Lezioni di Analisi Matematica IV

Transcript

Lezioni di Analisi Matematica IV
Lezioni di Analisi Matematica IV
Giancarlo Teppati
Dipartimento di Matematica del Politecnico di Torino
Anno accademico 2002-03
1
Lezione 1
Campi vettoriali
Si dice campo vettoriale (nello spazio) una corrispondenza che abbia come dominio e
immagine sottoinsiemi di R3
(x, y, z) → (F1 (x, y, z), F2 (x, y, z), F3 (x, y, z)).
Tale corrispondenza si può anche indicare con la notazione:
~r → F~ (~r) (~r = x1~i1 + x2~i2 + x3~i3 ), F~ = F1~i1 + F2~i2 + F3~i3 .
Una corrispondenza R3 → R si dice invece campo scalare.
Un campo vettoriale piano si scrive, per analogia, come:
F~ = F1~i1 + F2~i2 .
In ogni caso, l’intensità di un campo vettoriale F~ è rappresentata dal suo modulo
~
|F |.
Esempi.
~
1) Campo gravitazionale G(x,
y, z) generato da una massa puntiforme m situata
in P = (x0 , y0 , z0 ):
~
~ r) = −g ~r − ~r0 m
G(x,
y, z) = G(~
|~r − ~r0 |3
~
2) Campo elettrostatico E(x,
y, z) generato da una carica puntiforme di valore q
situata in P = (x0 , y0 , z0 ):
~
~ r) = −K ~r − ~r0 q
E(x,
y, z) = E(~
|~r − ~r0 |3
3) Campo di velocità di un solido rotante all’asse z con velocità angolare ω~i3 :
~v (~r) = ω~i3 ∧ ~r = −ωy~i1 + ωx~i2
(tale campo, essendo costante rispetto a z, può essere considerato come campo vettoriale piano).
2
Le linee di campo sono le curve tangenti in ogni punto al vettore F~ (~r).
Le linee di campo di un campo F~ non dipendono dall’intensità di F~ (che è il
modulo di F~ ) ma solo dalla direzione di ogni vettore del campo.
La determinazione delle linee di campo può essere effettuata nel modo seguente.
Sia ~r(t) = (x(t), y(t), (z(t)) l’equazione parametrica di una linea di campo. La
d~r
tangente
deve allora essere parallela, ∀t, a F~ (~r(t)). Segue:
dt
d~r
= µ(t)F~ (~r(t)),
dt
ovvero:
dx
= µ(t)F1 ,
dt
da cui, eguagliando:
dy
= µ(t)F2 ,
dt
dz
= µ(t)F3 ,
dt
dx
dy
dz
=
=
.
F1
F2
F3
Segue che le linee di campo si possono determinare se esiste una funzione f tale
f
f
f
che
= P (x),
= Q(y),
= R(z).
F1
F2
F3
Esempi.
1) Linee di campo di un campo gravitazionale.
Sia:
(x − x0 )~i1 + (y − y0 )~i2 + (z − z0)~i3
~
~ r) = −g ~r − ~r0 m = −gm q
G(x,
y, z) = G(~
.
|~r − ~r0 |3
( (x − x0 )2 + (y − y0 )2 + (z − z0 )2 )3
Segue:
dy
dz
dx
=
=
,
x − x0
y − y0
z − z0
da cui si ottiene:
ln |x − x0 | + ln C1 = ln |y − y0 | + ln C2 = ln |z − z0 | + ln C3
e
3
C1 (x − x0 ) = C2 (y − y0 ) = C3 (z − z0 ).
Si tratta dunque di una famiglia di piani, passanti per il punto (x0 , y0 , z0 ), che danno
origine ad una famiglia di rette dipendente da due parametri.
2) Le linee di campo del campo di velocità
−ωy~i1 + ωx~i2
soddisfano a:
dx
dy
=
−y
x
ovvero a:
xdx + ydy = 0
che equivale a:
x2 + y 2 = C.
Si tratta pertanto di cerchi giacenti nel piano (x, y), mentre in R3 si ha:
x2 + y 2 = C 1 ,
z = C2
3) Linee di campo del campo:
F = exyz (x~i1 + y 2~i2 + z~i3 ).
Si ha:
dx
exyz x
=
dy
exyz y 2
=
dz
exyz z
da cui:
y 2 dx = xdy,
y 2 dz = zdy
zdx = xdz,
e si ricava:
1
ln x + ln C1 = − ,
y
cioè:
1
− = ln z + ln C3 ,
y
ln x + ln C2 = ln z,
1
e− y = C1 x,
z = C2 x,
Si ricava infine:
z = kx,
y=−
1
e− y = C3 z.
1
ln(C3 z)
(essendo k e C3 costanti arbitrarie).
Nel seguito, utilizzeremo i seguenti operatori:
~ = ∂ ~i1 + ∂ ~i2 + ∂ ~i3
∇
∂x
∂y
∂z
(nabla),
4
2
2
2
~ ·∇
~ = ∂ + ∂ + ∂
∇
∂x2 ∂y 2 ∂z 2
(laplaciano).
Tramite questi operatori, gradiente, divergenza e rotore si esprimono nel modo
seguente (F campo scalare, F~ campo vettoriale):
~
~ = ∂F ~i1 + ∂F ~i2 + ∂F ~i3 ,
gradF
= ∇F
∂x
∂y
∂z
~ · F~ = ∇
~ · F~ = ∂F1 + ∂F2 + ∂F3
div
∂x
∂y
∂z
~ ∧ F~ = ( ∂F3 − ∂F2 )~i1 + ( ∂F1 − ∂F3 )~i2 + ( ∂F2 − ∂F1 )~i3
~
rotF
=∇
∂y
∂z
∂z
∂x
∂x
∂y
Altre utili espressioni sono:
2
2
2
~ gradF
~
~ · ∇F
~ =∂ F +∂ F +∂ F
div(
)=∇
∂x2
∂y 2
∂z 2
~ div
~ F~ ) − grad
~ · grad(
~ F~ ).
~ ∇
~ · F~ ) − ∇2 F~ = grad(
~ rot
~ F~ ) = ∇(
rot(
Campi vettoriali piani e coordinate polari nel piano.
Le coordinate polari nel piano sono definite da:
q
x2 + y 2
x = cos θ
ρ=
y = sin θ
θ = arctan
y
x
I versori lungo le direzioni r e θ sono definiti da:
~ir = cos θ~i1 + sin θ~i2
~iθ = − sin θ~i1 + cos θ~i2
da cui segue:
|~ir | = |~iθ | = 1
~ir · ~iθ = 0.
Pertanto, un campo vettoriale piano F (x, y) si può anche esprimere, in coordinate
polari, nel modo seguente:
F (x, y) = F (ρ cos θ, ρ sin θ) = G(ρ, θ) = Gρ (ρ, θ)i~ρ + Gθ (ρ, θ)~iθ .
5
Esempi.
1) F (x, y) = (cos arctan xy − sin arctan xy )~i1 + (cos arctan xy + sin arctan xy )~i2 =
= (cos θ − sin θ)~i1 + (cos θ + sin θ)~i2 = ~ir + ~iθ
√
|F | = 2
2) F (x, y) = (cos arctan xy −
√
x2 + y 2 sin arctan xy )~i1 +
y q 2
y
+(sin arctan + x + y 2 cos arctan )~i2 =
x
x
= (cos θ − ρ sin θ)~i1 + (sin θ + ρ cos θ)~i2 = ~ir + ρ~iθ
q
|F | =
1 + ρ2
6
Lezione 2
Potenziali
Dato un campo vettoriale F~ è lecito chiedersi se esista un campo scalare V tale che:
∂V ~
∂V ~
∂V ~
~
F~ = gradV
=
i1 +
i2 +
i3 .
∂x
∂y
∂z
La risposta a questa domanda è, in generale, negativa. Se però, in un dominio D
di R3 , dato un campo vettoriale F~ , esiste un campo scalare V tale che:
~
F~ = gradV
si dice che F~ è un campo vettoriale conservativo e V si dice potenziale scalare di F~ .
V è ovviamente determinato a meno di una costante arbitraria.
Condizione necessaria e sufficiente affinché un campo vettoriale F~ sia conservativo
è che esista un campo scalare V tale che:
dV = F1 dx + F2 dy + F3 dz.
Esempi.
1) Dato il campo scalare:
V =
gm
|~r − ~r0 |
si deduce subito:
~
~
gradV
= gm grad
1
1
~ q
= gm grad
=
|~r − ~r0 |
(x − x0 )2 + (y − y0 )2 + (z − z0 )2
= −gm
(x − x0 )~i1 + (y − y0 )~i2 + (z − z0)~i3
q
( (x − x0 )2 + (y − y0 )2 + (z − z0 )2 )3
2) (Esempio di un campo non conservativo).
Sia dato il campo piano di velocità
F~ = −ωy~i1 + ωx~i2 .
Cerchiamo un campo scalare V (x, y) tale che:
∂V
= −ωy,
∂x
∂V
= ωx
∂y
7
Integrando le due equazioni (la prima rispetto a x, la seconda rispetto a y), si
ottiene:
V (x, y) = −ωxy + ϕ1 (y),
V (x, y) = ωxy + ϕ2 (x).
Eguagliando, si ricava:
2ωxy = ϕ1 (y) − ϕ2 (x),
equazione impossibile da soddisfare (a primo membro c’è il prodotto delle due variabili, che deve eguagliare la differenza di una funzione della sola x con una funzione
della sola y). Segue che il campo di velocità non è conservativo.
Vista la condizione necessaria e sufficiente affinché F~ sia conservativo, si deduce
una ulteriore condizione necessaria affinché F~ sia conservativo:
~ F~ = ~0,
rot
(~0 = vettore nullo).
Ciò equivale a scrivere:
∂F3
∂F2
=
,
∂y
∂z
∂F1
∂F3
=
,
∂z
∂x
∂F2
∂F1
=
.
∂x
∂y
Infatti, se F~ è conservativo, allora esiste V tale che:
∂V
= F1 ,
∂x
∂V
= F2 ,
∂y
∂V
= F3
∂z
e di conseguenza:
∂ 2V
∂F3
∂ 2V
∂F2
=
=
=
, etc.
∂y∂z
∂y
∂z∂y
∂z
purché al campo scalare V sia applicabile il teorema di inversione dell’ordine delle
derivazioni parziali).
Superfici equipotenziali
Se F~ è un campo conservativo e V un suo potenziale, le superfici di livello
V (x, y, z, ) = C si dicono superfici equipotenziali di F~ . Le linee di campo sono ortogonali a tali superfici.
Esempi
1) Superfici equipotenziali di
~
~ r) = −gm ~r − ~r0 .
G(x,
y, z) = G(~
|~r − ~r0 |3
Sono definite da:
e sono sfere di centro r0 e raggi
gm
=C
|~r − ~r0 |
gm
.
C
8
2) Sia
F~ = −ex cos y~i1 + ex sin y~i2 .
Essendo:
F1 = −ex cos y,
si ricava:
F2 = ex sin y,
∂F2
∂F1
=
= ex sin y
∂y
∂x
e F~ è conservativo. Possiamo dunque determinare (a meno di costanti) un campo
~ = F~ . Si ha:
scalare V tale che ∇V
∂V
= −ex cos y ⇒ V (x, y) = −ex cos y + ϕ1 (y)
∂x
e
∂V
0
0
= ex sin y ⇒ ex sin y + ϕ1 (y) ⇒ ϕ1 (y) = 0 ⇒ ϕ1 = K ⇒ V (x, y) = −ex cos y + K.
∂y
Le superfici equipotenziali sono allora definite da:
ex cos y = H
e su queste superfici giacciono curve equipotenziali definite da:
y = arccos He−x .
3) Determinare il campo F~ con potenziale
V (x, y, z) =
Poiché:
1
.
|r − r0 |2
∂V
x − x0
= −2
,
∂x
|~r − ~r0 |4
segue
etc.
~r − ~r0
F~ = −2
.
|~r − ~r0 |4
Esercizio svolto.
Dire se il campo vettoriale:
2x
2y
x2 + y 2~
F~ = ~i1 + ~i2 −
i3
z
z
z2
è conservativo e in caso affermativo trovare potenziale e superfici equipotenziali,
nonché le linee di campo.
Soluzione. Si ha subito:
F1 =
∂V
2x
=
,
∂x
z
F2 =
∂V
2y
= ,
∂y
z
F3 =
∂V
x2 + y 2
=−
∂z
z2
9
da cui:
Pertanto:
∂F1
∂F2
=0=
,
∂y
∂x
∂F3
2y
∂F2
=− 2 =
,
∂y
z
∂z
∂F1
2x
∂F3
=− 2 =
.
∂z
z
∂x
∂V
2x
x2
=
⇒V =
+ A(z, y)
∂x
z
z
∂V
2y
2y
∂A
y2
=
⇒
=
⇒A=
+ B(z)
∂y
z
z
∂y
z
∂V
x2 + y 2
x2 ∂A
y2
=−
=− 2 +
⇒A=
+C
∂z
z2
z
∂z
z
da cui:
x2 + y 2
+ C.
z
Le superfici equipotenziali sono allora i paraboloidi:
V (x, y) =
z = K(x2 + y 2 )
mentre le linee di campo sono le ellissi:
y = Ax
x2 + y 2 + 2z 2 = B
contenute in piani verticali passanti per l’origine.
10
Lezione 3
Integrali curvilinei
Una curva regolare individua una linea ed è individuata dalle equazioni parametriche:
x = x(t),
y = y(t),
z = z(t)
ove t è un parametro reale che varia in un intervallo reale [α, β] e
dx
,
dt
dy
,
dt
dz
dt
esistono in [α, β] e non sono mai contemporaneamente nulle in [α, β].
Se α e β sono finiti si parla di arco di curva regolare, indicato di solito con γ.
Un arco di curva regolare a tratti, indicato di solito con Γ, è l’unione di archi di
curva regolari γi (i ∈ I), tali che ogni punto finale di un arco intermedio coincide con
il punto iniziale dell’arco successivo: in tal caso si dice che gli archi sono raccordati
in punti di raccordo, punti nei quali non necessariamente esiste la tangente.
Sia dato un arco di curva regolare γ o un arco di curva regolare a tratti Γ. Si
può calcolare la lunghezza dell’arco suddividendolo in piccoli archi mediante punti
che corrispondono a opportuni valori del parametro t:
α = t0 < t1 <2 < ...th−1 < th < th+1 < ...tN = β
Se N è molto grande una buona approssimazione della lunghezza L dell’arco è data
prendendo le lunghezze |∆~rh | = |~rh − ~rh−1 | dei segmenti di retta che congiungono
~rh = ~r(th ) a ~rh−1 , ovvero:
L∼
N
X
|∆~rh |
h=1
Al limite per N → ∞ e max|~rh −~rh−1 | → 0 si ha (se tale limite esiste) la lunghezza
esatta L. In tale ipotesi si scrive allora:
Z
Z
γ
ds = L (oppure
r³
´2
³
´2
Γ
³
ds = L)
´2
dx
+ dy
+ dz
dt.
essendo ds definito da: ds =
dt
dt
dt
Per una funzione f (x, y, z) l’integrale curvilineo si definisce in modo analogo. Sia
infatti (xih , yhi , zhi ) un punto intermedio all’interno dell’h-esimo arco della suddivisione
di cui sopra.
Consideriamo pertanto la somma:
S=
N
X
h=1
f (xih , yhi , zhi )|∆~rh |
11
Se questa somma ammette limite per N → ∞ e max|~rh − ~rh−1 | → 0 indipendentemente dalla scelta di (xih , yhi , zhi ) , allora tale limite si dice integrale curvilineo di f
esteso a γ (oppure esteso a Γ) e si scrive
Z
γ
Z
f (x, y, z)ds (oppure
Γ
f (x, y, z)ds).
Segue subito la formula per il calcolo esplicito di un integrale curvilineo:
Z
I=
γ
f (x, y, z)ds =
Z α
β
v
!
uÃ
u dx 2
t
f (x(t), y(t), z(t))
dt
Ã
dy
+
dt
!2
Ã
dz
+
dt
!2
dt
Il valore di I non dipende dalla parametrizzazione scelta per rappresentare γ.
Sia infatti ~r = ~r(t) una parametrizzazione di γ e ~r = ~r(u) un’altra parametrizzazione (t e u parametri reali, t ∈ [α, β], u ∈ [a, b]).
Se γ è regolare allora ~r = ~r(u(t)), con u(α) = a, u(β) = b e du
esiste per ogni t in
dt
[α, β]. Si ricava pertanto:
¯
¯
¯ ¯
¯
¯
Z β
Z b
¯
¯
¯
¯ d~
¯ d~
¯ d~
¯ r¯
¯ r du ¯
¯ r¯
f (~r(t)) ¯¯ ¯¯ dt =
f (~r(t)) ¯¯
¯ dt =
f
(~
r
(u))
¯ du.
¯
¯ du ¯
dt
du dt ¯
α
α
a
Z β
Esempio
Calcolare:
Z
γ
yds
lungo la semicirconferenza γ di raggio R e centro l’origine, giacente nel semipiano
y ≥ 0, percorsa in verso antiorario e individuata dalle seguenti due parametrizzazioni:
~r(θ) = R cos θ~i1 + R sin θ~i2 , 0 ≤ θ ≤ π
√
~r(x) = x~i1 + R2 − x2~i2 , −R ≤ x ≤ R
Nel primo caso si ha:
d~r
= −R sin θ~i1 + R cos θ~i2 ,
dθ
e segue:
Z
γ
yds = R
2
Z π
0
¯ ¯
¯ d~
¯
¯ r¯
¯ ¯=R
¯ dθ ¯
sin θdθ = −R2 [cosθ]π0 = 2R2 .
Nel secondo caso si ottiene invece:
Z
γ
yds =
Z R √
−R
=
¯
¯
¯
¯
Z R √
¯
¯ d~
¯
¯
r
x
¯
¯
¯
~i2 ¯¯ dx =
R2 − x2 ¯ ¯ dx =
R2 − x2 ¯~i1 − √ 2
¯ dx ¯
¯
−R
R − x2 ¯
Z R √
−R
s
R2
−
x2
Z R
x2
1+ 2
dx =
Rdx = 2R2 .
R − x2
−R
12
Lezione 4
Integrali di linea dei campi vettoriali
Sia F~ una forza variabile. Il lavoro fatto da tale forza durante lo spostamento di
un lungo una curva regolare γ risulta dalla somma di lavori infinitesimi dW calcolati
nel modo seguente:
dW = F~ · ~tds
d~r
essendo ~t =
il vettore tangente alla curva γ nel punto prescelto.
ds
Sommando i contributi dW su tutta la curva si ha:
Z
W =
γ
Z
F~ · ~tds =
γ
F~ · d~r
poiché
d~r
ds = dx~i1 + dy~i2 + dz~i3 .
ds
In generale, se F~ è un campo vettoriale e γ una curva regolare, l’integrale della
componente tangenziale di F~ lungo la curva regolare γ è definito da:
d~r = ~tds =
Z
I=
γ
F~ · d~r =
Z
γ
(F1 (x, y, z)dx + F2 (x, y, z)dy + F3 (x, y, z)dz)
In questo tipo di integrazione è fondamentale la scelta dell’orientamento di γ.
Convenzionalmente il verso positivo è quello antiorario, il verso negativo è quello
orario.
Un segno negativo che precede γ indica che la curva è percorsa in verso opposto
a quello scelto come verso positivo.
La proprietà fondamentale dell’integrale di linea è la seguente:
Z
−γ
F~ · d~r = −
Z
γ
F~ · d~r
Una curva γ si dice chiusa se ~r(α) = ~r(β): una curva chiusa semplice è una curva
chiusa con la proprietà:
α < t1 6= t2 < β ⇔ ~r(t1 ) 6= ~r(t2 ).
Se γ è una curva chiusa semplice allora l’integrale di linea di F~ lungo γ si dice
integrale di circuitazione e si indica con il simbolo speciale:
I
γ
Il calcolo di I =
~r = ~r(t).
R
γ
F~ · d~r.
F~ · d~r si esplicita mediante una opportuna parametrizzazione
Si ottiene, ricordando la forma generale scritta:
Z
I=
γ
F~ · d~r =
13
=
+
Z β
α
Z β
α
F1 (x(t), y(t), z(t))
dx
+
dt
dy Z β
dz
F2 (x(t), y(t), z(t)) +
F3 (x(t), y(t), z(t)) .
dt
dt
α
R
Come già visto per l’integrale curvilineo γ ds, tale tipo di integrazione non dipende
dalla parametrizzazione scelta per descrivere γ.
Esempio
Sia
F~ (x, y) = y 2~i1 + 2xy~i2 .
Calcolare
Z
γ
F~ · d~r
essendo γ curva che congiunge (0, 0) a (1, 1), quando:
1) γ è la retta y = x
2) γ è la parabola y = x2
3) γ è la spezzata costituita dai segmenti di retta da (0, 0) a (0, 1) e da (0, 1) a
(1, 1).
Caso 1)
Si ha:
~r = t(~i1 + ~i2 ),
0 ≤ t ≤ 1,
d~r = dt(~i1 + ~i2 )
F~ · d~r = (t2~i1 + 2t2~i2 ) · (~i1 + ~i2 )dt = 3t2 dt,
Z
γ
F~ · d~r =
Z 1
0
3t2 dt = [t3 ]10 = 1.
Caso 2)
Si ha:
~r = t~i1 + t2~i2 ,
0 ≤ t ≤ 1,
d~r = (~i1 + 2t~i2 )dt
F~ · d~r = (t4~i1 + 2t3~i2 ) · (~i1 + 2t~i2 )dt = 5t4 dt,
Z
γ
F~ · d~r =
Z 1
0
5t4 dt = [t5 ]10 = 1.
Caso 3) Si ha (segmento da (0, 0) a (0, 1)):
x = 0,
0 ≤ t ≤ 1,
y=t
14
F~ = t2~i1 ,
d~r = ~i2 dt,
F~ · d~r = 0
(segmento da (0, 1) a (1, 1)):
x = t,
F~ = ~i1 + 2t~i2 ,
0 ≤ t ≤ 1,
d~r = ~i1 dt,
y=1
F~ · d~r = dt,
Z
γ
F~ · d~r =
Z 1
0
dt = 1.
Regioni nel piano reale.
Una regione Ω in R2 è un insieme non vuoto, aperto e connesso.
Un insieme X in R2 è connesso se per ogni coppia di punti interni a X esiste un
arco di curva regolare tutta interna a X che congiunge i punti della coppia.
Un insieme X in R2 è semplicemente connesso se ogni curva chiusa semplice in
X può essere ridotta con continuità ad un unico punto. Le regioni semplicemente
connesse presentano una sola frontiera, le regioni connesse presentano almeno due
frontiere. Una regione Ω con p + 1 frontiere ha ordine di connessione p (pertanto una
regione semplicemente connessa ha ordine di connessione 0). Una regione semplicemente connessa Ω è tale che ogni curva chiusa semplice tutta interna a Ω è frontiera
di una sottoregione semplicemente connessa.
Vale il seguente Teorema.
Sia Ω una regione semplicemente connessa e F~ un campo vettoriale su Ω. Allora
le seguenti proprietà sono equivalenti:
i) F~
~
conservativo in Ω (∃V |∀P ∈ Ω, F~ = gradV
);
I
ii)
iii)
γ
F~ · d~r = 0,
∀γ ⊂ Ω;
Se γ è un cammino che congiunge due punti P1 , P2 interni a Ω, l’integrale
Z
γ
non dipende dalla scelta di γ.
F~ · d~r
15
Lezione 5
Campi conservativi
Conseguenze del Teorema precedente (v.Lezione 4):
~ ) e se γ è una curva regolare
1) se F~ è un campo vettoriale conservativo (F~ = ∇V
che congiunge un punto iniziale P0 a un punto finale P1 , allora:
Z
γ
~ =
F~ · dr
Z
γ
dV = V (P1 ) − V (P0 )
2) Se F~ è conservativo in una regione semplicemente connessa, allora:
∂F1
∂F2 ∂F1
∂F3 ∂F2
∂F3
=
,
=
,
=
∂y
∂x ∂z
∂x ∂z
∂y
Viceversa se in una regione semplicemente connessa valgono per F~ le tre equazioni
precedenti allora F~ è conservativo in tale regione.
Esercizio svolto.
Dire per quali valori delle costanti A e B il campo vettoriale:
F~ = Ax sin y~i1 + (x2 cos y + Bye−z )~i2 − y 2 e−z~i3
è conservativo e determinarne il potenziale.
Dalle equazioni di condizione segue:
∂F2
∂F3
=
⇒ −Bye−z = −2ye−z ⇒ B = 2
∂z
∂y
∂F1
∂F3
=
⇒0=0
∂z
∂x
∂F2
∂F1
=
⇒ Ax cos y = 2x cos y ⇒ A = 2.
∂y
∂x
Segue che :
F~ = 2x sin y~i1 + (x2 cos y + 2ye−z )~i2 − y 2 e−z~i3
ammette potenziale V, da determinare.
V si determina osservando che:
∂V
= 2x sin y ⇒ V (x, y, z) = x2 sin y + ϕ1 (y, z)
∂x
16
∂V
= x2 cos y + 2ye−z ⇒ V (x, y, z) = x2 sin y + y 2 e−z + ϕ2 (x, z)
∂y
∂V
= −y 2 e−z ⇒ V (x, y, z) = y 2 e−z + ϕ(x, y)
∂z
e per confronto si ottengono le equazioni:
x2 sin y + ϕ1 (y, z) = x2 sin y + y 2 e−z + ϕ2 (x, z) = y 2 e−z + ϕ3 (x, y).
Dall’ equazione:
x2 sin y + ϕ1 (y, z) = x2 sin y + y 2 e−z + ϕ2 (x, z)
si ha:
ϕ1 (y, z) − ϕ2 (x, z) = y 2 e−z .
Dall’equazione:
x2 sin y + ϕ1 (y, z) = y 2 e−z + ϕ3 (x, z)
si ha:
ϕ1 (y, z) − ϕ3 (x, y) = y 2 e−z − x2 sin y
e, infine, dall’equazione
y 2 e−z + ϕ2 (x, z) = y 2 e−z + ϕ3 (x, y)
si ottiene:
ϕ3 (x, z) − ϕ2 (x, z) = x2 sin y.
Risolvendo il sistema delle tre equazioni precedenti nelle tre funzioni incognite:
ϕ1 (y, z),
ϕ2 (x, z),
ϕ3 (x, y)
si ottiene:
ϕ1 (y, z) = y 2 e−z ,
ϕ2 (x, z) = 0,
ϕ3 (x, y) = x2 sin y
e immediatamente segue l’espressione per V :
V (x, y, z) = x2 sin y + y 2 e−z .
Superfici nello spazio.
Abbiamo descritto archi di curva regolare mediante l’uso di un parametro (essendo
una curva un oggetto unidimensionale); descriveremo ora superfici mediante l’uso di
due parametri.
Una superficie in R3 è un insieme Σ di punti le cui coordinate (x, y, z) sono
individuate dalle equazioni parametriche:


 x = x(u, v)


y = y(u, v)
z = z(u, v)
17
con α ≤ u ≤ β e γ ≤ v ≤ δ.
Consideriamo:
∂~r
∂x
= ~i1 +
∂u
∂u
∂~r
∂x
= ~i1 +
∂v
∂v
∂y~
i2 +
∂u
∂y~
i2 +
∂v
∂z~
i3
∂u
∂z~
i3
∂v
I vettori
∂~r(P0 )
∂~r(P0 )
,
∂u
∂v
giacciono allora nel piano tangente a Σ e passante per P0 (avendo indicato momentaneamente con P0 il punto di tangenza).
∂~r ∂~r
Se
e
non sono paralleli , allora il prodotto vettoriale
∂u ∂v
∂~r ∂~r
∧
∂u ∂v
~ . Pertanto l’elemento di area
è un vettore normale alla superficie Σ, denotato con N
∂~r ∂~r
dΣ si ottiene prendendo il modulo di
∧
e moltiplicandolo per dudv. Poiché:
∂u ∂v
~ = ∂~r ∧ ∂~r =
N
∂u ∂v
Ã
!
Ã
!
Ã
!
∂y ∂z
∂z ∂x ∂x ∂z ~
∂x ∂y ∂y ∂x ~
∂z ∂y ~
i1 +
i2 +
i3
−
−
−
∂u ∂v ∂u ∂v
∂u ∂v ∂u ∂v
∂u ∂v ∂u ∂v
si ricava subito :
dΣ =
v
uÃ
u ∂y ∂z
t
∂z ∂y
−
∂u ∂v ∂u ∂v
!2
Ã
∂z ∂x ∂x ∂z
+
−
∂u ∂v ∂u ∂v
!2
Ã
∂x ∂y ∂y ∂x
+
−
∂u ∂v ∂u ∂v
!2
Esempio.
La superficie Σ descritta dalle equazioni parametriche


 x = R cos u sin v


y = R sin u sin v
z = R cos v
0 ≤ u ≤ 2π
0≤v≤π
R>0
è l’intera superficie di una sfera di centro (0, 0, 0) e raggio R. Infatti:
x2 + y 2 + z 2 = R2 cos2 u sin2 v + R2 sin2 u sin2 v + R2 cos2 u = R2 .
~ ha componenti:
Il vettore normale N
∂z ∂y
∂y ∂z
−
= −R2 cos u sin2 v
∂u ∂v ∂u ∂v
∂z ∂x ∂x ∂z
−
= −R2 sin u sin2 v
∂u ∂v ∂u ∂v
∂x ∂y ∂y ∂x
−
= −R2 sin v cos v
∂u ∂v ∂u ∂v
dudv
18
e l’elemento di area dΣ vale:
q
dΣ = R2 cos2 u sin4 v + sin2 u sin4 v + sin2 v cos2 vdudv =
q
=R
2
sin4 v + sin2 v cos2 vdudv = R2 sin vdudv.
Esercizio svolto.
Trovare l’elemento di area della superficie



x = 2uv
y = u2 − v 2


z = u2 + v 2
Si ha:
∂y ∂z
∂z ∂y
−
= 2u · 2v + 2v · 2u = 8uv
∂u ∂v ∂u ∂v
∂z ∂x ∂x ∂z
−
=
∂u ∂v ∂u ∂v
2u · 2u − 2v · 2v =
4(u2 − v 2 )
∂x ∂y ∂y ∂x
−
= 2v · (−2v) − 2u · 2u = −4(u2 + v 2 )
∂u ∂v ∂u ∂v
Pertanto l’elemento di area vale:
q
q
dΣ = 4 (u2 + v 2 )2 + (v 2 − u2 )2 + 4u2 v 2 dudv = 4 2(u4 + v 4 + 2u2 v 2 )dudv =
√
= 4 2(u2 + v 2 )dudv
19
Lezione 6
Integrali superficiali e integrali di superficie.
Sia data una funzione f e una superficie Σ descritta da equazioni parametriche:


 x = x(u, v)


y = y(u, v)
z = z(u, v).
L’integrale superficiale di f esteso a Σ è definito da:
Z Z
I=
Z Z
Σ
f (x, y, z)dΣ =
Z
=
v
uÃ
u ∂y ∂z
t
×
Σ
f (x(u, v), y(u, v), z(u, v))dΣ =
Z
α≤u≤β
∂z ∂y
−
∂u ∂v ∂u ∂v
!2
γ≤v≤δ
f (x(u, v), y(u, v), z(u, v))×
Ã
∂z ∂x ∂x ∂z
+
−
∂u ∂v ∂u ∂v
!2
Ã
∂x ∂y ∂y ∂x
+
−
∂u ∂v ∂u ∂v
!2
dudv
e l’integrale è allora ricondotto ad un integrale doppio su di un rettangolo definito
da:
α ≤ u ≤ β,
γ ≤ v ≤ δ.
Se l’equazione di una superficie Σ è esprimibile sotto la forma:
z = h(x, y)
con domh = D allora si possono scegliere come parametri proprio x.y, da cui:



