Il Periodo Tardo-Romano e Bizantino

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Il Periodo Tardo-Romano e Bizantino
Il Periodo
Tardo-Romano
e Bizantino
Nel periodo tardo-romano e bizantino si posero le basi per sostanziali
modifiche territoriali e urbanistiche dell’area gallesina, in particolare con la fortificazione del centro
storico durante la guerra greco - gotica (535-553), evento che ne definirà in modo sostanziale l’assetto.
A livello politico, economico e strategico era indispensabile lo stretto
controllo delle strutture poste lungo le vie consolari, in ciò includendo anche il centro di Rustica, che
proteggeva il tratto della via Flaminia e il passaggio del Tevere nel
territorio di Gallese Teverina.
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GALLESE
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La storia di Gallese, a questo punto, si interseca con quella dell’intera Tuscia e viene in
parte segnata dalle vicende legate a Teodorico, re degli Ostrogoti dal 474, il quale entrò
nella penisola italica nel 489. Dopo l’uccisione di Odoacre avvenuta nel 493, Teodorico divenne re d’Italia, carica che mantenne
sino al 526, anno della sua morte, affidando
il regno al nipote Alarico, con la reggenza
della figlia Amalasunta.
Durante il regno di Teodorico, l’area corrispondente al territorio di Gallese non presentò inizialmente particolari modifiche,
dato che i grandi signori terrieri, in alcuni
casi burocrati o comandanti militari, avevano sviluppato forme di protezione sulla
popolazione dei liberi villaggi rurali. A questo potere, cominciava ad affiancarsi anche
quella della Chiesa di Roma, che tramite i
vescovi svolgeva un ruolo politico e sociale
di grande prestigio, proponendosi al contempo come forza fondiaria per le acquisizioni terriere dovute a lasciti e benefici. In
questa ottica è stata avanzata l’ipotesi della
presenza nel territorio di Gallese di una precoce sede episcopale, ma le fonti storiche
non sono concordi su tale possibilità.
Nel V secolo, comunque, il territorio di Gallese presentava nuclei organizzati di cristiani,
posti in prevalenza nella zona tiberina, lungo
l’ antica Via Flaminia, dove sono testimoniati
insediamenti sin da epoche altomedioevali (San Valentino) e anche il culto di antichi
santi martiri (Gratigliano, Felicissima) lascia
trasparire lontane radici.
A livello storico, l’avvento al trono bizantino di Giustiniano I e l’azione di Amalasunta, pervenuta al trono dopo la morte di
Atalarico nel 534, permisero all’antica classe
senatoria romana di portarsi su posizioni di
privilegio, coinvolgendo nel benessere anche la chiesa di Roma, il potere emergente
in quella fase storica.
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Questo equilibrio cambiò repentinamente
con l’uccisione della regina, fatta rinchiudere dal cugino Teodato nell’isola Martana, sul
lago di Bolsena, evento che permise al potere bizantino di giustificare un intervento
armato in Italia. E così fu: senza dichiarare
ufficialmente guerra, un corpo di spedizione
comandato da Belisario, risalì la penisola incontrando poca resistenza, tanto che i goti di
stanza a Roma gli mossero incontro lungo
la via Appia, eleggendo il loro nuovo capo
Vitige, il quale lasciò un sostanzioso presidio
a Roma e si recò a Ravenna, portando con sé
alcuni senatori romani in ostaggio.
Belisario, vista l’assenza da Roma dei goti,
pensò bene di entrarvi e pianificare la resistenza, riattando le mura e organizzando la
difesa, cosa che attuò anche nei dintorni di
Roma, lungo le vie consolari.
A questo punto si inserisce il discorso relativo a Gallese, che fu probabilmente fortificata attorno al 536 per rappresentare un
forte sbarramento ai goti lungo la via Flaminia, insieme alla città di Narni. L’ipotesi
della fortificazione di Gallese è avvalorata dal fatto che negli anni successivi verrà
definita castrum, con ciò intendendo una
struttura militarmente definita, che poteva
oltretutto badare anche alla via Amerina,
con il concorso della popolazione, ancora
vicina all’antico potere romano. Belisario, in
questo modo, riuscì a condurre a termine la
resistenza, tanto da costringere i goti a chiedere l’armistizio.
