L`egemonia americana fra politica ed economia
Transcript
L`egemonia americana fra politica ed economia
ISPI – Working Paper 3 No. 44 - JANUARY 2012 Abstract The hegemonic role of the US is a core issue in the study of contemporary international relations. L’egemonia americana fra politica ed economia Marco Clementi The paper focuses on the economic and political functions of the US hegemony before and after 1989; and, it questions the idea that they are necessarily mutually consistent and strengthening each other. Making difference between the hegemonic policies that answer collective interests and the hegemonic policies that answer the US interest in preserving its own superiority, it suggests that the US is facing a paradox in the contemporary system: its individual economic interest in gaining global economic influence concurs to increase instability in the periphery of the system, thus making more difficult and costly to carry our its mainly individual political interest, that consists in managing regional balances of power. Marco Clementi is Associate Professor of International Relations at the University of Pavia. Programma Sicurezza e Studi Strategici (*) The opinions expressed herein are strictly personal and do not necessarily reflect the position of ISPI. 2 1. ISPI – Working Paper Introduzione L’analisi degli elementi che caratterizzano il sistema internazionale contemporaneo, improntandone le dinamiche in corso e gli sviluppi futuri, ha fra i suoi temi centrali il ruolo degli Stati Uniti. Questo è stato indagato da una molteplicità di prospettive che rimandano, direttamente o indirettamente, agli interrogativi circa la natura egemonica degli Usa contemporanei: se gli Usa svolgano delle funzioni di interesse collettivo, quale sia il contenuto specifico di queste eventuali funzioni, quali problemi essi incontrino nel loro eventuale svolgimento e quanto sia sostenibile nel futuro tale eventuale ruolo. Proprio il dibattito sull’incipiente declino americano segnala quanto sia forte la sovrapposizione tematica fra il ruolo egemonico degli Usa e l’evoluzione del sistema internazionale. Un dibattito che s’interroga circa la capacità degli Usa di rimanere al vertice della gerarchia internazionale di fronte all’emergenza di nuove grandi potenze; la loro capacità di rispondere alle principali sfide internazionali; la sostenibilità economica e politica del loro impegno militare globale; la loro capacità di mantenere in efficienza le infrastrutture dell’economia internazionale e di indirizzare l’operato delle relative istituzioni internazionali; o la loro capacità di mantenere saldo e traghettare il reticolo globale di accordi di sicurezza e di alleanze, fra cui la Nato, in un sistema internazionale che dopo essere stato post-bipolare potrebbe divenire multipolare e post-americano. Un dibattito, quindi, che si snoda intorno agli attributi del ruolo egemonico così com’è inteso in letteratura: la misura della futura superiorità potestativa degli Usa, che è precondizione necessaria perché essi svolgano quel ruolo; la misura del futuro prestigio americano, e cioè della loro dimostrata abilità di investire le superiori risorse nella concreta produzione di beni collettivi apprezzati dai principali attori del sistema internazionale senza danneggiarne o minacciarne interessi considerati fondamentali. Insomma, se il ragionamento sull’egemonia americana sembra irrinunciabile per riflettere sulla vita internazionale contemporanea e sul suo futuro prevedibile, il ragionamento sui beni che quel ruolo contribuisce a produrre e senza il quale essi non sarebbero disponibili, sembra altrettanto irrinunciabile per comprendere i processi in corso e le loro ricadute. Questo contributo intende fermarsi su quest’ultimo aspetto, che è del resto indicato come quello più intricato da decifrare in un contesto strutturale unipolare o, al minimo, a elevata concentrazione della potenza. In particolare, questo contributo intende fermarsi sul modo in cui si sono intrecciate e s’intrecciano le dimensioni politica ed economica dell’egemonia americana. Ciò sulla base della convinzione che, forse contrariamente a un’idea diffusa, questo intreccio abbia una natura non lineare – o problematica – che ha influenzato gli esiti complessivi dell’egemonia americana e che continua a influenzarla, seppure diversamente dal passato, divenendo parte dei problemi che il ruolo egemonico americano incontra, più che parte della loro soluzione. La natura problematica di questo intreccio può essere colta se ci si sofferma criticamente su alcuni elementi che sono spesso stati invocati come costanti del ruolo egemonico degli Usa. ISPI – Working Paper 2. 