x=u
(u, v) ∈ D
y=v


z = h(u, v).
e:
dΣ =
v
u
u
t
Ã
!2
∂h(x, y
1+
∂x
Ã
∂h(x, y)
+
∂y
!2
dxdy
Segue che l’integrale superficiale di una funzione f (x, y, z) si può scrivere sotto
forma di un integrale doppio su D:
Z Z
Z Z
Σ
f (x, y, z)dΣ =
v
u
u
t
∂h(x, y
f (x, y, h(x, y)) 1 +
∂x
D
Esercizio svolto
Calcolare
Ã
Z Z
Σ
zdS
!2
Ã
∂h(x, y)
+
∂y
!2
dxdy
20
sul cono:
q
2(x2 + y 2 )
z=
compreso tra z = 0 e z = 3.
Con la rappresentazione parametrica x = u,y = v, z =
q
2(x2 + y 2 ) otteniamo:
2x
∂z
=
∂x
z
∂z
2y
= .
∂y
z
Segue
s
dΣ =
4x2 4y 2
1 + 2 + 2 dxdy =
z
z
Di conseguenza:
Z Z
Σ
s
√
z 2 + 2z 2
dxdy = 3dxdy.
2
z
√ Z Z
zdΣ = 3
x2 +y 2 ≤ 92
zdxdy.
Per√ il calcolo, si passa a coordinate
polari x = ρ cos θ, y = ρ sin θ, 0 ≤ θ ≤ 2π, 0 ≤
√
2
ρ ≤ 3 2 , ottenendo (con z = 2ρ):
Z Z
Σ
√ √ Z
zdS = 3 2
0
2π
Z
dθ
√
3
9π
ρ2 dρ =
.
2
√3
2
0
Integrali di superficie per campi vettoriali.
Una superficie regolare Σ nello spazio si dice orientabile quando per ogni punto
~ (P ) la cui orientazione
P di Σ esiste un unico vettore unitario (cioé di modulo 1) N
varia in modo continuo quando P varia su Σ senza subire salti di π quando si ritorni
al punto di partenza. Si dice positivo il lato di Σ che lascia al proprio interno il
volume eventualmente delimitato da Σ. Una superficie regolare orientata è allora una
~ (p).
superficie su cui è assegnata a priori una scelta opportuna del campo vettoriale N
Si dice flusso di un campo vettoriale F~ attraverso una superficie orientata Σ
l’integrale di superficie:
Z Z
Φ=
Σ
~ dΣ =
F~ · N
Z Z
Σ
~
F~ · dΣ.
Esempio.
Calcolare il flusso di:
x~i1 + y~i2 ~
F~ = 2
+ i3
x + y2
verso l’alto, attraverso la superficie Σ definita da:
21


 x = u cos v


0≤u≤4
0≤v≤π
y = u sin v
z = u2 .
Si trova subito:
∂~r
= cos v~i1 + sin v~i2 + 2u~i3
∂u
∂~r
= −u sin v~i1 + u cos v~i2 .
∂v
Si ricava:
¯
¯
¯
~i1
∂~r ∂~r ¯¯
∧
= ¯ cos v
∂u ∂v ¯¯
−u sin v
Risulta:
~i2
~i3 ¯¯
¯
sin v 2u ¯¯ = −2u2 cos v~i1 − 2u2 sin v~i2 + u~i3
u cos v 0 ¯
dΣ = (−2u2 cos v~i1 − 2u2 sin v~i2 + u~i3 )dudv.
Ora F~ su Σ vale:
2u cos v~i1 + 2u sin v~i2 ~
2 cos v~
2 sin v~ ~
+ i3 =
i1 +
i2 + i3
2
u
u
u
e pertanto:
~ = −4u cos2 v − 4u sin2 v + u = −3u
F~ · dΣ
~ rivolto verso l’alto, si ha infine:
Ricordando che u ≥ 0 implica N
Z Z
Σ
~ =
F~ · dΣ
Z 4π
0
dv
Z 4
0
"
−3u2
(−3u)du = π
2
#4
= −24π.
0
Ricordiamo infine alcune utili interpretazioni delle espressioni definite tramite
~ (gradiente (significato), divergenza e rotore).
l’operatore ∇
~ (gradiente del campo scalare f ) dà una informazione sulla raInnanzitutto ∇f
~ F~ , ∇∧
~ F~ divergenza
pidità di variazione di f. Sia ora F~ un campo vettoriale e siano ∇·
~
~
e rotore di F . Il valore della divergenza di un campo vettoriale F in un punto P rappresenta una misura di quanto il campo ”diverga” (ossia si affievolisca) nel punto P .
Il valore di tale ”divergenza” può essere misurato dal flusso uscente da una piccola
superficie che racchiude P .
Un campo vettoriale F~ è detto solenoidale in un sottoinsieme X di R3 (o di R2 )
se:
~ · F~ = 0.
∀P ∈ X, ∇
Un campo vettoriale F~ è detto irrotazionale in un sottoinsieme di R3 (o di R2 )
se:
~ ∧ F~ = ~0.
∀P ∈ X, ∇
~ ∧ f~, misura infine di quanto il campo F~ tenda a ruotare attorno
Il rotore di F~ , ∇
ad un punto in cui F~ è definito.
22
Lezione 7
Teoremi per campi vettoriali.
~ , ovvero che F~ sia conservativo. Se V è dotato di
Supponiamo ora che F~ = ∇V
derivate parziali di ogni tipo e continue sino al secondo ordine in un volume delimitato
da una superficie semplicemente connessa, allora:
~ ⇒∇
~ ∧ F~ = ~0.
F~ = ∇V
~ dotato di derivate
Se invece F~ si può ricavare dal rotore di un campo vettoriale G
parziali seconde miste, si ha:
~ ∧G
~ ⇒∇
~ · F~ = 0.
F~ = ∇
Infatti:
∂
∂x
Ã
∂G2 ∂G3
−
∂z
∂y
!
∂
+
∂y
Ã
∂G3 ∂G1
−
∂x
∂z
!
∂
+
∂z
Ã
∂G1 ∂G2
−
∂y
∂x
!
= 0.
Segue che ogni campo conservativo è irrotazionale e che il rotore di una campo
~ è solenoidale.
vettoriale G
~ tale che F~ =
Quando un campo vettoriale F~ ammette un campo vettoriale G
~ ∧ G,
~ si dice che F~ ammette un potenziale vettore G. G
~ è ovviamente individuato
∇
a meno di costanti arbitrarie.
~ campi vettoriali dotati di derivate parziali di
Siano ora U ,V campi scalari e F~ , G
ogni tipo continue almeno fino al secondo ordine. Sono vere le seguenti identità:
~ (U V ) = U ∇V
~ + V ∇U
~
1)∇
³
´
³
³
´
³
~ · U F~ = ∇U
~ · F~ + U ∇
~ · F~
2)∇
´
~ ∧ U F~ = ∇U
~ ∧ F~ + U ∇
~ ∧ F~
3)∇
³
´
³
´
´
³
´
~ · F~ ∧ G
~ = ∇
~ ∧ F~ · G
~ − F~ · ∇
~ ∧G
~
4)∇
³
´
³
´
³
´
³
´
³
´
~ ∧ F~ ∧ G
~ = ∇
~ ·G
~ F~ + G
~ ·∇
~ F~ − ∇
~ · F~ G
~ − F~ · ∇
~ G
~
5)∇
³
´
³
´
³
´
³
´
³
´
~ F~ · G
~ = F~ ∧ ∇
~ ∧G
~ +G
~∧ ∇
~ ∧ F~ + F~ · ∇
~ G
~+ G
~ ·∇
~ F~
6)∇
³
´
~ · ∇
~ ∧ F~ = 0
7)∇
³
´
~ ∧ ∇U
~
8)∇
= ~0
³
´
³
´
³
´
~ ∧ ∇
~ ∧ F~ = ∇
~ ∇
~ · F~ − ∇
~ ·∇
~ F~
9)∇
23
Le formule da 1) a 9) si verificano tramite un calcolo diretto, tenendo conto che,
ad esempio:
Ã
!
³
´
∂
∂
∂
~ ·∇
~ F~ = G1
+ G2
+ G3
G
F~
∂x
∂y
∂z
(e altre identità simili).
Teorema della divergenza.
Il teorema della divergenza (detto anche Teorema di Gauss) rappresenta, in un
certo senso, l’analogo del teorema fondamentale del calcolo integrale:
Z b
f 0 (x)dx = f (b) − f (a).
a
che nel caso di un integrale di linea di un campo vettoriale conservativo assume
l’aspetto (detti B e A rispettivamente i punti finali e iniziali di γ):
Z
γ
~ · d~r = U (B) − U (A)
∇U
~ · F~ di un campo vettoNel teorema della divergenza l’integrale della ”derivata” ∇
riale F~ su di un volume V racchiuso da una superficie chiusa orientata Σ è calcolato
come flusso di F~ uscente da Σ. Se Σ è dotata in ogni punto di un vettore normale
~ e se F~ è un campo vettoriale dotato, almeno fino al secondo ordine, di derivate
N
parziali di ogni tipo e continue fino al secondo ordine, si dimostra che:
Z Z Z
V
Z Z
~ · F~ dV =
∇
Σ
~ dΣ
F~ · N
(teorema della divergenza o di Gauss).
La dimostrazione è basata sul calcolo seguente (sviluppato sulla terza componente,
scelta come esempio):
Z Z Z
V
Z Z
Z f2 (x,y)
∂F3
∂F3
dV =
dz =
∂z
DV f1 (x,y) ∂z
Z Z
=
Z Z
=
DV
[F3 (x, y, f2 (x, y) − F3 (x, y, f1 (x, y)] dxdy =
superf icie superiore
~ ds −
F3~i3 · N
Z Z
superf icie inf eriore
~ ds,
F3~i3 · N
essendo DV la regione piana proiettata sul piano (x, y) dalle parti di superficie z =
f1 (x, y) e z = f2 (x, y) che delimitano V .
Il teorema della divergenza in due dimensioni asserisce che, data una regione Ω
semplicemente connessa nel piano, data una curva chiusa semplice γ tutta contenuta
in Ω e data la regione semplicemente connessa Σ racchiusa da γ, allora:
Z Z
Σ
~ · F~ dΣ =
∇
I
γ
~ ds
F~ · N
24
Lezione 8
Teorema di Green e di Stokes.
Il teorema della divergenza in due dimensioni può essere riformulato in modo
che l’integrale del campo vettoriale F~ faccia intervenire la componente tangente di
F~ piuttosto che la sua componente normale. Si ottiene allora il seguente risultato
(noto sotto il nome di Teorema di Green). Sia Ω una regione (non necessariamente
semplicemente connessa), sia γ una curva regolare chiusa semplice tutta contenuta in
Ω e sia S la regione racchiusa da γ. Se F~ è un campo vettoriale dotato di derivate
parziali continue in S e su γ, si ha:
Z Z Ã
S
!
I
∂F2 ∂F1
−
dxdy = (F1 dx + F2 dy) .
∂x
∂y
γ
Il calcolo è simile a quello effettuato per il teorema della divergenza:
Z Z
S
Z b
Z g2 (y)
Z b
I
∂F2
∂F2
dxdy =
dy
dx =
[F2 (g2 (y)) − F1 (g1 (y))] dy = F2 dy, etc.
∂x
a
g1 (y) ∂x
a
γ
Una versione lievemente diversa di questo risultato è rappresentata dal cosiddetto
Lemma di Gauss che viene scritto, sotto le ipotesi precedenti, nel modo seguente:
Z Z
S
I
∂f
dxdy = − f (x, y)dx
∂y
γ
Z Z
S
I
∂f
dxdy = f (x, y)dy
∂x
γ
(si dimostra con gli stessi calcoli precedenti).
Il Lemma di Gauss può essere esteso a tre dimensioni, ottenendo che, se V è
un volume nello spazio R3 , la cui superficie di chiusura Σ sia orientata e regolare e
f (x, y, z) un campo scalare:
Z Z Z
Z Z
∂f (x, y, z)
~ · i1 dΣ
dxdydz = −
f (x, y, z)N
∂x
V
Σ
Z Z Z
Z Z
∂f (x, y, z)
~ · i2 dΣ
dxdydz = −
f (x, y, z)N
∂y
V
Σ
Z Z Z
V
Z Z
∂f (x, y, z)
~ · i3 dΣ
dxdydz = −
f (x, y, z)N
∂z
Σ
~ la normale a Σ orientata in verso positivo.
ove N
Veniamo ora all’ultimo importante teorema sui campi vettoriali, noto come Teorema di Stokes. Questo teorema costituisce una generalizzazione del teorema di Green
quando si considerino superfici in R3 non necessariamente piane.
Sia Σ una superficie orientata nello spazio, dotata di una frontiera chiusa semplice
~ il campo delle normali a Σ e sia F~ un campo vettoriale dotato di tutte le
γ, sia N
25
derivate (continue) fino al secondo ordine e definito su di un insieme aperto contenente
Σ. Si ha:
Z Z ³
I
´
~ ∧ F~ · N
~ dΣ = F~ · d~r.
∇
Σ
γ
La dimostrazione ricalca quella del teorema della divergenza. Basta scegliere z =
z(x, y) come equazione parametrica della superficie Σ e determinare il campo normale
~ . Dalle formule già viste per N
~ si ha:
N
~i − ∂z~i2 + ~i3
− ∂f
∂x 1
∂y
~
N=r
³ ´2 ³ ´2
∂z
∂z
1 + ∂x
+ ∂y
(la normale deve puntare verso l’alto) mentre l’elemento di area della superficie Σ
vale:
v
u
u
t
Ã
∂z
1+
∂x
dΣ =
!2
Ã
∂z
+
∂y
!2
dxdy.
Sostituendo allora nel primo membro e tenendo conto che Σ si proietta su di un
rettangolo R nel piano (x, y), si trova:
Z Z ³
Z Z "Ã
=
R
∂F3 ∂F2
−
∂y
∂z
!Ã
!
Σ
´
~ ∧ F~ · N
~ dΣ =
∇
Ã
∂z
∂F1 ∂F3
−
+
−
∂x
∂z
∂x
!Ã
∂z
−
∂y
!
Ã
∂F2 ∂F1
+
−
∂x
∂y
!#
dxdy.
D’altro lato il secondo membro dell’equazione può essere calcolato osservando che
dz =
∂x
∂z
dx +
dy.
∂x
∂y
Allora, indicando con γ∗ la proiezione di γ sul piano (x, y) si ottiene:
I
γ
F~ · d~r =
I
=
"
I
γ∗
Ã
F1 dx + F2 dy + F3
"Ã
!
∂x
∂z
dx +
dy
∂x
∂y
Ã
!
!#
=
#
∂z
∂z
F1 + F3
dx + F2 + F3
dy .
∂x
∂y
γ∗
Se si applica ora il teorema di Green nel piano si ha:
I
γ
F~ · d~r =
Z Z Ã
=
R
Z Z Ã
−
R
Z Z (
R
"
#
"
∂z
∂
∂z
∂
F2 + F3
−
F1 + F3
∂x
∂y
∂y
∂x
#)
dxdy =
!
∂2z
∂F2 ∂F2 ∂z ∂F3 ∂z ∂F3 ∂z ∂z
+
+
+
+ F3
dxdy
∂x
∂z ∂x
∂x ∂y
∂x ∂x ∂y
∂x∂y
!
∂ 2z
∂F1 ∂F1 ∂z ∂F3 ∂z ∂F3 ∂z ∂z
+
+
+
+ F3
dxdy.
∂y
∂z ∂y
∂y ∂x
∂z ∂y ∂x
∂y∂x
Nell’integrazione finale si elidono quattro Rtermini,
lasciando
come termini rima´
R ³
~
~
~
nenti proprio quelli dovuti all’espressione per Σ ∇ ∧ F · N dΣ.
26
Esercizio svolto.
Calcolare:
I
F~ · d~r,
γ
essendo γ la curva ottenuta intersecando la superficie sferica
x2 + y 2 + (z − 3)2 = 25
con il piano (x, y) e
q
F~ = y 4 (1 + tan z)~i1 + x5 1 − zy~i2 − cos z(1 + e−x )~i3 .
γ è la circonferenza x2 + y 2 = 16. Orientiamola in verso antiorario. In questo
~ proprio il versore i3 .
caso, il cerchio x2 + y 2 ≤ 16 ammette come campo normale N
Si può allora applicare due volte il Teorema di Stokes (indicando con D il cerchio
x2 + y 2 ≤ 16 e con Σ la parte della superficie sferica che si trova in z ≥ 0) e si ottiene:
I
F~ · d~r =
γ
Z Z ³
Σ
Z Z
´
~ ∧ F~ · N
~ dΣ =
∇
D
~ ∧ F~ · ~i3 dxdy
∇
Ora su D risulta:
"
#
q
~ ∧ F~ · ~i3 = ∂ (x5 1 − zy) − ∂ (y 4 (1 + tan z))
∇
∂x
∂y
= 5x4 − 3y 3
z=0
e per la proprietà di simmetria della integrazione doppia:
Z Z
D
si ha:
I
γ
F~ · d~r = 5
=
y 3 dxdy = 0
Z Z
D
x4 dxdy = 5
Z 2π
0
cos4 θdθ
Z 4
0
ρ5 dρ
5 h 6 i4 Z 2π
10240 Z 2π
ρ
cos4 θdθ =
cos4 θdθ
0 0
6
3
0
Ora:
Z 2π
0
4
cos θdθ =
!2
Z 2π Ã
1 + cos 2θ
2
0
dθ =
Z 2π
1 + 2 cos 2θ + cos2 2θ
4
0
Ã
!
π 1
1 Z 2π 1 + cos 4θ
= + [sin 2θ]2π
+
dθ
0
2 4
4 0
2
"
π π
sin 4θ
= + +
2
4
8
e pertanto:
I
#2π
=
0
3π
4
10240 3π
F~ · d~r =
= 2560π.
3 4
γ
dθ
27
Esercitazione 1
Esercizi sull’integrazione di linea
1) Calcolare:
I
I=
γ
(ex sin y + 3y) dx + (ex cos y + 2x − 2y) dy
ove γ è l’ellisse :
4x2 + y 2 = 4
percorsa una sola volta in verso antiorario.
Si ha:
I
I=
γ
F~ · d~r
ove:
d~r = i1 dx + i2 dy
F~ = (ex sin y + 3y)~i1 + (ex cos y + 2x − 2y)~i2 .
Si verifica subito che F~ non è conservativo. Però, se si assume come potenziale:
V (x, y) = ex sin y + 2xy − y 2
si ha:
~ + yi1 .
F~ = ∇V
Pertanto:
I
I=
γ
~ · d~r +
∇V
I
γ
I
ydx =
γ
ydx = −2
Z 2π
0
sin2 tdt = −2
Z 2π
1 − cos2t
0
2
dt = −2π
essendo nullo il primo integrale e avendo parametrizzato il secondo integrale con:
x = cos t, y = 2 sin t, 0 ≤ t ≤ 2π.
2) Calcolare l’integrale:
Z
I=
con:
γ
F~ · d~r
F~ = y~i1 − x~i2
lungo i seguenti cammini:
i) segmento che unisce il punto (1, 0) al punto (0, −1);
ii) arco di circonferenza con centro (0, 0), raggio 1, percorso in verso antiorario.
Soluzione.
28
Caso i)
Il segmento si può parametrizzare nel modo seguente:
~r = (1 − t)~i1 − t~i2 ,
Quindi:
0 ≤ t ≤ 1.
d~r = −dti1 − dt~i2
e
I
F~ · d~r =
Z 1
0
[(−t)(−dt) − (1 − t)(−dt)] =
Z 1
0
dt = 1
Caso ii)
Il cammino si parametrizza nel modo seguente:
~r = cos t~i1 + sin t~i2 ,
Risulta:
0≤t≤
3π
2
d~r = − sin t~i1 + cos t~i2 ,
F~ · d~r = − sin2 tdt − cos2 tdt = −dt
e segue:
Z
Z
3π
2
3π
.
2
γ
0
Il risultato dipende dal cammino prescelto per andare da (1, 0) a (0, −1), pertanto
il campo F~ = y~i1 − x~i2 non risulta conservativo.
F~ · d~r = −
3) Calcolare
dt = −
Z
γ
zds
ove γ è la curva nello spazio definita da:
~r = R cos t~i1 + R sin t~i2 + Rt~i3 ,
0 ≤ t ≤ 2π.
Si ha subito:
Z
γ
zds = r
Z 2π q
0
R2
2
sin t +
R2
4) Calcolare
cos2
t+
R2 dt
=
√
Z
I=
γ
(x2 + y 2 )ds
ove γ è la curva:


et
 x=√


y = 2t
z = e−t .
0≤t≤1
2R
2
Z 2π
0
tdt =
√
8π 2 R2
29
Si ha:
ds =
√
da cui:
q
e2t + 2 + e−2t dt =
Z
I=
=
Z 1
0
2
γ
2
(x + y )ds =
e3t dt + 2
Z 1
0
=
(et + e−t )2 dt = (et + e−t )dt
Z 1³
0
t2 et dt +
´
e2t + 2t2 (et + e−t )dt =
Z 1
0
et dt + 2
e6 + 3e4 − 3e2 − 1
.
3e3
Z 1
0
t2 e−t dt =
30
Esercitazione 2
Esercizi sui teoremi della divergenza e di Stokes
1) Calcolare
I
γ
ove
F~ · d~r
F~ = −y 5~i1 + x5~i2 − z 5~i3
e γ è la curva orientata in verso antiorario di intersezione del cilindro x2 + y 2 = 1 con
il piano 3x + 3y + z = 4.
Un esercizio simile è già stato svolto. Utilizziamo lo stesso metodo. Detta Σ
~ si individua con:
l’intersezione con il piano dato, il campo normale N
~ dΣ = (3~i1 + 3~i2 + ~i3 )dxdy
N
Risulta anche:
¯
¯ ~i
¯ 1
¯
~ ∧ F~ = ¯¯ ∂
∇
¯ ∂x
¯
¯ −y 5
~i2 ~i3
∂
∂
∂y ∂z
x5 −z 5
¯
¯
¯
¯
¯
¯ = 5(x4 + y 4 )~i3 .
¯
¯
¯
Usando allora il Teorema di Stokes:
I
γ
F~ · d~r =
Z Z
Σ
=
~ ∧ F~ · N
~ dΣ =
∇
Z 2π
0
Z Z
Σ
5(x2 + y 2 )dxdy = 5
"
ρ6
(cos θ + sin θ)dθ
6
4
#1
4
0
Z 2π
0
dθ
Z 1
0
ρ5 (cos4 θ + sin4 θ)dρ
5 Z 2π
5
=
(cos4 θ + sin4 θ)dθ = π.
6 0
4
Infatti:
Z 2π
0

!2 Ã
!2 
Z 2π Ã
1
−
cos
2θ
1
+
cos
2θ
 dθ

+
(cos4 θ + sin4 θ)dθ =
=
=
2
0
Z 2π "
1
0
2) Calcolare:
#
Z 1
1 + cos2 2θ
0
2
2
dθ
"
#
Z 2π
1 1 + cos 4θ
3
3π
3 cos 4θ
+
dθ =
+
dθ = 2π =
.
2 2
2
4
4
4
2
0
Z Z
Σ
~ ∧ F~ · N
~ dΣ
∇
ove Σ è la parte di superficie sferica della sfera di centro (0, 0, 3) e raggio 4 che si
trova al di sopra del piano (x, y) e
F~ = cos x~i1 + x2 ez~i2 − e−xy~i3 .
31
L’equazione della sfera è:
x2 + y 2 + (z − 3)2 = 16
e pertanto la frontiera di Σ risulta essere:
x2 + y 2 = 7
che è anche la frontiera del cerchio aperto D : x2 + y 2 ≤ 7. Con calcoli simili a quelli
dell’esercizio precedente, otteniamo:
¯
¯ ~i
~i2
1
¯
¯ ∂
∂
~ ∧ F~ = ¯¯
∇
¯ ∂x
∂y
¯
¯ cos x x2 ez
¯
¯
¯
¯
¯
¯ = (xe−xy − x2 ez )~i1 − ye−xy~i2 + 2xez~i3 .
¯
¯
¯
~i3
∂
∂z
−e−xy
Possiamo applicare due volte il teorema di Stokes ottenendo:
Z Z
I=
Σ
~ ∧ F~ · N
~ dΣ =
∇
I
F~ · d~r =
γ
Z Z
D
~ ∧ F~ · ~i3
∇
poiché D ha come campo di normali ~i3 (D giace sul piano (x, y)).
Allora su D, con z = 0, ricaviamo:
~ ∧ F~~i3 = 2xez
∇
e pertanto:
Z Z
I=2
D
xdxdy = 2
Z 2π
0
cos θdθ
Z √7
0
ρ · ρdρ = 0
.
Uso del Teorema di Green per il calcolo di aree.
Si sa che:
Z Z Ã
Z
γ
(F1 dx + F2 dy) =
Σ
!
∂F2 ∂F1
−
dxdy
∂x
∂y
Se F~ è un campo vettoriale con la proprietà
∂F2 ∂F1
−
=1
∂x
∂y
si ha allora:
Z Z
area(Σ) =
I
Σ
dΣ =
γ
(F1 dx + F2 dy).
Applichiamo questa formula.
3) Calcolare l’area di una regione Ω piana la cui frontiera sia una curva chiusa
semplice γ, in almeno tre modi differenti, usando le formule sopra ottenute.
Modo a).
32
Consideriamo il campo
F~ = x~i2 .
Per questo campo:
∂F2
= 1,
∂x
∂F1
∂F2 ∂F1
=0⇒
−
=1
∂y
∂x
∂y
pertanto:
I
area(Ω) =
γ
xdy =
Z β
α
x(t)
dy(t)
dt
dt
Modo b). Consideriamo il campo:
F~ = −y~i1 .
Per questo campo:
∂F2
= 0,
∂x
∂F1
∂F2 ∂F1
= −1 ⇒
−
=1
∂y
∂x
∂y
pertanto:
I
area(Ω) = −
γ
ydx = −
Z β
α
y(t)
dx(t)
dt
dt
Modo c)
Consideriamo il campo:
1
F~ = (−y~i1 + x~i2 ).
2
Per questo campo:
∂F2
1
= ,
∂x
2
∂F1
−1
∂F2 ∂F1
=
⇒
−
=1
∂y
2
∂x
∂y
pertanto:
1I
1Z β
dy(t)
1Z β
dx(t)
area(Ω) =
(xdy − ydx) =
x(t)
dt −
y(t)
dt
2 γ
2 α
dt
2 α
dt
4) Sia dato il campo vettoriale:
y3
x3
F~ = (x2 y +
− y)~i1 + ( + y 2 x)~i2 .
3
3
Calcolare, con l’uso del Teorema di Green, l’integrale:
Z
γ
ove γ è l’ellisse
(F1 dx + F2 dy).
x2 y 2
+
= 1.
4
25
33
Osserviamo che:
∂F2
= x2 + y 2
∂x
∂F1
= x2 + y 2 − 1
∂y
e allora:
∂F2 ∂F1
−
= 1.
∂x
∂y
Pertanto
I "Ã
!
Ã
! #
Z Z
y3
x3
2
x y+
− y dx +
+ y x dy =
dΣ = 2.5.π = 10π
3
3
Σ
2
γ
ricordando la formula per il calcolo dell’area dell’ellisse di semiassi 2 e 5.
Esercizi proposti.
1) Calcolare:
I h
γ
(cos x + y 2 dx + (2x − e−xy )dy
i
essendo γ la circonferenza x2 + y 2 = 1.
2) Calcolare:
I h
R
(x2 + 2y 2 )dx + (x2 − y)dy
ove R è il rettangolo −1 ≤ x ≤ 1,
−1 ≤ y ≤ 5.
3) Calcolare:
I
γ
ove
e
i
F~ · d~r
F~ = xey~i1 + (y + ez )~i2 + z~i3
~r = (1 + sin t)~i1 + (1 + cos t)~i2 + (1 − 2 sin 2t)~i3 ,
0 ≤ t ≤ 2π.
(Suggerimento: si possono usare due modi differenti, o calcolando direttamente
l’integrale di linea, o eliminando t da :