Gallese, quindi, fu fortificata durante la
guerra greco - gotica secondo le precise regole della strategia militare, tenendo presente
che sullo sperone tufaceo era esistito un insediamento acropolico e politico dell’epoca
falisca. La cerchia muraria fu però ristretta
e venne scavato un largo fossato a ridosso
delle mura stesse, mentre la parte centrale
dell’abitato assumeva una forma ellittica,
con all’interno l’originaria ramificazione ortogonale. Estrema cura, poi, venne riservata
alle porte e alle torri di difesa, erette lungo il
fossato naturale e legate tra loro dalle mura.
La porta principale di accesso alla città era
posta, probabilmente, nell’attuale Piazza
Dante e doveva essere la meglio difesa, data
la permanenza in loco del toponimo Castelluccio. Proseguendo in senso orario, la seconda porta si apriva nel punto in cui, da
Piazza Matteotti, inizia Corso Duca Luigi, il
quadrivio noto come Fontana delle tre cannelle. La terza porta coincideva con l’area a
est del Duomo, mentre la quarta era ai piedi
del Montarozzo, oggi Piazza Tronsarelli.
All’esterno della cinta muraria ristretta si
praticavano coltivazioni a cereali e legumi,
coltivazioni stagionali e di limitata altezza,
che non avrebbero pregiudicato, con il bruciare, la struttura muraria.
I militari addetti alla cittadella fortificata
erano comandati da un ufficiale superiore,
dux o comes, mentre il reclutamento venne
effettuato, inizialmente, tra i bizantini provenienti da Costantinopoli o dalle regioni
bizantine d’Italia, ma, subito dopo, si verificò la consueta osmosi con la popolazione
locale, fino a confondersi con la classe degli
antichi possessores, che avevano il diritto di
portare le armi, partecipare alle elezioni dei
vescovi e difendere in genere le civitates, i castra, le terrae”.
La fortificazione bizantina, insieme a quelle
successive, si intuisce ancora girando per gli
stretti vicoli e le alte torri del nucleo storico, oltre alla visione fornita dalle imponenti
mura urbane. In tale frangente non fu trascurata la naturale linea difensiva approntata
in periodo preromano e costituita dalla zona
della Rocca. Questo doppio polo urbano
nei secoli successivi verrà indicato talvolta
con due nomi diversi, il castrum e la civitas, designando con questo termine l’origi-
naria fortificazione bizantina con lo spazio
intramurale. È utile infine evidenziare che
l’insediamento urbano manterrà nei secoli la propria prerogativa, conservando tali
presupposti strategici per tutto il periodo
dell’epoca comunale.
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Il Periodo
Longobardo
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Il rapporto di Gallese e della sua cittadella fortificata con le popolazioni barbariche continuò anche nei secoli successivi, inserendosi nelle vicende storiche legate ai Longobardi, il
Ducato Romano e la Chiesa di Roma.
Nel maggio del 569 i longobardi, al comando di re Alboino, erano entrati in Italia, occupando gran parte della zona padana e spingendosi nella Tuscia, divisa poi in Tuscia Langobardorum e Tuscia Romana. I bizantini si erano ritirati invece nelle terre libere, asserragliati
in capisaldi posti lungo itinerari di transito indispensabili al collegamento Roma – Ravenna: è questo il caso di Gallese che, trovandosi lungo il tragitto primario (il corridoio bizantino), fu particolarmente custodito e protetto, esplicando la massima efficienza difensiva
grazie a interventi strutturali e militari sulla precedente fortificazione.
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Nel settembre del 591 Narni cadde in mani
longobarde e la Flaminia rimase interrotta, limitando il transito libero alla sola Via
Amerina che l’anno dopo del 592, fu probabilmente sbarrata dall’iniziativa dei longobardi, che avevano preso Perugia, Todi e
Amelia, controllando di fatto anche Orte e
Bomarzo.
