuti modo comune di pensare e di guardare. Lo spirito con cui Aristotele si accosta ai concetti ed ai temi fondamentali della fisica è molto diverso da quello che esiste oggi nella ricerca, non tanto per le soluzioni offerte o per le ipotesi avanzate, ma per le domande che egli si pone, per il tipo di problemi che egli ritiene meritevoli di attenzione. La sua fisica non ha affatto un corrispondente, uno sviluppo, una integrazione nella fisica moderna, ma piuttosto nel concetto di filosofia della natura che Aristotele esprime pienamente nei suoi 8 libri della Fisica, nel Trattato sul Cielo, ed altri, oltre che nelle opere metereologiche e biologiche I primi sei libri della Fisica riguardano temi e aspetti soprattutto dal punto di vista filosofico, come la natura dell‘essere corporeo, composto di materia e di forma, la dottrina delle quattro cause (efficiente, finale, formale e materiale), la soluzione dei paradossi zenoniani sullo spazio, il tempo, il moto. Gli ultimi due libri indagano sulla causa ultima del movimento. Il trattato stabilisce, infatti, il noto principio secondo il quale tutto ciò che è mosso, è mosso necessariamente da qualcos’altro. Il “principio della causalità” intorno al quale ruoterà tutto il pensiero filosofico e scientifico occidentale, sino ai giorni nostri, è quindi stabilito quale fondamento e strumento essenziale. I risultati principali conseguiti da Aristotele nella sua indagine sulle “cause” del movimento riguardano l’esistenza di un “motore immobile”, unico, posto alla periferia dell’universo. Indivisibile, generatore di un movimento continuo, originariamente circolare. Quest’ultimo concetto ha peraltro anche ritardato sino all’epoca moderna il concetto di “moto rettilineo uniforme” cui attiene il principio di inerzia Tuttavia, nel complesso si possono individuare anche indicazioni ed aspetti che, seppure marginali, possono essere intese come premesse importanti allo sviluppo successivo della meccanica. 4 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri Segue • Artistotele • • • • • • • • La prima è relativa all’esigenza di stabilire una contiguità o di un immediato contatto tra il motore ed il mobile (Il motore primo, non in quanto causa finale ma in quanto principio da cui parte il movimento, è presso il mosso: voglio dire con presso che tra di loro non v’è nulla che li separi; e questa proprietà appartiene in generale ad ogni motore e ad ogni mobile). In realtà questo principio ha creato nei secoli notevoli difficoltà all’avvio e sviluppo della meccanica moderna. Il principio della contiguità può oggi essere reinterpretato in senso positivo se ci si riferisce allo stato di tensione che misura la sollecitazione in una generica particella di un corpo deformabile. Le tensioni essendo forze di contatto debbono essere determinate da sole azioni di contatto e quindi il legame tra lo stato di tensione e il moto delle particelle deve avere carattere locale. Questo è il principio di azione locale che la moderna meccanica razionale pone a fondamento della teoria sui “legami costitutivi”. La seconda intuizione fisica che è possibile rintracciare nella Fisica di Aristotele verte su un tema di grandissima importanza, applicativa e teorica per la meccanica: si tratta di un primo segnale sul principio dei lavori virtuali. Il trattato sulle “Questioni meccaniche”, che fino ad un certo punto è stato sempre attribuito ad Aristotele, ha influenzato per secoli la meccanica, per il suo orientamento verso i problemi tecnici e per il tentativo di spiegare unitariamente le macchine semplici tipiche di quell’età riconducendone le leggi a un solo principio. All’origine della ricerca è palese lo stupore dinanzi agli artifici dell’arte meccanica che sembrano contraddire le leggi della natura: “Appartengono a questo genere i fenomeni in cui il più piccolo vince il più grande e una forza modesta solleva pesanti carichi ….. “ Il riferimento è alle proprietà della leva ed a quelle della bilancia, strumenti tecnici che presentano sicuramente una grande importanza applicativa e che , nel contempo, possono aver contribuito alla ricerca delle leggi fondamentali di equilibrio: dell’equilibrio alla rotazione nella leva e dell’equilibrio alla traslazione nella bilancia. Al principio della leva furono ricondotti il problema della trave inflessa, i problemi delle volte e degli archi, ecc Nel trattato è poi molto pronunciato il riferimento al moto circolare, dovuto, oltre che a ragioni remote d’ordine metafisico-cosmologico, anche alla considerazione della bilancia e della leva, i cui estremi descrivono ovviamente archi di cerchio. Purtroppo ne è derivato un certo impedimento ad associare alla forza – o meglio al peso – una direzione. Solo nel Medioevo, con Giordano Nemorario, cominciò a farsi strada il concetto che al peso conveniva connettere la direzione verticale. Per quanto una tale connessione a noi sembri ormai del tutto normale, implicita nei dati immediati dell’esperienza più comune, non deve stupire se essa si è affermata così tardivamente: il pensare la forza – e in particolare il peso – come vettori, non appartiene alla spiegazione dei fatti, ma alla costruzione di un modello per interpretarli; appartiene all’efficacia del linguaggio formale che riesce a rappresentarne nel modo più semplice la fenomenologia. 5 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri • • • • • • 1.2. Archimede • • • • Fu il maggiore matematico ed ingegnere dell’antichità (287 – 212 a.C.). La personalità di Archimede è di grande rilievo nella storia della scienza; i suoi contributi si estendono oltre che alla statica dei solidi, anche alla statica dei fluidi e alla matematica, con anticipazioni metodologiche e con intuizioni tutt’ora vive e feconde, che per la loro straordinaria novità non trovarono spesso continuatori presso gli antichi e che riemersero invece all’attenzione degli scienziati moderni. Nel campo della statica dei fluidi Archimede conseguì risultati definitivamente validi e preziosi: è noto il suo principio per il quale un fluido pesante esercita su un corpo immerso una spinta uguale e contraria al peso del fluido spostato e passante per il baricentro del corpo. Nella statica dei corpi solidi troviamo traccia soprattutto nel Trattato sull’equilibrio dei piani o dei loro centri di gravità. Archimede, a differenza di Artistotele, fa della statica una scienza razionale autonoma, fondata su postulati di origine sperimentale e costruita su dimostrazioni matematiche rigorose. I postulati introdotti da Archimede sono 8, di cui i primi quattro basati sul concetto di leva per dimostrate condizioni di equilibrio: 1. gravi uguali sospesi a lunghezze uguali sono in equilibrio 2. gravi uguali sospesi a lunghezze disuguali non possono essere in equilibrio 3. dati due gravi in equilibrio, se si aggiunge qualcosa a uno di essi, questi scende e non si ha più equilibrio 4. analogamente se si toglie qualcosa ad uno dei gravi, questi sale e non si ha più equilibrio. Il postulato principale è il primo che sembra andare oltre il dato sperimentale poiché si richiama a considerazioni di simmetria e potrebbe essere fondato in virtù del principio metafisico della ragion sufficiente. Gli altri tre postulati, evidenziando la mancata simmetria, esprimono la mancanza di equilibrio, sia cambiando le lunghezze, sia i pesi. Qui si vede l’intento di Archimede di dedurre le leggi per il caso generale partendo dal caso più semplice, attraverso la dimostrazione. Gli altri quattro postulati riguardano invece il concetto di baricentro per le figure piane, dove Archimede si limita a formulare alcune proprietà qualitative per definire le caratteristiche del centro di gravità, per poi individuare le proprietà quantitative attraverso successive elaborazioni matematiche. 5. Se due figure piane sono sovrapposte esattamente l’una all’altra, i loro centri di gravità restano sovrapposti; 6. i centri di gravità di figure simili sono disposti similmente; 7. se certe grandezze sospese ad assegnate distanze sono in equilibrio, grandezze uguali alle prime e sospese alle medesime distanze sono ancora in equilibrio; 8. il baricentro di una figura il cui contorno è concavo, è interno alla figura. 6 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri Segue Archimede • Dai postulati descritti derivano numerosi teoremi, di cui il più significativo – almeno sotto il profilo storico – è quello ricordato della proposizione VI, dove Archimede dà una sua “dimostrazione” della proporzionalità inversa tra pesi e distanze che governa l’equilibrio della leva. • La base di partenza è costituita dal primo postulato sull’equilibrio della bilancia: pesi uguali disposti a distanze uguali dal punto di sospensione. L’argomento è stato ripreso da numerosi scienziati, tra cui Galileo e Lagrange, dove, di volta in volta è mutata la forma, ma non la sostanza della dimostrazione. Essi stessi hanno adottato la seguente dimostrazione: sospendiamo un prisma omogeneo per il suo punto centrale; dividiamolo idealmente in due prismi di lunghezza 2m e 2n, applicandone i pesi nei baricentri G1 e G2. Si verifica subito che le distanze di G1 e di G2 dal punto di sospensione valgono n ed m rispettivamente. Con ciò è dimostrata la legge della leva. 7 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri • • • • • 1.3. I meccanici alessandrini: Erone e Pappo • • In generale la civiltà ellenica sottovalutava il significato culturale dell'attività tecnica, nonostante il grande sviluppo delle costruzioni, delle macchine belliche, degli impianti idrici. Nel III sec. a.C. sorse però ad Alessandria un’arte con diretta attinenza alla tecnica e alla meccanica, per la creazione di ingegnosi dispostivi, per fini ricreativi, pratici e scientifici. Ad essa si deve l’invenzione dell’argano ad acqua e della pompa idraulica. Nel I sec. d.C. il meccanico alessandrino