 x = 1 + sin t


y = 1 + cos t
z = 1 − 2 sin 2t
ottenendo l’equazione in coordinate cartesiane della curva γ: in questo secondo caso
si usa allora il teorema di Stokes, una volta determinato il campo normale N ).
4) Calcolare:
Z
γ
(x2 y 3 dx − x2 ydy)
34
ove γ è il cerchio di centro (0, 0) e raggio 5.
5) Calcolare:
Z
γ
(xy 2 dx + yz 2 dy + zx2 dz)
ove γ è il rettangolo 0 ≤ x ≤ 1,
0 ≤ y ≤ 2.
6) Sia γ la frontiera di una regione Ω e siano U ,V campi scalari dotati di derivate
parziali fino al secondo ordine e continue.
Dimostrare che:
Z Z ³
Ω
´
~ ∧ ∇V
~
~ =
∇U
·N
I
γ
~ · d~r = −
U ∇V
I
γ
~ · d~r
V ∇U
~ ∧ ∇V
~
e determinare un potenziale vettore del campo vettoriale ∇U
7) Calcolare mediante il teorema di Stokes:
I
γ
(zdx + ydz + xdy)
ove γ è l’intersezione di x2 + y 2 + z 2 = 4 con il piano x + y + z = 0.
35
Lezione 9
Numeri complessi.
Richiami sui numeri complessi.
In R2 consideriamo l’insieme delle coppie di punti (x, y), e su tale insieme definiamo due operazioni binarie e commutative, rispettivamente somma e prodotto, nel
modo seguente:
i) somma:
(x1 , y1 ) + (x2 , y2 ) = (x1 + x2 , y1 + y2 )
ii) prodotto:
(x1 , y1 ) · (x2 , y2 ) = (x1 x2 − y1 y2 , x1 y2 + x2 y1 ).
Con tale definizione, l’insieme delle coppie di punti (x, y) diventa un insieme strutturato, che indicheremo con C. In C vale la seguente definizione di eguaglianza tra
elementi:
(x1 , y1 ) = (x2 , y2 ) ⇔ x1 = x2 e y1 = y2 .
L’operazione di somma definisce su C una struttura di gruppo abeliano additivo,
con elemento neutro (0, 0):
(x1 , y1 ) + (0, 0) = (x1 , y1 )
mentre l’operazione di prodotto definisce su C una struttura di gruppo abeliano
moltiplicativo, con elemento neutro (1, 0):
(x1 , y1 ) · (1, 0) = (x1 , y1 ).
Infine, per ogni (x, y) 6= (0, 0), esiste sempre la coppia:
(
x2
−y
x
, 2
)
2
+ y x + y2
con la seguente proprietà:
(x, y) · (
−y
x
,
) = (1, 0).
x2 + y 2 x2 + y 2
Di conseguenza, l’insieme strutturato C è un campo.
I numeri reali sono un sottocampo di C come risulta dalla corrispondenza:
x ∈ R ↔ (x, 0)
36
che conserva le operazioni di somma e prodotto:
(x1 , 0) + (x2 , 0) = (x1 + x2 , 0) ←→ x1 + x2
(x1 , 0) · (x2 , 0) = (x1 x2 , 0) ←→ x1 x2
La coppia (0, 1) ha la seguente proprietà:
(0, 1) · (0, 1) = (−1, 0) ←→ −1.
Se indichiamo con j tale coppia, possiamo riscrivere la relazione precedente in questo
modo:
j · j = j 2 = −1.
j è dunque una radice quadrata di -1 (anche −j lo è). Si ha, in generale:
(x, 0) + (0, 1) · (y, 0) = (x, 0) + (0, y) ←→ (x, y).
Indicando con z la coppia (x, y) si può dunque scrivere:
z = x + jy.
In questa scrittura z si dice numero complesso, x si dice parte reale di z e si scrive
x = <(z), y si dice parte immaginaria di z e si scrive y = =(z). Pertanto :
z = x + jy = <(z) + j=(z)
Si dice campo complesso il campo costituto dai numeri complessi di C ottenuti come
sopra. Gli elementi neutri rispetto alla somma e alla moltiplicazione sono rispettivamente (0, 0) e (1, 0).
In C valgono le seguenti proprietà:
i) ∀z,
ii) ∀z,
z + 0 = z;
∃ − z : z + (−z) = 0
iii) ∀z,
1·z =z
∃z −1 : z · z −1 = 1
1
Nell’ultima proprietà, la forma esplicita di z −1 = è:
z
iv) ∀z 6= 0,
z −1 =
x − jy
1
= 2
.
z
x + y2
In particolare
j −1 =
1
= −j.
j
Un numero complesso z scritto come z = x + jy si dice posto sotto forma cartesiana. Esistono altri due modi di scrittura di un numero complesso, che prendono il
nome di forma trigonometrica e forma esponenziale: li esamineremo tra poco.
37
Si dice coniugazione complessa la corrispondenza:
x + jy −→ x − jy.
z − jy si dice allora coniugato complesso di z e si indica con z ∗ . Si ha subito <(∗ ) =
<(z), =(z ∗ ) = −=(z).
Sono vere le seguenti proprietà:
1) (z1 ± z2 )∗ = z1∗ ± z2∗
2) (z1 · z2 )∗ = z1∗ · z2∗
3) (z ∗ )∗ = z
4) z + z ∗ = 2<(z),
5) z −1 =
z − z∗ = 2j=(z)
z∗
1
= ∗
z
zz
√
√
Osserviamo che zz ∗ = x2 + y 2 . La quantità zz ∗ = x2 + y 2 si dice modulo di z
e si indica con |z| (la radice è considerata in senso aritmetico, pertanto |z| ≥ 0).
Proprietà di |z|.
1) |z| ≥ 0
2) |z| = 0 ⇔ z = 0
3) |z| = |z ∗ |
4) <(z) ≤ |z|,
=(z) ≤ |z|
5) |z1 z2 | = |z1 ||z2 |
6) |z1 + z2 | ≤ |z1 | + |z2 |
q
7) |z1 ± z2 | =
(x1 ± x2 )2 + (y1 ± y2 )2
8) ||z1 | − |z2 || ≤ |z1 − z2 | ≤ |x1 − x2 | + |y1 − y2 |
9)
¯
¯2
¯ N
¯ ¯
¯2
N
N
¯X
¯
¯ X ¯2 ¯ X
¯
¯
¯
¯
¯ ¯
¯
zh wh ¯ ≤ ¯ zh ¯ ¯ wh ¯¯
¯
¯
¯
¯ ¯
¯
h=1
10)
" N
X
h=1
h=1
#1/2
|zh + wh |
2
≤
" N
X
h=1
#1/2
|zh |
2
+
h=1
" N
X
#1/2
|wh |
2
h=1
Insiemi di numeri complessi di uso frequente.
Diremo circonferenza di centro z0 e raggio R e indicheremo con
γz0 ,R
38
l’insieme dei punti definito da:
|z − z0 | = R.
Diremo cerchio aperto di centro z0 e raggio R e indicheremo con
Cz0 ,R
l’insieme dei punti definito da:
|z − z0 | < R.
Diremo cerchio chiuso di centro z0 e raggio R e indicheremo con
C z0 ,R
l’insieme dei punti definito da:
|z − z0 | ≤ R.
Diremo corona circolare aperta di centro z0 e raggi r, R e indicheremo con
Cz0 ,r,R
l’insieme dei punti definito da:
r < |z − z0 | < R.
Diremo corona circolare chiusa di centro z0 e raggi r, R e indicheremo con
C z0 ,r,R
l’insieme dei punti definito da:
r ≤ |z − z0 | ≤ R.
Hanno interesse anche altri insiemi particolari: tra questi, semipiani verticali destri definiti da:
<(z) ≥ x0 (x0 ∈ R)
semipiani verticali sinistri definiti da:
<(z) ≤ x0
(x0 ∈ R)
semipiani orizzontali inferiori definiti da:
=(z) ≤ y0
(y0 ∈ R)
semipiani orizzontali superiori definiti da:
=(z) ≥ y0
(y0 ∈ R).
39
Lezione 10
Rappresentazione trigonometrica ed esponenziale di numeri complessi.
Finora abbiamo rappresentato i numeri complessi come vettori nel piano reale R2 .
Pertanto somma e differenza di numeri reali si traducono in somma e differenza di
vettori orientati ( questa rappresentazione era stata indicata come rappresentazione
cartesiana). Consideriamo ora coordinate polari nel piano:
(
essendo
(
x = ρ cos θ,
y = ρ sin θ,
√
ρ = |z| = x2 + y 2
θ = arctan xy = arg z
L’angolo θ, detto anche argomento di z e indicato in questo contesto con arg z , è
determinato a meno di multipli di 2π. Il valore di θ nell’intervallo [0, 2π[ si dice valore
principale dell’argomento di z e si indica con Arg z.
La forma trigonometrica di un numero complesso z si ottiene subito sostituendo
a x e y i valori ρ cos θ e ρ sin θ, con θ ∈ [0, 2π[, ottenendo:
z = x + jy = ρ(cos θ + j sin θ) = |z|(cos Arg z + j sin Arg z)
q
=
x2 + y 2 (cos arctan
y
y
+ j sin arctan )
x
x
Nell’intervallo [0, 2π[, i numeri reali positivi hanno Arg z = 0, i numeri immaginari
puri hanno Arg z = π2 se si trovano in Im(z) > 0,Arg z = 3π
se si trovano in
2
Im(z) < 0, i numeri reali negativi hanno Arg z = π. z = 0 è l’unico numero
complesso con modulo nullo e argomento indeterminato. Infine Arg z ∗ = −Arg z, da
cui
z ∗ = x − jy = ρ(cos θ − j sin θ)
.
Con la rappresentazione trigonometrica si hanno alcuni vantaggi. Ad esempio:
z1 z2 = ρ1 ρ2 (cos θ1 + j sin θ1 )(cos θ2 + j sin θ2 )
= ρ1 ρ2 (cos θ1 cos θ2 − sin θ1 sin θ2 + j(sin θ1 cos θ2 + cos θ1 sin θ2 ))
= ρ1 ρ2 (cos(θ1 + θ2 ) + j(sin(θ1 + θ2 )) .
Pertanto il prodotto di due numeri complessi ha come modulo il prodotto dei moduli
e come argomento la somma degli argomenti.
Ciò si esprime nel modo seguente:
|z1 z2 | = ρ1 ρ2 ,
Arg (z1 z2 ) = Arg z1 + Arg z2 .
40
Analogamente, se z2 6= 0:
z1
ρ1
= (cos θ1 + j sin θ1 )(cos θ2 − j sin θ2 )
z2
ρ2
ρ1
(cos θ1 cos θ2 + sin θ1 sin θ2 + j(sin θ1 cos θ2 − cos θ1 sin θ2 ))
ρ2
ρ1
(cos(θ1 − θ2 ) + j(sin(θ1 − θ2 )) .
=
ρ2
Pertanto il rapporto di due numeri complessi ha come modulo il rapporto dei moduli
e come argomento la differenza degli argomenti.
Ciò si esprime nel modo seguente:
=
¯ ¯
¯ z1 ¯
ρ
¯ ¯ = 1,
¯ ¯
z2
ρ2
µ
Arg
z1
z2
¶
= Arg z1 − Arg z2 .
Una relazione interessante è quella per l’elevamento di un numero complesso alla
n − esima potenza (n intero positivo), che si ricava per induzione dalla formula per
il prodotto:
z n = ρn (cos nθ + j sin nθ)
Va notato infine che, grazie alle coordinate polari, è possibile mettere in corrispondenza biunivoca i numeri complessi con le matrici di rotazione tramite la legge
seguente:
Ã
!
ρ cos θ −ρ sin θ
.
z = ρ(cos θ + j sin θ) ←→
ρ sin θ ρ cos θ
!
Ã
!
Ã
1 0
0 −1
e j ←→
.
In particolare 1 ←→
0 1
1 0
Con questa corrispondenza, che conserva somma e prodotto, si può utilmente
interpretare l’operazione di prodotto tra numeri complessi come una rotodilatazione
(la dilatazione è dovuta alla presenza dei moduli) che ruota il vettore rappresentativo
di uno dei due numeri dell’ammontare dell’argomento dell’altro. Infatti:
z1 z2 = ρ1 ρ2 (cos θ1 + j sin θ1 )(cos θ2 + j sin θ2 ) ←→
Ã
←→ ρ1 ρ2
cos θ1 − sin θ1
sin θ1 cos θ1
Ã
= ρ1 ρ2
!Ã
cos θ2 − sin θ2
sin θ2 cos θ2
cos(θ1 + θ2 ) − sin(θ1 + θ2 )
sin(θ1 + θ2 ) cos(θ1 + θ2 )
!
!
.
Ad esempio jz è il numero z ruotato in verso antiorario di
ruotato di π2 in verso antiorario, cioé il numero −1, etc.
π
,
2
jj è il numero j
Ancora più utile e significativa è la rappresentazione esponenziale che si ottiene
utilizzando la relazione di Eulero che definisce l’esponenziale ejθ :
ejθ = cos θ + j sin θ
41
da cui seguono le formule:
cos θ =
ejθ + e−jθ
,
2
sin θ =
ejθ − e−jθ
.
2j
Si ottiene la forma esponenziale (o polare) di un numero complesso z:
z = ρejθ .
Le proprietà più importanti di ejθ sono:
ejθ1 ejθ2
ejθ1
ejθ2
jθ −jθ
e e
1
ejθ
2πnj
e
³
ejθ
´∗
= ej(θ1 +θ2 )
= ej(θ1 −θ2 )
= 1
= e−jθ
= 1,
∀n ∈ N
= e−jθ .
Si ha inoltre:
z n = ρn ejnθ ,
Ad esempio,
n > 0.
π
j n = ejn 2 .
Allora, se (k essendo un arbitrario intero relativo)n = 4k ± 2,j n = ±1, se n = 4k ± 1,
j n = ±j e questi sono gli unici possibili valori per j n .
Infine, dato z 6= 0 è possibile trovare numeri complessi w tali che wn = z. Tali
numeri sono:
1 θ+2kπ
w = ρ n e n j , k = 0, 1, ..n − 1
perché ∀n, en
k = 0, 1, ..n − 1.
2kπ
j
n
= 1 e i soli valori distinti per e
θ+2kπ
j
n
si ottengono quando
Intorni
Per l’analisi complessa è necessario definire in C una opportuna classe di intorni
di un punto z0 . Diremo ² − intorno I(², z0 ) di un punto z0 un cerchio aperto di
centro z0 e raggio ² e scriveremo
I(², z0 ) = Cz0 ,² .
Dato un insieme Ω un punto z0 ∈ Ω si dice interno se esiste un intorno di z0 tutto
contenuto in Ω . Segue che un generico insieme aperto è un insieme i cui punti sono
tutti punti interni di Ω. Si dice punto di frontiera di Ω ogni punto tale che un suo
intorno contenga almeno un punto interno a Ω e almeno un punto non appartenente
42
ad Ω. Un punto che non è interno o di frontiera per Ω si dice punto esterno. Un punto
z0 si dice punto di accumulazione per Ω se ogni suo intorno contiene infiniti punti di
Ω. Non necessariamente un punto di accumulazione di Ω appartiene a Ω. Un insieme
Ω si dice chiuso se ogni punto di accumulazione di Ω appartiene a Ω. Un insieme si
dice limitato se è contenuto in un cerchio chiuso di raggio finito. Un insieme si dice
compatto se è chiuso e limitato.
Punto all’infinito
Al campo complesso è possibile aggiungere un (solo) punto all’infinito. Si tratta
del numero complesso che si ottiene allontanandosi indefinitamente dall’origine lungo
una direzione arbitraria. Si conviene di indicare tale punto come z = ∞ e gli si
attribuisce un modulo infinito e un argomento indeterminato.
Si studia il punto all’infinito mediante una opportuna proiezione stereografica che
consiste nell’appoggiare sull’origine di R2 una sfera (di diametro convenzionalmente
eguale a 1) e nel tracciare il segmento che congiunge il punto della sfera (detto anche
Polo Nord) diametralmente opposto all’origine con un punto arbitrario P in R2 .
Il segmento interseca la superficie sferica in un punto, che si dice immagine P 0 di
P e che si pone in corrispondenza biunivoca con P . Quando si considerano punti
indefinitamente lontani dall’origine, tutte le loro immagini confluiscono nel polo nord
della sfera, che pertanto si interpreta come punto all’infinito del campo complesso.
Le regole di calcolo con z = ∞ sono:
z±∞
∞+∞
se z 6= 0, z · ∞
∞.∞
z
∞
∞
∞ − ∞,
∞
∞
=
=
=
=
=
∞
∞
∞
∞
0
∞
=
z
, ∞0 , sono forme indeterminate.
Si definisce intorno di z = ∞ ogni insieme I∞ della forma:
I∞ = {z : |z| > M, M > 0}
cioé l’insieme di tutti i punti esterni ad una circonferenza di centro l’origine e raggio
M.
Da notare un fatto interessante: una circonferenza
γ0,M = {z : |z| = M }
divide il piano complesso in due regioni disgiunte: quella interna è interpretabile
come intorno di z = 0 definito da:
C0,M = {z : |z| < M }
43
mentre quella esterna, secondo la definizione sopra scritta, è interpretabile come intorno di z = ∞. Unendo questa considerazione con il fatto che z = ∞ è l’unico
punto con modulo infinito e argomento indeterminato, si può pensare a z = ∞ come
”inverso” di z = 0 e reciprocamente, a z = 0 come ”inverso” di z = ∞. Il piano
complesso C unito a z = ∞ si dice piano complesso esteso e si indica con C.
44
Lezione 11
Funzioni di variabile complessa.
Nel caso dei complessi si possono considerare quattro possibilità:
f :X⊂R
f :Ω⊂C
f :X⊂R
f :Ω⊂C
−→
−→
−→
−→
f (X) ⊂ R
f(Ω) ⊂ R
f (X) ⊂ C
f (Ω) ⊂ C
(1)
(2)
(3)
(4)
Ci occuperemo sostanzialmente della possibilità (4) (funzioni complesse di variabile complessa) anche se non trascureremo le possibilità (2) (funzioni reali di variabile
complessa) e (3) (funzioni complesse di variabile reale).
Indicheremo con f (z) sia la funzione che un suo valore.
Esempi per funzioni reali di variabile complessa sono:
f (z) = |z|,
f (z) = <(z),
f (z) = =(z).
Esempi per funzioni complesse di variabile reale sono:
f (x) = jx,
f (x) = ejx ,
f (x) = cos x + j tan x.
Le funzioni elementari di variabile complessa sono:
f (z) = C, C costante complessa
f (z) = Cz, C costante complessa
1
f (z) =
, z=
6 0
z
f (z) = z n , n > 0
(5)
(6)
(7)
(8)
Componendo i precedenti tipi di funzione tramite somma, prodotto, inversione si
ottiene la più generale funzione elementare, che ha la forma:
f (z) =
p(z)
q(z)
ove p, q sono polinomi complessi della forma:
N
X
ai z i ,
ai ∈ C.
i=1
Tale tipo di funzione si dice funzione razionale (propria se il grado del denominatore
è strettamente maggiore del grado del numeratore).
Data una funzione complessa di variabile complessa, f (z) = w, z ∈ C, w ∈ C,
essendo w un numero complesso dotato di una parte reale u e di una parte immaginaria
45
v potremo scrivere, tenendo conto che f è funzione delle variabili reali x e y tramite
z = x + jy:
f (z) = f (x + jy) = u(x, y) + jv(x, y).
Esempi.
1)
f (z) = z 2 = (x + jy)2 = x2 − y 2 + 2jxy ⇒ u(x, y) = x2 − y 2 ,
2)
f (z) =
⇒ u(x, y) =
v(x, y) = 2xy.
1
1
x2 − y 2 − 2jxy
=
=
z2
x2 − y 2 + 2jxy
(x2 − y 2 )2 + 4x2 y 2
x2 − y 2
−2xy
, v(x, y) = 2
2
2
2
2
2
(x − y ) + 4x y
(x − y 2 )2 + 4x2 y 2
Al contrario, date due funzioni reali delle variabili x, y, u(x, y) e v(x, y), è possibile,
tramite
z + z∗
z − z∗
x=
, y=
,
2
2j
e la combinazione lineare complessa
Ã
z + z∗ z − z∗
u(x, y) + jv(x, y) = u
,
2
2j
!
Ã
z + z∗ z − z∗
+ jv
,
2
2j
!
risalire ad una funzione di variabile complessa, che però in genere dipende sia da z
che da z ∗ .
Esempi.
1)
Ã
2
2
u(x, y) = x + y ,
z + z∗ z − z∗
v(x, y) = 2xy ⇒ u
,
2
2j
µ
z + z∗
=
2
¶2
Ã
z − z∗
+
2j
=
!2
!
Ã
z + z∗ z − z∗
+ jv
,
2
2j
z + z∗ z − z∗
+ 2j
2
2j
zz ∗ z 2 − z 2
−
.
2
2
2)
Ã
u(x, y) = x,
z + z∗ z − z∗
,
v(x, y) = 2y ⇒ u
2
2j
=
z + z∗
z − z∗
+ 2j
2
2j
∗
3z z
−
=
2
2
!
Ã
z + z∗ z − z∗
+ jv
,
2
2j
!
!
46
Funzioni non elementari
La più importante tra le funzioni non elementari è la funzione esponenziale complessa, definita da:
ez = ex+jy =def = ex ejy = ex (cos y + j sin y)
ove ex è l’esponenziale reale e ejy = cos y + j sin y è la formula di Eulero: essendo
entrambe le quantità ben definite, l’esponenziale ez risulta ben definito.
Proprietà fondamentali:
ez1 ez2 = ez1 +z2 , ∀z1 , z2 ∈ C
ez 6= 0, ∀z ∈ C
ez = 1, se e solo se z = 2kπj
1
e−z = z
e
ez1 = ez2 se e solo se z1 − z2 = 2kπj
∗
(ez )∗ = ez
(9)
(10)
(11)
(12)
(13)
(14)
Una funzione f (z) di variabile complessa si dice periodica con periodo complesso
τ se ∀z ∈ C, f (z + τ ) = f (z). Sorprendentemente, la funzione ez è periodica sull’asse
immaginario, e il periodo è un numero immaginario puro. Infatti, per le proprietà già
viste:
f (z + 2kπj) = ez+2kπj = ez = f (z).
Funzioni trigonometriche complesse
Tramite la funzione esponenziale è possibile definire le funzioni trigonometriche in
campo complesso. Osserviamo anzitutto che:
eαz = ex<(α)−y=(α)+j(x=(α)+y<(α)) = ex<(α)−y=(α) ej(x=(α)+y<(α)) ,
∀α ∈ C
Pertanto è definito ejz = ejx−y e si hanno allora le seguenti definizioni fondamentali:
ejz + e−jz
ejz − e−jz
, cos z =
sin z =
2j
2
Le funzioni sin z e cos z sono periodiche di periodo 2π; si ha inoltre ejz = cos z+j sin z.
La proprietà fondamentale:
sin2 z + cos2 z = 1
si verifica con un calcolo diretto:
Ã
ejz − e−jz
2j
!2
Ã
ejz + e−jz
+
2
!2
=
e2jz + e−2jz − 2 − e2jz − e−2jz − 2
= 1.
−4
47
Nello stesso modo si verifica che ∀z1 , z2 ∈ C:
sin(z1 ± z2 ) = sin z1 cos z2 ± cos z1 sin z2
cos(z1 ± z2 ) = cos z1 cos z2 ∓ sin z1 sin z2
Da queste formule, ponendo z1 = x, z2 = jy , osservando che
cos jy =
ejjy + e−jjy
e−y + ey
=
= cosh y,
2
2
sin jy =
ejjy − e−jjy
e−y − ey
=
= j sinh y
2j
2j
si ricava:
sin z = sin x cosh y + j cos x sinh y,
Segue subito:
(sin z ∗ )∗ = sin z,
cos z = cos x cosh y − j sin x sinh y.
(cos z ∗ )∗ = cos z
| sin z|2 = (sin x cosh y)2 + (cos x sinh y)2
= sin2 x(1 + sinh2 y) + cos2 x sinh2 y = sin2 x + sinh2 y
|cosz|2 = (cos x cosh y)2 + (sin x sinh y)2
= cos2 x(1 + sinh2 y) + sin2 x cosh2 y = cos2 x + sinh2 y.
Tramite sin z, cos z si definiscono poi le altre funzioni trigonometriche complesse:
tan z =
sin z
1 ejz − e−jz
=
, etc.
cos z
j ejz + e−jz
Gli zeri di sin z, cioè i punti per cui: ejz − e−jz = 0 si ricavano da: e2jz = 1, con
soluzioni: z = kπj. Analogamente gli zeri di cos z, cioè i punti per cui ejz + e−jz = 0
si ricavano da: e2jz = −1 = ejπ , con soluzioni z = π2 j + kπj.
Funzioni iperboliche complesse
Sono le funzioni definite da:
sinh z =
ez − e−z
2
cosh z =
ez + e−z
2
, e estendono le funzioni iperboliche reali a C. Le funzioni iperboliche complesse sono
periodiche con periodo 2πj; si ha inoltre ez = cos z + sin z. Osserviamo che:
cosh2 z − sinh2 = 1
sinh z = sinh(x + jy) = sinh x cos y + j cosh x sin y
cosh z = cosh(x + jy) = cosh x cos y + j sinh x sin y
Inoltre:
sinh jz = j sin z,
sin jz = j sinh z
48
cosh jz = cos z,
(sinh z ∗ )∗ = sinh z,
| sinh z|2 = sinh2 x + sin2 y,
cos jz = cosh z
(cosh z ∗ )∗ = cosh z
| cosh z|2 = sinh2 x + cos2 y
Le espressioni per | sin z|, | sinh z| etc. sono simili. In generale, una funzione f (z)
si dice non limitata in un insieme Ω se ∃M, M > 0|∀z ∈ Ω, |f (z)| < M . Segue che
sin z, sinh z, cos z, cosh z sono funzioni non limitate in C.
49
Lezione 12
Inversione di funzioni.
In genere, funzioni complesse di variabile complessa ammettono funzioni inverse.
Però, in casi anche semplici, può essere impossibile trovare la funzione inversa di
una funzione data. Un esempio è già stato esaminato: se si considera f (z) = z n , la
1
ricerca della funzione inversa (che di solito si indica con z n ) porta alla conclusione
che l’inversione non è possibile: infatti la corrispondenza
1
1
z −→ z n = ρ n e
θ+2kπ
j
n
,
k = 0, 1, ..n − 1
è una corrispondenza uno-a-n , dunque una relazione e non una funzione. La stessa
cosa capita nel caso in cui si voglia invertire la funzione esponenziale complessa. Dato
z 6= 0, un numero complesso w si dice un logaritmo complesso di z, e si scrive w = ln z,
se e solo se ew = z. Si vede facilmente che esiste una infinità numerabile di numeri
complessi w tali che ew = z. Infatti, posto w = u + jv si ha subito:
eu+jv = eu ejv = z = ρejθ
da cui:
eu = ρ,
Segue che:
v = θ + 2kπ.
q
u = ln ρ = ln
x2 + y 2 ,
v = θ + 2kπ
q
⇒ w = u + jv = ln ρ + jθ + 2kπj = ln x2 + y 2 + jArgz + 2kπj.
√
Pertanto la corrispondenza z −→ ln z = ln x2 + y 2 + jArgz + 2kπj è una corrispondenza uno-a-infinito. Vale tuttavia la proprietà fondamentale dei logaritmi:
µ
¶
z1
= ln z1 − ln z2
z2
Situazioni di questo tipo portano a definire con il termine funzione polidroma ogni
corrispondenza funzionale complessa uno-a-molti. Lo studio delle funzioni polidrome
esula dagli scopi del presente corso.
Nella pratica, però, si supera questa difficoltà definendo tante corrispondenze unoa-uno, dunque funzioni, quanti sono i valori possibili per k. Nel caso della radice
n − esima si hanno pertanto n funzioni:
ln(z1 z2 ) = ln z1 + ln z2 ,
ln
1
θ
w1 : z −→ ρ n e n j
1
θ+2π
j
n
1
θ+4π
j
n
1
θ+6π
j
n
w2 : z −→ ρ n e
w3 : z −→ ρ n e
w4 : z −→ ρ n e
.........
50
1
wn : z −→ ρ n e
θ+2(k−1)π
j
n
ciascuna delle quali è definita non su C, ma su C − R− , affinché si possa avere un
passaggio continuo dall’una all’altra (C − R− si dice allora piano complesso tagliato e
R− si dice linea di taglio. La scelta di una linea di taglio è completamente arbitraria
e può essere decisa di volta in volta a seconda delle necessità.
Nel caso della radice quadrata si hanno due funzioni, corrispondenti al segno
positivo e negativo e scriveremo:
w+ =
√
jθ
√ jθ
ρe 2 , w− = − ρe 2 .
1
Ciascuna delle funzioni definite sopra si dice ramo della funzione polidroma z n . Ci
sono due punti in cui i valori dei vari rami coincidono: tali punti si dicono punti di
diramazione: questi punti sono z = 0 e z = ∞. Una linea che congiunge due punti
di diramazione si dice linea di diramazione. Un punto di diramazione deve allora
appartenere a tutte le linee di diramazione, altrimenti non è punto di diramazione.
Le linee di diramazione si fanno infine, di solito, coincidere con le linee di taglio.
Le stesse considerazioni si applicano alla funzione polidroma w = lnz, caso in cui si
ottengono però infinite funzioni su infiniti piani tagliati:
q
w0 : z −→ ln x2 + y 2 + jArgz
q
x2 + y 2 + jArgz + 2πj
w1 : z −→ ln
q
x2 + y 2 + jArgz + 4πj
w2 : z −→ ln
q
w3 : z −→ ln
x2 + y 2 + jArgz + 6πj
..........................
La funzione w0 , indicata di solito con Ln, assume un nome speciale: si dice valor
principale del logaritmo di z e si scrive:
q
Ln z = ln
x2 + y 2 + jArgz = ln ρ + jθ
L’argomento di z deve però, ad esempio, essere compreso tra 0 e 2π (uno dei due
estremi escluso, a seconda della posizione del taglio)
Esempi
1)
Ln (−1) = jπ
(linea di taglio R+ , semiasse reale positivo)
2)
1
5π
ln 2 + j
2
4
Gli esempi illustrano una caratteristica peculiare di Ln z: non sempre Ln (z1 z2 ) =
Ln z1 + Ln z2 : infatti, dagli esempi 1) e 2) risulta che Ln (−1) + Ln(−1 − j) =
1
ln 2 + j 9π
mentre Ln ((−1)(−1 − j)) = Ln (1 + j) = 12 ln 2 + j π4 .
2
4
Ln (−1 − j) =
51
Tramite la relazione ln si può definire l’esponenziale complesso di un numero
complesso con la formula:
z w = ew ln z
Nei calcoli, si usa il valor principale, ottenendo:
v.p.z w = ewLnz .
(v.p. abbrevia valor principale).
Esempi
1)
v.p.(−1)2j = e2jLn(−1) = e2j(jπ) = e−2π .
2)
π
π
v.p.(j)j = ejLn j = ejj 2 = e− 2
3)
v.p.(π)1+j = e(1+j) ln π = π(cos lnπ + j sin lnπ)
Anche l’inversione delle funzioni trigonometriche e iperboliche complesse dà origine a funzioni polidrome di tipo logaritmo. Ad esempio, cerchiamo l’espressione di
w = arcsin z. Si ha:
w = arcsin z ⇒ sin w = z ⇒
ejw − e−jw
=z
2j
Moltiplicando ambo i membri di quest’ultima equazione per ejw otteniamo:
e2jw − 2jzejw − 1 = 0
che è una equazione di secondo grado nella incognita ejw . Risolvendo:
ejw = jz ±
√
³
1 − z 2 ⇒ w = arcsin z =
ln jz ±
j
Con la stessa procedura si trova:
³
arccos z =
ln jz ±
√
´
z2 − 1
j
1
1 + jz
ln
2j 1 − jz
´
³
√
arcsinhz = ln z ± z 2 + 1
´
³
√
arccoshz = ln z ± z 2 − 1
arctan z =
√
1 − z2
´
.
52
arctanhz =
1 1+z
ln
2 1−z
Esempio
Calcolare arcsin j. Si ha:
arcsin j =
√