3 L’ordine americano e le sue continuità L’egemonia degli Usa è spesso stata descritta chiamando in causa almeno tre aspetti della loro produzione di beni collettivi che non presentano soluzione di continuità al variare dei fattori che si possono studiare per cogliere il ruolo del paese nel sistema internazionale. Si tratta di una continuità settoriale, una continuità spaziale e una continuità temporale. Vediamole brevemente una alla volta. La prima continuità ha natura settoriale poiché riguarda il modo in cui gli Usa hanno messo in rapporto reciproco le scelte fondamentali nella sfera politica e nella sfera economica. Da questo punto di vista, la letteratura è pressoché unanime nel sottolineare che la logica della grand strategy americana si sia fondata sull’assunto che la complementarietà fra le scelte politiche ed economiche di fondo avrebbe rafforzato le une e le altre, contribuendo a costruire e rinsaldare un ordine internazionale americano e la leadership del paese nel sistema internazionale. Basti un esempio fra i più autorevoli e ricorrenti. Ikenberry è netto nel sostenere il punto rispetto agli Usa post-45. Da un lato, «[l]a più fondamentale convinzione sottostante al pensiero americano sull’ordine postbellico dell’Occidente era che [… p]ace e sicurezza erano incompatibili con un mondo di regioni economiche chiuse e in competizione». Dall’altro lato, «le grandi linee degli obiettivi postbellici dell’America … si ispiravano a un’ampia gamma di idée complementari sugli aspetti politici, economici e di sicurezza dell’ordine internazionale. Ai funzionari del Dipartimento di Stato ideologicamente favorevoli all’economia aperta giunsero rinforzi dagli esperti di strategia secondo i quali la sicurezza dell’America dipendeva dall’acceso ai mercati e alle risorse delle regioni asiatica ed europea» 1. Insomma, se un ambiente internazionale stabile era un obiettivo di sicurezza degli Usa, questo permetteva la costruzione di un reticolo economico aperto che avrebbe sia rafforzato le condizioni della stabilità internazionale sia quelle della superiorità americana, contribuendo anche per questa via alla sicurezza del paese. Dopo il 1989 questa complementarietà è stata semplicemente ribadita, come la lettura dei documenti strategici delle Amministrazioni di ogni colore suggerisce facilmente. La continuità spaziale ha a che vedere con l’idea che queste scelte di fondo abbiano prodotto i medesimi effetti dentro e fuori lo spazio europeo (od occidentale): l’idea che sia stata questa congruenza a ordinare i rapporti internazionali in Europa e fuori dell’Europa nel post-45. Almeno dal lungo telegramma di Kennan in poi, le relazioni fra i blocchi sono state descritte non solo come una competizione militare fra paesi radunati intorno ad alleanze alternative, ma come una competizione economica, sociale e ideologica globale. Secondo questa prospettiva, la guerra fredda è stata una competizione globale per le dimensioni delle due superpotenze e, soprattutto, per le loro dotazioni nucleari. In quanto tale, la guerra fredda ha comportato non solo l’equilibrio del terrore fra i blocchi in Europa e la coppia espansione/contenimento fuori dell’Europa, ma anche la subordinazione della seconda al primo. L’equilibrio del terrore ha cioè trattenuto il conflitto in Europa e governato la seconda, grazie alle complicate 1 G.J. IKENBERRY, After Victory. Institutions, Strategic Constraint, and the Rebuilding of Order After Major Wars, Princeton, Princeton University Press, 2001; trad. it. Dopo la vittoria. Istituzioni, strategie della moderazione e ricostruzione dell’ordine internazionale dopo le grandi guerre, Milano 2003, pp. 234, 284. 