Erone tramandò con le sue opere, una consistente testimonianza di attività scientifiche e di invenzioni realizzate, come apparecchi a pressione che impiegavano aria compressa o riscaldata, o vapore acqueo, e funzionavano con cilindri e stantuffi, con eliche, con ruote dentate, con sifoni, valvole, oppure di dispositivi automatici per l’apertura di porte, ecc. Le invenzioni e gli artifici di Erone tennero banco fino a tutto il Medioevo e nel Rinascimento e fino all’epoca barocca. La sua meccanica viene applicata nella costruzione di fontane con figure mobili, di orologi, di termoscopi. L’opera di Erone, denominata Le meccaniche, pervenuta da una traduzione araba, tratta le macchine semplici e dimostra una certa elaborazione dei concetti classici. In particolare nel caso della leva angolare Erone intuisce la corretta valutazione dei momenti, affermando che per l’equilibrio vale la formula: P1 : P2 = b : a dove le distanze a e b sono misurate sull’orizzontale. Pappo, scienziato del IV secolo, è l’unico che si occupa del problema del moto e dell’equilibrio di un corpo pesante su un piano inclinato. La sua soluzione è fondamentalmente errata poiché sicuramente influenzata dalla scuola aristotelica. Tuttavia la sua tesi ha avuto seguito anche presso i meccanici rinascimentali, fino a Galilei che è poi riuscito a smontarne l’apparente ragionevolezza. A Pappo si deve anche un noto metodo sperimentale per l’individuazione del baricentro di una figura piana pesante: si sospenda tale figura da un punto qualsiasi di essa A e si tracci la verticale per A; si sospenda ora la stessa figura da un altro punto B e si tracci la verticale per B. L’intersezione delle due rette così disegnate è il baricentro G. 8 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri 1.4. Meccanica e Architettura in Vitruvio • Ha fatto testo nella storia dell’Architettura il De Architectura di Vitruvio, dove si parla della necessaria integrazione tra le competenze tecnicoscientifiche e l’attività progettuale. Infatti lo stesso Vitruvio oltre alla costruzione di opere civili aveva progettato anche macchine per il sollevamento di pesi, attrezzature belliche e altri dispositivi. • Sulla statica Vitruvio non ha lasciato molto, dando soprattutto indicazioni sulla saldezza delle fondamenta, sulle modalità costruttive e sulla scelta accurata dei materiali. • La meccanica è invece menzionata soprattutto per gli strumenti sussidiari sia all’architettura, come le macchine da sollevamento, sia alle diverse esigenze di una società artigianale. • Il primo libro illustra i significati e le parti dell'architettura e la formazione dell'architetto e si sofferma sull'uso e le caratteristiche degli ordini architettonici. Nel secondo libro si affrontano argomenti di carattere tecnico, come la descrizione dei materiali da costruzione. Nel terzo si descrive l'uomo ideale Nel quarto libro si descrivono i diversi tipi di templi e si torna a parlare degli ordini architettonici Nel quinto si affronta l'argomento degli edifici pubblici. Il sesto e settimo libro quello delle case private. • • • • • • Fra gli argomenti con attinenza alle macchine o alle difese - di competenza dell'ingegnere più che dell'architetto - si possono segnalare i passi dedicati alla costruzione delle mura urbane (libro primo), agli acquedotti (libro ottavo), all'utilità delle scienze (libro nono) e, infine, alla trattazione della machinatio, o costruzione di macchine ad uso civile o bellico (libro decimo). • Vitruvio arricchisce il trattato con osservazioni desunte da esperienze personali e fa esplicito riferimento alle proprie fonti: Ctebisio di Alessandria e Archimede per numerose invenzioni, Terenzio Varrone per l'architettura. 9 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri 2. Lo sviluppo dei concetti statici e meccanici nel Medioevo • Il Medioevo propose la conoscenza e la pratica delle arti meccaniche come componenti essenziali della formazione culturale. Infatti nei monasteri benedettini si studiavano la medicina, l’astronomia, la chimica, non trascurando un loro approfondimento razionale e teorico. I trattati tecnici furono tra i primi ad essere tradotti dall’arabo, da greco e dal latino. • Un popolare manuale di Ugo di San Vittore dice che “la meccanica comprende sette scienze: tessile, forgiatura delle armi, nautica, agricoltura, caccia, medicina e scenica (dimenticando l’arte costruttiva). • Ma in realtà i risultati più clamorosi delle tecniche meccaniche medievali si ebbero proprio nell’arte edilizia. Molti dispositivi usati dai costruttori medievali per risolvere problemi di statica delle grandi chiese furono completamente originali, ma non si capisce se furono completamente empirici oppure dovuti alla conoscenza dei problemi della statica. • Gli sviluppi originari dell’architettura gotica nacquero dai problemi ai quali si andò incontro quando si trattò di coprire con un tetto di pietra le sottili mura della navata centrale della basilica, che era il tipo più comune di chiesa cristiana sin dai tempi di Roma. • Secondo Viollet Le Duc, i costruttori medievali possedevano l’istinto di una teoria molto raffinata, quella che consiglia di approssimare la forma dell’arco alla curva delle pressioni, da cui si ricava una regola empirica – a lungo sopravvissuta anche in epoca moderna – per la determinazione dello spessore dei piedritti: • Si divide l’arco, sia quello a tutto sesto, sia quello a sesto acuto, in tre parti uguali; con centro in D e raggio DC si descrive una semicirconferenza. Il punto E, intersezione di detta circonferenza con la verticale determina lo spessore del piedritto. Lo spessore del piedritto a tutto sesto risulta maggiore di quello a sesto acuto. • E si può affermare che il dimensionamento in chiave geometrica restò, sino a tempi recenti, il criterio più seguito dagli architetti. 10 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri Segue • Nel XIII sec. spicca la figura di Giordano Nemorario, al quale gli storici attribuiscono numerosi trattati sulla statica, dove spiccano i principi sui teoremi dei lavori virtuali. Lui e i suoi discepoli introducono anche il concetto di momento. • In sintesi con il Medioevo comincia a traballare la scienza aristotelica, ponendo per contro le basi dell’astronomia e della fisica moderna. • Il teologo francescano Guglielmo di Occam e i suoi seguaci smontano la teoria di Aristotele del moto di un corpo originato da un motore contiguo, affermando e dimostrando che un corpo in movimento si muove perché è in movimento e non perché mosso da un mobile distinto dal corpo. In tal modo si introduce il principio della legge di inerzia. • Giovanni Buridano introduce il concetto di Impeto equivalente a quella forza iniziale che si ha nel momento in cui il motore muove il mobile ed è proporzionale alla velocità impressa e alla quantità di materia del copro mosso. E l’Impeto o slancio mantiene il movimento fino a che l’aria e la gravità prendono il sopravvento. • Lo stesso concetto di impeto proporzionale alla velocità e alla quantità di materia del mobile verrà poi ripresa anche da Galileo e da Cartesio sotto il nome di quantità di moto mv (massa per velocità). • Tra i discepoli di Buridano si possono ricordare Alberto di Sassonia, al quale si deve una prima teoria sulla gravità e Nicola d’Oresme, che oltre a tradurre in francese alcune opere di Aristotele, aveva introdotto lo studio sul moto uniformemente accelerato. Medioevo 11 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri 3. Il Rinascimento • Durante il XV secolo si diffusero largamente in Italia le innovazioni della scuola di Parigi e di Oxford, pur restando ancora ben radicata la tradizione aristotelica. • Su tutti emerge Leonardo da Vinci, (1461-1519) i cui innumerevoli interessi coprirono anche temi di meccanica e, più in particolare, di meccanica e di scienza delle costruzioni. 3.1. Leonardo da Vinci • Nel Codice Atlantico si trovano numerosi appunti sui suoi studi. Tra i principali oggetti dei suoi studi applicativi e delle sue realizzazioni si trovano: argani ed apparecchi di sollevamento con sistemi multipli di carrucole, martinetti, torni ed altre macchine utensili, macchine belliche, artiglierie, bastioni, ponti, strumenti nautici, scafandri, scavatrici, macchine da filare e tessere, progetti per il volo strumentale, ad ali battenti, per il volo a vela, paracadute, propulsori ad elica, ecc. • L’opera scientifica di Leonardo forse appare modesta nella matematica pura, ma è vastissima ed originale nel campo della meccanica teorica ed applicata e della Resistenza dei materiali e Scienza delle costruzioni. • Nessuna sintesi delle questioni meccaniche appare nei manoscritti, ma le ricerche relative, come appaiono negli originali, pur nel loro disordine, rappresentano un importante complesso per il quale Leonardo superò i suoi successori (Stevin e Roberval) e precorse Galileo e Newton. • Gli essenziali oggetti ed i concetti che Leonardo ha studiato, sicuramente presi da Aristotele in poi (Archimede, Erone, Giordano Nemorario, Biagio Pellicani), si possono così riassumere: - teoria della leva retta e angolare - concetto di momento di una forza - composizione di forze concorrenti - equilibrio sul piano inclinato - stabilità della bilancia, - poligono di sostentazione - centri di gravità - carrucole - problema delle reazioni vincolari - resistenza dei materiali - teoria dell’arco e l’attrito - concetti di forza, percussione, impeto, peso, - leggi del moto - moto naturale dei gravi liberi o su un piano inclinato moto violento dei proiettili. Molti dei concetti affrontati erano ovviamente già noti, ma Leonardo li ha studiati e sviluppati dal punto di vista delle applicazioni. 