√
ln( 2−1)
j
j
√
√
ln(−1)( 2+1)
ln( 2+1)
=
j
j
ln(jj+
√
2

 ln(jj− 1−j ) =
j
1−j 2 )
=
+ π + 2kπ
Rappresentazione grafica di funzioni complesse
Non è possibile rappresentare in modo cartesiano una corrispondenza C −→ C,
poiché sarebbero necessarie quattro dimensioni. Si può ovviare all’inconveniente rappresentando in R3 quattro superfici:
q
|f (z)| =
u2 (x, y) + v 2 (x, y) = c,
u(x, y)
= c.
v(x, y
Queste superfici danno un’idea completa dell’andamento della funzione, ma non sono
il grafico della funzione.
<(z) = u(x, y) = c,
=(z) = v(x, y) = c,
Arg z = arctan
Una funzione di variabile complessa può anche essere vista come trasformazione
dal piano complesso z al piano complesso w. In questo contesto è allora importante
esaminare come si trasformano le curve passando dal piano dei complessi z al piano
dei complessi w. Consideriamo ad esempio la funzione esponenziale w = ez . Ponendo
w = Rejφ si trova subito:
w = Rejφ = ez = ex+jy = ex ejy
da cui, nel piano w,
R = ex ,
φ = y.
Di conseguenza la retta x = a è rappresentata, nel piano w, sulla circonferenza
R = ea = cost., mentre la retta y = c è rappresentata, nel piano w, dal raggio (retta
spiccata dall’origine) φ = c. Un rettangolo nel piano z, descritto da a ≤ x ≤ b,
c ≤ y ≤ d, è trasformato, nel piano w, nella regione
ea ≤ R ≤ eb ,
c≤φ≤d
limitata da archi di circonferenza e segmenti su raggi.
Un’altra trasformazione interessante è quella generata dalla funzione:
w=
z−1
z+1
(si tratta di un caso particolare della cosiddetta trasformazione bilineare fratta:
w ==
az + b
, ad − bc 6= 0
cz + d
53
che trasforma rette e cerchi del piano complesso di partenza in cerchi e rette del piano
complesso di arrivo). Se si risolve tale equazione rispetto a z si trova:
z=
1+w
(1 + w)(1 − w∗ )
(1 + u + jv)(1 − u + jv)
=
=
∗
1−w
(1 − w)(1 − w )
(1 − u − jv)(1 − u + jv)
=
1 − u2 − v 2 + 2jv
1 + u2 + v 2 − 2u
da cui eguagliando parte reale e parte immaginaria:
x=
1 − u2 − v 2
,
1 + u2 + v 2 − 2u
y=
1+
u2
2v
.
+ v 2 − 2u
Nel piano w queste equazioni sono le equazioni di due circonferenze:
µ
x
x+1
u−
¶2
+ v2 =
Ã
1
(u − 1) + v −
y
1
(x + 1)2
!2
2
³
=
1
y2
´
³
´
x
1
la prima con centro x+1
, 0 e raggio R1 = |x+1|
, la seconda di centro 1, y1 e
1
raggio R2 = |y|
. Pertanto le rette x = α sono trasformate in circonferenze di centro
³
´
α
,0
α+1
³
1
, le
|α+1|
1
R2 = |β|
.
e raggio R1 =
´
rette y = β sono trasformate nelle circonferenze di
centro 1, β1 e raggio
In particolare il semipiano x ≥ 0 è allora trasformato nell’interno di un cerchio di
raggio 1 e centro (0, 0). Infatti a x = 0 corrisponde la circonferenza di centro (0, 0) e
raggio 1, mentre a x −→ ∞ corrisponde la circonferenza di centro −→ (1, 0) e raggio
−→ 0. ³Le semirette
y = β > 0 si trasformano allora negli archi di circonferenza di
´
1
centro 1, β1 e raggio |β|
contenuti nell’interno del cerchio di raggio 1 e centro (0, 0)
già individuato. La figura che si ottiene nel piano (u, v) si dice Carta di Smith.
Un’ultima interessante trasformazione è quella generata dalla funzione (detta funzione di Jukowski ):
µ
¶
1
1
f (z) =
z+
.
2
z
Si ha (con z = ρejθ :
Ã
1
e−jθ
jθ
f (z) = u + jv =
ρe +
2
ρ
da cui:
Ã
!
1
1
ρ+
cosθ,
u=
2
ρ
Ã
!
!
1
1
v=
ρ−
sin θ.
2
ρ
Se ρ = R 6= 1, eliminando θ tra le equazioni parametriche per u e v, otteniamo:
h ³
1
2
u2
R+
1
R
´i2 + h ³
1
2
v2
R−
1
R
´i2 = 1
54
equazione di un’ellisse i cui semiassi a e b sono dati da:
µ
1
1
a=
R+
2
R
Si trova:
√
¶
¯
¯
1¯
1¯
b = ¯¯R − ¯¯ .
2
R
s
1
1 2
(R + 2 + 1/R2 ) − (R2 + 2 − 1/R2 ) = 1
4
4
Pertanto la distanza dei fuochi dell’ellisse dal centro non dipende da R e si conclude
che cerchi |z| = R sono trasformati in ellissi confocali: |z| = 1/R è trasformato nella
stessa ellisse in cui è trasformato |z| = R. Se R = 1 si ha u = cos θ, v = 0, 0 ≤ θ ≤ 2π,
ovvero il segmento [−1, 1] percorso due volte.
Tutte le trasformazioni che abbiamo esaminato hanno una proprietà comune: se
due curve si intersecano nel piano z in un punto P l’angolo da esse formato in P si
mantiene eguale all’angolo formato in f (P ) dalle corrispondenti curve immagine nel
piano w. Le trasformazioni conservano gli angoli: si dicono pertanto trasformazioni
conformi.
Le funzioni analitiche generano trasformazioni conformi dal piano z al piano w,
in tutti i punti in cui f 0 (z) 6= 0.
Infatti, sia z = z(t) una curva in z. Si ha, per calcolare la tangente, la seguente
formula :
d
df dz
f (z(t)) =
.
dt
dz dt
Ora, se z = z(u) è un’altra curva che interseca z = z(t) in z0 , con la stessa regola di
derivazione otteniamo:
" #
d
dz
df
f (z(u)) |z0 =
dt
dz z=z0 du
a2 − b2 =
"
df
e ciascuna delle due tangenti è ruotata dello stesso angolo fisso pari a Arg
dz
#
.
z=z0
55
Lezione 13
Limiti e continuità.
Definizione di limite in C.
Sia f una funzione complessa di variabile complessa definita su di un intorno I di
un punto z0 ∈ C, tranne al più in z0 . Diremo che il limite di f per z −→ z0 vale w0 e
scriveremo:
lim f (z) = w0
z→z0
se per ogni intorno U di w0 esiste intorno V ⊂ I di z0 tale che:
∀z ∈ V, f (z) ∈ U.
Essendo questa definizione estesa a C, sono ammessi z0 = ∞ e w0 = ∞.
La definizione data è la definizione di limite non direzionale: se il limite della
funzione esiste, allora è unico e non dipende dalla direzione di avvicinamento di z
al punto z0 . Ciò implica che, se si trovano due diverse direzioni di avvicinamento al
punto z0 , lungo le quali i risultati siano diversi tra loro, il limite non esiste.
Esempio di non esistenza del limite
Calcoliamo
lim ez .
z→∞
Le direzioni di avvicinamento a ∞ sono le direzioni individuate dalle rette del piano
passanti per l’origine. Se si sceglie come direzione quella dell’asse reale positivo si ha:
lim ez = lim ex = ∞,
z→∞
x→∞
mentre se si sceglie come direzione quella dell’asse reale negativo si ha :
lim ez = lim ex = 0.
z→∞
x→−∞
Essendo diversi i due risultati, segue che non esiste
lim ez .
z→∞
Enunciamo ora alcuni teoremi sui limiti, validi in C.
1) Condizione necessaria e sufficiente affinché esista
lim f (z) = w0
z→z0
56
è che esistano i limiti:
lim
(x,y)→(x0 ,y0 )
u(x, y) = u0 ,
lim
(x,y)→(x0 ,y0 )
v(x, y) = v0 .
In tal caso si ha:
w0 = u0 + jv0 .
2) Se
∃ z→z
lim f (z),
0
allora:
∃ z→z
lim g(z),
0
"
#
f (z)
∃ z→z
lim [f (z) ± g(z)] , ∃ z→z
lim [f (z)g(z)] , ∃ z→z
lim
,
0
0
0
g(z)
e inoltre
¸∗
·
lim f (z)
z→z0
= lim f ∗ (z)
z→z0
Sia una funzione definita in un sottoinsieme di C: nel caso in cui limz→z0 f (z) = ∞,
oppure non esiste, si dice che f presenta un punto singolare in z0 .
Esempi.
1)
lim
1
=∞
z−j
lim
1
=∞
z+j
z→j
2)
z→−j
3)
lim
z→∞
4)
z3 − z2 + 1
=∞
z−4
1
=0
z→∞ z − 1
lim
5) Sia f definita da:


 f (z) =
0 per z = j
z +1

perz 6= j
 f (z) =
z−j
2
Allora
lim f (z) = 2j 6= 0 = f (j).
z→j
Definizione di continuità.
Sia f una funzione complessa di variabile complessa definita su di un intorno I di
un punto z0 in C. f si dice continua nel punto z0 se e solo se ∃f (z0 ), ∃ limz→z0 f (z) e:
lim f (z) = f (z0 )
z→z0
57
Una funzione f si dice continua in una regione Ω se e solo se è continua in ogni
punto di Ω.
Teoremi sulla continuità.
Siano f e g continue in una regione Ω. Allora f ± g, f g f ∗ , <(f ), =(f ), |f | sono
continue in Ω. Sia f continua in Ω e g continua in una sottoregione di f (Ω). Allora
g(f ) è continua in una sottoregione di Ω.
Sia f una funzione continua su di un insieme compatto ∆: allora f è limitata su
∆.
Esempi.
1) I polinomi complessi
ez , cos z, sin z
sono funzioni continue su C. La funzione f (z) =
−j.
La funzione:


 f (z) =
1
è continua ∀z ∈ C, z 6= j, z 6=
z2 + 1
0 per z = j
z+1
,

perz 6= j
 f (z) =
3
z −j
è continua ∀z ∈ C, z 6= j.
58
Lezione 14
Derivabilità e analiticità.
Rapporto incrementale e derivazione
Sia f una funzione complessa definita in un intorno I di un punto z0 . Sia ∆z =
∆x + j∆y tale che z0 + ∆z ∈ I. Sia ∆f = f (z0 + ∆z) − f (z0) . Si dice rapporto
incrementale complesso la quantità:
∆f
f (z0 + ∆z) − f (z0 )
=
.
∆z
∆z
Si dice derivata complessa di f nel punto z0 il seguente limite:
∆f
f (z0 + ∆z) − f (z0 )
=
.
∆a→0 ∆z
∆z
lim
Tale limite si indica con le notazioni:
Ã
df
dz
!
,
z0
f 0 (z0 ),
(Df )z=z0 , etc.
L’esistenza del limite in z0 implica automaticamente che il risultato sia indipendente dalla direzione di avvicinamento al punto z0 (che è la direzione lungo la quale
∆z tende a zero). f si dice anche derivabile in senso complesso.
Esempi di funzioni per le quali non esiste la derivata complessa.
1) Sia f (z) = z ∗ . Si ha:
∀z ∈ C,
∆f
f (z + ∆z) − f (z)
[x + ∆x − j(y + ∆y)] − (x − jy)
=
=
∆z
∆z
∆x + j∆y
=
∆x − j∆y
(∆z)∗
=
= e−2jArg∆z
∆x + j∆y
∆z
e−2jArg∆z dipende dalla direzione lungo la quale ∆z → 0, pertanto f non è derivabile
df
= 1, se
in senso complesso (ad es. se ∆z = ∆x , ovvero Arg∆z = 0, si ha
dz
df
= −1) .
∆z = j∆y, ovvero Arg∆z = π2 si ha
dz
2) Sia f (z) = zz ∗ . Si ha:
∀z ∈ C (z 6= 0),
= z∗ + z
(z + ∆z)(z + ∆z)∗ − zz ∗
∆f
=
∆z
∆z
(∆z)∗
+ (∆z)∗ = z ∗ + ze−2jArg∆z + (∆z)∗
∆z
59
e il limite dipende dalla direzione lungo la quale ∆z → 0 (ad es. se ∆z = ∆x si ha
df
df
= 2<(z), se ∆z = j∆y si ha
= −2j=(z)). L’unico punto in cui è garantita
dz
dz
l’esistenza del limite (che vale 0) è il punto z = 0.
Se esiste la derivata complessa di f in un punto z0 si ha una conseguenza interessante. Infatti l’indipendenza del limite dalla direzione porta a concludere che:
f (z0 + ∆x) − f (z0 )
f (z0 + ∆z) − f (z0 )
f 0 (z0 ) = lim
= lim
=
∆z→0
∆x→0
∆z
∆x
Ã
f (z0 + ∆z) − f (z0 )
f (z0 + j∆y) − f (z0 )
1
f (z0 ) = lim
= lim
=
∆z→0
j∆y→0
∆z
j∆y
j
0
e allora:
Ã
∂f
∂x
!
z=z0
1
=
j
Ã
∂f
∂y
∂f
∂x
Ã
!
∂f
∂y
z=z0
!
z=z0
!
.
z=z0
Segue che se f ammette derivata complessa in ogni punto di un insieme X ⊂ C,
allora:
∂f
1 ∂f
∀x ∈ X,
=
,
∂x
j ∂y
da cui:
∂(u + jv)
1 ∂(u + jv)
∂u
∂v ∂u
∂v
=
⇒
=
=−
∂x
j
∂y
∂x
∂y ∂y
∂x
pertanto:
df =
∂f
∂f
∂f
∂f
∂f
∂f
dz =
(dx + jdy) =
dx + j dy =
dx +
dy
∂x
∂x
∂x
∂x
∂x
∂y
e f risulta differenziabile (dunque continua) in ogni punto di X. La continuità di
una funzione derivabile in senso complesso in un punto z0 si prova anche tramite il
seguente calcolo diretto:
f (z0 + ∆z) − f (z0 )
= 0 · f 0 (z0 ) = 0 ⇒
∆z→0
∆z
lim [f (z0 + ∆z − f (z0 )] = lim ∆z · lim
∆z→0
∆z→0
⇒ lim [f (z0 + ∆z)] = f (z0 ).
∆z→0
Esempi di funzioni per cui esiste la derivata complessa.
1) Sia f (z) = Cz 2 , allora:
∀z ∈ C,
f (z + ∆z) − f (z)
(z + ∆z)2 − z 2
∆f
=
=C
∆z
∆z
∆z
z 2 + 2z∆z + (∆z)2 − z 2
2z∆z + (∆z)2
d
=C
=C
= 2Cz + C∆z ⇒ (Cz 2 ) = 2Cz
∆z
∆z
dz
2) Sia f (z) = ez . Si ha:
jArg∆z
ez+∆z − ez
e∆z − 1
e|∆z|e
−1
d z
z
z
e = lim
= e lim
= e lim
= ez .
jArg∆z
∆z→0
∆z→0
|∆z|→0
dz
∆z
∆z
|∆z|e
60
Da questo esempio segue anche che:
d(eαz )
d(sin z)
d(cos z)
= αeαz ,
= cos z,
= − sin z,
dz
dz
dz
d(sinh z)
d(cosh z)
= cosh z,
= sinh z.
dz
dz
Se una funzione possiede derivata complessa in ogni punto di un insieme X, allora
la corrispondenza che a ogni z ∈ X associa f 0 (z) si dice derivata complessa di f in
X, e f si dice derivabile in senso complesso in X .
Siano f, g funzioni derivabili in X. Allora f ±g , f g,
f
g
(nei punti in cui g 0 6= 0) sono
³ ´0
f
derivabili in senso complesso in X e (f ±g)0 = f 0 ±g 0 , (f g)0 = f 0 g +f g 0 ,
g
=
f 0 g−f g 0
.
g2
Funzioni analitiche.
Sia f definita in un intorno I di un punto z0 ∈ C: f si dice analitica in z0 se ∃
intorno U ⊂ I in cui f è derivabile in senso complesso. f si dice analitica su di una
regione Ω se è analitica in ogni punto di Ω.
Una funzione analitica su C si dice analitica intera.
Esempi di funzioni non analitiche.
1) f (z) = z ∗ non è analitica da nessuna parte in C.
2) f (z) = |z|2 , non è analitica da nessuna parte in C, anche se è derivabile in
senso complesso nel punto z = 0.
Esempi di funzioni analitiche.
1) f (z) = z 2 è analitica in C, dunque è una funzione analitica intera. Ogni
funzione polinomiale complessa è una funzione analitica intera.
2) f (z) = ez , f (z) = sin z, f (z) = cos z, sono funzioni analitiche intere.
3) f (z) = Ln z è analitica in C − R− (se il taglio è dato dal semiasse reale
negativo).
√ jθ
4) w+ = ρe 2 ‘e analitica in C − R− (se il taglio è dato dal semiasse reale
negativo).
1
è analitica in C tranne che nei punti z = ±j. Ogni funzione
+1
razionale è analitica in C tranne che negli zeri del denominatore.
f (z) =
z2
f
(tranne che
g
negli zeri di g), sono analitiche in Ω. La funzione composta f (g(z)) di due funzioni
analitiche f, g, con f analitica nell’immagine di g, è analitica.
Teorema. Siano f, g analitiche in una regione Ω: allora f ± g,f g,
61
Si osservi che, secondo la definizione, una funzione può essere analitica in z = ∞.
Estensione analitica
Sia data una funzione analitica in una regione Ω. Sia Ω0 ⊃ Ω e sia F(z) una
funzione analitica in Ω0 . F (z) si dice estensione analitica di f(z) se e solo se ∀z ∈
Ω, F (z) = f (z).
Esempi.
1) ez è l’estensione analitica a C di ex , funzione analitica reale definita su R (una
funzione analitica reale è una funzione sviluppabile in serie di Taylor in un intervallo
aperto della retta reale).
2) sin z, cosz, sono estensione analitiche a C di sin x, cos x.
jθ
3) w+ = e 2 , f (z) = Ln z sono estensioni analitiche a C − R− di
4) f (z) =
|x| < 1.
√
x, ln x.
1
è l’estensione analitica a C di 1 + x + x2 + x3 + .... definita in
1−z
Punti singolari di una funzione analitica.
Sia f (z) analitica in una regione Ω. Sia z0 un punto della frontiera di Ω . z0 si dice
punto singolare di della funzione analitica f se e solo se non esiste alcuna estensione
analitica F di f che sia analitica su z0 . (si dice che f ha, o presenta un punto singolare
in z0 ). Una singolarità si dice apparente se invece f può essere estesa a F analitica
anche in z0 .
62
Lezione 15
Condizioni di Cauchy-Riemann.
Se una funzione è analitica in una regione Ω, allora sappiamo che:
∀z ∈ Ω, df =
∂f
∂f
dx +
dy
∂x
∂y
Si dimostra anche che, se f (z) è una funzione di variabile complessa definita in una
regione Ω e
∂f ∂f
∂f
1 ∂f
∀z ∈ Ω, ∃ ,
continue per cui
=
,
∂x ∂y
∂x
j ∂y
allora f risulta analitica in Ω.
Pertanto
∂f
1 ∂f
=
∂x
j ∂y
risulta condizione necessaria e sufficiente affinché f sia analitica in una regione Ω.
La condizione:
∂f
1 ∂f
=
∂x
j ∂y
si dice condizione di Cauchy-Riemann sotto forma complessa (brevemente, condizioni
di C.R.), mentre si dicono condizioni di Cauchy-Riemann sotto forma reale le due
equazioni:
∂u
∂v ∂u
∂v
=
,
=−
∂x
∂y ∂y
∂x
Osservazione 1. Una funzione f non costante delle due variabili reali x, y non potrà
∂f ∂f
mai essere una funzione analitica: infatti, se f è reale lo saranno anche
,
e
∂x ∂y
1 ∂f
∂f
=
non potrà mai essere vera, perché un numero reale
pertanto la condizione
∂x
j ∂y
viene eguagliato ad un numero immaginario puro.
Osservazione 2. Se una funzione f non costante è analitica in una regione Ω, allora
f ∗ non può essere analitica sulla stessa regione di analiticità di f . Infatti, f analitica
∂f
1 ∂f ∗
∂f ∗
1 ∂f ∗
in Ω implica
=
, f analitica in Ω implica
=
mentre la coniugata
∂x
j ∂y
∂x
j ∂y
∂f
1 ∂f
∂f ∗
1 ∂f ∗
complessa di
=
implica
=−
e le due condizioni per f ∗ risultano
∂x
j ∂y
∂x
j ∂y
incompatibili, a meno che i due membri non siano entrambi nulli.
Osservazione 3. Sia f analitica in una regione Ω. Sia Ω∗ la regione complessa coniugata di Ω, definita da
Ω∗ = {z|z ∗ ∈ Ω} .
Sia g(z) = f ∗ (z ∗ ): segue che g è analitica in Ω∗ . Infatti:
df (x − jy) ∂z ∗
df (z ∗ )
∂f (z ∗ )
=
=
∂x
dz ∗
∂x
dz ∗
63
1 ∂f (z ∗ )
1 df (x − jy) ∂z ∗
1 df (z ∗ )
∂f (z ∗ )
=
=
(−j)
=
−
j ∂y
j
dz ∗
∂y
j dz ∗
∂x
Se si calcola la complessa coniugata della prima equazione si ha:
Ã
∂f (z ∗ )
∂x
!∗
∂f ∗ (z ∗ )
df ∗ (z ∗ )
=
,
∂x
dz ∗
=
se si calcola la complessa coniugata della seconda equazione si trova:
Ã
⇒
1 ∂f (z ∗ )
j ∂y
!∗
Ã
∂f (z ∗ )
= −
∂x
!∗
⇒
1 ∂f ∗ (z ∗ )
∂f ∗ (z ∗ )
df ∗ (z ∗ )
=
=
j ∂y
∂x
dz ∗
e g(z) = f ∗ (z ∗ ) risulta analitica in Ω∗ .
Una funzione analitica in una regione Ω si dice analitica hermitiana se :
∀z ∈ Ω, f ∗ (z) = f (z ∗ ),
il che equivale a dire che
∀z ∈ Ω, f ∗ (z ∗ ) = f (z).
Sia f una funzione analitica hermitiana in una regione Ω. Allora:
α) Ω = Ω∗ ,
β) Ω
\
R 6= ∅,
γ) f (x) ∈ R.
α) segue dall’osservazione 3. β) segue dal fatto che Ω è una regione (dunque un
insieme connesso), γ) segue dal fatto che se z = x ∈ R, allora f ∗ (z ∗ ) = f (z) ⇒
f ∗ (x) = f (x) ⇒ f (x) ∈ R.
Esempi.
1) Ogni polinomio complesso con coefficienti reali è hermitiano. Dunque anche le
funzioni razionali rapporto di polinomi hermitiani sono hermitiane.
2) Le funzioni ez , sin z, cos z, sinh z, etc. sono hermitiane.
3) La funzione ejz non è hermitiana.
64
Lezione 16
Conseguenze delle condizioni di Cauchy-Riemann sotto forma reale.
Sia f = u + jv analitica. Calcoliamo |f 0 (z)|2 . Si trova:
Ã
0
2
|f (z)| =
∂u
∂x
!2
Ã
∂u
+
∂y
¯
¯
¯
¯
= ¯¯
¯
¯
¯
!2
=
∂u
∂x
∂v
∂x
∂u ∂u ∂v ∂v
∂u ∂v ∂v ∂u
+
=
−
=
∂x ∂x ∂x ∂x
∂x ∂y ∂x ∂y
∂u
∂y
∂v
∂y
¯
¯
¯
¯
∂(u, v)
¯
¯=
¯
∂(x, y)
¯
¯
pertanto |f 0 (z)|2 è lo Jacobiano della trasformazione di coordinate (x, y) → (u, v).
Dalle condizioni di Cauchy-Riemann sotto forma reale si può ricavare una condizione necessaria e sufficiente affinchè u e v siano parte reale e parte immaginaria
di una funzione analitica. Supponiamo dapprima (questa ipotesi, come si vedrà più
avanti è superflua, ma necessaria per i calcoli che seguono) che u, v siano funzioni
dotate di tutte le derivate parziali fino al secondo ordine rispetto a x e y e continue
fino al secondo ordine (si può dunque invertire l’ordine di derivazione). Deriviamo
∂u
∂v
parzialmente rispetto a x la condizione
=
e parzialmente rispetto a y la con∂x
∂y
∂u
∂v
dizione
= − . Si ottiene:
∂y
∂x
∂ 2u
∂ 2v
∂2u
∂ 2v
∂2u ∂ 2u
=
,
=
−
⇒
+
=0
∂x2
∂x∂y ∂y 2
∂y∂x
∂x2 ∂y 2
In modo analogo, deriviamo parzialmente rispetto a y la condizione
parzialmente rispetto a x la condizione
∂u
∂v
=−
Si ottiene:
∂y
∂x
∂u
∂v
=
e
∂x
∂y
∂2v
∂ 2u
∂ 2v
∂ 2v ∂ 2v
∂ 2u
= 2,
=− 2 ⇒
+
= 0.
∂y∂x
∂y
∂x∂y
∂x
∂x2 ∂y 2
Ne consegue che parte reale e parte immaginaria di una funzione analitica sono entrambe soluzioni dell’equazione di Laplace
∂ 2 F (x, y) ∂ 2 F (x, y)
+
= 0.
∂x2
∂y 2
Ricordiamo che una soluzione dell’equazione di Laplace si dice funzione armonica.
Però u, v sono non soltanto funzioni armoniche, ma anche, grazie alle condizioni reali
di Cauchy-Riemann, funzioni armoniche che soddisfano alle due equazioni:
∂v ∂u
∂v
∂u
=
,
=− .
∂x
∂y ∂y
∂x
65
Si dice che u è coniugata armonica di v e che v è coniugata armonica di u. Grazie
alla relazione di coniugazione tra u e v, è facile dimostrare che la conoscenza dell’una
implica che l’altra sia individuata a meno di una costante arbitraria. Ad esempio,
∂u
∂v
sia nota u, allora v, (integrando parzialmente rispetto a y l’equazione:
=
),
∂x
∂y
risulta:
Z
∂u(x, y)
v(x, y) =
dy + ϕ(x).
∂x
Usando ora la condizione:
∂u
∂v
=−
∂y
∂x
si ricava:
Ã
!
Ã
!
∂v
∂ Z ∂u(x, y)
∂u
∂u
∂ Z ∂u(x, y)
0
=
dy + ϕ(x) = −
⇒ ϕ (x) = −
−
dy .
∂x
∂x
∂x
∂y
∂y ∂x
∂x
Integrando ora rispetto a x si ricava l’espressione seguente per ϕ(x):
Z "
ϕ(x) =
Ã
!#
∂u
∂ Z ∂u(x, y)
−
−
dy dx + C,
∂y ∂x
∂x
e segue finalmente:
Z
v(x, y) =
Z
∂u(x, y)
dy +
∂x
"
Ã
!#
∂u
∂ Z ∂u(x, y)
−
−
dy dx + C
∂y ∂x
∂x
pertanto:
(Z
f (z) = u(x, y) + j
Z
∂u(x, y)
dy +
∂x
"
Ã
!# )
∂u
∂ Z ∂u(x, y)
−
−
dy dx + jC
∂y ∂x
∂x
è pienamente individuata da u(x, y), a meno di una costante arbitraria.
Esempio.
Determinare la coniugata armonica di u(x, y) = x2 − y 2 e scrivere la funzione
analitica risultante.
Verificato che x2 − y 2 è una funzione armonica, si ha:
∂u
∂u
= 2x,
= −2y.
∂x
∂y
Pertanto, la prima condizione fornisce, integrando parzialmente rispetto a y:
v(x, y) = 2xy + ϕ(x)
e la seconda condizione implica allora che:
ϕ0 (x) = −(−2y) − 2y = 0 ⇒ ϕ = C
Segue:
f (z) = x2 − y 2 + j2xy + jC = (x + jy)2 + jC.
66
Forma polare.
Le condizioni di Cauchy-Riemann possono essere espresse anche in coordinate
polari. Infatti, posto z = ρejθ si ha subito:
∂f
df ∂z
df
df
∂f
=
= ejθ
⇒
= e−jθ ,
∂ρ
dz ∂ρ
dz
dz
∂ρ
df
∂f
∂f
df ∂z
df
1
=
= jρejθ
⇒
= e−jθ ,
∂θ
dz ∂θ
dz
dz
jρ
∂θ
da cui, per confronto, segue:
df
∂f
1
∂f
= e−jθ
= e−jθ
dz
∂ρ
jρ
∂θ
ovvero:
1 ∂f
∂f
=
∂ρ
jρ ∂θ
(condizione complessa di Cauchy-Riemann sotto forma polare: si noti che la derivata
complessa di f (z) risulta ora espressa in termini delle coordinate polari ρ e θ). Le
condizioni reali di Cauchy-Riemann risultano allora:
∂u
1 ∂v ∂v
1 ∂u
=
,
=−
.
∂ρ
ρ ∂θ ∂ρ
ρ ∂θ
Esempi di applicazione della derivata complessa sotto forma polare.
Ã
!
θ
sin θ
√
.Allora, essendo:
1) Sia w0 = n ρ cos + j
n
n
∂w0
1
∂w0
j
=
w0 ,
= w0 ,
∂ρ
nρ
∂θ
n
si ha:
dw0
1
∂w0
∂w0
dw0
1
= e−jθ
= e−jθ
⇒
=
w0 z.
dz
jρ
∂θ
∂ρ
dz
nz
2) Sia f (z) = Ln z = ln ρ + jθ. Allora
1 ∂f
∂f
=
= j,
∂ρ
ρ ∂θ
da cui:
df
1
1
= e−jθ = .
dz
ρ
z
Le funzioni w0 e Ln z risultano entrambe analitiche in un piano tagliato.
Operatore Laplaciano nel piano in coordinate polari.
67
Deriviamo l’equazione:
∂u
1 ∂v
=
,
∂ρ
ρ ∂θ
rispetto a ρ, ottenendo:
∂ 2u
1 ∂v 1 ∂ 2 v
1 ∂u 1 ∂ 2 v
∂ 2 u 1 ∂u
1 ∂ 2v
=− 2
+
=−
+
⇒ 2+
=
.
∂ρ2
ρ ∂θ ρ ∂ρ∂θ
ρ ∂ρ ρ ∂ρ∂θ
∂ρ
ρ ∂ρ
ρ ∂ρ∂θ
Deriviamo ora l’equazione:
rispetto a θ, ottenendo:
Per confronto, segue:
L’operatore:
∂v
1 ∂u
=−
∂ρ
ρ ∂θ
∂ 2v
1 ∂ 2u
=−
.
∂θ∂ρ
ρ ∂θ2
∂ 2 u 1 ∂u 1 ∂ 2 u
+
+
= 0.
∂ρ2 ρ ∂ρ ρ ∂θ2
∂2
1 ∂
1 ∂2
+
+
∂ρ2 ρ ∂ρ ρ ∂θ2
è allora l’operatore Laplaciano in coordinate polari piane.
68
Esercitazione 3
Esercizi su numeri complessi e funzioni complesse
1) Calcolare:
q
3
Si ottiene subito essendo |j| = 1, Arg j =




j.
π
2
π
:
√
ej 6 = 3+j
2√
π 2πj
3
j =  ej 6 e 3 = − 23+j

π 4πj

ej 6 e 3 = −j
q
2) Calcolare:
√
5
1.
Si ottiene subito, essendo Arg 1 = 0:
√
5


1

q


√
√



10
+
2
5
2πj
5
−
1



+j
e 5 = (cos 72o + j sin 72o ) =



4√
4
q

√



10 − 2 5
5
−
1
 4πj
o
o
1= e
5




6πj


5

e







8πj


 e 5
= (cos 144 + j sin 144 ) = −
+j
4
4 √
q
√
10 − 2 5
5−1
= (cos 216o + j sin 216o ) = −
−j
4√
q
√ 4
10 + 2 5
5−1
= (cos 288o + j sin 288o ) =
−j
4
4
3) Risolvere l’equazione:
64z 6 = (z + 1)6 .
Tenendo conto che e2kπj = 1 si trova subito:
2e
jkπ
3
z = z + 1, k = 0, 1, 2, 3, 4, 5.
che ha soluzioni:
zk =
1
2e
jkπ
3
−1
, k = 0, 1, 2, 3, 4, 5.
69
Si ha:

z0 = 1


√



3
1



√
=
−j
z
=
1



1+j 3−1

√3



1
3



√
z2 =
=j



3
1−j 3−1
1

z3 = −



3
√




1
1
−2
+
j
3


√
√ =
z4 =
=



7 √
−1 − j 3 − 1
−2 − j 3





1
1
−2
−
j 3


√
√ =
=
 z5 =
7
−1 + j 3 − 1
−2 + j 3
Se si calcola il quadrato dei moduli del primo e del secondo membro dell’equazione
da risolvere si ha :
4|z|2 = |z + 1|2
ovvero:
4(x2 + y 2 ) = (x + 1)2 + y 2
da cui:
µ
1
3x + 3y − 2x = 1 ⇒ x −
3
2
2
che è l’equazione di una circonferenza di centro
sei soluzioni dell’equazione data.
³
¶2
´
1
,0
3
+ y2 =
4
9
e raggio 32 , su cui giacciono le
4) Determinare la regione definita dalla condizione:
|z − 3| < |z − 5|.
Si trova subito:
(x − 3)2 + y 2 < (x − 5)2 + y 2
da cui:
−6x + 9 < −10x + 25 ⇒ 4x < 16
semipiano verticale sinistro costitutito da {z : <(z) < 4} .
5) Determinare i punti di frontiera della regione:
Ω = {z : |z − 1| + |z − 2| ≤ 4} .
Si ha:
q
q
(x − 1)2 + y 2 +
q
(x − 2)2 + y 2 = 4 ⇒
q
(x − 1)2 + y 2 = 4 −
(x − 2)2 + y 2
q
⇒ x2 − 2x + 1 + y 2 = 16 − 8 (x − 2)2 + y 2 + x2 − 4x + 4 + y 2
q
−2x + 19 = 8 (x − 2)2 + y 2 ⇒ 4x2 − 76x + 361 = 64(x2 − 4x + 4 + y 2 )
curva descritta da:
60x2 + 64y 2 − 180x = 105,
70
che, semplificata, fornisce:
4 2 12
64 2
x − x+
y = 1.
7
7
105
Con il metodo del completamento dei quadrati si trova:
µ
¶
3 2
9
x
−
x − 3x +
2
2
2 + y = 1,
4 + y = 9 + 1 = 16 ⇒
7
105
15
7
7
4
4
64
4
√
µ
¶
15
3
che rappresenta un’ellisse di semiassi a = 2, b =
e centro
,0 .
2
2
2
6) Trovare parte reale e parte immaginaria di:
z−j
f (z) =
(z + 2)2
Si ha:
z−j
(z − j)(z ∗ + 2)2
(z − j)((z ∗ )2 + 4z ∗ + 4)
f (z) =
=
=
(z + 2)2
|z + 2|2
x2 + y 2 + 4x + 4
2
z|z|2 + 4|z|2 + 4z − jz ∗ − 4jz ∗ − 4j
=
x2 + y 2 + 4x + 4
(x + jy)(x2 + y 2 ) + 4(x2 + y 2 ) + 4x + 4jy − jx2 + jy 2 − 2xy − 4jx + 4y − 4j
=
x2 + y 2 + 4x + 4
pertanto:
(x2 + y 2 )(x + 4) + 4x − 2xy + 4y
u(x, y) =
x2 + y 2 + 4x + 4
y(x2 + y 2 ) + 4y − 4x − x2 + y 2 − 4
.
v(x, y) =
x2 + y 2 + 4x + 4
7) Trovare parte reale e immaginaria di
tan z = tan(x + jy) =
sin(x + jy)
.
cos(x + jy)
Si ha, dalla definizione:
tan z = tan(x + jy) =
sin(x + jy)
sin x cosh y + j cos x sinh y
=
cos(x + jy)
cos x cosh y − j sin x sinh y
(sin x cosh y + j cos x sinh y)(cos x cosh y + j sin x sinh y)
cos2 x + sinh2 y
sin x cos x(cosh2 y − sinh2 y) + j(cos2 x + sin2 x) sinh y cosh y
=
1 + cos 2x cosh 2y − 1
+
2
2
sin 2x + j sinh 2y
=
cos 2x + cosh 2y
=
da cui:
u(x, y) =
sin 2x
sinh 2y
, v(x, y) =
.
cos 2x + cosh 2y
cos 2x + cosh 2y
71
Esercitazione 4
Esercizi su funzioni analitiche
1) Calcolare:
¶
µ
π
sin
− j ln a , a > 0.
2
Si trova subito:
µ
¶
π
ej ( 2 −j ln a) − e−j ( 2 −j ln a)
ej 2 eln a − e−j 2 e− ln a
sin
− j ln a =
=
2
2j
2j
π
π
π
ja − (− aj )
a+
=
=
2j
2
Caso particolare a =
1
a
=
π
a2 + 1
2a
1
:
2
µ
¶
π
5
sin
+ j ln 2 = > 1
2
4
Risulta anche:
µ
lim sin
a→∞
¶
π
− j ln a = ∞
2
2) Trovare i numeri complessi z che risolvono l’equazione:
cosh z =
1
2
Si ha:
ez + e−z = 1 ⇒ e2z − ez + 1 = 0 ⇒ z1,2
3) Calcolare:
Si trova:
e segue:
√
1±j 3
=
.
2
√
Ln (1 + j 3).
√
√
Ln| (1 + j 3)| = ln 1 + 3 = ln 2
√
√
π
Arg (1 + j 3) = arctan 3 =
3
√
π
Ln (1 + j 3) = ln 2 + j .
3
4) Calcolare parte reale, parte immaginaria, modulo e argomento di:
(1 − j)Ln
(1−j)
.
72
Si trova:
1 − j)Ln
2 (1−j)
(1−j)
Ora:
= eLn
1
7π
ln 2 + j ,
2
4
Ln (1 − j) =
e pertanto:
Ln2 (1 − j) =
da cui
³
Ln2 (1−j)
< e
³
= eLn
´
2 (1−j)
´
1 2
7π
49π 2
ln 2 + j
ln 2 −
,
4
4
16
=e
1
4
1
ln2 2− 49π
16
2
= e 4 ln
2 (1−j)
|eLn
³
2− 49π
16
1
| = e 4 ln
2 (1−j)
Arg eLn
2
´
=
2
2
µ
7π
cos
ln 2
4
µ
sin
2− 49π
16
7π
ln 2
4
¶
¶
2
7π
ln 2.
4
5) Calcolare:
lim2π (1 + z + z 2 + .. + z n−1 ).
z→ej
n
Si trova:
1 + z + z 2 + ... + z n−1 =
1 − zn
1−z
da cui:
2π
2
lim2π (1 + z + z + .. + z
z→ej
n−1
n
1 − zn
1 − enj n
) = lim2π
=
=0
2π
1 − ej n
z→ej n 1 − z
6) Sia f (z) = ey cos x + jey sin x: provare che f non ammette derivata complessa
in nessun punto di C.
Si ha:
∗
f (z) = ey (cos x + j sin x) = ey+jx = ejz .
Pertanto:
∆f (z) = ejz
da cui:
∗ +∆z ∗
∗
− ejz = ejz
∗
³
∗
´
ej∆z − 1 ,
∗
∆f
ej∆z −1
∗
lim
= ejz lim
∆z→0 ∆z
∆z→0
∆z
Ora:
∗
−jArg ∆z
ej|∆z|e
−1
j|∆z|e−jArg ∆z
ej∆z −1
= lim
= lim
= je−2jArg
lim
jArg
∆z
jArg
∆z
∆z→0
|∆z|→0
|∆z|→0
∆z
|∆z|e
|∆z|e
che dipende dalla direzione di ∆z.
∆z
73
7) Calcolare la derivata complessa di:
f (z) = Ln [z(z + 1)(z + 2)...(z + n)] , 0 ≤ Arg [z(z + 1)..(z + n)] ≤ 2π
nel punto z = 1.
Si trova subito:
Ln [z(z + 1)(z + 2)...(z + n)] = Ln z + Ln(z + 1) + ... + L(z + n)
da cui:
f 0 (z) =
e
1
1
1
+
+ ..... +
z z+1
z+n
f 0 (1) =
n+1
X
1
k=1 k
8) Data la funzione:
µ
z + z∗
f (z, z ) = u + jv = x + jy =
2
∗
2
2
¶2
Ã
z − z∗
+j
2j
!2
verificare che le condizioni di Cauchy-Riemann sono vere sulla bisettrice degli assi,
pur non essendo f analitica in una regione di C. Si ha:
∂u
∂v
∂v
∂u
∂f
∂f
= 2x,
= 2y,
= 0,
= 0,
= 2x,
= 2jy,
∂x
∂y
∂x
∂y
∂x
∂x
e tali equazioni sono soddisfatte su
x = y.
Preso un punto su tale retta, la funzione ammette derivata complessa, ma non ammette derivata complessa in un intorno di tale punto, dunque non è analitica.
9) Trovare la coniugata armonica di:
u(x, y) = 2(x2 − y 2 ) − 5x
Bisogna prima di tutto verificare che u è armonica. Si ha:
∂u
∂ 2u
∂u
∂ 2v
= 4x − 5, 2 = 4,
= −4y, 2 = −4,
∂x
∂ x
∂y
∂ y
da cui, sommando le derivate seconde, si trova:
~ · ∇u
~ =0
∇
Si ha allora:
Z
v(x, y) =
Segue:
(4x − 5)dy = 4xy − 5y + ϕ(x)
∂v
∂u
= 4y + ϕ0 (x) = −
= 4y ⇒ ϕ = c.
∂x
∂y
Si conclude:
f (z) = 2(x2 − y 2 ) − 5x + j(4xy − 5y) + jc = 2z 2 − 5z + jc.
74
Esercizi proposti.
1) Calcolare
q
3
1 + j.
2) Determinare la regione definita da:
|z − 5 + 4j| < 2.
3) Data la funzione:
f (z) =
az − j
, a reale 6= 0, z 6= ja,
jz + a
calcolare f (−ja), f (a + j), f (1 + ja); dimostrare infine che |f (z)| = 1 se |z| = 1.
4) Risolvere l’equazione:
cos z = 2
(Suggerimento: partire da ejz + e−jz = 4 e trovare, moltiplicando per ejz ambo i
membri, una equazione di secondo grado in ejz .)
5) Risolvere l’equazione:
ez = −2.
6) Sia f (z) analitica in una regione Ω, con la proprietà f (z)f 0 (z) 6= 0, ∀z ∈ Ω.
Verificare che:
u(x, y) = ln |f (z)|
è soluzione dell’equazione di Laplace.
7) Usando le condizioni di Cauchy-Riemann sotto forma polare, provare che:
u(ρ, θ) = ρ3 cos 3θ
soddisfa all’equazione di Laplace in coordinate polari.
75
Lezione 17
Integrazione complessa.
L’integrazione di funzioni di variabile complessa che studieremo è quella lungo
cammini nel piano complesso. Un cammino nel piano complesso z è descritto da un
arco di curva regolare (o da un arco di curva regolare a tratti):
γ = {z ∈ C : z = z(t), t ∈ [α, β]}
Esempi.
1) La circonferenza γz0 ,R di centro z0 e raggio R è descritta da:
n
o
γz0 ,R = z ∈ C : z = z0 + Rejt , t ∈ [0, 2π] .
2) L’arco di curva:
n
γ = z ∈ C : z = t + jt2 , t ∈ [−1, 1]
o
descrive l’arco di parabola tra i punti (−1, 1) e (1, 1).
Considereremo due tipi di integrazione:
Z
γ
Z
f (z)|dz|,
γ
f (z)dz,
essendo γ o un arco di curva regolare, o un arco di curva regolare a tratti. Molto
importante è l’integrazione estesa a cammini chiusi semplici, che verrà indicata con:
I
γ
I
f (z)|dz|,
γ
f (z)dz.
L’integrazione lungo cammini necessita di una definizione per l’integrale di una
funzione complessa di variabile reale. Sia in fatti f (t) = u(t) + jv(t) una funzione
complessa di variabile reale (ad esempio, f (t) = ejαt , α ∈ C) la cui parte reale u(t)
e parte immaginaria v(t) siano integrabili in un intervallo reale [α, β]. L’integrale di
f esteso a [α, β] si definisce allora nel modo seguente:
Z β
α
f (t)dt =
Z β
α
u(t)dt + j
Z β
α
v(t)dt.
Questo integrale gode di tutte le proprietà vere per gli integrali reali di funzioni
di variabile reale, ivi compreso il teorema fondamentale del calcolo integrale. Ad
esempio:
Z β
´
1 ³ αs
e − eβs , α, β ∈ R, s ∈ C.
est dt =
s
α
76
In particolare, è possibile dimostrare una fondamentale disequazione modulare, che
assume la forma:
¯Z
¯
Z β
¯ β
¯
¯
¯
f (t)dt¯¯ ≤
|f (t)|dt
¯ α
¯
α
¯
¯R
¯
¯
(le quantità |f |,¯ αβ f dt¯ sono moduli di numeri complessi). Veniamo ora al calcolo
esplicito dei due tipi di integrali sopra introdotti.
Si hanno le seguenti formule:
Z
v
¯ ¯
!
à !2
uÃ
Z β
¯ dz ¯
u dx 2
dy
¯ ¯
t
f (z)|dz| =
f (z(t)) ¯ ¯ dt =
f (z(t))
+
dt
¯
¯
dt
dt
dt
γ
α
α
Z β
v
!
uÃ
u dx 2
t
Ã
!2
dy
Essendo ds =
+
dt l’elemento di linea, l’integrale scritto sopra è un
dt
dt
integrale curvilineo. Per il secondo tipo di integrale si ha invece:
Z
γ
f (z)dz =
Z β
α
f (z(t))
dz
dt
dt
e risulta allora un integrale di linea, assumendo come campo vettoriale F~ il vettore
con componenti f (z), jf (z). Infatti, l’espressione data si può anche scrivere nei modi
seguenti, ponendo f = u + jv e dz = dx + jdy:
Z
Z
γ
f (z)dz =
Z
γ
(f (z)dx + jf (z)dy) =
Z
=
γ
γ
(u + jv)(dx + jdy)
Z
(udx − vdy) + j
γ
(vdx + udy)
Nell’ultima espressione compaiono due campi vettoriali reali, il primo con componenti
(u, −v), il secondo con componenti (v, u).
La proprietà fondamentale dell’integrale di linea, in questo contesto, si può scrivere:
Z
Z
f (z)dz = − f (z)dz
−γ
γ
Esempi.
1) Calcolare:
Z
γ
z 2 dz
essendo γ il cammino definito dall’unione dei due archi:
γ1 = {z : z = t, 0 ≤ t ≤ 1} , γ2 = {z : z = 1 + jt, 0 ≤ t ≤ 1} .
Si ha:
Z
2
γ
z dz =
=
Z 1
0
2
2
t (1 + jt) (1 + j)dt ==
Z 1
0
2
t dt +
Z 1
0
(1 + jt)2 jdt
1 Z1
1
j
2
2
+ (j − 2t − jt2 )dt = + j − 1 − = − + j .
3
3
3
3
3
0
77
Si noti che γ1 + γ2 congiunge z = 0 a z = 1 + j. Se si considera il cammino:
γ3 = {z : z = t + jt, 0 ≤ t ≤ 1}
si vede che anch’esso congiunge z = 0 a z = 1 + j. Calcoliamo:
Z
2
γ3
z dz =
Z 1
0
"
2
2
3
t (1 + j) (1 + j)dt = (1 + j)
t3
3
#1
0
1
2
2
= (1 + 3j − 3 − j) = − + j
3
3
3
Si può allora concludere che:
Z
z 2 dz = 0
γ1 +γ2 −γ3
2) Calcolare:
Z
γ
z 2 |dz|
ove γ è ciascuno dei cammini definiti nell’esempio precedente. Si ha:
Z
2
γ1
Z
γ2
z 2 |dz| =
Z 1
0
z |dz| =
0
2
z |dz| =
Z 1
Calcoliamo ora:
0
t2 dt =
Z 1
(1 + jt)2 dt =
Z
γ3
Z 1
0
1
3
(1 + 2jt − t2 )dt =
2 2
(1 + j) t
√
√
2j 2
2dt =
3
2
+j
3
Z
−γ3
z 2 |dz|.
Allo scopo, −γ3 può essere parametrizzata nel modo seguente:
x = 1 − t, y = 1 − t, 0 ≤ t ≤ 1
da cui:
z = (1 + j)(1 − t), z 2 = (1 − t)2 (1 + j)2 = 2j(1 − 2t + t2 ),
q
√
|dz| = (−1)2 + (−1)2 dt = 2dt,
pertanto:
Z
√
2
−γ3
z |dz| = 2 2j
Z 1
0
√
2j 2
(1 − 2t + t )dt =
3
2
I calcoli precedenti verificano le proprietà:
Z
Z
−γ
f (z)|dz| =
Z
γ
f (z)|dz|,
−γ
Z
f (z)dz = −
γ
f (z)dz.
Ulteriori proprietà comuni:
Z
Z
γ
(λf (z) + µg(z))|dz| =
γ
Z
λf (z)|dz| +
γ
µg(z)|dz|
78
Z
Z
γ
(λf (z) + µg(z))dz =
Z
γ
Z
γ1 +γ2
f (z)|dz| =
Z
γ1 +γ2
γ1
Z
λf (z)dz +
Z
f (z)|dz| +
Z
f (z)dz =
γ1
Z
f (z)dz +
γ
γ2
γ2
µg(z)dz
g(z)|dz|
g(z)dz
Inoltre il valore degli integrali curvilinei e di linea non varia cambiando la parametrizzazione dell’arco di curva regolare γ. Infine, il legame tra l’integrale curvilineo e
l’integrale di linea di f (z) è espresso dal seguente teorema (disequazione modulare
complessa), conseguenza della disequazione modulare vera per funzioni complesse di
variabile reale:
¯
¯Z
Z
¯
¯
¯ f (z)dz ¯ ≤
|f (z)||dz|.
¯
¯
γ
γ
Da questo teorema, se ∃M > 0 : ∀z ∈ γ, |f (z)| < M , detta L la lunghezza dell’arco
di curva γ, allora segue:
¯
¯Z
¯
¯
¯ f (z)dz ¯ ≤ M L.
¯
¯
γ
79
Lezione 18
Integrazione e funzioni analitiche.
Le funzioni analitiche presentano un comportamento peculiare anche nei confronti
dell’integrazione curvilinea e di linea. Ricordiamo che un integrale di linea si può
scrivere come integrale di una forma differenziale:
Z
Z
γ
f (z)dz =
γ
Z
(f (z)dx + jf (z)dy) =
γ
(Xdx + Y dy)
(con X = f ,Y = jf ). Se invece si preferisce la forma reale, si ha subito:
γ
Z
Z
Z
f (z)dz =
γ
(udx − vdy) + j
γ
(vdx + udy)
(e nel primo integrale X = u, Y = −v, nel secondo integrale X = v, Y = u). Sia
nella prima che nella seconda forma, l’integrale di linea può essere allora ricondotto
ad un integrale doppio quando γ sia una curva chiusa semplice che al proprio interno
racchiuda una regione semplicemente connessa Ω. In tal caso si applica il teorema di
Stokes e si ha, nel caso della forma complessa:
I
γ
I
f (z)dz =
Z Z Ã
I
γ
(f (z)dx + jf (z)dy) =
Z Z Ã
=
Ω
γ
(Xdx + Y dy) =
∂(jf ) ∂f
−
∂x
∂y
Ω
∂Y
∂X
−
∂x
∂y
!
dxdy
!
dxdy
mentre, nel caso della forma reale, si ottiene:
I
γ
I
f (z)dz =
Z Z Ã
=
Ω
γ
I
(udx − vdy) + j
γ
(vdx + udy)
!
!
Z Z Ã
∂(−v) ∂u
∂u ∂v
−
dxdy + j
−
dxdy.
∂x
∂y
∂y
Ω ∂x
Le formule scritte sopra sono vere per funzioni integrabili di variabile complessa.
Nel caso particolare di funzioni analitiche, forniscono però un risultato molto importante.
Sia infatti f (z) una funzione analitica in una regione semplicemente connessa Ω.
Sia γ una curva chiusa semplice tutta contenuta in Ω e racchiudente al proprio interno una regione S (che, come sappiamo, continua a essere semplicemente connessa).
1 ∂f
∂f
=
,
Allora le espressioni precedenti, tenendo conto che, nel caso complesso
∂x
j y
∂u
∂v ∂v
∂u
mentre, nel caso reale
=
,
= − , ci permettono di concludere che:
∂x
∂y ∂x
∂y
Z Z Ã
I
γ
f (z)dz =
S
∂f
∂f
j
−
∂x ∂y
!
dxdy = 0
80
(se si usa la forma complessa)
Z Z Ã
I
γ
f (z)dz =
S
!
!
Z Z Ã
∂v ∂u
∂u ∂v
−
−
dxdy + j
−
dxdy = 0,
∂x ∂y
∂x ∂y
S
(se si usa la forma reale). Segue il fondamentale Teorema di Cauchy: l’integrale
di circuitazione di una funzione analitica è sempre nullo, posto che la curva chiusa
semplice su cui si integra sia tutta contenuta nella regione semplicemente connessa di
analiticità della funzione.
Il teorema di Cauchy non è tuttavia una condizione necessaria e sufficiente affinché
f sia analitica, come si vede dal seguente esempio.
Esempio.
Calcolare:
I
γ
f (z)dz
essendo f (z) = u + jv = x2 − jy 2 e γ = ejθ , 0 ≤ θ ≤ 2π. f (z) non è analitica in C.
Poiché x = cos θ, y = sin θ, dz = jejθ dθ, si trova:
I
γ
f (z)dz = j
Z 2π
o
cos3 θdθ +
Z 2π
0
sin2 θ cos θdθ +
Z 2π
0
cos2 θ sin θdθ − j
Z 2π
o
sin3 θdθ
´3
´3
1 Z 2π ³ jθ
1 Z 2π ³ jθ
e + e−jθ dθ +
e − e−jθ dθ
=
8
8
o
o
´
1 Z 2π ³ 3jθ
=
e + 3ejθ + 3e−jθ + e3jθ + e3jθ − 3ejθ + 3e−jθ − e3jθ dθ
8
0
´
6 h −jθ i2π
1 Z 2π ³ 3jθ
2 h 3jθ i2π
−
=0
e
e
=
2e + 6e−jθ dθ =
0
0
8 0
24j
8j
Nell’esempio precedente, f (z) = x2 − jy 2 soddisfa alle condizioni di CauchyRiemann solo sulla retta x + y = 0, pertanto non è analitica, ma solo derivabile
e dunque continua, sui punti di tale retta.
Risulta possibile invertire il teorema di Cauchy, sotto l’ipotesi che f (z) sia continua
in una regione semplicemente connessa Ω. Allora vale il seguente teorema di Morera:
sia f (z) una funzione di variabile complessa continua in una regione semplicemente
connessa Ω e in più sia, ∀ cammino chiuso semplice γ ⊂ Ω
I
γ
f (z)dz = 0
Allora f (z) è analitica in Ω.
Conseguenze del Teorema di Cauchy.
1) Sia f analitica in una regione semplicemente connessa Ω. Siano P e Q due punti
∈ Ω. Siano γ1 e γ2 due archi di curva regolare a tratti che congiungono P a Q senza
intrecciarsi: allora
Z
Z
f (z)dz =
f (z)dz
γ1
γ2
81
Infatti se ad esempio P è il punto iniziale di γ1 , il cammino γ1 − γ2 parte da P , passa
per Q e ritorna a P : si tratta pertanto di un cammino chiuso semplice ⊂ Ω e, per il
teorema di Cauchy:
I
Z
γ1 −γ2
f (z)dz = 0 =
Z
γ1
f (z)dz −
γ2
f (z)dz
da cui il risultato.
2) Un’altra conseguenza importante è rappresentata dal Teorema fondamentale
del calcolo integrale che è valido soltanto per funzioni analitiche ed ha l’enunciato
seguente.
Sia f (z) una funzione analitica in una regione Ω semplicemente connessa, sia
z0 ∈ Ω un punto fisso e z ∈ Ω un punto variabile in Ω: allora la funzione di z definita
da
Z z
F (z) =
f (ζ)dζ
z0
è una primitiva di f (z), nel senso che, ∀z ∈ Ω,
dF (z)
= f (z)
dz
La dimostrazione, molto semplice, di questo teorema si ottiene calcolando ∆f tramite
la definizione di F :
∆F =
Z z+∆z
z0
f (ζ)dζ −
Z z
z0
f (ζ)dζ =
Z z+∆z
z
f (ζ)dζ,
da cui, sottraendo dal rapporto incrementale ∆F
la funzione f (z) e usando la proprietà
∆z
che l’integrale non dipende dal cammino (per cui è comodo integrare sul segmento
che congiunge z a z + ∆z) si ottiene :
F (z + ∆z) − F (z)
1 Z z+∆z
1 Z z+∆z
− f (z) =
f (ζ)dζ − f (z) =
[f (ζ) − f (z)] dζ
∆z
∆z z
∆z z
(nell’ultimo passaggio si è tenuto conto che
R z+∆z
z
dζ = ∆z). Si osserva poi che:
¯
¯
¯
¯ F (z + ∆z) − F (z)
1 Z z+∆z
¯
¯
−
f
(z)
¯≤
|f (ζ) − f (z)||dζ|
¯
¯
¯
∆z
|∆z| z
e il teorema segue passando al limite per ∆z → 0. Una conseguenza immediata del
teorema è che tutte le primitive differiscono per costanti. Un’altra conseguenza che
viene dedotta dal risultato è che la derivata di una funzione analitica è ancora analitica
dF
= f implica che F è analitica perché derivabile in una regione). Pertanto una
(
dz
funzione analitica è derivabile tante volte quante si vuole.
3) Come corollario del teorema fondamentale del calcolo integrale si ottiene la
formula per il calcolo esplicito di un integrale di una funzione analitica in una regione
82
semplicemente connessa Ω, f , esteso ad un cammino che congiunge i punti z0 , z1 ∈ Ω e
tutto contenuto in Ω. Infatti, nota una primitiva F (z) di una funzione f (z) si ottiene
subito:
Z z1
f (z)dz = F (z1 ) − F (z0 )
z0
Esempi.
1) Calcolare l’integrale di linea di z 2 tra i punti z = j e z = 1 + 4j.
Z 1+4j
j
2
z dz =
Z " 3 #1+4j
z
3
2) Calcolare l’integrale:
=
j
i
1h
47
(1 + 4j)3 − j 3 = − − 17j
3
3
Z kj
dz
−kj
z
, k>0
in Ω = C − {z : <(z) ≤ 0, =(z) = 0}, per ogni cammino ∈ Ω che congiunge −kj a kj.
Poiché z = 0 ∈
/ Ω, la funzione z1 è analitica in Ω. Segue:
Z kj
dz
−kj
z
= [Ln
z]kj
−kj
µ
π
3π
= Ln k + j − Ln k + j
2
2
¶
= −jπ.
Da notare infine che per le funzioni analitiche si mantengono vere le regole di
calcolo che derivano dal teorema fondamentale del calcolo integrale. Ad esempio,
l’integrazione per parti per funzioni analitiche diventa:
Z z1
z0
f (z)g 0 (z)dz = [f (z)g(z)]zz21 −
Z z1
z0
f 0 (z)g(z)dz
83
Lezione 19
Singolarità e integrazione, residui.
Le considerazioni fin qui svolte si basano sull’ipotesi che f sia analitica senza
eccezioni in Ω. Basta però un semplice esempio per vedere come l’ipotesi non sia in
genere verificata. Eseguiamo in effetti il calcolo di:
I
(z − z0 )n dz, (n intero relativo)
lungo il cammino chiuso semplice γ dato da una circonferenza di centro z0 e raggio
R, percorsa una sola volta in verso antiorario. Si trova, essendo z − z0 = Rejt , dz =
jRejt dt, 0 ≤ t ≤ 2π:
I
(z − z0 )n dz = jRn+1
Z 2π
0