Papa Gregorio I (590-604), in quei difficili
momenti, cercò l’aiuto dell’esarca Romano,
il quale accorse a Roma e iniziò una controffensiva verso nord, riconquistando la
maggior parte delle postazioni lungo la linea
tiberina, liberando Sutri, Orte, Bomarzo,
Narni, Amelia, Todi, Perugia e Luceoli ma,
in pratica, non risolse il problema della minaccia longobarda su Roma che rimaneva,
di fatto, in grave pericolo.
Si deve al grande pontefice, morto il 12 marzo 604, l’organizzazione del Patrimonium S.
Petri, una vera proprietà fondiaria concentrata principalmente a Roma, ma al centro
di un’area nota come ducato romano, la cui
direzione era affidata a un dux.
Il confine di tale ducato, per quanto riguarda la nostra zona, scendeva dai Monti della
Tolfa, passava tra la longobarda Orcle (vicino
Vetralla) e Bieda (oggi Blera), per scendere
sino a Sutri; da qui, risalendo verso nord-est,
raggiungeva Bomarzo lasciando fuori Viterbo; dopo aver attraversato il Tevere alla confluenza del Vezza, inglobava Amelia e Narni
per scendere, poi, in Sabina. La zona più delicata del territorio ducale era quella delimitata dal confine tra la Tuscia Langobardorum
e la Tuscia Romana, specie nel punto in cui
la demarcazione si inseriva profondamente
nel territorio romano; in questo triangolo
geografico penetravano vie estremamente
importanti: la Clodia, la Cassia, l’Amerina e
la Flaminia.A protezione di queste direttrici
erano dislocati i castra di Blera, Sutri, Nepi,
Gallese, Orte, Bomarzo, Amelia e Narni, i
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GALLESE
quali assicuravano la continuità dei rapporti con la sede dell’esarca d’Italia (Ravenna)
lungo la via militare creata dai bizantini, che
da Amelia, per Todi e Perugia, raggiungeva
il ducato di Pentapoli e Gubbio, per riunirsi
all’antica Via Flaminia, collegata al versante
adriatico. Gallese, compresa nel Ducato Romano, aveva il compito decisivo di controllare Amerina e Flaminia, ed era ambita in
particolare dai longobardi, con una pressione militare e strategica che durava ormai da
quasi due secoli.
La complessa situazione si chiarì nel 738,
con la vicenda che è nota come la causa del
Gallensium castrum, in base alla quale papa
Gregorio III (731-741) seppe assicurare Gallese al Ducato Romano, trattando con il duca
longobardo Trasimondo II e inserendo nella
trattativa l’exercitus Romanus e la direzione
bizantina in Italia. La vicenda vide anche un
pesante intervento economico della Chiesa
di Roma, la quale, nei fatti, assicurò Gallese alla sua gestione, evento che determinò
poi il consolidarsi di un’opportuna sede vescovile. La relativa tranquillità determinata
dalle nuove situazioni territoriali aveva tolto al nucleo centrale di Gallese il carattere
militare e si andava formando un centro artigianale e commerciale in grado di fornire
servizi e strutture ai borghi extra moenia, di
carattere prevalentemente rurale. Unità abitative nuove andarono quindi ad occupare
lo spazio tra la fortificazione bizantina interna e l’anello murario posto sul bordo dell’intero pianoro tufaceo, prevalentemente negli
spazi che offrivano il fianco a penetrazioni
dall’esterno. La Rocca, come porta urbana
d’eccellenza, aveva il compito di chiudere
la muraglia nel terminale ovest, lasciando
un limitato accesso, da sempre protetto da
poderose strutture e dal ponte levatoio, che
superava il fossato scavato per isolare la città
dal resto del pianoro.
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Vescovi e Papi a Gallese
La prima notizia certa della presenza di un
vescovo a Gallese è dell’826, quando, nel
Concilio Romano tenutosi sotto Eugenio II,
Donato si firma come episcopo Gallensi,
Nel secolo IX, dopo il vescovo Donato, da
più storici viene confermata la presenza a
Gallese di Dominicus, episcopus Galliensis, presente ai Concili romani dell’853 e
dell’861, al quale successero Stephanus e
Theodorus Gallisiensis episcopus, documentati
nell’877 e nell’879.