12 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri Segue Leonardo Tra i tanti concetti il Codice Atlantico riporta il teorema detto del Poligono di sostentazione secondo il quale, se un corpo pesante poggia su un piano, l’equilibrio esige che la verticale passante per il suo centro di gravità incontri il piano all’interno della superficie di appoggio. • Particolare interesse si trova nelle ricerche ed esperienze di Leonardo sulla resistenza dei materiali, sulla teoria dell’arco e sull’attrito, che fanno considerare Leonardo come il precursore o il fondatore della scienza delle costruzioni e precursore di Galileo. Contributo di Leonardo sulla resistenza dei materiali Particolare interesse suscitano le ricerche ed esperienze sulla resistenza dei materiali, sulla teoria dell’arco e sull’attrito, che permettono di considerare Leonardo come il fondatore della scienza delle costruzioni. Il metodo seguito è quello del confronto tra le resistenze offerte da travi di medesimo materiale e con diverse dimensioni, al fine di stabilire una proporzionalità diretta o inversa tra la capacità portante e l’altezza, lo spessore, la lunghezza. Per la colonna o il sostegno di sezione quadrata o circolare caricata uniformemente di pesi sulla base superiore è stabilita la tesi che la resistenza a compressione è proporzionale alla superficie caricata e inversamente proporzionale al rapporto tra la lunghezza L e il lato a della base quadrata o il raggio del cilindro. E’ una proposizione solo parzialmente corretta: infatti se P è il peso complessivo agente sulla colonna, la sollecitazione cui è soggetto il materiale è ben rappresentata dal rapporto P A , dove A è l’area della sezione trasversale; indicando con σ tale rapporto, cioè: P σ= A si ottiene infatti una misura di intensità dell’azione esercitata su ogni elemento della superficie; σ prende oggi il nome di tensione e denota la forza agente sull’unità di superficie della generica sezione trasversale. Oggi sappiamo che per ogni materiale esistono valori limite di σ in corrispondenza dei quali si verificano fenomeni di snervamento o di rottura. Se dunque scriviamo al limite la formula precedente Plim = σ lim ⋅ A si riconosce che la tesi di Leonardo è corretta per la prima parte: il carico massimo sopportabile dalla colonna è direttamente proporzionale all’area della sezione. 13 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri Segue Leonardo La seconda parte della tesi è invece erronea. Eppure in essa è implicita una notevole intuizione: che cioè la snellezza del pilastro abbia influenza sulla forza di compressione massima che può essere sostenuta. Ma il fenomeno che interviene quando il pilastro è sufficientemente esile non riguarda propriamente la resistenza del materiale, ma la possibile insorgenza di una instabilità, per la quale la struttura, pur soggetta a un carico assiale, può inflettersi. Si tratta di un fenomeno complicato per essere chiarito e descritto analiticamente: la conclusione è che il carico critico Pcr per cui esso si verifica è legato al rapporto 1 a considerato da Leonardo secondo una relazione del tipo: A Pcr = K (1 a) 2 dove K è un opportuno coefficiente di proporzionalità. Pertanto la formula errata deducibile dalle parole del Codice Atlantico: A Pcr = K (1 a ) è quantitativamente inaccettabile, ma testimonia in Leonardo una prima avvertenza del problema che solo nei secoli XVIII e XIX verrà pienamente in luce. ♦ Oltre alla trave carica assialmente, Leonardo considera anche il tema della trave inflessa, sia nella schema strutturale della mensola soggetta a un peso sull’estremità (il cosiddetto problema di Galileo) sia nello schema della trave appoggiata. Per la mensola Leonardo scrive: “Se una aste che sporti fori d’uno muro 100 grossezze regie 10 libre, che regierà 100 simile aste di simile sporto insieme collegate e unite? Dico che se le ciento grossezze regano 10 libre, che le 5 grossezze regieranno 10 tanti che le 100 e se AB è 5 grossezze son 100 aste che regie 20 mila”. In altri termini, la resistenza sarebbe proporzionale all’area della sezione e inversamente proporzionale alla lunghezza. La tesi è errata nella prima parte, poiché sappiamo che la resistenza è proporzionale allo spessore e al quadrato dell’altezza, per una trave di sezione rettangolare. Per la trave in flessa appoggiata agli estremi e caricata di un peso Q nella mezzeria, Leonardo giunge vicino alla soluzione veritiera, studiando, sempre col metodo del confronto, la freccia, ossia lo spostamento trasversale massimo della linea d’asse, a seguito della deformazione. 14 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri Segue Leonardo Nel Codice Atlantico Leonardo afferma: “ Se AB si piega di 1 8 di sua lunghezza per peso di 8, CD, se sarà, come credo, di duplicata fortezza a AB, e non piegherà 1 di sua lunghezza per manco peso che 16, perché è la metà della lunghezza di AB; e similmente EF, per essere la metà de la lunghezza di CD, fia il doppio più forte e calerà 1 di sua lunghezza per 32 pesi”. E sempre nel Codice Atlantico: “Tu troverai tal forza e resistentia nella collegatione di 9 travi di pari qualità quanto nella nona parte d’una di quelle; AB sostiene 27 e son 9 travi, adunque CD, ch’è la nona parte d’essi, sostiene 3; essendo così, EF che è la nona parte della lunghezza di CD, sosterrà 27 perché è 9 volte più corto di lui”. La relazione corretta fra la freccia f, il peso Q e le dimensioni della trave appoggiata di lunghezza l e di sezione quadrata con lato a, è l3 f = K ⋅Q 4 a dove K è un coefficiente di proporzionalità, dipendente dal materiale. Si riconosce pertanto che almeno in parte le proprietà implicite nella suddetta formula sono qualitativamente presenti nei testi sopra citati. A Leonardo si debbono ancora alcuni tentativi di trattazione statica sull’arco e si può dire che egli ne abbia compreso l’intuitivo funzionamento strutturale. 15 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri • Tutti sanno quali grandi contributi, anche rivoluzionari, abbia dato Galileo alla formazione e allo sviluppo del pensiero scientifico un po’ in tutti i campi. Già durante i suoi primi studi prima di medicina e poi di matematica all’Università di Pisa, scoprì, nel 1583, la legge dell’isocronismo del pendolo e inventò una bilancia idrostatica per la determinazione del peso specifico dei corpi. Dall’89 al 92 fu lettore di matematica all’Università di Pisa ed in quello stesso periodo condusse le ricerche sulla caduta dei gravi, contenute nei dialoghi De Motu, dove appare già il contrasto con le dottrine di Aristotele. Si trasferì poi all’Università di Padova con una cattedra di matematica, dove lavorò moltissimo, inventando il compasso militare, il cannocchiale e nel 1610 il telescopio, con il quale fu poi possibile realizzare tutta una serie di scoperte di astronomia. • Per quanto riguarda la scienza delle costruzioni la sua opera di sperimentatore e di scienziato si rivolge soprattutto al campo della resistenza dei materiali, disciplina della quale egli stesso si riteneva il primo istitutore. • I contributi di Galileo alla meccanica rimangono fondamentali. Le sue ricerche hanno interessato i seguenti argomenti: o la discesa libera dei gravi lungo piani diversamente inclinati, o la formulazione della legge che stabilisce il rapporto tra spazi percorsi e tempi impiegati nella caduta libera, o l’isocronismo delle oscillazioni dei pendoli di eguale lunghezza o il moto dei proiettili. 3.2. Galileo • Per farsi una idea delle principali scoperte meccaniche di Galileo bisogna riferirsi al trattato intitolato i Discorsi, che Galileo scrisse nel 1638. Il trattato è scritto sotto forma di dialogo che si svolge in 4 giorni. La prima e la seconda giornata trattano specificamente sulla resistenza dei materiali, mentre la terza e la quarta trattano del moto. Galileo formula e risolve, a suo modo, quello che, sotto il profilo storico, è certamente il più dibattuto e importante problema della scienza delle costruzioni. Ancora oggi esso è comunemente indicato come il problema di Galileo e riguarda la resistenza a rottura di una trave a mensola caricata d’un peso alla sua estremità (v. figura a lato). 16 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri Il “problema di Galileo” Galileo fa riferimento al concetto di resistenza assoluta e la definisce come “quella che si fa col tirar (la trave) per diritto”. In altri termini, si tratta del valore limite che può esser raggiunto dalla forza assiale N che lungo la sezione a-a una parte della trave soggetta a trazione esercita sull’altra. La forza N è, in verità, uno strano personaggio: essa traduce nel linguaggio della statica, e cioè in termini di forze, un fatto che, di per sé, ha natura geometrica. Osservando la trave della figura accanto possiamo notare che la parte (α) e la parte (α’) , rispetto alla sezione trasversale a-a, sono tra loro connesse: le particelle materiali di (α) che s’affacciano sulla sezione a-a sono unite alle corrispondenti particelle di (α’). Ora immaginiamo di rendere “operante” la divisione della trave in due porzioni, separando idealmente (α) da (α’). Se la cosa accadesse nella realtà, la trave così divisa si comporterebbe in modo ben diverso dal sistema inizialmente considerato ad esempio, mentre in questi la parte (α) è impedita a muoversi, nel sistema diviso, la stessa parte (α), libera nello spazio e soggetta al peso P (oltreché all’eventuale peso proprio) tenderebbe subito a cadere. Questo può esser inteso come prova della tesi che (α) e (α’) si scambiano lungo la sezione aa opportune azioni mutue. A questo punto stabiliamo un postulato fondamentale: quelle azioni mutue che nel sistema reale esprimono la connessione geometrica tra le parti (α) e (α’) possono sempre essere tradotte in una distribuzione di forze applicate su ambedue le facce della sconnessione ideale che dà luogo al sistema diviso, in cui (α) e (α’ sono tra loro separate. Secondo Galileo la riduzione può essere ancor più spinta: le forze agenti sulle superficie della sezione a-a si dispongono normalmente alle superfici stesse e sono distribuite con legge uniforme, per cui è sufficiente considerarne la risultante N applicata nel baricentro. Ben presto ci si accorgerà però che il linguaggio riduttivo proposto da Galileo è troppo povero e non riesce a distinguere in modo appropriato i diversi comportamenti che si riscontrano nelle strutture, sia per la descrizione del fenomeno di rottura, sia per la descrizione degli aspetti deformativi. Un primo passo innanzi si farà supponendo una distribuzione disuniforme delle forze superficiali, sempre supposte ortogonali alla sezione: già con Mariotte, con Bernoulli e poi con Eulero tale arricchimento del modello può ritenersi acquisito. Un secondo passo sarà compiuto verso la fine del Settecento da Coulomb, il quale dimostrerà l’esigenza di associare alle forze distribuite normalmente alla sezione, anche forze tangenziali. Nel XIX secolo, poi, il linguaggio si renderà ancor più articolato quasi per compensare con l’aggiunta di nuove possibilità formali la riduzione statica mai rinnegata: dapprima ad opera di Navier e soprattutto di Cauchy per l’analisi di un qualunque corpo tridimensionale, e infine dai fratelli Cosserat con la loro teoria sui “continui polari”. 