4 ISPI – Working Paper regole dell’escalation, portando così a una sostanziale cogestione strategica dello spazio globale e, in ultima istanza, a sedare o controllare i conflitti extra-europei. Proprio l’idea che la guerra fredda non presentasse una soluzione di continuità fra lo spazio europeo e quello extra-europeo ha portato, dopo il 1989, a leggere le correnti di stabilità e d’instabilità internazionale come una conseguenza della rottura della gabbia strategica del bipolarismo. Perciò, se la dissoluzione sovietica ha significato la fine dell’equilibrio del terrore e la guerra fredda è divenuta pace in Europa; la conflittualità fuori d’Europa è stata considerata un residuo del passato e ricondotta al crollo dell’architettura bipolare. Le maggiori matrici d’instabilità internazionale sono state infatti spesso ricondotte al vuoto lasciato dal ritiro delle superpotenze: la fragilità dei paesi che dalla coppia espansione/contenimento traevano sostentamento, divenendo in alcuni casi paesi falliti o in via di fallimento; la proliferazione nucleare per il minore controllo delle superpotenze sulle dinamiche regionali o per la dispersione di materiali e tecnologie dall’ex Urss; lo spazio di organizzazione del terrorismo internazionale in aree geopoliticamente abbandonate; le tensioni derivanti dal mancato scongelamento della fratture del passato, come quella che attraversa la penisola coreana; e altre ancora. La terza continuità – quella temporale – riguarda l’idea che la cesura del 1989 non abbia influenzato il contenuto delle funzioni egemoniche degli Usa, ma solo lo spazio in cui produrle o, se si preferisce, il novero dei loro fruitori. In altre parole, che la fine del bipolarismo abbia sostanzialmente portato all’espansione dell’ordine egemonico americano costruito nel 1945 e, di conseguenza, che la leadership degli Usa dipende dopo il 1989 dalla loro capacità di fare le medesime cose che il loro ruolo egemonico prevedeva prima del 1989 2. Nella sintesi più famosa e più precoce di questa idea: la vita internazionale post-1989 sarebbe stata improntata dalla diffusione pacifica – e quindi consensuale e legittimata – della democrazia quale forma della politica e del libero mercato quale forma dell’economia 3. Se prima del 1989 gli Usa hanno difeso la comunità di sicurezza occidentale dalla sfida sovietica, promuovendo in tal modo anche la democrazia, e hanno costruito e difeso l’economia di libero mercato entro uno spazio geopolitico confinato dall’esistenza del blocco orientale; dopo il 1989 il loro ruolo egemonico prevede di continuare in entrambe le direzioni, offrendo protezione e sicurezza ai paesi appartenenti all’ordine politico liberale e agendo come promotori e manutentori dell’economia internazionale aperta, ma ora ampliando la schiera dei primi e portando fino in fondo la globalizzazione della seconda. Nel complesso, queste tre idee si tengono a vicenda e confluiscono nel concepire la politica e l’economia come le due gambe dell’egemonia americana. Ma confluiscono anche nel considerare che queste si rafforzano meccanicamente: dunque, nel concepire la relazione stessa fra loro priva di aspetti di tensione, almeno potenziale. La considerazione critica di queste idee può forse portare a conclusioni più problematiche e di rilievo per la lettura dei processi politici del sistema contemporaneo. 2 A. COLOMBO, Ordine e mutamento nelle Relazioni Internazionali, in «Rivista italiana di Scienza Politica», 27, 2, 1997, pp. 373-401. 3 F. FUKUYAMA, The End of History?, in «The National Interest», Summer, 1989, pp. 3-18. ISPI – Working Paper 3. 5 L’egemonia americana fra ordine politico e dis-ordine economico durante la guerra fredda Nella concatenazione degli elementi di continuità che ho appena riassunto si può rinvenire un tassello debole. Esso riguarda il rapporto fra lo spazio europeo e quello globale; ed è un tassello che finisce con il mettere in gioco anche gli altri, così come le conseguenze che se ne possono trarre quanto alle condizioni e agli esiti dell’egemonia americana. Al riguardo, si può discutere se sia effettivamente stata la logica della competizione bipolare a improntare gli aspetti determinanti degli sviluppi politici ed economici della guerra fredda nello spazio globale. Nella trattazione ricorrente di questo tema, lo spazio globale è divenuto dopo il 1945 il teatro di numerosi conflitti a bassa intensità. Il luogo in cui la coppia espansione/contenimento reciproco delle superpotenze, dettata dalla logica del bipolarismo, ha sia innescato o riassunto in sé contrapposizioni regionali, sia tenuto sotto controllo quelle contrapposizioni così da neutralizzarne le conseguenze in termini di rischio nucleare. Così, mentre si fronteggiavano pacificamente nello spazio europeo, i due blocchi lo facevano tramite guerre per procura in quello extra-europeo. A questa lettura si possono però muovere alcune obiezioni. In primo luogo, si può dubitare che la natura bipolare del sistema internazionale sia stata il fattore davvero trainante della coppia