h
i2π
1
jRn+1 j(n+1)
ej(n+1)t
= 0 n 6= −1
0
ej(n+1)t dt =
.
R
2π

j 0 dt = 2πj
n = −1
1
1
,
, .. che
z − z0 (z − z0 )2
presentano una singolarità, il punto z0 , contenuta all’interno di γ. Ciò nonostante, il
calcolo si è potuto eseguire. Il risultato precedente si può scrivere in modo equivalente
come:
(
1 I
0 n 6= −1
n
.
(z − z0 ) dz =
1 n = −1
2πj
Proprio i casi n = −1, n = −2, etc. conducono a funzioni
Ricordiamo che si dice punto singolare di una funzione f analitica in una regione
Ω un punto z0 della frontiera di Ω al quale f non può essere analiticamente estesa
(una singolarità apparente è allora un punto di frontiera al quale f è analiticamente
estendibile).
Si dice non isolato ogni punto singolare in ogni intorno del quale cade almeno un
altro punto singolare della funzione. Si dice invece punto singolare isolato ogni punto
singolare per il quale esiste un intorno in cui non cade nessun altro punto singolare.
Esempio
z = 0 è punto singolare non isolato per la funzione analitica:
f (z) =
1
.
sin z1
I punti singolari isolati di tale funzione sono infatti i punti per cui sin z1 = 0, cioè i
1
punti zk =
, k = ±1, ±2, ±3, ..... Questi punti si accumulano in z = 0, poiché ogni
kπ
intorno di z = 0 ne contiene infiniti.
Un criterio generale per individuare punti singolari di funzioni analitiche è il
seguente: z0 è punto singolare di una funzione analitica f se f non è limitata in
84
intorni di z0 (se f si potesse analiticamente estendere a z0 allora f sarebbe derivabile
anche in z0 , dunque limitata in intorni di z0 , contro l’ipotesi).
Un punto singolare z0 di una funzione polidroma si dice non uniforme se risulta
punto singolare su qualche ramo, ma non su tutti i rami. Ad esempio , per
f (z) = √
1
,
z−1
√
z = 1 risulta punto singolare isolato per il ramo
√ positivo in cui 1 = 1, mentre risulta
punto regolare per il ramo negativo in cui 1 = −1. Si dice invece uniforme ogni
punto singolare su ogni ramo. In particolare, i punti singolari di funzioni analitiche
sono sempre uniformi.
Definizione di polo di ordine n.
Un punto singolare isolato uniforme z0 di una funzione f analitica in una regione
Ω si dice polo di ordine n (o polo n-plo) se e solo se f può essere scritta come:
f (z) =
g(z)
,
(z − z0 )n
essendo g(z) una funzione analitica anche in z0 e tale che g(z0 ) 6= 0.
Osserviamo che (z−z0 )n ha uno zero di ordine n nel punto z0 . Può allora succedere
g
che una funzione non ammetta la scrittura precedente, ma ammetta la forma ove
h
h è una funzione analitica che ha uno zero di ordine n in z0 , cioé tale che h(z0 ) =
h0 (z0 ) = h”(z0 ) = ...hn−1 (z0 ) = 0, hn (z0 ) 6= 0. Anche in questo caso, si dice che f ha
un polo di ordine n in z0 .
Esempi.
1)
f (z) =
1
(z − j)4
ha un polo di ordine 4 in z = j
2)
f (z) =
sin z
z2 + 1
ha due poli semplici in z = j e z = −j.
3)
f (z) = tan z =
sin z
cos z
ha poli semplici negli zeri (di primo ordine) di cos z, ovvero nei punti z =
4)
f (z) =
sin z
z
π
+ kπ.
2
85
presenta una singolarità apparente in z = 0 (può essere ridefinita in modo che
sin z
lim
= 1).
z→0 z
5)
sin z
z7
presenta un polo di ordine 6 nel punto z = 0: in questo caso, infatti, risulta essere:
f (z) =
h(z) =
sin z
.
z
Definizione di singolarità essenziale.
Un punto singolare isolato uniforme che non sia un polo si dice singolarità essenziale.
Esempio
La funzione:
1
f (z) = e z
presenta nel punto z = 0 una singolarità essenziale.
Un criterio pratico per distinguere poli da singolarità essenziali è il seguente: verificato
che f non è limitata in intorni di un punto singolare isolato uniforme z0 , segue che z0
è polo se
lim f (z) = ∞,
z→z0
è singolarità essenziale se il limite non esiste.
Vediamo ora come agisce la presenza di singolarità isolate uniformi racchiuse da un
cammino chiuso semplice.
Definizione di residuo in un punto singolare isolato uniforme.
Sia f (z) una funzione analitica in una regione Ω. Sia z0 un punto singolare isolato
uniforme di f (z). Sia γ ⊂ Ω un cammino chiuso semplice che al proprio interno
racchiuda solo z0 come punto singolare (z0 non appartiene ad Ω, dunque si trova
in una lacuna interna di Ω. Si dice residuo di f nel punto singolare z0 il numero
complesso definito dal seguente integrale:
1 I
f (z)dz,
Rf (z0 ) =
2πj γ
ove γ è percorso una volta sola in verso antiorario.
H
Si noti che il calcolo dell’integrale γ (z − z0 )n dz, quando n < 0, ci permette di
ottenere già il valore di alcuni residui notevoli. Infatti:
R
1
z−z0
(z0 ) = 1, R
1
(z−z0 )2
(z0 ) = R
1
(z−z0 )3
(z0 ) = ... = 0
86
La proprietà fondamentale del residuo è la seguente: il residuo non dipende dalla
scelta del cammino γ sul quale viene calcolato l’integrale. Infatti, detti γ1 e γ2 due
cammini chiusi semplici privi di intersezioni comuni e racchiudenti entrambi z0 , se si
pratica un taglio T dai bordi infinitamente vicini che congiunga γ1 a γ2 , risulta che
il cammino Γ = γ1 + T − T − γ2 racchiude una regione semplicemente connessa alla
quale allora può esser applicato il teorema di Cauchy, ottenendo:
I
I
Γ
f (z)dz =
γ1
Z
f (z)dz +
Z
T
f (z)dz −
I
T
f (z)dz −
γ2
f (z)dz = 0
Poiché i contributi dei tagli si elidono, ne segue:
I
γ1
I
f (z)dz =
γ2
f (z)dz.
Residuo in z = ∞.
Si può estendere la definizione di residuo anche in z = ∞. Allo scopo, ricordiamo
che un intorno di z = ∞ è costituito dai punti esterni ad una circonferenza di centro
0 e raggio R. Supponiamo che la circonferenza sia percorsa in un verso predefinito (ad
esempio quello che lascia l’area interna a sinistra). Se i punti esterni si considerano
come appartenenti ad un intorno di z = ∞, il centro della circonferenza che definisce
l’intorno diventa ora z = ∞ e il segno del verso di percorrenza cambia, perché, vista
da z = ∞ la circonferenza è percorsa in modo da lasciare l’area interna a destra.
Segue pertanto la definizione:
1 I
f (z)dz
Rf (∞) = −
2πj γ0,R
ove γ0,R è la circonferenza di centro 0, raggio R percorsa nel verso originariamente
scelto come positivo.
Pur senza possedere ancora i mezzi di calcolo per calcolare i residui, è però possibile
ricondurre il calcolo del residuo in z = ∞ a quello del residuo di una opportuna
funzione nell’origine.
Vale la seguente osservazione generale: lo studio di una funzione analitica in z = ∞
1
si riconduce allo studio in intorni dell’origine, osservando che, se si pone z = , al
w
punto w = 0 corrisponde z = ∞. Allora:
z=
1
,
w
1
⇒ f (z) = f ( ) = g(w)
w
e lo studio della funzione f in intorni di z = ∞ è ricondotto a quello della funzione g
in intorni di w = 0.
1
Calcoliamo ora il residuo Rf (∞) con il cambiamento di variabile z = . Se i
w
punti della circonferenza sono dati da z = Rejθ , i punti della circonferenza immagine
1
sono dati da:w = e−jθ , dunque la circonferenza γ0, 1 ha verso opposto a quello di
R
R
1
γ0,R . Inoltre, dz = − 2 dw e si ottiene:
w
87
Rf (∞) = −
1 I
1 I
−1
f (z)dz = −
g(w) 2 dw
2πj γ0,R
2πj −γ0, 1
w
R
=−
I
1
2πj
γ0, 1
g(w)
R
1
dw = −R g(w) (0).
w2
w2
I residui di una funzione analitica assumono particolare rilievo nel cosiddetto teorema dei residui.
Teorema dei residui.
Sia f una funzione analitica in una regione Ω. Siano z1 , z2 , ..zn punti singolari isolati
uniformi di f . Sia γ ⊂ Ω un cammino chiuso semplice percorso una sola volta in
verso positivo e tale da racchiudere al proprio interno i punti singolari isolati uniformi
z1 , z2 , ..zn . Allora:
I
γ
f (z)dz = 2πj
k=n
X
Rf (zk )
k=1
La dimostrazione si effettua considerando circonferenze di centro zk , k = 0, 1, ..n − 1
e raggio ²k tale da includere solo zk al proprio interno, congiungendo ciascuna di esse
con γ tramite tagli Tk dai bordi infinitamente vicini e poi integrando sul cammino
chiuso semplice:
Γ = γ + T1 − T1 − γ1 + ... + Tn − T1 − γn
che racchiude al proprio interno una regione semplicemente connessa in cui f è analitica. Segue che:
I
Γ
I
f (z)dz = 0 =
γ1
I
f (z)dz + .... +
γn
f (z)dz.
Si può inoltre dimostrare una versione più generale di questo teorema, che assume la
denominazione di teorema generalizzato dei residui.
Teorema generalizzato dei residui.
Se, nelle ipotesi precedenti per f , si tiene conto anche del residuo di f in z = ∞,
allora la somma di tutti i residui di f è identicamente nulla, cioé:
k=n
X
Rf (zk ) + Rf (∞) = 0.
k=1
Infatti, basta considerare un cerchio di centro l’origine e di raggio R tale da contenere
al proprio interno tutti i punti singolari isolati uniformi z1 , z2 , ..zn : allora, per il
teorema dei residui
I
γ0,R
f (z)dz = 2πj
k=n
X
k=1
Rf (zk ),
88
mentre d’altra parte, per la definizione di Rf si ha:
I
γ0,R
e per differenza segue il risultato.
f (z)dz = −2πjRf (∞)
89
Lezione 20
Formule integrali.
Residui in un polo di ordine 1.
Vale il seguente teorema. Sia f analitica in una regione Ω. Sia z0 ∈ Ω polo del
prim’ordine per f (z). Allora, se
∃ lim (z − z0 )f (z) = λ
z→z0
si ha:
Rf (z0 ) = λ.
Da questo risultato seguono subito i seguenti due corollari, utili ai fini del calcolo.
Corollario 1. Sia f data da:
f (z) =
h(z)
, h(z) analitica, h(z0 ) 6= 0.
z − z0
Allora :
Rf (z0 ) = h(z0 ).
h
, ove h è funzione analitica anche in z0 , h(z0 ) 6= 0 e g è
g
funzione analitica dotata di uno zero di ordine 1 in z0 ,( g(z0 ) = 0, g 0 (z0 ) 6= 0).
Allora:
h(z0 )
Rf (z0 ) = 0
.
g (z0 )
Corollario 2. Sia f =
Esempi.
1) Sia f (z) =
1
. Trovare il residuo in z = j. Si ha:
z2 + 1
f (z) =
h(z)
1
1
, h(z) =
⇒ R 1 (j) = .
z−j
z−j
z+j
2j
sin z
. Trovare i punti singolari di f e calcolare i residui di f nei punti
2) Sia f (z) =
cos z
singolari trovati. Si ha:
f (z) =
sin z
π
⇒ zk = + kπ, (k = 0, ±1, ±2, ...) poli semplici.
cos z
2
I residui nei poli zk sono allora dati da, usando il Corollario 2:
R sin z (zk ) = −
cos z
sin zk
= −1.
sin zk
90
Formula integrale di Cauchy.
La conseguenza più importante della formula per il calcolo del residuo in un polo del
primo ordine è la formula integrale di Cauchy, oggetto del seguente teorema.
Sia f funzione analitica in Ω e sia γ ⊂ Ω un cammino chiuso semplice percorso una
sola volta in verso positivo. Sia S la regione racchiusa da γ. Allora, se ζ ∈ γ e z ∈ S,
si ha:
1 I f (ζ)
f (z) =
dζ.
2πj γ ζ − z
(f ormula integrale di Cauchy.)
La funzione K(ζ, z) =
0! = 1):
1
è analitica ∀z ∈ S. . Si ha (convenendo che K (0) = K e
ζ −z
dn K(ζ, z)
n!
=
, (n = 0, 1, 2...)
dz n
(ζ − z)n+1
Possiamo allora calcolare la derivata ad ogni ordine di f usando la formula integrale
di Cauchy: si deriva sotto il segno di integrale e si ottiene:
f (ζ)
n! I
dζ.
f (z) =
2πj γ (ζ − z)n+1
n
Corollario 1. Sia f analitica all’interno di una regione S semplicemente connessa e sia
γ il cammino chiuso semplice frontiera di S. Allora ∀n, f n è una funzione analitica
in S.
Corollario 2. Sia f analitica in una regione semplicemente connessa Ω. Sia γ una
circonferenza tutta contenuta in Ω con centro z0 ∈ Ω e raggio R. Allora, detto M
l’estremo superiore dei valori di |f (z)| su γ, si ha :
|f n (z0 )| ≤
M n!
.
Rn
(diseguaglianza di Cauchy per la derivata n-esima).
Corollario 3. Sia f (z) =
h(z)
, con h analitica in z0 e h(z0 ) 6= 0. Allora:
(z − z0 )n
h(n−1) (z0 )
Rf (z0 ) =
.
(n − 1)!
Infatti:
h(n−1) (z0 )
h(z)
1 I
=
.
Rf (z0 ) =
2πj γ (z − z0 )n
(n − 1)!
91
Dal Corollario 2 (diseguaglianza di Cauchy) si ricava il seguente teorema notevole.
Teorema di Liouville. Sia f analitica e limitata in C. Allora f è una costante.
Dal teorema di Liouville segue in modo molto semplice il teorema fondamentale
dell’algebra.
Sia p un polinomio complesso di grado n (n ≥ 1): allora l’equazione p(z) = 0 ha
esattamente n soluzioni.
1
Infatti, se p non fosse mai nulla in z ∈ C, la funzione g(z) =
sarebbe analitica
p(z)
e non nulla ∀z ∈ C e, siccome limz→∞ g(z) = 0, g sarebbe limitata ∀z ∈ C e, per
il teorema di Liouville, risulterebbe costante. Ciò è assurdo: dunque ∃z0 tale che
p(z0 ) = 0. Il risultato si ottiene allora notando che p(z) = (z − z0 )p1 (z) ove p1 (z) è
un polinomio di grado n − 1 a cui si applica l’argomento precedente.
92
Lezione 21
Scomposizione in fratti semplici, applicazioni del teorema dei residui al
calcolo di integrali.
Una osservazione preliminare sui residui di funzioni hermitiane è la seguente: se
una funzione hermitiana f (z) presenta in un punto z0 un polo di ordine n, allora essa
presenta un polo dello stesso ordine nel punto z0∗ . Infatti:
f (z) =
g(z)
h(z)
h(z ∗ )
h∗ (z ∗ )
∗
∗ ∗
=
.
⇒
f
(z
)
=
⇒
f
(z
)
=
f
(z)
=
∗ n
n
∗
n
(z − z0 )
(z − z0 )
(z − z0 )
(z − z0∗ )n
Per una funzione hermitiana, il residuo in un polo complesso coniugato è il complesso
coniugato del residuo. Infatti, sia γ ∗ il cammino complesso coniugato di un cammino
semplice chiuso γ lungo il quale è originariamente calcolato il residuo nel punto z0 .
Usiamo γ ∗ come cammino per il calcolo di Rf (z0∗ ). Tenendo conto che γ ∗ è percorso
in verso opposto e che i suoi punti sono z ∗ si trova:
Rf (z0∗ )
Ã
!∗
Ã
!∗
1 I
1 I ∗ ∗
1 I
∗
∗
=−
f (z )dz =
f (z )dz =
f (z)dz = Rf∗ (z0 )
2πj γ ∗
2πj γ
2πj γ
Come applicazione ulteriore del calcolo dei residui, siamo ora in grado di effettuare
la scomposizione di una funzione razionale propria in fratti semplici (se la funzione
razionale non fosse propria, basterebbe effettuare la divisione per ottenere la funzione come somma di un polinomio e di una funzione razionale propria).Consideriamo
dunque una funzione razionale propria, nella quale i k zeri del denominatore siano
indicati con z1 , z2 , ..., zk . Scriviamo allora la funzione razionale propria f (z) sotto la
seguente forma:
A1,−2
A1,−n1
A1,−1
+
+ ... +
f (z) =
2
z − z1 (z − z1 )
(z − z1 )n1
+
A2,−1
A2,−2
A2,−n2
+
+ ... +
2
z − z2 (z − z2 )
(z − z2 )n2
+... +
Ak,−2
Ak,−n1
Ak,−1
+
+ ... +
.
2
z − zk (z − zk )
(z − zk )nk
I coefficienti
Ai,ni +m (1 ≤ i ≤ k, 0 ≤ m ≤ ni − 1),
si determinano nel modo seguente. Definiamo le k funzioni hi (z) = (z − zi )ni , 1 ≤
i ≤ k. Per calcolare, ad esempio, A1,−1 basta integrare f (z) lungo una circonferenza
γ1 di centro z1 e raggio ²1 tale da contenere al proprio interno soltanto z1 . Questo
integrale fornisce
(n −1)
I
I
h1 1
h1 (z)
dz =
f (z)dz =
(n1 − 1)!
γ1
γ1 (z − z1 )n1
93
1
perché l’unico contributo proviene dalla frazione z−z
che ha residuo 1 (tutte le altre
1
frazioni hanno residuo nullo), mentre a destra si ottiene A1,−1 . Segue:
(n −1)
A1,−1
h 1 (z1 )
= 1
(n1 − 1)!
Il coefficiente A1,−2 si ottiene in modo analogo, perché, moltiplicando f (z) per z − z1 ,
1
diventa il coefficiente della frazione z−z
che, come già detto, è l’unica ad avere residuo
1
diverso da zero. Segue:
(n −2)
h1 1 (z1 )
A1,−2 =
(n1 − 2)!
etc. La formula generale risulta pertanto:
(m)
Ai,−ni +m
h (zi )
, 1 ≤ i ≤ k, 0 ≤ m ≤ ni − 1
= i
m!
Se i poli della funzione razionale propria sono tutti semplici, allora la scomposizione
diventa:
Rf (z1 ) Rf (z2 )
Rf (zk )
f (z) =
+
+ ... +
.
z − z1
z − z2
z − zk
Esempi.
1) Scomporre in fratti semplici:
f (z) =
5z 2 + z − 1
.
z 3 + 3z 2 + 2z
La funzione data ha 3 poli semplici in z1 = 0, z2 = −1, z3 = −2.Si ha:
5z 2 + z − 1
5z 2 + z − 1
Rf (0) Rf (−1) Rf (−2)
=
=
+
+
3
2
z + 3z + 2z
z(z + 1)(z + 2)
z
z+1
z+2
=−
11
3
17 1
−
+
.
2z z +1
2 z+2
2) Scomporre in fratti semplici:
f (z) =
z+1
.
z3 − z2
La funzione data ha un polo doppio in z1 = 0 e semplice in z2 = 1. Posto
h1 (z) =
da cui
h01 (z) = −
z+1
,
z−1
2
,
(z − 1)2
94
otteniamo:
h1 (0) h01 (0) Rf (1)
z+1
f (z) = 3
=
+
+
z − z2
z2
z
z−1
=−
1
2
2
− +
.
2
z
z z−1
Se la funzione razionale è hermitiana, il denominatore presenta zeri a coppie complesse coniugate e i poli sono complessi coniugati, con residui a loro volta complessi
coniugati. Consideriamo per esempio un polo semplice z0 . Si ha:
Rf∗
2z<(Rf ) − 2<(z0 Rf∗ )
Rf
+
=
z − z0 z − z0∗
z 2 − 2<(z0 )z + |z|2
e i coefficienti della frazione sono tutti reali. Questa particolare scomposizione si dice
scomposizione in fratti irriducibili, che sono denominatori di secondo grado con radici
complesse coniugate (e discriminante minore di zero).
Esempio
Scomporre in fratti irriducibili:
f (z) =
I poli sono
z2
.
z4 + 1
√
z1,2
√
2
2
=
(1 ± j), z3,4 =
(−1 ± j).
2
2
Pertanto:
z 4 + 1 = (z 2 −
√
2z + 1)(z 2 +
√
2z + 1)
e allora:
1
1
1
1
Rf (z1 ) = z1∗ , Rf (z1∗ ) = z1 , Rf (z3 ) = z3∗ , Rf (z3∗ ) = z3
4
4
4
4
La scomposizione in fratti irriducibili risulta allora:
√ "
#
z2
2z
1
1
√
√
.
=
−
z4 + 1
4
z 2 − 2z + 1 z 2 + 2z + 1
Applicazione del teorema dei residui al calcolo di integrali.
Il teorema dei residui (o quello generalizzato dei residui) ha relativamente poca
importanza, se considerato come risultato formale: riconduce infatti il calcolo di
un integrale a quello di altri n integrali. Diventa invece importantissimo quando si
disponga di mezzi di calcolo dei residui che siano indipendenti dal calcolo dell’integrale
implicato nella definizione. Alcune applicazioni saranno viste qui di seguito.
1) Applicazione diretta del teorema dei residui.
95
Prima di dare esempi dell’applicazione diretta, occorre ricordare che è possibile calcolare il residuo di f anche in z = ∞. Se si tiene conto che tale residuo si calcola su
di un cammino costituito da un cerchio di centro l’origine e raggio arbitrario, supponendo che f abbia un numero finito di poli, si estenda il raggio R fino ad includere
tutti i poli di f . Si ottiene:
I
γ0,R
N
X
f (z)dz = −Rf (∞) =
Rf (zk ) ⇒
k=1
N
X
Rf (zk ) + Rf (∞) = 0
k=1
vale a dire: la somma di tutti i residui di f , ivi compreso quello all’infinito, è identicamente nulla.
Diamo ora due esempi di calcolo basati sull’applicazione diretta del teorema dei
residui.
1) Calcolare:
I
4 − 3z
dz
γ z2 − z
nei seguenti due casi: γ1 circonferenza di centro 0 e raggio 2,γ2 circonferenza di centro
1
0 e raggio . Il residuo in z = 0 è −4, il residuo in z = 1 è 1. Segue:
2
I
4 − 3z
dz = 2πj(−4 + 1) = −6πj
z2 − z
γ1
I
γ2
4 − 3z
dz = 2π(−4) = −8πj.
z2 − z
2) Calcolare:
I
γ1,1
dz
.
(z 3 − 1)2
2πj
3
2πj
, z3 = e− 3 . Però solo
1
z1 si trova entro γ1,1 . basta quindi calcolare il residuo di 3
nel punto z1 = 1.
(z − 1)2
2
Tale residuo vale − e pertanto:
9
La funzione ha poli del secondo ordine in z1 = 1, z2 = e
I
γ1,1
(z 3
4πj
dz
.
2 = −
9
− 1)
96
Lezione 22
Metodi di calcolo per integrali di variabile reale.
Per il calcolo di integrali di variabile reale, il teorema dei residui, benché vero per
funzioni analitiche di variabile complessa, può essere applicato in moltissimi casi e
costituisce un aiuto indispensabile. Vedremo soltanto i casi più importanti di metodi
di calcolo.
1-Integrali reali di funzioni razionali di cosθ e sin θ.
Sia R(u, v) funzione reale dei suoi argomenti reali. Vogliamo calcolare:
I=
Z 2π
0
R(cos θ, sin θ)dθ
nel caso in cui R(cos θ, sin θ) sia finita nell’intervallo [0, 2π].
µ
¶
µ
¶
1
1
, sin θ = 2j1 z −
. Allora R(cos θ, sin θ)
z
z
diventa una funzione razionale di z, che chiameremo S(z), con z ∈ γ0,1 percorsa in
verso antiorario. Risulta:
I
S(z)
dz
I=
γ0,1 jz
Poniamo ejθ = z, da cui cos θ =
1
2
z+
e la funzione
S(z)
jz
è ancora una funzione razionale di z. Noti i poli di
infine:
I
I=
γ0,1
S(z)
all’interno di |z| = 1 si ha
jz
X
S(z)
dz = 2πj
R S(z) (zk ), (|zk | < 1).
jz
jz
k
Esempio.
Sia 0 < p < 1. Calcolare:
I=
Su γ0,1 si ha:
I
I=
γ0,1
Z 2π
0
dθ
.
1 − 2p cos θ + p2
dz
1
³
´
1
jz 1 − 2p · z + 1 + p2
2
z
1I
dz
=
j γ0,1 (1 − pz)(1 − z)
97
1
> 1 (che non interessa)e in z = p < 1.
p
Calcoliamo il residuo della funzione razionale in z = p. Si ha:
L’integrando ha due poli semplici in z =
R
e allora:
=
1
j(1−pz)(1−z)
1
,
j(1 − p2 )
Z 2π
dθ
2π
=
.
2
1 − 2p cos θ + p
1 − p2
0
Da notare, in questo come in altri casi, che il risultato deve essere un numero reale,
nonostante siano in gioco funzioni analitiche di variabile complessa.
2-Integrali impropri di funzioni razionali reali soddisfacenti a date ipotesi.
2.1- Vogliamo calcolare integrali reali del tipo
Z +∞
−∞
f (x)dx,
ove f(x) è una funzione razionale propria di x il cui denominatore non si annulla mai
sull’asse reale. Il metodo che useremo si dice metodo del cammino di chiusura (o
metodo di completamento del cammino) e si effettua nel modo che segue. Sappiamo
che:
Z +∞
Z +R
f (x)dx = lim
f (x)dx.
R→∞ −R
−∞
Questo fatto ci porta ad interpretare l’intervallo [−R, R] come un tratto di un cammino chiuso ΓR nel piano complesso, costituito da [−R, R] + γR , ove γR , è la parte
che non appartiene all’asse reale e che chiude[−R, R] (γR si dice cammino di chiusura
e il semipiano nel quale giace γR si dice semipiano di chiusura). Se al posto di f (x)
si considera la funzione f (z) estensione analitica di f (x) (nel caso di una funzione
razionale hermitiana, basta sostituire x con z), si ha, per il teorema dei residui:
I
ΓR
f (z)dz =
Z R
−R
Z
f (x)dx +
γR
f (z)dz = 2πj
N
X
Rf (z) (zk )
k=1
ove i punti zk , k = 1, 2.., N sono i poli della funzione razionale f (z) che cadono nella
regione interna a ΓR : questo determina il segno da considerare (positivo se si è in
=(z) > 0, negativo in caso contrario. Risulta:
Z R
−R
e pertanto:
Z +∞
−∞
f (x)dx = 2πj
N
X
Z
Rf (z) (zk ) −
k=1
M
X
f (x)dx = 2πj
γR
f (z)dz
Z
Rf (z) (zm ) − lim
R→∞ γR
m=1
f (z)dz
ove questa volta i poli zm , m = 1, 2.., M, M ≥ N sono tutti quelli che giacciono nel
semipiano di chiusura. Se fosse possibile dimostrare che:
Z
lim
R→∞ γR
f (z)dz = 0
98
il risultato finale sarebbe:
Z +∞
−∞
f (x)dx = 2πj
M
X
Rf (z) (zm ).
m=1
M
X
(notare che anche in questo caso 2πj
Rf (z) (zm ) deve essere un numero reale). Vale
m=1
un risultato piuttosto generale, noto come Lemma del grande arco di cerchio, che si
enuncia nel modo seguente.
Lemma del grande arco di cerchio.
Sia S una regione angolare di vertice l’origine, sia f (z) funzione analitica tale che
∀|z| > R > R0 , R0 > 0 prefissato si abbia:
|f (z)| <
C
, C > 0, α > 0
|z|1+α
Sia γR,φ1 ,φ2 l’arco di circonferenza, compreso tra gli angoli φ1 , φ2 , che delimita S.
Allora:
Z
lim
f (z)dz = 0.
R→∞ γR,φ ,φ
1 2
Questa condizione è certamente soddisfatta per tutte le funzioni razionali, il cui denominatore abbia grado maggiore di almeno due unità a quello del numeratore (in
questo caso α è un numero intero ≥ 1). Inoltre, il lemma del grande arco di cerchio
ci porta a scegliere generalmente come cammino di chiusura una semicirconferenza di
centro l’origine e raggio R.
Esempio.
Calcolare:
I=
Z +∞
−∞
1
dx.
x4 + 1
Il denominatore non si annulla mai sull’asse reale, l’estensione analitica di f (x) è
1
, che presenta poli di ordine 1, dati da:
4
z +1
√
√
2
2
(1 + j), z2 =
(−1 + j),
z1 =
2
2
√
√
2
2
z3 =
(−1 − j), z4 =
(1 − j).
2
2
Essendo soddisfatto certamente il lemma del grande arco di cerchio, basta solo
scegliere il semipiano di chiusura. Chiudiamo allora in =(z) > 0. I poli coinvolti sono
√
2
2
(1 + j), z2 =
(−1 + j)
z1 =
2
2
√
99
. I residui di
z4
1
in questi poli valgono:
+1
√
1
z1
2
R 41 (z1 ) = 3 = − = −
(1 + j)
z +1
4z1
4
8
√
z2
1
2
(−1 + j)
R 41 (z2 ) = 3 = − = −
z +1
4z2
2
8
La somma dei residui vale allora:
√
√
√
2
2
2j
−
(1 + j) −
(−1 + j) = −
8
8
4
da cui segue il risultato finale:
I=
Z +∞
−∞
√
à √ !
1
2j
π 2
dx = 2πj · −
=
.
x4 + 1
4
2
Si sarebbe ottenuto lo stesso risultato chiudendo in =(z) < 0. Infatti in tal caso i poli
coinvolti sarebbero stati:
√
√
2
2
(−1 − j), z4 =
(1 − j),
z3 =
2
2
con residui:
√
1
2
z3
R 41 (z3 ) = 3 = − = −
(−1 − j)
z +1
4z3
4
8
√
1
z4
2
R 41 (z4 ) = 3 = − = −
(1 − j)
z +1
4z4
2
8
con somma:
√
√
√
2
2
2j
(−1 − j) −
(1 − j) =
−
8
8
4
Poiché il cammino di chiusura giace in =(z) < 0, il verso di percorrenza è opposto al
cammino di chiusura in =(z) > 0, la somma va dunque presa con il segno negativo e
anche in questo caso si ottiene:
√
Z +∞
1
π 2
I=
dx =
.
2
−∞ x4 + 1
100
Lezione 23
Calcolo di valori principali.
Un caso frequente è quello di integrali di funzioni razionali reali il cui denominatore
x+1
). Consideriamo l’integrale
presenta zeri (ad es. 2
x −1
Z b
a
f (x)dx
il cui integrando diviene infinito in un punto x0 , a < x0 < b. Si dice che f è integrabile
in [a, b] se e solo se:
∃ lim
Z x0 −²
²→0 a
f (x)dx + lim
Z b
η→0 x0 +η
f (x)dx
nel qual caso si pone
Z b
f (x)dx = lim
Z x0 −²
²→0 a
a
f (x)dx + lim
Z b
η→0 x0 +η
f (x)dx.
I due limiti sono indipendenti. Può tuttavia succedere che nessuno dei due limiti
esista ma che esista il limite:
"Z
lim
²→0
x0 −²
a
f (x)dx +
#
Z b
x0 +²
f (x)dx ,
in tal caso tale limite si dice valor principale secondo Cauchy dell’integrale
e si scrive:
"Z
#
Z
Z
v.p.
b
a
f (x)dx = lim
²→0
x0 −²
a
f (x)dx +
b
x0 +²
Z b
a
f (x)dx
f (x)dx
Esempio.
Il valor principale secondo Cauchy dell’integrale
v.p.
Z 1
dx
−1
x3
"Z
= lim
²→0
−²
−1
#
Z 1
dx
−1
·
x3
dx Z 1 dx
−2
+
= lim 2
3
3
²→0
x
x
² x
vale:
¸−²
·
−2
+ lim 2
²→0
x
−1
¸1
= 0.
²
Per usare il metodo del completamento del cammino anche nel caso di una funzione
razionale con poli sull’asse reale, occorre ridefinire sull’asse reale un cammino che eviti
il polo (o i poli). Di solito, si fa consistere questo cammino con una semicirconferenza
che abbia centro nel polo e che giri intorno al polo lasciandolo all’esterno della regione
che sarà poi racchiusa dal cammino chiuso creato per il calcolo dell’integrale. Il
contributo dovuto a questa ”dentellatura” è allora pari alla metà del residuo di f (z)
nel polo, come risulta dal cosiddetto Lemma del piccolo arco di cerchio, il cui enunciato
è il seguente.
101
Lemma del piccolo arco di cerchio.
Sia f(z) funzione analitica dotata di un polo x0 di ordine 1 sull’asse reale. Sia
γx0 ,r,φ1 ,φ2
l’arco di circonferenza di centro x0 , raggio r e apertura angolare φ1 , φ2 . Allora:
Z
lim
r→0 γx ,r,φ ,φ
0
1 2
Infatti, ponendo f (z) =
h(z)
,
z−x0
Z
γx0 ,r,φ1 ,φ2
f (z)dz =
f (z)dz = j(φ2 − φ1 )Rf (x0 )
con h(z) analitica in x0 e h(x0 ) = Rf (x0 ), si ha:
Z φ2
h(x0 + rejt )
φ1
rejt
jrejt dt = j
Z φ2
φ1
h(x0 + rejt )dt
da cui passando al limite per r → 0 si trova, per la continuità di h(z) in x0 :
lim j
Z φ2
r→0
φ1
h(x0 + rejt )dt = j(φ2 − φ1 )Rf (x0 ).
Se l’arco ha estensione di π, allora il contributo all’integrazione del polo x0 è πj
(da notare che se la circonferenza fosse percorsa da 0 a 2π, allora il contributo sarebbe
2πj, come già noto). Si ha allora il seguente teorema per il calcolo di valori principali.
Teorema del valor principale.
Sia f (x) una funzione razionale e continua sull’asse reale, eccetto al più in s poli
semplici x1 , .., xs e sia il grado del denominatore superiore di almeno due unità a
quello del denominatore. Allora:
v.p.
Z +∞
−∞
f (x)dx = 2πj
M
X
Rf (xm ) + πj
m=1
s
X
Rf (xi ).
i=1
I punti z1 , ..zM sono i poli di f che giacciono nel semipiano di chiusura: i residui
corrispondenti hanno segno positivo se il semipiano di chiusura è =(z) > 0, negativo
in caso opposto. Vale anche il seguente corollario: nelle ipotesi fatte per la funzione
razionale reale f , risulta:
v.p.
Z +∞
−∞
f (x)ejax dx = 2πj
M
X
m=1
Rf ejaz (xm ) + πj
s
X
Rf ejaz (xi ), a reale
i=1
(infatti f (z) e ejaz f (z) hanno gli stessi poli). In questo integrale è però necessario
tenere conto che ejaz = ejax e−ay : pertanto il cammino di chiusura si deve scegliere nel
semipiano nel quale e−ay → 0.
Esempio.
102
Calcolare il seguente valor principale:
v.p.
Z +∞
−∞
ejax dx
(x − x1 )(x − x2 )
ejaz
essendo a, x1 , x2 reali, x1 6= x2 . I poli della funzione
sono i punti x1
(z − x1 )(z − x2 )
e x2 e si presentano sul cammino di integrazione. I residui valgono:
R
R
ejaz
(z−x1 )(z−x2 )
ejaz
(z−x1 )(z−x2 )
(x1 ) =
ejax1
x1 − x2
(x2 ) =
ejax2
x2 − x1
e pertanto segue:
v.p.
Z +∞
−∞
Ã
ejax dx
ejax1
ejax2
= πj
+
(x − x1 )(x − x2 )
x1 − x2 x2 − x1
!
=
´
πj ³ jax1
e
− ejax2
x1 − x2
Questo risultato può essere riscritto in termini reali, eguagliando parte reale e parte
immaginaria dei due membri. Si trova:
v.p.
v.p.
Z +∞
−∞
Z +∞
−∞
cos axdx
sin ax2 − sin ax1
=π
(x − x1 )(x − x2 )
x1 − x2
sin axdx
cos ax1 − cos ax2
=π
.
(x − x1 )(x − x2 )
x1 − x2
103
Lezione 24
Lemma di Jordan e integrali su cammini paralleli all’asse immaginario.
Finora sono stati viste applicazioni del teorema dei residui al caso di integrali su cammini giacenti sull’asse reale. Il metodo del completamento del cammino tuttavia si
estende senza nessuna difficoltà anche a integrali su cammini rettilinei qualunque. Un
caso molto importante, legato al calcolo di antitrasformate di Laplace, è quello di integrali di funzioni analitiche su cammini paralleli all’asse immaginario. Tipicamente,
un integrale del genere si scrive sotto la forma:
Z α+j∞
α−j∞
f (z)dz
intendendo che si sta integrando sulla retta <(z) = α e che l’integrazione è effettuata
sull’intera retta.
Per applicare il metodo del cammino di chiusura, occorre allora considerare un arco
di circonferenza di centro l’origine e raggio R, che interseca la retta <(z) = α nei
punti
√
√
α − j R 2 − α2 , α + j R2 − α2 .
L’apertura angolare di tale arco è compresa tra i valori
√
√
R2 − α2
R2 − α2
− arctan
, arctan
α
α
e l’arco si sceglie appartenente al semipiano <(z) > α. Indichiamo con
γ
√
0,R,− arctan
R2 −α2
,arctan
α
√
R2 −α2
α
= γ̃R
tale arco. Il cammino :
√
√
ΓR = [α − j R2 − α2 , α + j R2 − α2 ] − γ̃R
(essendo γ̃R percorso in verso orario) racchiude allora una regione all’interno della
quale sono racchiusi eventuali N poli di f . Pertanto:
Z α+j∞
α−j∞
I
f (z)dz =
= −2πj
N
X
Z
ΓR
f (z)dz +
γ̃R
f (z)dz
Z
Rf (zk ) +
k=1
γ̃R
f (z)dz
Il segno negativo di fronte ai residui dipende dal fatto che il segmento è percorso dal
basso verso l’alto; ciascun polo ha inoltre <(z) > α. Come nel caso della integrazione
sull’asse reale, se si riuscisse a provare che:
Z
lim
R→∞ γ̃R
f (z)dz = 0,
104
allora il calcolo sarebbe ricondotto ad una semplice somma di residui. Un importante
risultato, noto come Lemma di Jordan stabilisce le ipotesi affinché ciò avvenga.
Lemma di Jordan
Sia λ un numero reale < 0 e sia f(z) una funzione analitica tale che:
lim |f (z)| = 0,
z→∞
sia inoltre dato α reale e sia γ̃R l’arco di circonferenza di centro l’origine,
raggio R,
√
2
situato
in =(z) > α, intersecante la retta <(z) = α nei punti α − j R − α2 , α −
√
2
j R + α2 . Allora:
Z
lim
R→∞ γ̃R
eλz f (z)dz = 0.
Si noti la presenza, nell’enunciato, dell’esponenziale complesso eλz , che ha modulo
eλR cos θ , quando z = Rejθ sull’arco γ̃R . Per la dimostrazione si usano due notevoli
diseguaglianze (anch’esse dovute a Jordan) su sin θ e cos θ, che hanno il seguente
aspetto:
2θ
2θ
π
≤ sin θ ≤ θ, 1 −
≤ cos θ ≤ 1, 0 ≤ θ ≤ .
π
π
2
Per la dimostrazione vera e propria occorre maggiorare il modulo dell’integrale quando
|f (z)| < ², ottenendo:
¯Z
¯
¯
¯
γ̃R
¯
¯
eλz f (z)dz ¯¯ < ²R
Z
π
2
− π2
Z
eλR cos θ dθ < 2²R
π
2
0
eλR(1−2 π ) dθ =
θ
²π
(1 − eλR ),
|λ|
da cui, passando al limite per λ → ∞:
¯Z
¯
¯
¯
¯
¯
π²
e f (z)dz ¯¯ <
.
λz
γ̃R
|λ|
Dal lemma di Jordan seguono allora i risultati seguenti:
Z α+j∞
α−j∞
eλz f (z)dz = −2πj
M
X
Reλz f (z) (zm ), λ < 0, <(zm ) > α
m=1
(λ < 0 ⇒chiusura a destra),
Z α+j∞
α−j∞
eλz f (z)dz = 2πj
N
X
Reλz f (z) (zn ), λ > 0, <(zm ) < α
n=1
(λ > 0 ⇒chiusura a sinistra).
Esempio.
Calcolare l’integrale:
1 Z α+j∞ ezλ
dz
2πj α−j∞ z 2 + 1
105
nei quattro possibili casi per α e λ:
1)α > 0, λ > 0, 2)α > 0, λ < 0, 3)α < 0, λ > 0, 4)α < 0, λ < 0.
I poli della funzione integranda sono z1 = j, z2 = −j, con residui:
R
ezλ
z 2 +1
(j) =
eλj
e−λj
, R ezλ (−j) =
2j
−2j
z 2 +1
Allora:
Caso 1) (α > 0, λ > 0). Si chiude il cammino a sinistra, pertanto i poli sono entrambi
contenuti nella regione racchiusa dal cammino chiuso e si trova:
1 Z α+j∞ ezλ
eλj e−λj
dz
=
+
= sin λ.
2πj α−j∞ z 2 + 1
2j
−2j
Caso 2) (α > 0, λ < 0). Si chiude il cammino a destra, pertanto non ci sono poli nella
regione e si trova:
Z α+j∞
ezλ
dz = 0.
α−j∞ z 2 + 1
Caso 3) (α < 0, λ > 0). Si chiude il cammino a sinistra, pertanto non ci sono poli
nella regione e si trova
Z α+j∞
ezλ
dz = 0.
α−j∞ z 2 + 1
Caso 4) (α < 0, λ < 0). Si chiude il cammino a destra, pertanto i poli si trovano nella
regione racchiusa dal cammino chiuso (questa volta il verso di percorrenza è opposto
a quello del caso 1) ) e si trova:
Z α+j∞
α−j∞
ezλ
eλj
e−λj
dz
=
−
−
= − sin λ.
z2 + 1
2j
−2j
106
Esercitazione 5
1-Applicazione pura e semplice del teorema dei residui.
1) Calcolare:
I
z
dz
+1
essendo γ il cammino chiuso costituito dalla semicirconferenza di raggio 2 e centro
l’origine, giacente in <(z) > 0, e dal segmento che congiunge il punto (0, 2j) al punto
(0, −2j) percorso in verso antiorario.
γ z3
I poli (semplici) sono le radici terze di -1:
π
π
z1 = ej 3 , z2 = −1, z3 = e−j 3 .
Il polo z2 non è però incluso nel cammino, pertanto basta calcolare i residui in z1 ,z3 .
La funzione è hermitiana e i due poli sono complessi coniugati. I residui valgono
allora:
·
¸
³ π´
³
´
1 −j π
z
1 jπ
−j π3
3, R z
=
R z3z+1 ej 3 =
e
e
=
e 3.
π
3
2
z +1
3z z=ej 3
3
3
La somma dei residui è:
³ π´
³
´
π
π
1
1 π
2
π
1
R z3z+1 ej 3 + R z3z+1 e−j 3 = e−j 3 + ej 3 = cos = .
3
3
3
3
3
Segue:
I
γ z3
2) Calcolare l’integrale:
z
2
dz = πj.
+1
3
I
sinh z
dz,
− 1)
γ z 2 (z 4
essendo γ la circonferenza |z − j| = 4.
La funzione integranda ha poli (tutti di ordine 1) nei punti:
z1 = 0, z2 = 1, z3 = −1, z4 = j, z5 = −j.
(si ricordi che
sinh z
ha una singolarità apparente in z = 0). Segue:
z
R
sinh z
z 2 (z 4 −1)
(0) = lim
z→0
sinh z 1
= −1,
z z4 − 1
"
sinh z
R 2sinh4 z (1) =
z (z −1)
6z 5 − 2z
"
R
sinh z
z 2 (z 4 −1)
(−1) =
sinh z
6z 5 − 2z
#
=
z=1
sinh 1
,
4
#
=
z=−1
sinh 1
,
4
107
"
sinh z
R 2sinh4 z (j) =
z (z −1)
6z 5 − 2z
"
R
sinh z
z 2 (z 4 −1)
(−j) =
sinh z
6z 5 − 2z
#
#
=
sinh j
sin 1
=
,
4j
4
=
− sinh j
sin 1
=
.
−4j
4
z=j
z=−j
L’integrale ha il valore:
I
sinh z
dz = πj(sinh 1 + sin 1 − 2).
− 1)
γ z 2 (z 4
3) Calcolare l’integrale:
I
γ
z2 + z + 1
dz
z 2 + 2z − 24
nei due casi seguenti:
i) γ = {z : |z| = 5} ,
ii) γ = {z : |z| = 7} .
La funzione integranda presenta due poli di ordine 1 nei punti z1 = 4, z2 = −6: i
residui in detti poli sono:
¯
z 2 + z + 1 ¯¯
21
Rf (4) =
¯
=
¯
z + 6 z=4 10
¯
z 2 + z + 1 ¯¯
31
Rf (−6) =
¯
=− .
¯
z − 4 z=−6
10
Pertanto, nel caso i) in cui è incluso il solo polo z1 si ha:
I
z2 + z + 1
21πj
dz
=
,
z 2 + 2z − 24
5
γ
mentre nel caso ii) sono inclusi entrambi i poli e si ha:
I
z2 + z + 1
dz = −2πj
z 2 + 2z − 24
γ
2-Integrali reali tra 0 e 2π di funzioni razionali di sin θ e cos θ.
4) Calcolare l’integrale:
Z 2π
1 + cos θ
dθ.
2 + cos θ
µ
¶
1
dz
1
La sostituzione standard cos θ = 2 z +
, dθ =
, ove z ∈ γ0,1 , trasforma
z
jz
l’integrale dato nel modo seguente:
0
Z 2π
1 + cos θ
0
2 + cos θ
I
dθ =
γ0,1
1 + 12 (z + z1 ) dz I
z 2 + 2z + 1 dz
=
,
2 + 12 (z + z1 ) jz
γ0,1 z 2 + 4z + 1 jz
108
√
√
integrale di una funzione con poli semplici nei punti z1 = 0,z2 = −2− 3,z3 = −2+ 3.
Solo z1 e z3 cadono in γ0,1 : calcoliamone i residui relativi. Si trova:
R z2 +2z+1 1 (0) =
z 2 +4z+1 jz
R z2 +2z+1 1 (−2 +
√
z 2 +4z+1 jz
1
j
¯
√
z 2 + 2z + 1 1 ¯¯
3
3) =
¯
=
j
√
2z + 4 jz ¯z=−2+ 3
3
Segue pertanto:
0
√
√ !
!
Ã
3
3
dθ = 2πj −j +
j = 2π 1 −
.
2 + cos θ
3
3
Ã
Z 2π
1 + cos θ
5) Calcolare l’integrale:
Z 2π
0
ecos θ cos(sin θ − nθ)dθ.
Per il calcolo di questo integrale, conviene partire dall’integrale:
J=
Z 2π
0
jθ
ee e−jnθ dθ
di cui I è la parte reale: I = <(I). Con la sostituzione standard z = ejθ ,
trova:
I
J=
γ0,1
dz
= dθ, si
jz
−jez
dz,
z n+1
−jez
la cui funzione integranda n+1 possiede un polo di ordine n + 1 in z = 0. Calcoliamo
z
il residuo:
¯
¯
1 dn
−j
z ¯
R −jez (0) =
(−je
)
¯
=
n
¯
n+1
z
n! dz
n!
z=0
Pertanto:
J = 2πj
−j
2π
=
n!
n!
Ora: I = <(J) e si conclude:
Z 2π
0
ecos θ cos(sin θ − nθ)dθ =
Z 2π
0
2π
n!
ecos θ sin(sin θ − nθ)dθ = 0
(il secondo integrale rappresenta =(J)).
109
Esercitazione 6
3 - Integrali impropri di funzioni razionali che soddisfano alle ipotesi del
lemma del grande arco di cerchio.
1) Calcolare l’integrale:
Z +∞
−∞
x2
, a ∈ R, a 6= 0.
(x2 + a2 )3
La funzione di variabile complessa da utilizzare è
f (z) =
z2
(z 2 + a2 )3
con poli nei punti z1 = ja, z2 = −ja, entrambi di ordine 3. I residui sono:
"
1 d2
z2
R z2 (ja) =
2! dz 2 (z + ja)3
(z2 +a2 )3
"
1 d −z 2 + 2ajz
=
2 dz (z + ja)4
#
#
=
z=ja
1 d 2z(z + ja) − 3z 2
2 dz
(z + ja)3
"
z=ja
−(z 2 + a2 )(z + ja) + 4z 2 − 8jaz
=
(z + ja)5
R
z2
(z2 +a2 )3
(−ja) = −
#
=
z=ja
1
8ja3
1
.
8ja3
Nel caso a > 0, il polo ja giace nel semipiano superiore. pertanto, scegliendo come
cammino di chiusura la solita semicirconferenza di centro l’origine e raggio R si trova:
Z +∞
−∞
π
x2
3 =
2
2
4a3
(x + a )
mentre, nel caso a < 0, il polo −ja giace nel semipiano superiore e segue:
Z +∞
−∞
x2
π
=
−
3
4a3
(x2 + a2 )
Ma se a < 0,−a = |a| e l’integrale si può scrivere sotto forma compatta nel modo
seguente, sia nel caso a > 0, sia nel caso a < 0:
Z +∞
−∞
2) Calcolare:
x2
π
.
3 =
2
2
4|a|3
(x + a )
Z +∞
−∞
x2
dx
+x+1
110
√
√
1
−1 + j 3
−1 − j 3
I poli della funzione 2
sono i punti z1 =
, z2 =
e
z +z+1
2
2
sono poli
√ di ordine 1. Se si chiude in =(z) > 0, si deve calcolare il residuo nel polo
−1 + j 3
. Si ha:
2
√
√
·
¸
−1 + j 3
1
1
3
√
R 21 (
)=
=
−j
√ =
z +z+1
2
2z + 1 −1+j2 3
3
−1 + j 3 + 1
e segue:
Z +∞
−∞
3) Calcolare:
√
3
dx
= 2π
.
2
x +x+1
3
Z +∞
−∞
x2
dx.
(x2 + x + 1)2
2
z
sono come nell’esercizio precedente, però sono
+ z + 1)2
di ordine
√ 2. Chiudiamo, questa volta, in =(z) < 0. Il polo coinvolto sarà allora
−1 − j 3
, e il residuo in detto polo vale:
2