17 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri Il fascino e il limite di tutta la trattazione di Galileo stanno forse nella semplicissima figurazione del modello al quale vien ridotto l’effettivo comportamento di una trave sotto carico. L’osservazione rivela sensibili differenze tra una mensola lignea e una metallica; vi sono materiali che si deformano notevolmente prima di giungere alla rottura e materiali che mantengono invece la deformazione entro margini molto stretti. Il modello passa sotto silenzio questa diversità. I cilindri o i prismi di cui parla Galileo sono assai vicini agli astratti solidi della geometria euclidea: alla loro forma geometrica, o meglio, alle loro dimensioni s’aggiunge soltanto la proprietà di poter sopportate, entro limiti assegnati, dei pesi concentrati o distribuiti. Ogni altra specificazione descrittiva sarebbe irrilevante, così come sarebbe irrilevante indicare il colore del legno e la lucentezza del metallo. Il modello di Galileo è dunque il più scarno possibile; infatti esso può essere ospite soltanto delle più elementari regole geometriche e delle più ovvie leggi statiche. Da un certo punto di vista, questo è un pregio: i migliori progressi la scienza li ha compiuti sapendo isolare tra gli inesauribili aspetti della realtà il minor numero di parametri significativi. Solo così si può giungere al generale, alla legge semplice e certa. 18 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri 4. Archi, volte, cupole L’ingegnere e l’architetto che oggi sono chiamati a confrontarsi con problemi attinenti alle volte e alle cupole, si rivolgono generalmente all’ampio capitolo delle membrane e dei gusci, impegnandosi in algoritmi raffinati e complessi, o si affidano a programmi di calcolo gestiti con elaboratori elettronici. Nel passato le stesse tematiche sono state oggetto di un dibattito vivacissimo tra scienziati ed architetti, attraverso disquisizioni accademiche, scuole architettoniche e contrastate schermaglie tra “periti” illustri su alcune importanti opere in corso di restauro. Forse è lecito affermare che una teoria statica sugli archi non fu mai stabilita in termini quantitativi sino alla fine del XVII secolo. Ma nessuno può dubitare che già in precedenza non fossero venuti alla luce alcuni aspetti salienti del comportamento strutturale atti ad orientare le norme costruttive. Nel VI dei Dieci Libri sull’Architettura, Vitruvio dimostra chiaramente di ave intuito che la volta esercita un effetto spingente sui muri e sui pilastri che la sostengono. E ancor più evidente appare l’attenzione per il complesso gioco statico tra l’arco rampante e la volta nervata che caratterizza i grandi edifici del gotico (cfr. la “regola geometrica” precedente capitolo dal Medioevo al Rinascimento). Il dimensionamento in chiave geometrica è rimasto a lungo il criterio più seguito 4.1. dagli architetti. Cognizioni Il persistente pregiudizio che solo Galileo cominciò a smuove, secondo il quale scientifiche strutture geometricamente simili dovrebbero avere identiche proprietà statiche, sulle strutture aveva spinto Leon Battista Alberti ad asserire l’assoluta sicurezza dell’arco voltate prima semicircolare e aveva condotto numerosi trattatisti a definire in linguaggio geometrico la figura delle volte e le proporzioni tra gli elementi che del XVIII secolo rispondessero ad obiettivi estetici, a riferimenti simbolici, a caratteri stilistici derivanti dalla tradizione classica. Significative sono al riguardo le costruzioni grafiche proposte da Guarino Guarini, le indicazioni pseudo-statiche di G.B. Borra, le regole dimensionali del Cavalier Fontana per il profilo delle cupole, nonché i complicati algoritmi escogitati dal matematico Francois Blondel, direttore dell’Accademia di Architettura di Parigi, per la “risoluzione dei quattro principali problemi di architettura”. Quel che stupisce è la quasi completa assenza di un riferimento alla statica strutturale e alla resistenza, con eccezione di Leonardo, nei cui appunti si possono rintracciare valide intuizioni, accenni promettenti, germi di idee che solo tre secoli dopo troveranno uno sviluppo. 19 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri I primi consistenti passi avanti per una teoria della statica degli archi e delle volte si debbono al matematico astronomo francese Philippe De la Hire (16401718) con il Traité de Mécanique pubblicato nel 1730 e con una “Memoria” pubblicata dall’Accademia delle Scienze nel 1731 dal titolo Sur la construction des voutes dans les édificies. Nel Traité de Mécanique è presente l’inizio di una chiave di lettura dell’arco che resterà in piedi fino al tutto il XVIII secolo e successivamente rimosso con notevoli difficoltà. De la Hire intravede nell’arco la presenza di una macchina semplice: il cuneo, basandosi sul fatto che i conci dell’arco possono essere intesi come porzioni di cunei incidenti sui “letti” che se parano un concio da quelli attigui. In realtà il dimensionamento non ha un riscontro reale e conduce a vari paradossi. Esso ha tuttavia un approccio importante per la statica delle strutture in muratura intese come sistemi di blocchi rigidi, di solidi geometricamente definiti che in nulla si distinguono dai solidi euclidei se non per il fatto che sono dotati di peso. La povertà di tale modello appare evidente quando si voglia utilizzarlo per la trave in flessa. Ma diverso è il caso delle strutture murarie ad arco e volta: l’elemento fisico ignorato non è tanto la deformazione, quanto invece l’attrito. Sarà l’introduzione di questo elemento la via che migliorerà il modello; ma occorre attendere la fine del secolo affinché le leggi dell’attrito siano definite correttamente da Coulomb. I problemi affrontati da De la Hire sono due: l’equilibrio di una volta indipendente dai piedritti e la determinazione della larghezza dei medesimi in 4.2. funzione delle spinte provenienti dalla volta. Le prime Nel primo caso De la Hire pone alla base delle proposizioni riguardanti la statica teorie statiche degli archi un teorema che è di grande importanza in quanto prelude ad una sull’arco in relazione fondamentale della statica grafica, che sarà messa in evidenza verso la muratura fine del XIX secolo: si tratta di un uso alquanto anomalo del poligono delle forze per esprimere l’equilibrio di un sistema di forze concorrenti. L’autore osserva che se tre forze F1, F2, F3, convergenti in un punto, sono in equilibrio, le loro intensità debbono essere in proporzione con i lati di un triangolo perpendicolari alle direzioni delle forze medesime. Il problema del dimensionamento dei piedritti dà inizio ad un modo di ragionare e di interpretare il comportamento dell’arco che resterà egemone per quasi un secolo. Si tratta di un abbozzo di calcolo a rottura: in altri termini l’autore prospetta un possibile meccanismo di collasso e si propone di esprimere l’equilibrio limite ad esso relativo. 20 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri Segue Le prime teorie statiche sull’arco in muratura L’ipotesi di rottura è la seguente: - - che la volta si spacchi in una sezione intermedia tra l’imposta e il mezzo della chiave, a 45° circa che nelle tre zone individuate dalle sconnessioni i conci siano talmente ben uniti gli uni agli altri da formare un corpo unico e che le fondazioni si presentino perfettamente rispondenti che la spinta si collochi al lembo inferiore del giunto di rottura. Riassumendo il cuneo costituito dalla parte superiore della volta, al di sopra del giunto di rottura, che cala per il peso proprio, tende a far ruotare il piedritto, solidale con la restante porzione della volta, attorno al punto H. L’equazione di equilibrio limite è calcolata dunque con il ricorso a una leva a “gomito” il cui fulcro è nel punto H e le potenze applicate agli estremi sono le spinte della volta, al di sopra del giunto di rottura, ed i pesi propri piedrittoporzione inferiore della volta solidale con questo. La difficoltà consiste ormai nel tradurre la forza peso verticale del concio superiore nella potenza D, perpendicolare in L al braccio di leva, e nell’esprimere i pesi delle parti stabilizzanti riportandole sull’altro estremo T della leva. 21 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri La proposizione fondamentale dalla quale scaturiscono con inimmaginabili elaborazioni tutti i teoremi, i corollari e le soluzioni del Couplet è la stessa che già il De la Hire aveva utilizzato. Si tratta del seguente lemma: “Se una forza viene scomposta in due, le tre forze staranno tra di loro come i lati di un triangolo formato dalle perpendicolari alle direzioni di queste tre forze”. 