Dopo Teodoro, per circa venti anni le fonti
documentarie tacciono, ma è proprio in tale
periodo che salgono al soglio pontificio due
cittadini di Gallese, Marino I, papa dal 16
dicembre dell’882 al 15 maggio 884, e Romano, pontefice nell’897.
I due papi, secondo la tradizione locale,
appartenevano entrambi alla famiglia Saccardini e ancora oggi le memorie ricordano
una casa dei pontefici, “posta presso la piazza Minuta denominata poi Benvenuta e ora
Fontana” sulla facciata della quale, sino al
XVII secolo, “si vedevano graffiti e dipinti
geroglifici antichi”.
Nel IX secolo, pertanto, con la vicenda dei
papi gallesini, l’evoluzione urbanistica e
strutturale della città era ormai nel pieno
della potenzialità, mentre nelle campagne
prevaleva un’attività di tipo silvo - pastorale, caratterizzata dallo sviluppo della caccia
e dell’allevamento brado, con la relativa presenza di estesi boschi di querce e faggi, dove
venivano accolti gli allevamenti dei suini.
Nei campi, gestiti in maniera aperta, venivano coltivati i cereali “inferiori”, come il mi26
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glio, la segale, l’orzo e nei tempi intermedi
si attivava il pascolo promiscuo di greggi e
armenti.
Le colture più ricche, frumento, olio e vite,
erano praticate nei terreni posti nelle immediate vicinanze del luogo fortificato e spesso addirittura all’interno del centro storico,
alterando in qualche modo l’organizzazione
rurale romana, basata sul sistema agrario del
maggese e delle piantagioni. Nel territorio
erano ancora attivi centri periferici fortificati
(La Torricella, il Peschio, la Rustica), concentrati nella zona sud-est del territorio.
In città, l’esistenza della sede episcopale
rendeva obbligatoria la presenza del centro
direzionale, amministrativo e commerciale dell’intero territorio, mentre la sicurezza
offerta dalle fortificazioni rendeva appetibili
gli spazi di terreno liberi, sui erano presenti
colture orticole, praticate anche sui terrazzamenti ricavati lungo le spalle del pianoro,
specialmente nella zona est. Per scendere dal
centro storico a tali terrazzamenti veniva
impiegata una stretta via, ricavata nei pressi delle mura e probabilmente coperta, così
come ancora oggi lascia trasparire il nome
che le viene riservato, di Carbonare.
Il centro storico, a livello urbanistico, tendeva ad uscire dal nucleo più interno, per
espandersi lungo direttrici non sempre ortogonali e diverse per ogni settore del centro
urbanizzato. Nella parte orientale, ad esempio, ci sarà un forte sviluppo radiale, in parte
condizionato dalla spontanea regolarità degli insediamenti orticoli, mentre nella parte
occidentale della città continuerà a proporsi
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come asse di riferimento la via centrale, oggi
identificabile, all’incirca, con il Corso Duca
Luigi, attorno alla quale si svilupperanno
percorsi minori paralleli e legati da vie trasversali ridotte nella larghezza.
L’impianto della cattedrale, a nord, determinò la modifica dello sviluppo urbanistico
della città, rinnovando una forma a fuso, con
al vertice superiore la nuova struttura ecclesiastica, la quale costituisce ancora la sintesi
finale del sistema a tre strade, che iniziando
dall’Arco di Porta va a concludersi proprio
nella piazza della cattedrale. In tale area,
poi, erano insediate le strutture pubbliche,
con i consueti spazi decisionali e consiliari:
ancora oggi, lo spazio sul quale incidono la
cattedrale ed il municipio è detto Piazza del
Comune.
In tale ottica storica, urbanistica e territoriale il Galliensium castrum lasciò il posto alla
Civitas Gallesina (Gallisana,Gallesana, Gallensis, Galesium), così come compare nel Liber Pontificalis, nei diplomi delle donazioni
imperiali alla Chiesa e in diverse bolle papali, sin dal periodo altomedioevale.