espansione/contenimento. Se bipolare, come certamente è stato quello dal 1945, un sistema internazionale si distingue poiché il divario che separa le superpotenze dagli altri paesi rende vantaggioso ma non decisivo lo schieramento di questi ultimi al fianco di una delle prime. Infatti, gli Usa incassarono la defezione francese dalla Nato senza patire reali conseguenze negative quanto alla loro (e del blocco occidentale) sicurezza. Similmente, la rottura dell’asse fra Pechino e Mosca non comportò un ribaltamento delle forze in campo né una minaccia esistenziale per la seconda. In un sistema bipolare, in altre parole, lo schieramento dei paesi secondari ha a che vedere più con i rapporti di forza fra questi e le singole superpotenze, che con i rapporti di forza fra le superpotenze. Se i blocchi della guerra fredda conobbero rotture anche molto importanti, poiché coinvolgenti paesi di primo piano, senza con ciò causare smottamenti nell’architettura della sicurezza bipolare, ci si può allora chiedere in che senso il controllo dello schieramento di paesi periferici di secondo o terzo rango fosse una priorità strategica per le superpotenze. Oppure, similmente, in che senso i conflitti a bassa intensità potevano rappresentare un fattore effettivamente distruttivo di quella architettura. Al riguardo, in quegli anni Waltz suggeriva che «[l]a guerriglia rivoluzionaria vince guerre civili, non internazionali; e nessuna guerra civile può cambiare l’equilibrio della potenza mondiale a meno che non abbia luogo in America o Russia» 4. Inoltre, il nesso fra il bipolarismo e la coppia espansione/contenimento terrebbe se entrambe le superpotenze (o blocchi) avessero erogato sforzi simmetrici nell’espandersi e contenersi reciprocamente. Ma così non è stato. Se si considera la dimensione più 4 K.N. WALTZ, The Politics of Peace, in «International Studies Quarterly», 11, 3, 1967, pp. 199-211, p. 205. 6 ISPI – Working Paper aggressiva di quella proiezione globale e, cioè, il conflitto aperto, si può notare che l’Urss combatté tre volte meno di quanto fecero gli Usa fra il 1946 e il 1989 5. Se non si va errati, dunque, la gabbia bipolare può a fatica essere considerata il fattore che ha prodotto sia la stabilità in Europa sia l’instabilità fuori Europa. Le cause di quest’ultima vanno forse ricercate in altri fattori, a partire dal processo di decolonizzazione o, più precisamente, da ciò che lo rese possibile: non tanto il divario di forze fra le potenze europee coloniali e le colonie; quanto il divario di forze fra le prime e il leader del blocco occidentale. Gli Usa, infatti, fecero del principio di autodeterminazione un caposaldo della propria politica nello spazio extra-europeo 6, difendendolo nonostante le frizioni che ciò produceva con le potenze coloniali europee che, nel frattempo, combattevano intensamente per mantenere il controllo sui propri domini. Fra il 1946 e il 1989 la Francia è il paese che ha guerreggiato di più al mondo, con il 14,5% della magnitudine totale del sistema internazionale; la Gran Bretagna il quarto combattente, con il 10,7% 7. Alla base della differente postura che i paesi occidentali mostravano rispetto allo spazio globale vi erano principi e interessi politici e tradizioni diverse. Tuttavia, almeno secondo alcuni, il motore della competizione intra-occidentale nello spazio globale era prima di tutto economico. Se l’isolazionismo politico che aveva confinato gli Usa nell’emisfero occidentale venne formalmente meno con la firma del Patto atlantico del 1949, già dal tardo ‘800 era in corso il coinvolgimento del paese nel sistema internazionale per ragioni economiche e, cioè, per la ricerca di materie prime, spazi commerciali e d’investimento 8. E la penetrazione economica americana sotto forma di investimenti all’estero, più che di scambi commerciali, divenne significativa all’inizio del ‘900 per poi divenire preponderante nella seconda metà del secolo scorso 9. Questo processo rese cruciale per gli Usa la possibilità di avere ed espandere il libero accesso allo spazio economico globale. Infatti, l’ordine economico post-45 fu aperto non solo per la riduzione degli ostacoli al commercio ma, anche, per la mano libera lasciata agli investimenti diretti all’estero e per lo smantellamento dei sistemi economici preferenziali di tipo coloniale. Se si concorda che lo spazio extra-europeo non rappresentava una priorità strategica di derivazione bipolare, che in quello spazio le prospettive dei paesi occidentali confliggevano e che il sostegno americano verso l’emancipazione politica di quello spazio aveva profonde radici economiche, si può forse concludere che le continuità 5 Più precisamente, il 4,2% contro il 12,4% della magnitudine totale dei conflitti. Si noti bene che questi dati riguardano la guerra tradizionalmente intesa ma anche i conflitti intra-statali di rilevanza internazionale. Per l’operazionalizzazione di questa scelta e la fonte dei dati: M. CLEMENTI, Primi fra pari. Egemonia, guerra e ordine internazionale, Bologna 2011, pp. 137-142; p. 263. 