4.3. Le due “memorie” di Claude Antoine Couplet Ciò posto la lettura statica del comportamento dell’arco si svolge sempre con il richiamo alla teoria del “cuneo”, la macchina semplice che, nel pensiero degli antichi, esprimeva così bene il “mutuo soccorso” tra i diversi conci componenti la struttura voltata. La figura sottostante sintetizza efficacemente numerose considerazioni che il Couplet sviluppa nei problemi per la determinazione delle grossezze dei conci e delle “spinte” da questi esercitate sui limitrofi nonché sul piedritto. Anzitutto si suppone assegnata la forza e dunque il peso QA del concio in chiave che eserciterà “per primo” sforzi perpendicolari ai giunti dei conci limitrofi. Con la nota regola del parallelogramma si ottengono dunque le forze FAs e FAd e si prosegue poi la costruzione nel tratto a sinistra dell’arco: sul prolungamento della AE, a partire dal punto B, centro di gravità del concio successivo alla chiave, si riporta HB = AE e nel punto H si traccia una verticale sino ad incontrare in I la perpendicolare al giunto sottostante. Si individuano così il peso QB del concio, la spinta FB e analogamente tutte le altre incognite del problema, ivi compresa l’ultima spinta FD sul piedritto. Da notare che nel caso in cui l’attacco volta-piedritto risultasse orizzontale, l’equilibrio sarebbe garantito soltanto imponendo all’ultimo concio d’aver peso infinito: la paradossale conclusione viene rimossa dall’autore facendo appello “all’attrito tra le parti a meno di un cedimento del piedritto e di un suo arretramento”. 22 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri Segue Couplet Ma dalla figura emerge una interessante rappresentazione grafica, sia della variazione delle “grossezze” (o dei pesi dei singoli conci), sia delle forze di pressione. Infatti, in virtù del lemma iniziale, sulla retta orizzontale Sλ (qualunque) si individuano, nelle intersezioni con le congiungenti, il centro O della volta e i giunti dei vari conci, dei segmenti XY, VX, TV, ST che esprimono i pesi dei conci A, B, C, D, nell’ipotesi che i conci medesimi siano in equilibrio e nell’ambito della proporzione stabilita appunto dal lemma; analogamente i segmenti OX, OV, OT, OS rappresentano le spinte dei conci della volta sui limitrofi. Il segmento OZ, che congiunge il centro O della volta con l’intersezione tra la verticale e la linea di fede Sλ misura “la spinta orizzontale della chiave, quella di tutta la volta o di una porzione qualunque di essa come risulta evidente poiché ogni porzione, come tutta la volta, debbono farsi equilibrio con la chiave”. ♦ Il teorema esposto dall’autore riprende una idea già presente in Leonardo: è la condizione sufficiente di equilibrio che viene soddisfatta “se la corda della metà dell’estradosso non taglia l’intradosso, ma passa ovunque entro lo spessore della volta”. Il problema sta però nel valutare l’equilibrio quando tale grossolana condizione sia trasgredita. A tal fine Couplet immagina che l’arco possa essere ricondotto a un sistema di quattro “stanghe” disposte come nella figura sottostante e che l’equilibrio della struttura spossa essere descritto con riferimento a tale sistema articolato: la rottura, ovviamente, può verificarsi soltanto se l’angolo DAE si apre e gli angoli AEC e ADB si chiudono. Tutto questo potrebbe condurre a un calcolo rigoroso se Couplet non aggiungesse una ipotesi erronea: che cioè i giunti di rottura alle reni debbano trovarsi a 45°. Purtroppo tale errore, peraltro presente anche in De la Hire, toglie interesse alle successive elaborazioni analitiche riferite ai diversi tipi di arco. Sarà Lorenzo Mascheroni a ottenere la vera soluzione al problema. 23 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri 1. Lorenzo Mascheroni: La sistemazione del calcolo a rottura nell’arco Sul tema degli archi, delle volte e delle cupole si svilupparono anche in Italia, nella seconda metà del Settecento, interessanti e vivaci studi, che condussero alla formazione di veri e propri trattati sull’argomento, dove è rintracciabile una sintesi completa delle conoscenze statiche del tempo intorno alle costruzioni in muratura. Fra tutti eccelle sicuramente l’opera di Mascheroni, intitolata “Nuove ricerche sull’equilibrio delle volte” (1785), che vale all’abate bergamasco la cattedra di algebra presso l’Università di Pavia. Nel trattato il Mascheroni intende dare forma analitica rigorosa ai principali problemi che intervengono nel progetto degli archi e delle cupole. Il primo capitolo riguarda l’equilibrio dei sistemi articolati di aste, ossia di più travi connesse da cerniere, a foggia di poligono. In particolare vengono presi in esame il tetto quadrangolare ABDE e il tetto pentagono ABCDE della figura sottostante. 4.4. La cultura scientifica italiana Un affinamento del modello che sarà poi messo in luce qualche anno dopo, consiste nel supporre che le quattro o le cinque “stanghe” siano trattenute reciprocamente e sul suolo da superficie di appoggio dotate di attrito secondo un coefficiente fs. I carichi sono rappresentati da forze QA = QE, QB = QD, 2QC, applicate nei diversi vertici e derivanti, ad esempio, dal peso delle membrature AB, BD, DE, nel primo caso, e AB, BC, CD, DE, nel secondo. Il problema sta nel verificare le condizioni di equilibrio del sistema, ove siano assegnate le lunghezze delle aste, manovrando sugli angoli α e β. 24 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri Segue La cultura scientifica italiana Si tratta di un quesito del tutto elementare, i cui risultati sono i seguenti: HA = QB tgα E la componente verticale VA da: HA = QA + QB Per il tetto pentagono ABCDE si ha invece: HA = (QB + QC) tgα VA = QA + QB + QC E, in più, deve risultare: QC tg β = (QB + QC) tgα Da cui deriva che se 2QC = QB, come avviene quando le aste sono eguali e omogenee, la condizione di equilibrio è: tgβ = 3 tgα 2. Leonardo Salimbeni Tra gli studi sul tema degli archi e delle volte, è opportuno segnalare anche il notevole trattato Degli Archi e delle Volte di L. Salimbeni. A differenza dei suoi predecessori il Salimbeni si interessa molto dei problemi che insorgono anche nel corso della costruzione di una volta: come premono i conci sulla centina, in che misura rispetto al loro peso, sino a quale segno occorre prevedere una sovracentina per impedire lo sfiancamento dei conci prossimi all’imposta. Egli è così condotto all’esame della componente T trasversale rispetto alla linea d’intradosso. Descrive con dovizia di formule trigonometriche il fatto che, scendendo dal concio di sommità ai conci inferiori, tale componente diminuisce e addirittura cambia il suo segno, manifestando appunto il pericolo dello sfiancamento. L’analisi, purtroppo, è condotta in modo tanto dettagliato quanto farraginoso, ma ciò non toglie tuttavia alcun merito al notevole impegno del Salimbeni, il quale è riuscito a dare la legge con cui varia la posizione del “punto di equilibrio” (ossia il punto in cui T muta segno), al variare del numero dei conci per diverse forme di volta, confermando, tra l’altro, i risultati di Couplet. 25 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri 4.5. Gli ulteriori sviluppi nel XIX secolo A differenza di quello che si è verificato per altri problemi di meccanica strutturale, come per esempio per il problema della flessione, sul tema degli archi e d elle volte gli scienziati del secolo scorso non limitarono il loro intervento a una sistemazione organica, ma dettero una svolta alla ricerca, introducendo alcuni aspetti che nelle trattazioni precedenti erano ignorate; in particolare la resistenza a compressione e a flessione e la deformazione conseguente ai carichi. Che cosa non era ancora chiaro nei metodi pur così elaborati e laboriosi degli scienziati settecenteschi? Innanzitutto non era ancora la completa definizione del meccanismo di collasso dell’arco. In secondo luogo non è ancora chiaro dove realmente sia applicata la spinta orizzontale P sulla chiave dell’arco. Tale incertezza risiede nel fatto che l’arco preso in esame è assimilabile allo schema strutturale di una trave curvilinea incastrata alle imposte: questo è vero in particolare ove si tenga conto della coesione tra i conci; ora, una simile struttura, pur se soggetta a una distribuzione simmetrica di carichi, è iperstatica. In altri termini le sole equazioni cardinali della statica non sono sufficienti a determinare la reazione dei vincoli e le caratteristiche di sollecitazione. Operando una sezione in A, si riconosce che, per la simmetria, non è presente la componente della sollecitazione trasversale all’asse dell’arco (cioè la forza di taglio) ma sono presenti la forza normale NA e il momento flettente MA. D’altra parte, NA e MA composte tra loro danno luogo alla spinta orizzontale P di modulo uguale a NA, ma non passante per la linea d’asse. Per la determinazione di NA e di MA non bastano le condizioni di equilibrio, ma occorre introdurre qualche nuova considerazione attinente al comportamento deformativo della struttura e quindi alle proprietà del materiale. Ciò conduce subito all’esigenza di mettere in conto la resistenza a compressione e a trazione, valutando non solo le caratteristiche di sollecitazione NA, MA, ma anche la distribuzione delle tensioni lungo l’altezza della sezione. 