√ !
Ã
2
d 
−1 − j 3
z

=
R z2
³
√ ´2 
2
−1+j
3
2
dz
2
√
(z +z+1)
z−
I poli della funzione
(z 2
2

³
 2z z −
=
√ ´2
−1+j 3
2
³
³
− 2z 2 z −
√
´4
z= −1−j
2
3
√ ´
−1+j 3
2


3
√
z − −1+j
3
2
z= −1−j
2
√
√
√
√
(−1 − j 3)(−j 3)2 − 12 (−1 − j 3)2 (−j 3)
√
=
(−j 3)4
√
√ √
√
√
3 + j3 3 − 12 (1 − 3 + 2j 3)j 3
3 + j3 3 + j3 3 − 3
2 √
=
=
= j 3.
9
9
3
Segue pertanto che:
√
Z +∞
3
x2
.
2 dx = 4π
2
3
−∞ (x + x + 1)
4 - Integrali impropri di funzioni razionali che soddisfano alle ipotesi del
lemma del piccolo arco di cerchio.
4) Calcolare:
v.p.
Z +∞
−∞
ejπx
dx.
(x − 1)(x − 2)
Si trova subito:
v.p.
Z +∞
−∞
ejπx
dx = πj(e2jπ − ejπ ) = 2πj.
(x − 1)(x − 2)
111
Eguagliando parte reale e immaginaria dei due membri si trova:
v.p.
Z +∞
−∞
Z +∞
sin πx
cos πx
dx = 2π, v.p.
dx = 0.
(x − 1)(x − 2)
−∞ (x − 1)(x − 2)
5) Calcolare:
v.p.
Z +∞
−∞
ejωx
dx, a ∈ R, a > 0, ω > 0.
x (x2 + a2 )2
La funzione:
ejωz
z (z 2 + a2 )2
ha un polo di ordine 1 nel punto z1 = 0, z2 = ja, z3 = −ja = z2∗ . I residui sono:
"
ejωz
R ejωz (0) =
2
(z 2 + a2 )2
z (z 2 +a2 )
"
d
ejωz
R ejωz (ja) =
2
dz z(z + ja)2
z (z 2 +a2 )
−ωa
=
−ωa
#
#
=
z=0
1
a4
"
jωejωz
2ejωz
ejωz
=
−
−
z(z + ja)2 z(z + ja)3 z 2 (z + ja)2
z=ja
µ
−ωa
jωe
2e
e
ωa
1
1
−ωa
−
−
=
e
−
−
−
ja(2ja)2 ja(2ja)3 (ja)2 (2ja)2
4a4 4a4 4a4
R
ejωz
2
z (z 2 +a2 )
(−ja) = −eωa
¶
= −e−ωa
#
z=ja
2 + ωa
4a4
2 − ωa
4a4
Il polo z1 = 0 si trova sul cammino di integrazione e contribuisce per metà residuo.
Poiché ω > 0, l’esponenziale e−ωy diventa infinitesimo per grandi valori di y in =(z) =
y > 0 e siamo obbligati a chiudere in =(z) > 0. L’unico polo coinvolto è z1 = ja e si
trova:
Z +∞
ejωx
πj
−ωa 2 + ωa
v.p.
dx
=
−
2πje
.
2
a4
4a4
−∞ x (x2 + a2 )
Da questo risultato, eguagliando parte reale e parte immaginaria, si trova:
v.p.
v.p.
Z +∞
−∞
Z +∞
−∞
cos ωx
dx = 0
x (x2 + a2 )2
"
#
e−ωa (2 + ωa)
sin ωx
π
1
−
.
dx
=
a4
2
x (x2 + a2 )2
sin x
L’ultimo valor principale è in realtà un integrale vero e proprio, in quanto
vale
x
1 in x = 0. Tenendo conto della simmetria della funzione, possiamo allora scrivere:
Z +∞
0
"
#
e−ωa (2 + ωa)
sin ωx
π
.
dx = 4 1 −
2a
2
x (x2 + a2 )2
5) Integrali calcolati mediante il lemma di Jordan.
112
6) Calcolare il seguente integrale:
f (t) =
1 I σ0 +j∞ est
ds
2πj σ0 −j∞ s2 − 1
nel quale s è variabile complessa definita da s = σ + jω, t ∈ R è variabile reale, nei
seguenti tre casi:
i) σ0 > 1,
ii) −1 < σ0 < 1,
iii) σ0 < −1.
est
, con poli di ordine 1 nei due punti s1 =
s2 − 1
1, s2 = −1. I residui in ciascuno di questi poli sono:
La funzione di variabile complessa è
"
est
R est (1) =
2s
s2 −1
"
R
est
s2 −1
(−1) =
est
2s
#
=
s=1
#
et
2
=−
s=−1
e−t
2
Studiamo ora i vari casi.
Caso i) Se t < 0 si chiude a destra: non sono coinvolti i poli e allora risulta:
f (t) = 0.
Se t > 0 si chiude a sinistra: sono coinvolti entrambi i poli e allora risulta (essendo il
verso di percorrenza quello antiorario):
Ã
1
et e−t
f (t) =
2πj
−
2πj
2
2
!
=
et − e−t
= sinh t.
2
Caso ii) Se t < 0 si chiude a destra: risulta coinvolto il polo s1 = 1, il verso di
percorrenza è quello orario e allora risulta:
et
f (t) = − .
2
Se t > 0 si chiude a sinistra: risulta coinvolto il polo s2 = −1, il verso di percorrenza
è quello antiorario e allora risulta:
f (t) = −
e−t
.
2
Caso iii) Se t < 0 si chiude a destra: sono coinvolti entrambi i poli, il verso di
percorrenza è quello orario e allora risulta:
f (t) = −
1
et e−t
+
= − (et − e−t ) = − sinh t.
2
2
2
113
Se t > 0 si chiude a sinistra: non sono coinvolti i poli e allora risulta:
f (t) = 0.
Si può dare una forma più compatta ai risultati ottenuti, usando la funzione gradino
unitario u(t) definita nel modo seguente:
∀t > 0, u(t) = 1, ∀t < 0, u(t) = 0.
Allora:
Caso i)
f (t) = u(t) sinh t
Caso ii)
1
f (t) = − [u(t)e−t + u(−t)et ]
2
Caso iii)
f (t) = −u(−t) sinh t.
(essendo u(−t) = 1 − u(t) = 0 quando t > 0, u(−t) = 1 quando t < 0).
Esercizi proposti
1) Trovare i residui di:
f (z) =
ejz
z3 + 1
f (z) =
sin z
z4 − 1
in tutti i suoi poli.
2) Calcolare i residui di:
in tutti i suoi poli.
3) Scomporre in fratti semplici la funzione razionale:
f (z) =
2z 2 + 1
.
z2 + z − 2
4) Scomporre in fratti semplici la funzione razionale propria:
f (z) =
5) Calcolare l’integrale:
Z +∞
−∞
x2
z2
.
(z − 1)3
1
dx
+ 5x + 14
114
6) Calcolare:
f (t) =
1 Z +j∞ est
ds
2πj −j∞ s2
sia in =(s) > 0 che in =(s) < 0.
7) Calcolare:
f (t) =
sia per σ0 > 0 che per σ0 < 0.
1 I σ0 +j∞ est
ds
2πj σ0 −j∞ s2 + 1
115
Lezione 25
Serie in campo complesso, serie di Taylor e di Laurent.
La teoria delle serie (numeriche, di funzioni e di potenze) reali in campo reale si
estende senza variazioni anche al campo complesso. Le nozioni di convergenza e di
convergenza uniforme, con i relativi criteri di convergenza e di convergenza uniforme,
rimangono invariate, purché al termine valore assoluto si sostituisca il termine modulo.
Ad esempio, una serie uniformemente convergente di funzioni continue integrabili
lungo un cammino converge ad una funzione continua integrabile termine a termine
sullo stesso cammino (questo risultato sarà utilizzato molte volte nel seguito).
Non tratteremo le serie numeriche e le serie di funzioni, mentre studieremo in
modo più dettagliato le serie di potenze.
Citeremo soltanto un risultato importante sulle serie di funzioni analitiche (teorema di Weierstrass).
Teorema di Weierstrass.
Siano f1 (z), f2 (z), .... funzioni analitiche in una regione semplicemente connessa Ω
e sulla sua frontiera. Se sulla frontiera di Ω la serie:
+∞
X
fk (z)
k=1
converge uniformemente ad una funzione f (z), allora tale serie converge uniformemente in Ω, f (z) è una funzione analitica in Ω ed è derivabile termine a termine in
Ω.
Studieremo invece con più dettaglio le serie di potenze in campo complesso. Poiché
z è una funzione analitica ∀n intero relativo, è immediato rendersi conto del legame
esistente tra serie di potenze della variabile complessa z e le funzioni analitiche (il
primo approccio alle funzioni analitiche avvenne tramite serie di potenze). Il teorema
seguente enuncia le proprietà fondamentali dell’analiticità di una serie di potenze.
n
Teorema di Cauchy-Hardamard-Abel
Sia
+∞
X
an (z − z0 )n
n=0
una serie di potenze nella variabile complessa z. Allora ∃ un numero ρ, 0 ≤ ρ ≤ ∞,
detto raggio di convergenza della serie, con le seguenti proprietà:
a) la serie data converge assolutamente ∀z ∈ I(z0 , ρ) e uniformemente, dato R < ρ,
∀z ∈ I(z0 , R);
b) la serie data diverge ∀z tale che |z − z0 | > ρ;
c) ∀z ∈ I(z0 , ρ), la somma della serie è una funzione analitica, tutte le derivate della
serie si ottengono derivando termine a termine la serie e le serie derivate hanno lo
stesso raggio di convergenza ρ della serie originaria;
116
d) se esiste limn→∞
q
n
|an |, allora:
ρ=
(più in generale:
1
limn→∞
q
n
|an |
q
1
= n→∞
lim n |an |).
ρ
Il cerchio aperto Cz0 ,R = {z : |z − z0 | < R} si dice cerchio di convergenza della serie,
z0 si dice centro della serie e ρ si dice raggio di convergenza della serie.
Una serie della forma:
+∞
X
an (z − z0 )n
n=0
si dice serie di Taylor. Il nome è giustificato dal fatto che, se si indica con f (z) la
somma di una serie di Taylor con centro z0 e raggio di convergenza ρ, allora, all’interno
del cerchio di convergenza, vale l’eguaglianza:
f (n) (z0 )
= an .
n!
Infatti:
f (z) = a0 + a1 (z − z0 ) + a2 (z − z0 )2 + ....
f 0 (z) = a1 + 2a2 (z − z0 ) + ....
..................................
f n (z) = n!an + (n + 1)!an+1 (z − z0 ) + ....
..................................
da cui, ponendo z = z0 nelle formule scritte, segue subito:
an =
f (n) (z0 )
.
n!
Esempi.
1) La serie:
f (z) =
+∞
X
zn
0
ha raggio di convergenza 1. Poiché
1 − z n+1
= 1 + z + z 2 + ... + z n ,
1−z
al limite per n → ∞ si conclude che ∀|z| < 1,
+∞
X
0
zn =
1
.
1−z
117
2) La serie:
f (z) =
+∞
X
0
zn
n!
ha raggio di convergenza ρ = ∞ poiché limn→∞
s
n
1
= 0.
n!
3) La serie:
f (z) =
+∞
X
0
ha raggio di convergenza 0 poiché limn→∞
n!(z − z0 )n
√
n
n! = ∞.
In campo complesso interessano soprattutto serie che, oltre a contenere termini con
potenze positive del binomio z −z0 , contengono termini con potenze negative di z −z0 .
Una serie siffatta si scrive allora nel modo seguente:
.... +
a−n
a−n+1
a−1
+
+
..
+
+ a0 + a1 (z − z0 ) + .... + an (z − z0 )n + ...
(z − z0 )n (z − z0 )n−1
z − z0
o, in modo più compatto, come:
n=+∞
X
an (z − z0 )n .
n=−∞
Tali serie si dicono serie di Laurent. Una serie di Laurent si può considerare come
formata da due parti: la prima, che contiene solo le potenze positive di z − z0 , la
seconda, che contiene solo le potenze negative di z − z0 . Si dice parte regolare della
serie di Laurent (e si indica con r(z, z0 )), la sottoserie:
r(z, z0 ) = a0 + a1 (z − z0 ) + .... + an (z − z0 )n + ...
si dice parte principale (o parte singolare della serie di Laurent (e si indica con p(z, z0 ))
la sottoserie:
p(z, z0 ) = .... +
a−n
a−n+1
a−1
+
+ .. +
.
n
n−1
(z − z0 )
(z − z0 )
z − z0
Determiniamo adesso la regione di convergenza di una serie di Laurent. Scriviamo
una serie di Laurent nel modo seguente:
n=+∞
X
an (z − z0 )n = r(z, z0 ) + p(z, z0 ).
n=−∞
La parte regolare della serie di Laurent è una serie di Taylor che pertanto converge
nella regione interna (che è un cerchio) di una circonferenza di centro z0 e raggio R.
La parte principale può essere ricondotta formalmente ad una serie di Taylor con
il cambiamento di variabile:
1
.
Z=
z − z0
118
Infatti, con tale cambiamento si ha:
p(z, z0 ) = a−1 Z + a−2 Z 2 + a−3 Z 3 + ... + a−n Z n + ...
1
che, come serie di Taylor converge ∀Z : |Z| <
(la scelta di scrivere il raggio
r
1
di convergenza come
è di pura convenienza per il risultato successivo). Poiché
r
1
Z=
, segue subito che la convergenza della parte principale è assicurata quando
z − z0
1
1
<
|z − z0 |
r
cioé quando:
|z − z0 | > r,
che è la regione esterna ad una circonferenza di centro z0 e raggio r. Risulta pertanto,
essendo la serie di Laurent somma della parte regolare e della parte principale, che la
regione di convergenza è data dall’intersezione di |z − z0 | < R e di |z − z0 | > r: tale
intersezione è non vuota se e solo se r < R. In tale caso, si conclude che la regione di
convergenza di una serie di Laurent è una corona circolare aperta definita da:
r < |z − z0 | < R.
Indichiamo ora con f (z) una serie di Laurent. Sia cioé
f (z) =
n=+∞
X
an (z − z0 )n
n=−∞
Un discorso diverso da quello svolto per la serie di Taylor conduce a stabilire comunque un legame tra i coefficienti an e f (z). Infatti, moltiplicando ambo i membri
dell’eguaglianza precedente per (z − z0 )−k−1 , ove k è un intero prefissato, si ottiene:
f (z)(z − z0 )−k−1 =
n=+∞
X
an (z − z0 )n−k−1
n=−∞
Integriamo ora lungo un cammino chiuso semplice γ tutto contenuto entro la corona
circolare di convergenza e contenente z0 al proprio interno. Si ha, per l’integrabilità
termine a termine:
+∞
X
1 I
f (z)dz
1 I
an
=
(z − z0 )n−k−1 dz,
2πj γ (z − z0 )k+1 n=−∞ 2πj γ
e, ricordando che gli integrali a secondo membro sono tutti nulli tranne nel caso in
cui n = k, si trova:
1 I
f (z)
dz = ak , k = 0, ±1, ±2, ..
2πj γ (z − z0 )k+1
119
Lezione 26
Sviluppabilità in serie di Taylor.
La specifica forma delle serie di Taylor e di Laurent porta a utilizzare tali serie
nello studio di funzioni analitiche in intorni di un punto z0 (studio locale di funzioni
analitiche).
Definizione di sviluppabilità in serie di Taylor.
Sia f funzione analitica in un cerchio chiuso C z0 ,R . Diremo che f è sviluppabile in
serie di Taylor all’interno del cerchio C z0 ,R se e solo se ∃ una serie di Taylor con
centro z0 e raggio di convergenza R tale che ∀z ∈ Cz0 ,R si abbia:
f (z) =
∞
X
an (z − z0 )n .
n=1
Vale il seguente teorema di esistenza e unicità dello sviluppo di Taylor per una funzione analitica f .
Teorema di esistenza e unicità dello sviluppo in serie di Taylor.
Sia f analitica in una regione Ω. Sia z0 ∈ Ω. Sia C z0 ,Rmax il più grande cerchio chiuso
di centro z0 la cui circonferenza appartenga ad Ω. Allora esiste ed è unica una serie
di Taylor, tale che:
∀z ∈ Cz0 ,Rmax , f (z) =
∞
X
an (z − z0 )n
n=0
essendo:
∀n, an =
f (n) (z0 )
.
n!
La dimostrazione del teorema è basata sulla formula integrale di Cauchy, scritta considerando come frontiera la circonferenza γz0 ,Rmax e come punti z interni alla frontiera
i punti del cerchio aperto Cz0 ,Rmax :
f (z) =
1 I
f (ζ)
dζ.
2πj γz0 ,Rmax ζ − z
¯
¯
¯z − z ¯
0¯
¯
Si pone, poiché ¯
¯ < 1:
¯ ζ − z0 ¯
Ã
X z − z0
1
1 n=∞
1
1
=
=
z − z0 ζ − z0
ζ −z
ζ − z0 n=0 ζ − z0
1−
ζ − z0
!n
120
da cui segue subito:
Ã
!
n=∞
X z − z0 n
1 I
1
f (z) =
f (ζ)dζ
2πj γz0 ,Rmax n=0 ζ − z0
ζ − z0
e integrando termine a termine si ricava:
1 I
f (ζ)
f (z) =
(z − z0 )
dζ
2πj γz0 ,Rmax (ζ − z0 )n+1
n=0
n=∞
X
n
che è uno sviluppo in serie di Taylor con coefficienti:
1 I
f (ζ)
f (n) (z0 )
an =
dζ
=
.
2πj γz0 ,Rmax (ζ − z0 )n+1
n!
L’unicità segue osservando che se esistessero due serie distinte tali che
f (z) =
∞
X
n=0
an (z − z0 )n =
∞
X
bn (z − z0 )n
n=0
allora, moltiplicando tutte le equazioni per (z − z0 )−k−1 , integrando lungo la circonferenza γz0 ,Rmax si avrebbe
+∞
X
1 I
f (z)dz
1 I
(z − z0 )n−k−1 dz
=
an
k+1
2πj γz0 ,Rmax (z − z0 )
2πj γz0 ,Rmax
n=−∞
1 I
=
(z − z0 )n−k−1 dz
bn
2πj γz0 ,Rmax
n=−∞
+∞
X
e, ricordando che gli integrali a secondo membro sono tutti nulli tranne nel caso in
cui n = k, si trova:
f (z)
1 I
f (k) (z0 )
dz
=
a
=
b
=
, k = 0, 1, 2, ...
k
k
2πj γz0 ,Rmax (z − z0 )k+1
k!
Osservazione importante.
Una funzione f di variabile complessa è analitica se e solo se si può sviluppare in serie
di Taylor. Lo sviluppo è unico e rappresenta ed eventualmente estende la funzione
analitica al massimo cerchio di centro z0 la cui frontiera non incontri punti singolari.
quindi in genere il raggio di convergenza di una serie di Taylor che rappresenta f è
la minima distanza del centro della serie dal punto singolare più vicino. Può però
succedere che il raggio di convergenza dello sviluppo di Taylor di una funzione f sia
maggiore del raggio Rmax del massimo cerchio contenuto nella regione di analiticità
di Ω, come risulta dal seguente esempio.
Esempio.
Data la funzione
f (z) = Lnz,
121
con taglio sul semiasse reale negativo, trovarne lo sviluppo di Taylor con centro z0 =
−1 − j.
Il massimo cerchio di analiticità di f ha allora raggio 1. Si ha:
f (n) (z) =
(−1)n−1 (n − 1)!
, n = 1, 2, ...
zn
pertanto:
Lnz = Ln(−1−j)−
n=∞
X
n=1
X
1
1
5π n=∞
1
n
ln
2+j
−
(z
+1+j)
=
(z +1+j)n
n
n
(1 + j)
2
4
(1
+
j)
n=1
e il raggio di convergenza della serie è:
1
ρ=
s
limn→∞
n
1
n|1 + j|n
|1 + j|
=
s
limn→∞
n
1
n
= |1 + j| =
√
2.
√
Il raggio di convergenza, 2, risulta dunque maggiore del raggio del massimo cerchio
di analiticità con centro z0 = −1 − j.
Altri esempi di sviluppi in serie di Taylor.
1
1) Sviluppare in serie di Taylor con centro z0 = 1 la funzione analitica f (z) = 2 . Si
z
trova subito:
(−1)n (n + 1)!
∀n ≥ 0, ∀z 6= 0, f (n) (z) =
z n+2
Pertanto:
+∞
+∞
X (−1)n (n + 1)!
X
1
n
f (z) = 2 =
(z − 1) =
(−1)n (n + 1)(z − 1)n .
z
n!
n=0
n=0
Il raggio di convergenza ρ è 1, che è la distanza del polo doppio z = 0 dal centro dello
sviluppo z0 = 1. Ovviamente si verifica facilmente che:
ρ=
1
√
n
limn→∞
n+1
= 1.
2) Sviluppi in serie di Taylor con centro z0 = 0 di:
ez , sin z, cos z, sinh z, cosh z
Tutti questi sviluppi sono ricavati dallo sviluppo fondamentale:
z
f (z) = e =
+∞
X
1 n
z
n=0 n!
che si ottiene facilmente da f (n) (z) = ez . Il raggio di convergenza di tale sviluppo è
ρ = ∞, poiché ez è funzione analitica intera. Segue subito:
ejz =
+∞
X
+∞
X 1
1 n n
j z , e−jz =
(−1)n j n z n
n!
n!
n=0
n=0
122
da cui, tenendo conto che j n assume solo i valori 1, j, −1, −j rispettivamente nei casi
4n, 4n + 1, 4n + 2, 4n + 3 quando n = 0, 1, 2, .. si ha:
n=∞
X
sin z =
(−1)n
n=0
cos z =
n=∞
X
z 2n+1
(2n + 1)!
(−1)n
n=0
sinh z =
n=∞
X
n=0
cosh z =
z 2n
(2n)!
z 2n+1
(2n + 1)!
n=∞
X
n=0
z 2n
(2n)!
Ognuno di questi sviluppi ha raggio di convergenza ρ = ∞.
3) Sviluppo in serie di Taylor di f (z) = tan z, con centro z0 = 0.
Questo sviluppo si determina con la tecnica della divisione tra serie di potenze.
Scriviamo infatti:
z3 z5
+ ...
z
−
sin z
3!
5! =
tan z =
=
z2 z4
cos z
1−
+ ...
2!
4!
3
5
= c1 z + c3 z + c5 z + ...
(la serie che risulta dalla divisione conterrà solo potenze dispari di z, essendo tan z
dispari). Eseguendo la moltiplicazione si trova:
³
3
5
´
c1 z + c3 z + c5 z + ...
Ã
!
z2 z4
z3 z5
1−
+ ... = z −
+ ...
2!
4!
3!
5!
ed eguagliando i coefficienti si ottiene il sistema a scala:
1
1
1
1
1
1
1
1
1
c1 = 1, c3 − c1 = − , c5 − c3 + c1 =
, c 7 − c5 + c3 −
c1 = −
, ....
2
6
2
24
120
2
24
720
5040
che, risolto, fornisce:
e allora:
1
2
17
c3 = , c 5 = , c 7 =
, ...
3
15
315
2
17 7
1
z + ....
tan z = z + z 3 + z 5 +
3
15
315
Il raggio di convergenza ρ risulta pari alla distanza del centro z0 = 0 dal punto
π
π
singolare ù vicino, che è : dunque ρ = .
2
2
123
Lezione 27
Sviluppabilità in serie di Laurent.
Con un metodo analogo a quello seguito per ottenere uno sviluppo in serie di Taylor,
potremo arrivare agli sviluppi in serie di Laurent.
Definizione di sviluppabilità in serie di Laurent.
Sia f funzione analitica in una corona circolare chiusa C z0 ,,r,R . Diremo che f è sviluppabile in serie di Laurent all’interno della corona circolare C z0 ,r,R se e solo se ∃ una
serie di Laurent con centro z0 e raggi di convergenza r, R, r < R tale che ∀z ∈ Cz0 ,r,R
si abbia:
∞
f (z) =
X
an (z − z0 )n .
n=−∞
Vale il seguente teorema di esistenza e unicità dello sviluppo di Laurent per una
funzione analitica f .
Teorema di esistenza e unicità dello sviluppo in serie di Laurent.
Sia f analitica in una regione Ω anulare (cioè tale da possedere una lacuna). Sia
z0 punto ∈
/ Ω, ma ∈ alla lacuna. Sia C z0 ,,r,R la massima corona circolare chiusa con
centro z0 contenuta in Ω, sia ζ un punto di frontiera di C z0 ,,r,R e sia z un punto
interno a C z0 ,,r,R . Allora esiste ed è unica una serie di Laurent con centro z0 e regione
di convergenza data da Cz0 ,,r,R tale che:
∀z ∈ Cz0 ,,r,R , f (z) =
∞
X
an (z − z0 )n
n=−∞
essendo:
1 I
f (ζ)
an =
dζ, n = 0, ±1, ±2, ...
2πj γ (ζ − z0 )n+1
ove γ è un qualunque cammino chiuso tutto contenuto in C z0 ,,r,R (eventualmente
coincidente con una delle sue frontiere) percorso una sola volta in verso antiorario.
La dimostrazione ricalca le linee di quella per l’esistenza di uno sviluppo di Taylor. Nel
caso attuale, però, abbiamo due frontiere γz0 ,r e γz0 ,R , da cui, con un opportuno taglio
T dai bordi infinitamente vicini che le congiunga, si ricava una regione semplicemente
connessa S con frontiera Γ = γz0 ,R − T + T − γz0 ,r , cui applicare la formula integrale
di Cauchy. Allora:
1 I
1 I
f (ζ)
f (ζ)
dζ −
dζ.
f (z) =
2πj γz0 ,R ζ − z
2πj γz0 ,r ζ − z
Ora, su γz0 ,R si ha:
¯
¯
¯z − z ¯
0¯
¯
¯
¯<1
¯ ζ − z0 ¯
124
e pertanto, come già visto per la serie di Taylor:
Ã
X z − z0
1
1
1
1 n=∞
=
=
z
−
z
0 ζ − z0
ζ −z
ζ − z0 n=0 ζ − z0
1−
ζ − z0
!n
da cui segue subito:
Ã
!
n=∞
X z − z0 n
1 I
1
f (z) =
f (ζ)dζ
2πj γz0 ,R n=0 ζ − z0
ζ − z0
e integrando termine a termine si ricava:
f (z) =
n=∞
X
(z − z0 )n
n=0
f (ζ)
1 I
dζ
2πj γz0 ,R (ζ − z0 )n+1
che è la parte regolare della serie di Laurent con coefficienti:
an =
1 I
f (ζ)
dζ, n = 0, 1, 2, ...
2πj γz0 ,R (ζ − z0 )n+1
Il cammino γz0 ,R può essere sostituito con una qualunque cammino chiuso semplice
γ, purché soddisfi alle stesse ipotesi.
Invece, su γz0 ,r :
¯
¯
¯ζ − z ¯
0¯
¯
¯
¯<1
¯ z − z0 ¯
e allora:
Ã
X ζ − z0
1
1
1 n=∞
=
ζ − z0 z − z0
z − z0 m=0 z − z0
1−
z − z0
1
−
=
ζ −z
!m
da cui (questa è pertanto la parte principale della serie di Laurent):
Ã
!m
X
1 I
f (ζ)
1 I
1 m=∞
ζ − z0
−
dζ =
f (ζ)dζ
2πj γz0 ,r ζ − z
2πj γr z − z0 m=0 z − z0
=
m=∞
X
(z − z0 )−(m+1)
m=0
1 I
(ζ − z0 )m f (ζ)dζ.
2πj γz0 ,r
Con la sostituzione n = −(m + 1) si ottiene:
−
n=−∞
n=−∞
X
X
1 I
1 I
f (ζ)
f (ζ)
dζ =
(z − z0 )n
dζ
=
an (z − z0 )n
n+1
2πj γz0 ,r ζ − z
2πj
(ζ
−
z
)
γ
z0 ,r
0
n=−1
n=−1
(parte principale della serie di Laurent) essendo:
an =
1 I
f (ζ)
dζ, n = −1, −2, −3, ...
2πj γz0 ,r (ζ − z0 )n+1
Anche in questo caso il cammino γz0 ,r può essere sostituto con un cammino γ, che
coincida con il cammino precedentemente scelto per la parte regolare.
125
Sommando:
f (z) =
n=∞
X
an (z − z0 )n
n=−∞
con i coefficienti an definiti da:
1 I
f (ζ)
an =
dζ, n = 0, ±1, ±2, ±3, ...
2πj γ (ζ − z0 )n+1
essendo γ un qualunque cammino chiuso, percorso una sola volta in verso antiorario,
che avvolge z0 ed è contenuto in Cz0 ,r,R .
Anche in questo caso l’unicità segue osservando che se esistessero due serie distinte