6 A. WATSON, The Evolution of International Society, London 1992; J. AGNEW, Hegemony. The New Shape of Global Power, Philadelphia 2005. 7 M. Clementi, Primi fra pari, cit., p. 263. Valga qui, come nel seguito, la precisazione appena fatta circa l’operazionalizzazione della guerra. 8 A.W. WILLIAMS, The Tragedy of American Diplomacy, New York 1959; W. LAFEBER, The American Search for Opportunity, 1865-1913, Cambridge, Cambridge University Press, 1993. 9 R. GILPIN, U.S. Power and the Multinational Corporation. The Political Economy of Foreign Direct Investment, New York 1975. ISPI – Working Paper 7 sopra rammentate risultano più problematiche di quanto generalmente inteso. In particolare, l’idea che la competizione bipolare abbia incentivato una forte congruenza reciproca fra i fattori politici ed economici sia nello spazio europeo sia in quello extraeuropeo può lasciare perplessi. Si può senza dubbio concordare che l’equilibrio del terrore abbia favorito lo sviluppo delle relazioni economiche dentro i blocchi e ingabbiato, almeno in una buona misura, la conflittualità economica al loro interno in Europa. Nello spazio globale, tuttavia, la competizione riguardava sia i rapporti fra le superpotenze sia i rapporti fra gli alleati occidentali. E su entrambi i fronti la molla di quella competizione era prima di tutto economica: l’interesse degli Usa ad allargare il bacino della loro vitalità economica, e quindi, in ultima istanza, della loro superiore influenza internazionale. Un interesse che aveva più a che fare con il mantenimento dell’egemonia globale degli Usa che con lo svolgimento delle funzioni egemoniche definite sulla base dalla competizione bipolare. Naturalmente, un egemone è tale se rimane al vertice della gerarchia internazionale e se è in grado di procacciarsi le risorse necessarie per svolgere le funzioni egemoniche. Perciò, da un certo punto di vista, contribuendo alla superiorità degli Usa, il controllo dello spazio globale rientrava nell’interesse occidentale a vincere la competizione con il blocco sovietico. Tuttavia, il discorso fatto fin qui cambia forse i termini della questione. In primo luogo, poiché la politica americana nello spazio globale può essere annoverata come una delle concause dell’instabilità nelle regioni periferiche del sistema internazionale durante la guerra fredda. Indirettamente, in quanto causa permissiva dei processi di transizione politica nella misura in cui i loro insuccessi fomentavano nuovi conflitti interstatali e intrastatali. Direttamente, in quanto causa efficiente dell’instabilità politica ed economica che i paesi extra-europei sperimentarono a seguito delle politiche di liberalizzazione economica e finanziaria che l’influenza americana portava con sé 10. Il che a dire: l’instabilità dello spazio globale durante la guerra fredda va posta nel quadro dell’egemonia degli Usa e dei suoi attributi più che in quello del confronto bipolare. In secondo luogo, poiché il fuoco sugli attributi dell’egemonia americana e sulle sue ricadute durante la guerra fredda, più che sulla natura bipolare della guerra fredda, permette domande diverse circa ciò che è avvenuto quando l’egemonia americana è sopravvissuta alla guerra fredda. Se durante la guerra fredda l’egemonia americana ha prodotto il bene collettivo politico della difesa collettiva verso l’Urss e il bene collettivo economico dell’apertura commerciale stabile nel mondo e, soprattutto, fra i paesi alleati; se questi beni collettivi si sono rinforzati a vicenda contribuendo alla stabilità politica ed economica del mondo occidentale; se il bene egemonico (ma individuale) della penetrazione economica nello spazio globale ha contribuito a rendere quest’ultimo più instabile, e se la gabbia strategica dell’equilibrio del terrore ha tenuto sotto controllo questa instabilità, impedendo che avesse ricadute significative sui 10 R. GILPIN, Global Political Economy: Understanding the International Economic Order, Princeton, Princeton University Press, 2001; trad. it. Economia politica globale. Le relazioni economiche internazionali nel XXI secolo, Milano 2003; C. LAYNE, The Peace of Illusions. American Grand Strategy from 1940 to the Present, Ithaca, Cornell University Press, 2006; R. FINDLAY - K.H. O’ROURKE, Power and Plenty. Trade, War, and the World Economy in the Second Millennium, Princeton, Princeton University Press, 2007. 