26 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri Segue Secolo XIX Tutte queste cose vennero alla luce per gradi, non senza passare per equivoci o falsi obiettivi. • Audoy Le formule analitiche di Audoy per le volte a tutto sesto , ad arco di cerchio, ovali, dotate di diversi estradossi, hanno reso grandi servizi agli ingegneri. La sua ricerca consiste soprattutto nell’individuare i giunti di rottura alle reni che corrispondono al massimo della spinta orizzontale in chiave nelle condizioni di equilibrio limite per scorrimento o rotazione. Si tratta quindi di un calcolo a rottura, dove l’autore consiglia di assumere un coefficiente di sicurezza pari a due per gli edifici più impegnativi. Purtroppo le formule sono estremamente complicate, per cui numerosi ingegneri militari, negli anni successivi, hanno tentato di apportare le necessarie semplificazioni. • Lamé e Clapeyron In Russia Lamé e Clapeyron nel 1823 pubblicarono la Memoria sulla stabilità delle volte in occasione della ricostruzione della chiesa di Sant’Isacco a San Pietroburgo. Essi, adottando esclusivamente l’ipotesi di rottura per rotazione delle volte cilindriche, sotto la forma di quattro pezzi articolati agli estremi, senza scorrimento, sono condotti, per la determinazione dei giunti di rottura o del massimo della spinta, a risultati analoghi a quelli ottenuti da Audoy, secondo la teoria di Coulomb, con applicazioni originali. Partendo dall’ipotesi che i piani dei giunti di rottura, invece di essere normali all’intradosso siano verticali e paralleli all’asse, essi determinano con considerazioni a priori relative al profilo medio di una volta a botte, l’influenza di un sovraccarico più o meno vicino al punto di rottura delle reni, la sua migliore ripartizione intorno a questo punto, e concludono con il seguente teorema che bene si applica alle volte ribassate: “il punto di rottura sull’intradosso è tale che la sua tangente incontra l’orizzontale per la sommità dell’estradosso in chiave, sulla verticale del centro di gravità della parte superiore della semi-volt alla quale tale punto di rottura appartiene”. Gli autori traggono qui un procedimento grafico per definire questo stesso punto, per mezzo di una curva ausiliaria, che non ha altra difficoltà se non la determinazione dei centri di gravità o dei momenti delle parti superiori relative a ogni ipotesi di posizione del punto di rottura. L’analisi riferita al calcolo di una volta a botte è qui estesa al caso delle cupole, supponendone la divisione in fusi, secondo piani meridiani verticali e giungendo alla osservazione, poi utilizzata per la stesura di tabelle operative: “in volte simili, la posizione dei giunti di rottura non dipende dalle dimensioni assolute, ma è in funzione soltanto dei rapporti tra i raggi dell’intradosso e dell’estradosso”. 27 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri Segue Secolo XIX • Luigi Navier Il Navier si occupò di statica degli archi e delle volte e nel suo celebre testo Résemé de Leçons … del 1826 introduce la considerazione della tensione che si distribuisce in ogni punto dei letti trasversali. Coulomb si preoccupava della condizione limite di equilibrio senza riguardo alla resistenza a compressione del materiale; perciò egli poteva collocare la spinta orizzontale in chiave sull’estradosso e la forza di compressione per il giunto di rottura sull’intradosso. Invece Navier riferisce il calcolo a una situazione limite più severa, in cui ancora le sezioni Aa e Mm sono effettivamente reagenti con tensioni di compressione sopportabili dal materiale. Conseguentemente la distribuzione delle tensioni può essere al più triangolare, presentando valore nullo, rispettivamente, in A e in m. Da ciò risulta: 1. che la risultante delle pressioni normali al giunto deve passare a una distanza dal lembo più compresso uguale a un terzo della larghezza effettiva di tale giunto 2. che la pressione in questo lembo è il doppio di quella che avrebbe luogo nell’ipotesi di una ripartizione uniforme sulla superficie intera del giunto. 28 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri Segue Secolo XIX • F. J. Gerstner Il Gerstner introduce per la prima volta due nozioni in seguito largamente usate dagli studiosi degli archi: la linea di resistenza e la linea di pressione. La prima è il poligono che congiunge i centri di pressione su ognuno dei piani dei giunti; il poligono si muta in linea curva se i giunti sono infinitamente numerosi e sottili. La seconda è l’inviluppo delle rette d’azione delle forze reattive tra giunto e giunto. Le due linee sono generalmente distinte. Perché vi sia equilibrio è necessario che la linea di resistenza passi all’interno dell’arco. Se essa interseca l’estradosso sotto un certo angolo, la rottura è immediata nella regione corrispondente; se essa invece è tangente a uno dei bordi, la rotazione dei conci è imminente e corrisponde allo stato di equilibrio “stretto” che solo una resistenza infinita del materiale potrebbe sostenere. D’altra parte l’angolo col quale la linea di pressione interseca i giunti deve essere messo in relazione con l’angolo di attrito: se esso si discosta troppo dall’angolo retto possono insorgere scorrimenti. Il Gerstner si accorge che, per il carattere iperstatico del problema, è possibile tracciare infinite linee di pressioni passanti per i diversi punti della chiave e tangenti ai diversi punti delle reni, che soddisfino alle condizioni di equilibrio. Il problema sta appunto nello scegliere quella vera. Ma a tale problema l’autore non sa dare una risposta corretta, introducendo numerose altre ipotesi che si riveleranno arbitrarie. • Henry Moseley Sul tema dell’arco Moseley fu il principale esponente del tentativo fallace, ma fecondo, di aggiungere alle condizioni di equilibrio statico un nuovo criterio di scelta fondato sui massimi e sui minimi. Già nel 1833 egli aveva introdotto un principio di minima resistenza per la soluzione dei problemi iperstatici e nel 1839 applica tale principio alla statica degli archi osservando che tra tutte le linee di resistenza tracciabili a partire da un punto generico della sezione in chiave Aa, quella vera, passante per l’estradosso in a e tangente all’intradosso in M, rende minimo il valore della spinta orizzontale P. 29 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri • Segue Secolo XIX E. Méry Sulla linea di Moseley e dalle indicazioni de Navier, ha origine il celebre lavoro di Méry, che presenta un metodo pratico, ancor oggi usato per piccoli archi. Il valore della spinta P è determinato nell’ipotesi che siano assenti, in ogni sezione dell’arco, tensioni di trazione. Ciò significa che la linea di resistenza (curva delle pressioni) sia sempre interna alla striscia definita dalle curve congiungenti i vertici superiori e inferiori rispettivamente del nocciolo centrale d’inerzia di ogni sezione trasversale. In altri termini per l’arco di sezione rettangolare o per la volta a botte, tali curve corrono l’una a una distanza dall’estradosso pari a un terzo dell’altezza h, l’altra a una distanza dall’intradosso pari ancora a un terzo di h. Tra tutte le curve delle pressioni interne alla striscia così delimitata, cui si dà il nome di “terzo medio”, il Méry consiglia di assumere quella che passa per l’estremo superiore del terzo medio nella sezione in chiave e per l’estremo inferiore del terzo medio nel “giunto di rottura” alle reni, inclinato di 60° negli archi a tutto sesto e collocato all’imposta negli archi ribassati. La curva delle pressioni è pertanto pienamente determinata e per tracciarla è sufficiente una elementare costruzione geometrica; si tratta infatti di determinare il poligono funicolare delle forze (peso proprio e sovraccarichi) che incontra tre punti: il punto a’ in chiave, il punto M’ e il punto simmetrico dall’altra parte nelle reni. A partire dalla seconda metà dell’ottocento subentra una rinnovata concezione del problema strutturale. Metodi grafici del Culmann prendono il sopravvento. L’analisi elastica delle strutture diventa la chiave di lettura privilegiata, risolvendo il tema dell’arco in una applicazione particolare della teoria sulla trave ad asse curvilineo. L’ingresso dell’elasticità ha consentito di rimuovere le insormontabili incertezze che gravavano sul modello rigido degli antichi. 30 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri Segue Secolo XIX Il Winkler è riuscito a dimostrare che il principio di minimo introdotto da Moseley, potesse essere dedotto in una rinnovata formulazione, quale conseguenza dei teoremi di minimo caratteristici della teoria elastica. Si imponga infatti che in un arco elastico sia minima l’energia di deformazione: Se con e si indica la distanza verticale tra la curva delle pressioni e l’asse geometrico dell’arco, si ha: M = Pe Da dove: Se dunque la rigidezza è costante, la precedente formula si riduce a: Tale relazione afferma appunto il principio di minimo proposto dal Winkler e cioè che “tra tutte le curve di pressione che si possono costruire per i carichi agenti, quella vera è tale da discostarsi il meno possibile in media dalla linea d’asse dell’arco”. 