La presenza del vescovo a Gallese, almeno
dagli inizi del IX secolo, aveva reso la civitas
punto di riferimento dell’intero comprensorio e cives erano i cittadini abitanti sia in
città che nelle campagne o insediamenti secondari.
Nella realtà, tuttavia, i termini civitas e castrum talvolta convissero, lasciando trasparire l’ipotesi che l’urbanizzazione del pianoro
tufaceo abbia mantenuto, sino al XV secolo,
una sorta di frattura fra il nucleo storico centrale e la Rocca, riservando solo a quest’ultima l’attribuzione di castrum e destinando al
centro urbano la denominazione di civitas.
Ancora oggi il Palazzo Ducale è separato
dalla città da un profondo fossato (i vaconi)
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e anche nella documentazione relativa alle
contrade la struttura castellana non viene
mai inserita nella planimetria cittadina ma
tenuta all’esterno e caratterizzata sempre dal
vocabolo Rocca.
L’antica cattedrale di Gallese, infine, presentava probabilmente i caratteri tipici
dell’edilizia romana sacra del IX secolo, ma
era probabilmente rivolta a est, a differenza
della nuova cattedrale, rivolta verso il centro
storico.
Dal punto di vista religioso un importante
veicolo fu rappresentato dalle passiones dei
santi martiri, che seguivano le antiche vie
consolari, dislocandone il culto e le strutture organizzate: la Via Amerina, ad esempio,
facilitò la conoscenza dei santi dell’Umbria
ed è indicativo come a Gallese si evidenzino
le passiones relative a San Cassiano di Todi,
Santa Firmina e San Secondo di Amelia, San
Valentino di Terni. Altri santi sono invece
riconducibili all’area viterbese (Sant’Eutizio, San Gratigliano e Santa Felicissima) o
alla Via Cassia (Sant’Alessandro). Notizie di
reliquie e testimonianze connesse a Gallese
sono posteriori al secolo XV, ma nella tradizione scritta si nota l’impegno a ricordare come “antiche” le venerazioni riservate a
questi santi.
Un altro punto da tener presente è la funzione degli insediamenti monastici per l’accoglienza e l’ospitalità dei pellegrini, oltre
all’esplicazione delle opere legate all’organizzazione della fede itinerante: fin dal VII secolo i monasteri rappresentano i centri vitali
di una nuova organizzazione ecclesiastica e
anche per Gallese si ipotizza un precoce insediamento di monaci lungo la via Flaminia
e nell’area che comprenderà poi il convento
e chiesa di San Benedetto, oggi Sant’Agostino.
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La ‘civitas’
nei secoli
XI e XII
La “civitas gallesina” produsse nei secoli una
propria vicenda, strettamente legata alle vicende della chiesa romana, vedendosi ricordata nei numerosi documenti imperiali che
riguardavano concessioni territoriali al Patrimonium Sancti Petri.
La città e il comprensorio erano posti a contatto di terreni ad alta produttività, favoriti
commercialmente dalla viabilità stradale e
fluviale, concentrata sul percorso del Tevere
prossimo a Roma e sulla presenza di porti. Il
più importante era detto Porto dell’Arcella ed
era posto di fronte al castello della Torricella, struttura realizzata molto probabilmente
a protezione dello scalo fluviale. Più a settentrione, il Porto di Caselle o di Baucca, nel
territorio una volta appartenente a Gallese
e sempre occasione di continue controversie
confinarie.
I benefici fiscali legati a questa economia “di
transito” erano incamerate dalla burocrazia
ecclesiastica e dall’aristocrazia fondiaria e
politica, due categorie che raggruppavano il
gruppo più consistente del tessuto sociale e
intorno alle quali ruotavano le altre residenzialità di supporto, costituite da artigiani,
collaboratori, mercanti, borghesi in genere,
che traevano da questa economia, in qualche
modo curtense, i mezzi per condurre una tranquilla esistenza.
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