8 ISPI – Working Paper rapporti fra le grandi potenze, in che modo hanno interagito nel post-89 il disordine di matrice economica e l’ordine politico ereditati dalla guerra fredda? 4. L’egemonia americana fra dis-ordine politico e dis-ordine economico dopo la guerra fredda Per quanto netta e foriera di mutamenti radicali nella vita internazionale, la cesura del 1989 si è rivelata porosa rispetto ai fenomeni conflittuali. Una porzione dell’instabilità contemporanea, infatti, deriva dal passato. Il 9,7% della magnitudine totale dei conflitti contemporanei si deve alla mera continuazione dei conflitti extra-europei iniziati durante la guerra fredda. Inoltre, se dalla magnitudine totale del conflitto si sottraggono gli interventi multilaterali a guida americana nei Balcani, in Iraq e in Afganistan, il dato sale al 22,7% 11. Il che a dire: se ci si concentra sull’instabilità che non sollecita risposte globali e, dunque, ha portata locale o regionale, va segnalato che i conflitti extraeuropei della guerra fredda sono sopravvissuti alla sua fine in una misura non trascurabile. D’altra parte, molte comunità extra-europee hanno visto solo aggravarsi dopo il 1989 le condizioni complessive di tenuta politica ed economica. La loro fragilità politica ha dovuto fare i conti con il venire meno del controllo e, quindi, anche del sostegno esterni che erano indotti dalla coppia espansione/contenimento. La loro fragilità economica è stata ulteriormente esposta alla penetrazione degli investimenti diretti dall’estero, per cui Gilpin ha calcolato una crescita del 15% annuo per tutti gli anni Novanta 12; e ai vincoli esterni per la liberalizzazione finanziaria: «[d]urante la guerra fredda, i mercati finanziari della maggior parte dei paesi erano isolati dalle pressioni pro-liberalizzazione che gli Stati Uniti applicavano al settore commerciale. Durante gli anni ’90, l’amministrazione Clinton ha spinto in questa direzione e ha usato il Fmi e la Banca mondiale per incitare i paesi in via di sviluppo a liberalizzare i propri mercati finanziari, che erano attentamente controllati. […] Il team di Bush ha ripreso dal punto in cui Clinton si era interrotto» 13. Insomma, si può pensare che nel sistema contemporaneo l’egemonia degli Usa abbia continuato a produrre – o abbia intensificato – i suoi effetti sull’instabilità nello spazio globale nello stesso modo in cui li produceva durante la guerra fredda; con la differenza, tuttavia, che a questa instabilità di matrice economica si è sommata quella di natura politica dovuta al venire meno dalla gabbia strategica bipolare. A ciò si aggiunga che dopo il 1989 diverse potenze regionali hanno conosciuto – o hanno mantenuto – tassi di sviluppo economico molto significativi in termini sia assoluti sia relativi. Si tratta, al minimo, dei famosi BRICS: il Brasile, la Russia, l’India, il Sudafrica e, naturalmente, la Cina, che in virtù dei suoi tassi di crescita viene proiettata dagli studiosi nel futuro come uno sfidante globale degli Usa. L’affermazione 11 I dati si riferiscono al periodo 1990-2008: M. CLEMENTI, Primi fra pari, cit., p. 279 e Appendice. R. GILPIN, Global Political Economy, cit. p. 299; cfr. anche J. AGNEW, Hegemony, cit. 13 M. MASTANDUNO, System Maker and Privilege Taker. U.S. Power and the International Political Economy, in «World Politics», 61, 1, 2009, pp. 121-154, p. 144; cfr. anche M. BUSSMANN - G. SCHNEIDER, When Globalization Discontent Turns Violent: Foreign Economic Liberalization and Internal War, in «International Studies Quarterly», 51, 1, 2007, pp. 79-97. 