31 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri 5. La scienza delle costruzioni durante la rivoluzione industriale 5.1. La rivoluzione industriale La svolta ottocentesca ha condotto gradualmente la scienza del costruire alla sua attuale impostazione. Due sono gli aspetti preminenti del sensibile spostamento di interessi promosso dagli ingegneri e dagli scienziati delle scuole politecniche nei primi anni dell’Ottocento rispetto al passato: • il primo sta nell’accentrarsi dell’attenzione sulle proprietà meccaniche dei materiali e nella loro risposta alle sollecitazioni. Nuovi aspetti diventano fondamentali, quali la tensione e la deformazione, ai quali debbono essere imposti limiti di sicurezza. Nel passato la forma geometrica della costruzione era la protagonista dell’intervento strutturale. L’invenzione compositiva e la compatibilità statica erano due elementi inscindibili di uno stesso processo progettuale. L’impiego appropriato del materiale metallico, disponibile in gran quantità, consente una maggiore “libertà” della variabile formale, introducendo schemi statici inusitati. • Il secondo aspetto riguarda nella rinnovata lettura della costruzione che fa scorgere in essa la traccia di strutture più o meno elementari. Mentre nel passato gli elementi dell’edificio (arco, muro,ecc.) erano riferiti a “macchine semplici” come la leva e il cuneo, ora l’intero edificio è colto nel suo scheletro portante che veicola e risolve le sollecitazioni. Subentrano nuovi elementi, come la trave continua su più appoggi o il telaio. • In generale si può affermare che la rivoluzione industriale ha inciso moltissimo nelle tecniche costruttive, sia per l’edilizia civile e industriale, sia per le opere strutturalmente più impegnative, come i ponti e le grandi coperture. • 5.2. Edifici civili Il primo esempio di edificio con colonne e travi in ghisa racchiuse tra pareti esterne in muratura è lo stabilimento a sette piani del 1801 progettato a Manchester da Boulton e Watt; ma pur essendo abbastanza frequente la sostituzione della parete piena con elementi verticali di ghisa, nelle regioni industrializzate, restano ancora episodiche le ossature integralmente metalliche: occorrerà attendere sino alla seconda metà dell'Ottocento. Del resto, una soluzione soddisfacente ai vari tentativi per sostituire il ferro al legno nei solai cominciò ad apparire dopo il 1836 con la produzione industriale delle travi a doppio T. • Ma già da tempo l'edilizia popolare per i cosiddetti “edifici di pigione” alle periferie delle grandi città, aveva adottato procedimenti costruttivi e tipologie strutturali più flessibili, dove il muro perdeva la sua funzione statica a favore del pilastro. • Anche nella realtà poco industrializzata dell'Italia, Alessandro Antonelli (1798-1888) aveva operato in questo senso, elaborando un sistema di “scheletro in muratura” costituito da pilastri di mattoni (da lui definiti “fulcri”), da archi ribassati a spinta eliminata con catene inserite nello spessore della muratura e da solai realizzati con volte, il tutto sempre in mattoni. L’esperimento, la cui compatibilità economica era certamente connessa alla perizia delle maestranze e al basso costo della manodopera, è un precedente culturale della grande diffusione delle strutture a scheletro in cemento armato che proprio in Italia ebbe a verificarsi sin dai primi anni del nostro secolo e poi sempre con maggior intensità, pur senza passare attraverso la mediazione delle costruzioni metalliche. 32 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri • 5.3. Il ferro nella costruzione dei ponti Nella costruzione dei ponti si può dire che l'ingresso della ghisa e del ferro interviene ancor prima che fossero intese le potenzialità strutturali di questi materiali. Significativo è il caso del ponte sul Severn ad Ironbridge presso Coalbrookdale, opera di A. Darby, intorno agli anni 1776-79. Per la prima volta la ghisa è adoperata come elemento fondamentale della costruzione. Le nervature principali furono fuse, come un'enorme scultura in getti lunghi circa 21 metri, su forme di sabbia aperte da un altoforno costruito appositamente, quindi trasportate per via fluviale sul posto e sollevate con funi e unite in chiave. Non furono impiegati né chiodi, né bulloni. • Ancor più significativo è il caso dei ponti progettati o costruiti verso la fine del XVIII secolo, dove la ghisa è trattata al modo della pietra, come materiale ben resistente a compressione: ad esempio, per il ponte tra Sunderlande Monkwearmount gettato nel 1796 sul Wear, dove Burdon adottò una struttura a sei archi affiancati, ognuno di 125 pannelli cavi di ghisa, collegati trasversalmente a quelli dell'arco vicino da sbarre di ferro fucinato. Lo stesso concetto sarà usato anche in Francia dal Lamande per il ponte Austerlitz a Parigi (1801-1806). • Gradualmente l'uso del ferro condusse gli ingegneri ottocenteschi ad esprimere nuove forme strutturali che, affrancandosi dagli schemi tradizionali connessi ai ponti in muratura e in legno, valorizzassero meglio le notevoli capacità di resistenza a trazione e a compressione del metallo. E qui si iscrive certamente l'interessante e movimentata storia dei ponti sospesi. • Sin dal Seicento illustri matematici si erano confrontati sulla risoluzione teorica del ponte sospeso, e d'altro lato si può ben dire che lo schema di una passerella dove un tronco d'albero è sostenuto da esili rami di piante sarmentose, appartiene a tradizioni costruttive remote, tra le memorie dei popoli primitivi. Il primo ponte metallico sospeso di cui si abbiano notizie certe in Europa è quello di Winch sul Tees e risale al 1741; in realtà si tratta di una passerella con l'impalcato posato direttamente sulle catene di ferro fucinato. 33 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri Segue • Il ferro nella costruzione dei ponti L'invenzione del ponte sospeso con impalcato irrigidito è generalmente attribuita a Judge J. Finley (1762-1818), un americano della Pennsylvania che ne costruì alcuni esemplari intorno agli ultimi anni del XVIII secolo. In Inghilterra, il capitano di marina S. Brown introdusse il medesimo schema: il suo ponte sul Tweed del 1813, con l'impalcato sostenuto da dodici catene formate da anelli di 5 cm di diametro, su elementi lunghi 4,5 m, per una luce di 91 m, è considerato il prototipo dei ponti sospesi europei. Anche Telford (fig. 10.6) e, nel continente, Navier (con il “pont des Invalides” a Parigi del 1823), Chailey (con il ponte sulla Sarine a Friburgo di 273 m, a quel tempo il più lungo d'Europa), si impegnarono in questa tipologia strutturale che così efficacemente valorizzava il materiale metallico; si giunge così a uno dei maggiori capolavori dell'ingegneria ottocentesca: il ponte sull'Avon a Bristol del 1836, opera del giovanissimo I. K. Brunei (1806-1859). • Deve essere inoltre ricordato il grande sviluppo dell'ingegneria ferroviaria dapprima in Inghilterra, quindi in altri paesi europei e finalmente, dalla metà del secolo, in America. L'analisi strutturale deve moltissimo all'ingegneria ferroviaria; il dibattito scientifico e tecnico che accompagnò e seguì la creazione di opere eccezionali, come il ponte sul fiume Conway realizzato da R. Stephenson nel 1845 per la linea Londra-Chester-Holyhead, o come il ponte Britannia sul Menai, dello stesso Stephenson, realizzato negli anni tra il 1844 ed il 1850, segnò, si può dire, l'inizio delle moderne teorie • Verso la fine del secolo scorso la tecnica dei ponti ferroviari dette risultati di impressionante arditezza e di ammirevole eleganza, quasi all'apice dì una “civiltà del ferro” venuta maturando dalla rivoluzione industriale. Basti citare la gigantesca struttura reticolare spaziale del ponte sul Firth of Forth (18821889) di B. Baker e J. Fowler, o i numerosi viadotti dovuti al grande ingegnere e imprenditore G. Eiffel. 34 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri 5.4. Le grandi coperture e le esposizioni universali La rivoluzione industriale ha influenzato notevolmente la scienza del costruire anche attraverso le nuove prospettive offerte dal ferro per la copertura di grandi luci in edifici speciali, legati alla civiltà dell'industria che, prorompendo quasi dall'esterno, hanno rinnovato formalmente l'invenzione costruttiva: si tratta delle “esposizioni universali” con le quali le grandi nazioni europee, in particolare l'Inghilterra e la Francia, seppero affermare un proprio ruolo sul piano economico del commercio internazionale. Come è noto, la prima “esposizione universale” si tenne a Londra in Hyde Park nel 1851; un costruttore di serre, J. Paxton vinse il concorso-appalto essendo riuscito a garantire la rapidità dell'esecuzione e il recupero integrale degli elementi dopo lo smontaggio, grazie a una completa prefabbricazione. Sotto il profilo strutturale sono però forse più interessanti gli edifici predisposti per le “Galeries de Machines” di alcune esposizioni francesi degli anni successivi: il problema da risolvere era quello di un'ampia copertura in ferro e vetro. Per l'esposizione del 1867 di Parigi, la soluzione adottata dal progettista Krantz fu di usare archi metallici su una luce di 35 m e di eliminare le spinte prolungando i pilastri all'esterno e collegandoli con tiranti sopra la volta vetrata; in tale occasione, il giovane G. Eiffel, che aveva da poco aperto l'officina incaricata di predisporre le armature, si incaricò dei calcoli e delle verifiche sperimentali. Tra le esposizioni, la più famosa è certo quella di Parigi del 1889, nel centenario della Rivoluzione francese, con l costruzione della “Tour Eiffel”, alta 300 m, il cui profilo - secondo quel che ne dice lo stesso Eiffel - fu disegnato in modo da resistere all'azione del vento; altrettanto suggestiva doveva essere la “Galerie des Machines” ideata da Dutert e progettata strutturalmente da Contamin, Pierron e Charton dove grandi archi reticolari a tre cerniere coprivano una luce di 115 m; purtroppo la “Galerie” fu demolita nel 1910. Per rendere il quadro un po' meno incompleto occorre aggiungere un cenno sulle stazioni ferroviarie e sui grandi mercati coperti per i quali l'impiego di strutture metalliche, generalmente reticolari, si diffuse soprattutto durante la seconda metà dell'Ottocento: notevole, per impegno e per primato temporale, è il caso della stazione di San Pancrazio a Londra (1865), opera di B. H. Harlow, la cui volta è sostenuta da archi a traliccio, a sesto acuto, su una luce di 73 m e una freccia di 30,50 m; la spinta orizzontale è assorbita da una catena orizzontale alloggiata sotto il piano del ferro. 