12 ISPI – Working Paper 9 economica di queste potenze regionali ha avuto almeno due conseguenze di rilievo quanto al nostro problema. In primo luogo, essa ha portato ad ampliare il novero dei protagonisti dell’economia internazionale, diversificando così anche le potenziali fonti di conflitto economico globale. Durante la guerra fredda, le matrici conflittuali di natura economica nello spazio extra-europeo erano sostanzialmente confinate in rapporti diseguali, poiché coinvolgenti i paesi più sviluppati e quelli meno sviluppati, o in rapporti periferici, poiché coinvolgenti i paesi meno sviluppati nei loro rapporti reciproci. Nel sistema contemporaneo, la crescita economica di potenze non europee né occidentali ha spostato le matrici potenziali del conflitto economico dall’asse del mondo in via di sviluppo (il mondo economicamente, oltre che geograficamente, periferico) a quello del mondo sviluppato, innalzandole così all’apice della gerarchia internazionale. Per coglierne una fra le tante ricadute sul piano formale, basti pensare al conflitto sui poteri decisionali in seno al Fondo monetario internazionale. In secondo luogo, essa ha reso contendibile lo spazio vitale per il mantenimento economico dell’egemonia americana, per la penetrazione economica delle potenze emergenti proprio nello spazio extraeuropeo. Per esempio, ciò è testimoniato, su scala globale, dall’attivismo della Cina in Africa; su scala regionale, dalle politiche d’integrazione economica in Sud America o da quelle di apertura economica dell’India con la Look East Policy. Insomma, se si bada alle matrici economiche del conflitto internazionale, si può pensare che il quadro attuale sia molto più complesso di quello della guerra fredda: come allora il funzionamento dell’egemonia americana può essere annoverato fra i fattori di disordine internazionale nello spazio extra-europeo; a differenza di allora, quello spazio non risulta politicamente moderato dalla competizione politica bipolare e presenta competitori economici anche di primo piano che riducono lo spazio dell’influenza americana e fronteggiano gli Usa al vertice della gerarchia internazionale. Se si completa il ragionamento considerando anche le matrici politiche globali del conflitto internazionale, il quadro diviene ancora più problematico. Nel sistema contemporaneo, infatti, i fattori politici non hanno offerto un’intelaiatura complessiva stabile e chiara: i teatri regionali si sono strategicamente separati e ruotano intorno a dinamiche competitive regionalmente localizzate 14; le principali minacce alla sicurezza internazionale derivano dalla più o meno imprevedibile mescolanza di crisi interne e internazionali e da fenomeni più o meno svincolati da una precisa collocazione territoriale, come la proliferazione delle armi di distruzioni di massa, e, naturalmente, il terrorismo transnazionale. Il panorama strategico contemporaneo, in altre parole, è costitutivamente disordinato, in quanto privo di criteri che permettano ai principali attori, e agli stessi Usa, che li sovrastano tutti per capacità militari, di definire una postura di sicurezza di lungo periodo pro-attiva e non solo reattiva. Si è detto che tale contesto lascia ampia libertà d’azione agli Usa, poiché non porta con sé forti incentivi strutturali cui l’egemone deve rispondere. Ciò ci porta al punto del discorso 15. 14 B. BUZAN - O. WAEVER, Regions and Powers. The Structure of International Security, Cambridge, Cambridge University Press, 2003; A. COLOMBO, La disunità del mondo, Milano 2010. 15 R. JERVIS, Unipolarity. A Structural Perspective, in «World Politics», 61, 1, 2009, pp. 188-213. 10 ISPI – Working Paper I tratti di fondo del panorama strategico contemporaneo non sono esogeni – per così dire – alla schiacciante superiorità militare degli Usa; piuttosto, essi la riflettono in buona misura. La disconnessione strategica dei teatri regionali, il maggiore spazio della violenza politica non convenzionale, gli incentivi alla proliferazione di armi di distruzione di massa possono essere collegati, per una via o per l’altra, al fatto della straordinariamente elevata concentrazione delle risorse distruttive in capo agli Usa. In questo senso, si può concludere sottolineando quanto sia forte l’impronta che i tratti dell’egemonia americana lasciano sulle dinamiche competitive di natura politica, aggiungendo complessità al modo in cui essi improntano le dinamiche competitive di natura economica. Si tratta, ora, di tirare le fila del discorso tornando all’intreccio delle dimensioni politiche ed economiche dell’egemonia americana. 