35 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri 6. L’ingresso del calcolatore nella scienza delle costruzioni • L'elemento dominante che ha determinato l'evoluzione della scienza del costruire nel corso dei secoli e che ancor oggi ne sta governando gli sviluppi più promettenti, è di natura “linguistica”. Accanto all’innegabile avanzamento conoscitivo scientifico si pone un'altra linea di ricerca volta più all’estensione e alla riforma del linguaggio sul medesimo materiale empirico, che delle conoscenze. Del resto, ciò è caratteristico in generale della meccanica classica, la quale, come osserva il Dugas, “è una delle branche della fisica il cui bagaglio di principi è nello stesso tempo molto ristretto in volume e molto ricco di conseguenze utili. Poche scienze, d'altra parte, hanno richiesto un maggior sforzo allo spirito umano: la conquista di qualche assioma ha richiesto più di duemila anni”. • Secondo Lagrange spesso non è stato l'ingresso di nuovi dati sperimentali a orientare l'indagine, bensì una rinnovata invenzione linguistica che consentisse di accogliere in una sintassi e in un lessico sempre più comprensivi e potenti i risultati parziali raggiunti direttamente, dimostrandone la congruenza formale e talvolta addirittura l'identità di contenuto. Lo studio storico della scienza del costruire trova un suo asse direttivo proprio in questo esito, per la formazione di un linguaggio giusto, operativo e rigoroso, universale e duttile, capace di coprire ogni istanza di razionalità, a tal segno da porre se stesso come principio di validazione, nel senso che ogni ipotesi, ogni conclusione particolare riceve ormai legittimità se può iscriversi nel grande quadro formale definito dai principi e dai metodi deduttivi. • Si è così passati dal linguaggio mitico simbolico dei primitivi, al simbolico-geometrico dell'antichità e del Medioevo, al geometrico-meccanico dell'età rinascimentale e barocca, al meccanico-analitico dell'Illuminismo e del primo Ottocento, al analitico-formale della sistemazione contemporanea. • Questa metamorfosi linguista continua, con ritmo accelerato. Ci separa solo un secolo dalla “rivoluzione grafica” di Culmann che aveva gradualmente invaso l'intero campo della statica strutturale ridefinendone l'ordine logico; in questo secolo la disciplina ha cambiato “pelle” più volte, sempre più in stretto contatto con le trasformazioni del linguaggio matematico. C'è stata la stagione della notazione vettoriale, sino al suo compimento assoluto o autonomo nella teoria generale delle omografie vettoriali elaborata in vista delle applicazioni meccaniche da C. Burali Forti e R. Marcolongo; c'è stata la stagione più fortunata della traduzione nei termini eleganti del calcolo tensoriale, introdotto da G. Ricci e da T. Levi-Civita; c'è stata la stagione della revisione sistematica dei problemi fondamentali alla luce degli strumenti e dei metodi offerti dall’analisi funzionale. 6.1. Mutamenti linguistici linguaggio linguaggio linguaggio linguaggio 36 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri 6.2. Uso del calcolatore Il più delle volte, però, si è trattato di travestimenti parziali e soprattutto circoscritti alla mera ricerca teorica, senza un reale coinvolgimento della pratica progettuale, più vicini alla meccanica dei solidi che non alla scienza del costruire. Ben diverso è il caso che si è venuto verificando specialmente negli ultimi anni, con l'ingresso del calcolatore e la diffusione dei metodi di calcolo automatico. L'analisi delle strutture ne ha risentito fortemente sia in sé, sia in riferimento al più vasto orizzonte della cultura scientifica e tecnica attuale. A partire dalla fine degli anni cinquanta l'uso del computer ha trasformato la stessa definizione dei problemi e gli obiettivi della disciplina, rimovendo ostacoli che prima sembravano insormontabili, orientando in modo diverso le esigenze e il senso delle domande, abbandonando procedimenti approssimati, soluzioni geniali e sintetiche che avevano riscosso anche indiscusso credito. Accanto allo sviluppo delle tecniche numeriche per la formazione di programmi di calcolo adeguati alle svariate circostanze del progetto strutturale; accanto agli aspetti politico-gestionali che hanno caratterizzato la nascita e l'affermazione commerciale dei risultati applicativi a ridosso della grande industria informatica, si è assistito a un progressivo spostamento di interessi anche in sede teorica: la verifica “sperimentale” ha dilatato il suo campo di intervento riguardando non solo gli oggetti fisici in consegna alle macchine di prova, ma anche i modelli matematici in consegna al calcolatore. La “sperimentazione” sul modello matematico è diventata, per lo scienziato e il tecnico, un criterio irrinunciabile di “validazione”, così come la rispondenza ai fatti è irrinunciabile criterio di verità per la scienza fisica da Galileo in poi. Oggi è diffusa l'opinione che l'avvento del calcolo automatico abbia posto fine a tale epoca semi-empirica dell'ingegneria: ormai, possono essere costruiti modelli matematici raffinati su alcuni dei più complessi fenomeni fisici e, se la potenza del calcolatore è sufficiente, si possono produrre risultati numerici credibili sulla risposta del sistema esaminato . Certo è che oggi siamo al termine di una impressionante rivoluzione linguistica che ha attraversato la meccanica delle strutture per tradurla a servizio del calcolo automatico; è l'ultima rivoluzione, paragonabile, in estensione ed efficacia applicativa, solo a quella ottocentesca della statica grafica. L'ingresso del calcolatore ha promosso lo sviluppo di molteplici strumenti di analisi numerica per lo studio di strutture più complesse, non riconducibili a travi e a travature. La meccanica dei solidi, e in particolare la teoria dell'elasticità, hanno così trovato ampio spazio per le applicazioni. I metodi generalmente usati consistono nel “discretizzare” le equazioni di equilibrio e di congruenza valide nel continuo, superando lo scoglio, spesso insormontabile, dei sistemi di 6.3. equazioni differenziali alle derivate parziali, ai quali l'indagine fisico-matematica Il metodo approda. In un primo tempo, la “discretizzazione” era veduta come un capitolo degli elementi interno al calcolo numerico, di cui l'ingegnere poteva ritenersi “utente”, senza peraltro entrare nel merito delle delicate questioni affrontate dai matematici finiti addetti ai lavori. In tale spirito erano applicati metodi come quello delle differenze finite o come quello variazionale diretto, su cui esistevano rassicuranti risultati fondamentali. Il panorama è mutato alquanto con l'avvento del cosiddetto “metodo degli elementi finiti”, ideato da numerosi ingegneri e matematici (B. Fraeijs de Veubeke, R. W. Clough, O. C. Zienkiewicz, R. H. Gallagher, J. H. Argyris). 37 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri Segue Il metodo degli elementi finiti Questo metodo interpreta la struttura come una composizione di elementi, di varia forma e dimensione; su ognuno di essi è svolta una preventiva analisi approssimata, in modo da caratterizzarne il comportamento mediante un numero discreto di parametri (o gradi di libertà), giungendo ad equazioni di legame tra le forze applicate nei vertici dell'elemento e gli spostamenti dei vertici stessi. È evidente l'analogia con l'impostazione descritta nei paragrafi precedenti relativa alle travature; così come ogni elemento trave era definito dagli spostamenti e dalle forze agli estremi 1, 2, allo stesso modo ogni elemento finito è ora rappresentato dagli spostamenti d e dalle forze f che operano nei suoi vertici. L'analisi dell'elemento perviene perciò, secondo uno dei procedimenti più comuni del metodo, a un'equazione matriciale del tipo: f - Kd dove K viene detta matrice di rigidezza dell'elemento. Successivamente viene affrontato il problema dell'assemblaggio dei diversi elementi, per esprimere la relazione tra le forze esterne agenti sulla struttura e gli spostamenti nei vertici della maglia a cui il continuo è stato ricondotto. L'abilità dell'operatore si rivela nella scelta della maglia più opportuna, infittita là dove si prevedano concentrazioni o rapide variazioni dello stato di tensione: più larga là dove l'andamento prevedibile sia sufficientemente “regolare”, aderente alla forma della struttura soprattutto nelle regioni che richiedono maggior attenzione. La figura sottostante riporta un campionario di elementi finiti, tra quelli più comuni e più noti: come si vede, esistono ampie possibilità di scelta per rappresentare, mediante la loro unione, svariati oggetti strutturali: dalla lastra caricata nel proprio piano, alla lastra inflessa, alla membrana, al guscio, all'elemento solido assial-simmetrico, al corpo tridimensionale di forma generica. 38 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri Segue Il metodo degli elementi finiti Si deve molto all'ingegneria aerospaziale se il metodo ha raggiunto rapidamente traguardi applicativi soddisfacenti, sviluppandosi con grande vivacità sin dalla fine degli anni cinquanta. Ancora oggi il campo aerotecnico e aerospaziale continua a detenere primaria importanza. L’immagine sotto riportata è tratta dai "Proceedings" di un convegno AGARD (Advisory Group for Aerospace Research and Development) del 1975: vi sono rappresentate le sub-strutture in cui è stata suddivisa l'analisi strutturale di un velivolo militare, con l'indicazione della maglia per il naso della fusoliera, per un totale di 1.900 nodi, 4.777 elementi e 10.452 “gradi di libertà” (variabili incognite). 39 Corso di Laurea AR Corso di Teorie e tecniche costruttive nel loro sviluppo storico – Giorgio Monti, Silvia Alessandri Segue Il metodo degli elementi finiti Si possono addurre altri esempi. Le due figure sotto riportate sono prese da un testo classico sugli elementi finiti di O. C. Zienkiewicz e riguardano l'analisi della tensione in una diga a gravità, nell'ipotesi di stato piano (fig. a): come si vede, lo studio è esteso anche al terreno sottostante tenendone presenti le caratteristiche geologiche. Nella fig. b appare il risultato finale, ossia la individuazione delle tensioni e delle direzioni principali in ogni elemento sotto l'azione combinata del peso proprio e della pressione dell'acqua: entrambe le azioni sono intese come forze esterne. 40