5. Conclusioni Durante la guerra fredda l’egemonia americana ha avuto due gambe che procedevano di concerto nel produrre dei beni collettivi egemonici nello spazio europeo ed economicamente sviluppato: quella politica – la difesa dal blocco sovietico; e quella economica – la costruzione e manutenzione di un’economia aperta. Nello spazio extraeuropeo, la politica egemonica individuale della penetrazione economica ha contribuito all’instabilità regionale e locale, ma questa non è fuoriuscita dalla periferia del mondo per la sordina posta dall’equilibrio del terrore globale. Nel complesso, la guerra fredda è stata un abbinamento di ordine politico e ordine economico nella fascia alta della competizione internazionale; e di relativo ordine politico e disordine economico nella fascia sottostante. Nel sistema contemporaneo mancano sfidanti di prima grandezza per gli Usa. Ciò potrebbe tuttavia non bastare a garantire l’ordine americano. La politica egemonica individuale di penetrazione economica ha continuato a produrre i suoi effetti destabilizzanti nella periferia del mondo ma quest’ultima è divenuta di rilievo globale: venute meno le costrizioni del bipolarismo, le tensioni che la riguardano si sono riverberate anche a livello globale; nel suo interno sono cresciuti economicamente dei paesi che possono ambire a sfidare gli Usa nel lungo periodo e che, nel breve, competono con gli Usa per penetrarla economicamente. L’attuale contesto sperimenta perciò una mistura di disordine economico e disordine politico nella fascia bassa della competizione internazionale; e di potenziale disordine economico in quella alta. La sola matrice potenziale di conflitto che non sembra intaccare l’ordine egemonico americano è quella relativa alla dimensione politica nei rapporti fra le principali potenze del sistema. Al riguardo, tuttavia, di grande importanza si rivela proprio il nostro tema: l’intersezione delle dimensioni politiche ed economiche dell’egemonia americana. Dopo il 1989, gli Usa hanno continuato a promuovere l’apertura economica, per esempio istituzionalizzando il regime degli scambi con la creazione dell’Organizzazione mondiale del commercio; hanno continuato a sottrarre alla regolazione multilaterale gli investimenti diretti all’estero da cui passa gran parte della loro penetrazione economica globale; hanno continuato a offrire delle garanzie di sicurezza ai propri alleati allargandone il novero; e hanno guidato molti alleati in operazioni militari per stabilizzare aree di crisi nello spazio europeo ed extra-europeo. ISPI – Working Paper 11 La basilare politica egemonica che essi devono svolgere nel presente contesto, tuttavia, non consegue da questi compiti. In un sistema a elevata concentrazione della potenza, l’interesse primario degli Usa consiste nel prevenire l’emergenza di sfidanti e, dunque, nel controllare le dinamiche regionali così da mantenerle in equilibrio e prevenire che un vincitore della competizione regionale possa proiettarsi nella competizione globale futura 16. Questa politica egemonica è certamente individuale e solo indirettamente (o ambiguamente) collettiva: essa realizza l’interesse di un egemone a rimanere tale, più che chiari e certi interessi di tutti i fruitori di sicurezza dell’ordine americano. Alla luce di questa osservazione, si può pensare che gli Usa debbano fronteggiare un paradosso se vogliono rimanere egemoni nel presente sistema. Questo possibile paradosso riguarda i compiti egemonici individuali: il perseguimento del loro interesse egemonico di natura economica contribuisce a destabilizzare lo spazio globale, ma ciò a sua volta accresce le tensioni nei teatri regionali, rende più accesa la competizione, e dunque più difficile lo svolgimento dell’interesse individuale di natura Le pubblicazioni online politica che consiste nel frenare e nel tenere sotto dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della controllo la competizione regionale. Inoltre, poiché il Fondazione Cariplo. controllo dei teatri regionali non può essere delegato dagli Usa agli attori regionali, visto che ciò ISPI equivarrebbe a squilibrare i rapporti di forza a livello Palazzo Clerici regionale, gli Usa tendono a essere attirati anche Via Clerici, 5 militarmente nei diversi teatri regionali e, quindi, a I - 20121 Milano sostenere costi politici (tendenzialmente) individuali www.ispionline.it a seguito del perseguimento dei propri individuali vantaggi economici. Nel sistema contemporaneo, in © ISPI 2012 conclusione, l’intreccio delle dimensioni politiche ed economiche dell’egemonia americana non per necessità risulta virtuoso per l’ordine internazionale e per la tenuta stessa del ruolo egemonico degli Usa nel mondo. 16 C. LAYNE, The Peace of Illusions, cit.