tali che
∞
∞
f (z) =
X
n=−∞
an (z − z0 )n =
X
bn (z − z0 )n
n=−∞
allora, moltiplicando tutte le equazioni per (z−z0 )−k−1 , integrando lungo un cammino
γ ⊂ Cz0 ,r,R e avvolgente z0 si avrebbe
+∞
X
1 I
f (z)dz
1 I
(z − z0 )n−k−1 dz
=
a
n
2πj γ (z − z0 )k+1 n=−∞ 2πj γ
1 I
=
(z − z0 )n−k−1 dz
bn
2πj γ
n=−∞
+∞
X
e, ricordando che gli integrali a secondo membro sono tutti nulli tranne nel caso in
cui n = k, si trova:
1
f (z)
1 I
ak = bk =
dz, k = 0, ±1, ±2, ...
2πj
2πj γ (z − z0 )k+1
Interpretazione dei coefficienti an di uno sviluppo di Laurent.
Quando n ≥ 0:
1 I
f (z)
f (n) (z0 )
an =
dz
6
=
2πj γ (z − z0 )n+1
n!
perché la funzione f non è analitica in z0 (se lo fosse, allora mancherebbe la parte
principale dello sviluppo e i coefficienti an riacquisterebbero la loro interpretazione
originaria).
Quando n < 0 i coefficienti sono interpretabili come segue:
a−1 =
a−2 =
a−3
1 I
f (z)dz = Rf (z0 ),
2πj γ
1 I
f (z)(z − z0 )dz = Rzf (z0 ) − z0 Rf (z0 )
2πj γ
1 I
f (z)(z − z0 )2 dz = Rz2 f (z0 ) − 2z0 Rzf (z0 ) + z02 Rf (z0 )
=
2πj γ
...................
126
sistema a scala nelle incognite
Rf (z0 ), Rzf (z0 ), Rz2 f (z0 ), ..., Rzn f (z0 ), n = 0, 1, 2, ...
che sono tutte residui (di f, zf, z 2 f...), In particolare, si ha subito:
Rf (z0 ) = a−1
e questo risultato fornisce il metodo più immediato per il calcolo del residuo di una
funzione analitica f in un suo punto singolare isolato uniforme z0 .
Metodo standard per trovare lo sviluppo in serie di Laurent quando z0
è un polo di ordine n.
h(z)
, basta sviluppare in serie di Taylor h(z) con centro z0 e poi
(z − z0 )n
dividere termine a termine per (z − z0 )n .
a) Se f (z) =
h(z)
, ove g(z) presenta uno zero di ordine n, allora si sviluppano in serie
g(z)
di Taylor con centro z0 le due funzioni h(z), g(z) e, nello sviluppo di g(z), si mette in
evidenza il fattore (z − z0 )n : infine si esegue la divisione tra le serie rimanenti.
b) Se f (z) =
Esempi.
sin z
1) Sviluppo in serie di Laurent di 4 con centro z0 = 0 (che è polo di ordine 3). Si
z
trova subito:
Ã
!
sin z
1
z3
z5
1
1
z
=
z
−
+
−
...
=
−
+
− ...
z4
z4
6
120
z 3 6z 120
e segue anche:
1
R sin4z (0) = − .
z
6
2) Trovare lo sviluppo in serie di Laurent con centro z0 = 0 di f (z) =
La serie di Taylor di sin z ci permette di scrivere:
1
=
sin z
1
3
z−
5
z
z
+
− ...
6
120
=
1
z
1
2
1−
z
z4
+
+ ...
6
120
Si tratta di trovare la reciproca dell’ultima serie scritta. Poniamo:
1
z4
z
+
+ ...
1−
6
120
2
= a0 + a2 z 2 + a4 z 4 + ....
1
.
sin z
127
(si hanno solo potenze pari, essendo la serie a primo membro una serie pari), da cui,
confrontando i coefficienti delle successive potenze di z a primo e secondo membro, si
trova il sistema a scala:
a0 = 1, a2 −
da cui si ricava:
e allora:
a0
a2
a0
= 0, a4 −
+
= 0, ...
6
6
120
7
1
, ...
a2 = , a4 =
6
360
1
1 z 7z 3
= + +
+ ...
sin z
z 6 360
e segue:
R
1
sin z
(0) = 1.
128
Lezione 28
Comportamento locale di funzioni analitiche in punti al finito.
Lo sviluppo in serie di Taylor risulta lo strumento più adatto per lo studio di una
funzione analitica f in intorni di un punto di analiticità z0 , mentre lo studio in intorni
di un punto singolare isolato uniforme z0 si effettua mediante lo sviluppo in serie di
Laurent.
Si hanno immediatamente i seguenti teoremi:
Teorema 1
Condizione necessaria e sufficiente affinchè f sia analitica in un punto z0 è che f sia
sviluppabile in serie di Taylor in un intorno di z0 .
Teorema 2
Condizione necessaria e sufficiente affinché una funzione analitica f presenti uno zero
di ordine N in un punto z0 è che la reciproca f1 presenti un polo di ordine N nel punto
z0 .
Teorema 3
Condizione necessaria e sufficiente affinché una funzione analitica f presenti uno zero
di ordine N in un punto di regolarità z0 è che in un intorno di z0 la funzione sia
sviluppabile in serie di Taylor e lo sviluppo abbia la forma:
f (z) =
∞
X
an (z − z0 )n .
n=N
Teorema 4
Condizione necessaria e sufficiente affinché una funzione analitica f presenti una singolarità isolata uniforme in un punto z0 è che f sia sviluppabile in serie di Laurent in
un intorno di z0 .
Teorema 5
Condizione necessaria e sufficiente affinchè una funzione analitica f presenti un polo
di ordine N in un punto z0 è che la sua reciproca f1 presenti uno zero di ordine N nel
punto z0 .
Teorema 6
129
Condizione necessaria e sufficiente affinché f presenti un polo di ordine N in un punto
z0 è che la sua serie di Laurent abbia la forma:
f (z) =
∞
X
an (z − z0 )n .
n=−N
Tutti i teoremi precedenti sono facilmente provati con l’utilizzo dei risultati ottenuti. Inoltre:
a) se f analitica non nulla in un punto z0 allora:
lim f (z) = f (z0 ) 6= 0;
z→z0
ed esiste un intorno di z0 in cui f è limitata.
b) se f presenta uno zero di ordine N in z = z0 allora:
lim f (z) = 0, f 0 (z0 ) = ...f (n−1) (z0 ) = 0, f (n) (z0 ) 6= 0;
z→z0
ed esiste un intorno di z0 in cui f è limitata.
c) se f presenta un polo di ordine N in z = z0 allora:
lim f (z) = ∞,
z→z0
f non è limitata in intorni di z0 , mentre
1
è limitata in intorni di z0 .
f
Le considerazioni appena svolte ci permettono uno studio semplice in un intorno
di una singolarità essenziale.
Valgono infatti i seguenti teoremi:
Teorema 7 Condizione necessaria e sufficiente affinché una funzione analitica f presenti una singolarità essenziale in un punto singolare isolato uniforme z0 è che f lo
sviluppo in serie di Laurent in un intorno di z0 contenga infiniti termini con esponenti
negativi.
Teorema 8 Condizione necessaria e sufficiente affinché una funzione analitica f presenti una singolarità essenziale in un punto singolare isolato uniforme z0 è che non
esista :
lim f (z).
z→z
0
In intorni di una singolarità essenziale il comportamento di f è completamente determinato dai seguenti due teoremi.
Teorema di Casorati
130
In un intorno di una singolarità essenziale, una funzione analitica assume valori tendenti ad un valore arbitrariamente prefissato α ∈ C.
Teorema di Picard
In un intorno di una singolarità essenziale una funzione analitica assume infinite volte
tutti i valori di C, tranne al più uno.
(il valore che non viene assunto si dice valore eccezionale).
Ad esempio f (z) = ez , in un intorno di z = ∞, assume infinite volte tutti i valori
di C, tranne il valore 0, che è pertanto il valore eccezionale previsto dal teorema di
Picard.
Esercizio svolto.
1
Data la funzione e z dire che tipo di punto singolare è il punto z = 0 e discutere il
1
comportamento di e z in intorni di z = ∞.
Soluzione
Si può scrivere:
1
1
1
e z = e R cos θ e−j R sin θ
e allora:
¯ 1¯
1
1
1
¯ z¯
¯e ¯ = e R cos θ , Arg(e z ) = − sin θ
R
1
In ogni intorno di z 6= 0 la funzione si mantiene limitata (basta scegliere M = e R )
Verifichiamo se esiste:
1
lim e z .
z→0
Si vede subito che quando z = x il limite vale ∞ mentre quando z = −x il limite vale
0. Dunque in intorni di z = 0 la funzione non si mantiene limitata e pertanto z = 0
è una singolarità isolata uniforme; inoltre il limite non esiste e allora z = 0 è una
singolarità essenziale. Consideriamo ora un arbitrario numero complesso α = rejφ e
proponiamoci di risolvere l’equazione:
1
1
e R cos θ e−j R sin θ = rejφ .
Si trova:
1
e R cos θ = r, −
1
sin θ = φ ⇒ cos θ = R ln r, − sin θ = Rφ
R
da cui:
R2 =
φ
1
,
tan
θ
=
−
ln r
ln r + φ2
2
e segue che, aggiungendo a φ un multiplo arbitrario di 2π (con il che α non cambia),
l’equazione
1
1
e R cos θ e−j R sin θ = rejφ
131
1
ha infinite soluzioni. Il valore eccezionale che e z non può mai assumere è 0.
Un’ultima osservazione: se f (z) presenta una singolarità essenziale in z = z0 , allora la
1
1
funzione reciproca presenta una singolarità non polare (poiché non esiste limz→z0 )
f
f
che in casi particolari potrebbe essere ancora una singolarità essenziale.
Esempio
La funzione
µ ¶
1
z
presenta in z = 0 una singolarità essenziale, mentre la funzione reciproca
f (z) = sin
1
µ ¶
sin
1
z
presenta in z = 0 una singolarità non isolata.
132
Lezione 29
Comportamento locale di funzioni analitiche in intorni di z = ∞.
Il caso z = ∞ presenta interesse in analisi complessa, dato che tale punto, come si è
già visto, non si differenzia dagli altri punti di C. Come già ripetutamente affermato,
un intorno di z = ∞ è l’esterno di una circonferenza di centro l’origine e raggio R.
1
Per studiare una funzione analitica f in un intorno, si ricorre alla sostituzione z = ,
w
in modo da ricondurre lo studio di:
µ ¶
1
= g(w)
f (z) = f
w
in un intorno di z = ∞ allo studio di g in un intorno di w = 0. Diremo pertanto che
f, in z = ∞:
a) è analitica (eventualmente dotata di uno zero di ordine N ), se g è analitica in
w = 0 (eventualmente dotata di uno zero di ordine N );
b) ha una singolarità isolata, se g in w = 0 ha una singolarità isolata, non isolata se
g ha una singolarità non isolata in w = 0;
c) ha una diramazione, se g in w = 0 ha una diramazione;
d) ha un polo di ordine N , se g in w = 0 ha un polo di ordine N ;
e) ha una singolarità essenziale, se g ha in w = 0 una singolarità essenziale.
Esempi.
1
w5
ha
in
z
=
∞
uno
zero
di
ordine
5
perché
g(w)
=
ha in w = 0
z5 + 1
1 + w5
uno zero di ordine 5. In generale, la funzione reciproca di un polinomio di grado N
presenta uno zero di ordine N in z = ∞.
1) f (z) =
2w3 + w + 1
2) f (z) = z 3 + z + 2 ha in z = ∞ un polo di ordine 3 perché g(w) =
ha
w3
un polo di ordine 3 in w = 0. In generale, un polinomio di grado N presenta un polo
di ordine N in z = ∞.
1
3) La funzione ez presenta una singolarità essenziale in z = ∞ perché e w presenta
una singolarità essenziale in z = 0.
Una osservazione semplice sull’analiticità di f in z = ∞ è la seguente: sia f analitica
in z = ∞, allora f 0 (z) presenta uno zero almeno di ordine 2 in z = ∞. Infatti:
· µ
0
g (w)|w=0
d
1
=
f
dw
w
¶¸¯¯
¯
¯
¯
µ
= −f 0
w=0
1
w
¶
¯
¯
1 ¯¯
¯
2 0
=
−z
f
(z)
¯
.
z=∞
w2 ¯w=0
133
e affinché −z 2 f 0 (z)|z=∞ si mantenga finita occorre che f 0 (z), in un intorno di z = ∞,
si comporti almeno come:
a
b
f 0 (z) = 2 + 3 + ...
z
z
Se invece f è analitica in un intorno di z = ∞ ma non in z = ∞, condizione necessaria
e sufficiente affinché f sia analitica anche in z = ∞ è che f sia limitata in detto
intorno.
Si noti che manca un risultato analogo in campo reale: ad esempio sin x è limitata
in ogni intorno di z = +∞ o di z = −∞, ma limz→±∞ non esiste.
Sia ora z = ∞ polo di ordine N per f (z). Allora g(w) presenta un polo di ordine
N in w = 0 e pertanto è dato lo sviluppo di Laurent di g con centro w = 0. Tale
sviluppo ha la forma seguente:
+∞
X
g(w) =
an wn
n=−N
Ma g(w) = f
f (z) =
³ ´
1
w
+∞
X
= f (z) e allora si avrà:
µ ¶n
an
n=−N
1
z
= a−N z N + a−N +1 z N −1 + ... + a1 z + a0 +
a1 a2
+ 2 + ...
z
z
che può essere considerato come lo sviluppo in serie di Laurent di f in un intorno di
z = ∞; se r < |w| < R è la corona circolare di convergenza dello sviluppo di Laurent
1
1
di g(w), allora
< |z| < è la corona circolare di convergenza di dello sviluppo di
R
r
f.
Sia invece z = ∞ zero di ordine N per f (z). Allora g(w) presenta uno zero di ordine
N in w = 0 e pertanto è dato lo sviluppo di Taylor di g con centro w = 0. Tale
sviluppo ha la forma seguente:
g(w) =
+∞
X
bn w n
n=N
e, come già visto:
f (z) =
+∞
X
n=N
µ ¶n
bn
1
z
=
bN
bN +1
bN +2
+ N +1 + N +2 + ....
N
z
z
z
che può essere considerato come lo sviluppo in serie di Taylor di f con centro z = ∞;
1
se |w| < R è il cerchio di convergenza per lo sviluppo di Taylor di g, allora |z| >
è
R
la regione di convergenza dello sviluppo di f .
134
Lezione 30
Comportamento globale delle funzioni analitiche in base alle singolarità.
Le funzioni analitiche si classificano usualmente in base alle singolarità che esse presentano. Ci chiediamo anzitutto se possono esistere funzioni non costanti prive di
singolarità in C. La risposta è già stata data dal Teorema di Liouville : ogni funzione analitica in C e limitata in intorni di z = ∞ è una costante. Dunque le uniche
funzioni analitiche in C sono le costanti.
Prendiamo ora in esame le funzioni analitiche intere. Se non sono costanti, allora
necessariamente z = ∞ è una singolarità isolata uniforme, dunque o polo di ordine
N o singolarità essenziale.
Sia z = ∞ un polo di ordine N: segue subito che f è un polinomio di grado N.
Infatti lo sviluppo di Taylor di f con centro z = 0 non può che contenere N potenze
1
positive di z, affinché il corrispondente sviluppo in si arresti al termine N − esimo,
z
essendo z = ∞ un polo di ordine N .
Sia invece z = ∞ singolarità essenziale: allora f è una funzione il cui sviluppo in
serie di Taylor con centro z = 0 deve avere un numero infinito di termini, affinché il
1
corrispondente sviluppo in abbia un numero infinito di termini: pertanto lo sviluppo
z
di Laurent con centro z = ∞ conterrà un numero infinito di termini con esponenti
negativi. Tali funzioni si dicono trascendenti intere: ne sono esempi ez , sin z, cos z.
Il caso immediatamente successivo è quello delle funzioni che presentano singolarità
isolate uniformi al finito (cioé in C).
Vale il seguente teorema:
Sia f(z) una funzione analitica in C, eccetto che in un numero finito n di punti singolari
isolati uniformi, ciascuno dei quali sia un polo di ordine finito. Allora f è una funzione
razionale, che in z = ∞ può presentare un polo di ordine finito, o uno zero di ordine
finito.
Definizione di funzione meromorfa.
Si dice meromorfa ogni funzione analitica le cui uniche singolarità in C sono poli di
ordine finito, anche in numero infinito numerabile.
Nulla viene detto circa la natura di z = ∞ per le funzioni meromorfe.
Esempi 1) Ogni funzione razionale è meromorfa.
135
1
1
2) Le funzioni tan z, tanh z,
,
sono gli esempi più comuni di funzioni merosin z cos z
morfe non razionali. Si noti che per ciascuna di esse z = ∞ è punto di accumulazione
di poli.
Cosı̀ come una funzione razionale (funzione meromorfa con un numero finito di poli)
è il rapporto di due polinomi (funzioni intere con un polo di ordine finito in z = ∞),
risulta che una funzione meromorfa con un numero infinito numerabile di poli è sempre
esprimibile come rapporto di due funzioni trascendenti intere (funzioni intere con una
singolarità essenziale in z = ∞). Ad esempio, si ha:
1
2ejz
= 2jz
cos z
e +1
Sappiamo che un polinomio si può fattorizzare come prodotto di binomi (z −zi )ni , ove
zi è uno zero di molteplicità ni . Analogamente sappiamo che una funzione razionale
ai,j
si può scomporre in fratti semplici del tipo
, ove zi è un polo di ordine mi .
(z − zi )mi
Due importanti teoremi estendono rispettivamente alle funzioni intere e alle funzioni meromorfe con una infinità numerabile di poli la fattorizzazione per i polinomi
e la scomposizione in fratti semplici per le funzioni razionali.
Il primo teorema è noto come teorema di Weierstrass ed ha l’enunciato seguente:
Teorema di Weierstrass.
Sia {zi }i∈I una successione di punti aventi come unico punto di accumulazione z = ∞.
Allora ogni funzione analitica intera f con zeri tutti e soli i punti {zi }i∈I (più un
eventuale zero di ordine m nell’origine) si scrive sotto la forma generale:
f (z) = z m eg(z)
∞ µ
Y
i=1
¶
z
+1
z
e zi 2
1−
zi
³ ´2
z
zi
+...+ m1
i
³ ´mi
z
zi
Come corollario del teorema di Weierstrass si deduce che ogni funzione meromorfa in
C è il rapporto di due funzioni intere. Infatti, se F (z) è una funzione meromorfa in
C, si può costruire una funzione intera g(z) che abbia come zeri i poli di F (z). Ma
allora il prodotto F (z)g(z) è una funzione intera (perché i poli di F(z) sono cancellati
dagli zeri di g(z) che coincidono con i poli di F (z)) che potremo chiamare f (z): segue
F (z) =
f (z)
.
g(z)
Esempi.
1) La funzione sin πz, che ha zeri in ±n, ammette la seguente espressione:
sin πz = πz
∞
Y
i=1
Ã
!
z2
1− 2 .
n
136
³
2) La funzione cos πz, che ha zeri in ± n −
cos πz =
∞
Y
Ã
i=1
1
2
´
ammette la seguente espressione
!
z2
1−
.
(n − 12 )2
3) La più semplice funzione con zeri negli interi negativi è:
F (z) =
∞ µ
Y
i=1
¶
z −z
1+
e n
n
e dall’esempio 1) si ricava:
sin πz
.
πz
Inoltre F (z − 1) ha gli stessi zeri di F (z) a cui si aggiunge uno zero semplice in z = 0.
Si ha allora:
F (z − 1) = zeγ(z) F (z)
zF (z)F (−z) =
³
e si dimostra facilmente che γ(z) = γ ove γ = limn→∞ 1 + 12 + 13 + ... +
0, 57722... è la costante di Eulero-Mascheroni. Segue che la funzione:
1
n
´
− ln n =
H(z) = eγz F (z)
ha la proprietà:
H(z − 1) = zH(z)
e segue la definizione della importante funzione Γ di Eulero:
Γ(z) =
1
zH(z)
La funzione Γ di Eulero ha allora la seguente espressione:
¶
∞ µ
e−γz Y
z −1 z
Γ(z) =
en
1+
z i=1
n
ed è la più semplice funzione meromorfa con poli semplici in z = 0, −1, −2, −3, ... e
senza zeri (infatti H(z) ha solo zeri in -1,-2,-3,...).
Il secondo importante teorema riguarda la scomposizione delle funzioni meromorfe, è
noto come teorema di Mittag-Leffler ed ha l’enunciato seguente:
Teorema di Mittag-Leffler.
Sia {zi }i∈I una successione di punti aventi come unico punto di accumulazione z = ∞
e per ciascun i = 1, 2, 3, ... siano aj,i , j = −ni , −ni + 1, ..., −2, −1 costanti non nulle.
Siano pi (z) opportuni polinomi e sia g(z) una funzione intera. Allora la più generale
funzione meromorfa con poli {zi }i∈I si scrive sotto la forma:

F (z) =
X
i

−1
X
j=−ni

j
aj,i (z − z) − pi (z) + g(z)
137
Esempi.
1) La funzione:
π2
sin2 πz
ha poli doppi in z = n, n = 0, ±1 ± 2,. Segue subito:
+∞
X
1
π2
.
=
2
sin πz n=−∞ (z − n)2
2) La funzione:
π2
π2
=
cos2 πz
sin2 π(z − 12 )
ammette allora la seguente scomposizione:
+∞
X
π2
1
=
´ .
³
2
cos πz n=−∞ z − n − 1 2
2
3) Poiché:
−π
d
π2
cot πz =
dz
sin2 πz
segue subito, per integrazione:
¶
µ
X
1 +∞
1
1
π cot πz = +
+
+k
z n=1 z + n z − n
Si dimostra subito che k = 0 e segue:
¶
µ
X
1
1
1 +∞
π cot πz = +
+
.
z n=1 z + n z − n
4) Partiamo dalla identità:
π cot
π
πz
− π cot πz =
2
sin πz
Sostituendo in questa identità i risultati precedenti, si ottiene:
µ
¶
X
1 +∞
1
1
π
= +
(−1)n
+
.
sin πz
z n=1
z+n z−n
138
Esercitazione 7
Esercizi su serie di Taylor.
1) Sviluppare in serie di Taylor la funzione:
f (z) = Ln(2 − z)
con centro z = 0 e determinare il raggio di convergenza.
Il punto singolare più vicino a z0 = 0 è z = 2, dunque il raggio di convergenza dello
sviluppo è 2. Inoltre:
d
1
d2
1
dn
(n − 1)!
Ln(2 − z) = −
;
Ln(2
−
z)
=
−
;
...
Ln(z − 2) = −
2
2
n
dz
2 − z dz
(2 − z)
dz
(2 − z)n
da cui:
Ln(2 − z) = ln 2 −
∞
X
1 n
z .
n
n=1 2 n
Ad esempio, se z = 1 si ricava:
ln 2 =
∞
X
1
n=1
2n n
.
2) Sviluppare in serie di Taylor, con centro z0 = 0, la funzione:
f (z) = (2 − z)(1 − Ln(2 − z)),
e trovarne il raggio di convergenza.
Il raggio di convergenza è pari alla distanza del punto z0 = 0 al punto singolare più
vicino, che è z = 2: dunque ρ = 2. Inoltre:
d
1
[(2 − z)(1 − Ln(2 − z))] = −1 + Ln(2 − z) − (2 − z)
(−1) = Ln(2 − z)
dz
2−z
e pertanto la serie di Taylor si ricava integrando termine a termine la serie di Taylor
ottenuta nell’esercizio precedente. Pertanto:
f (z) = (2 − z)(1 − Ln(2 − z)) = z ln 2 −
∞
X
1
n=1
2n n(n
+ 1)
z n+1 + c
Ora f (z) assume il valore 2 − 2 ln 2 nel punto z0 = 0, da cui c = 2 − 2 ln 2 e pertanto:
f (z) = (2 − z)(1 − Ln(2 − z)) = 2 − 2 ln 2 + z ln 2 −
∞
X
1
n=1
2n n(n
+ 1)
z n+1 .
139
3
Ad esempio, se z = , si ricava:
2
µ ¶
µ
µ ¶¶
3
1
1
f
=
1 − ln
2
2
2
=
1 ln 2
+
2
2
mentre la serie fornisce:
µ ¶n+1
∞
X
1
3
3
2 − 2 ln 2 + ln 2 −
n
2
n=1 2 n(n + 1) 2
e per confronto:
ln 2 =
∞
3 X
3n+1
−
.
2 n=1 22n+1 n(n + 1)
3) Sviluppare in serie di Taylor con centro z0 = 0 la funzione:
f (z) =
1
(1 + z)m
e trovarne il raggio di convergenza.
La distanza di z0 = 0 dal punto singolare più vicino, che è z = −1, vale 1, dunque
ρ = 1. Ora:
"
d
1
f (0) = 1, f (0) =
dz (1 + z)m
#
"
0
z=0
m
=−
(1 + z)m+1
#
= −m, ....
z=0
f (n) (0) = (−1)n m(m + 1)(m + 2)...(m + n),
da cui:
f (n) (0)
(−1)n m(m + 1)(m + 2)...(m + n − 1)
=
=
n!
n!
Pertanto:
∞
X
1
=
(1 + z)m n=0
Ã
−m
n
Ã
−m
n
!
!
zn
Se, qualunque sia α 6= 0 reale, si pone:
Ã
α
n
!
=
α(α − 1)...(α − n + 1)
n!
si ha il seguente sviluppo di Taylor, valido in |z| < 1:
∞
X
α(α − 1)...(α − n + 1) n
α(α − 1) 2
z + ... +
z + ... =
(1 + z) = 1 + αz +
2
n!
n=0
α
Lo sviluppo trovato si dice serie binomiale.
4) Sviluppare in serie di Taylor con centro z0 = 1 la funzione:
f (z) =
2z 2 + 9z + 5
z 3 + z 2 − 8z − 12
Ã
α
n
!
zn.
140
e determinarne il raggio di convergenza.
Invece di usare la forma standard dello sviluppo di Taylor conviene scomporre la
frazione data in fratti semplici. Si vede subito, cercando fra i divisori di 12, che z = 3
è una radice del denominatore; effettuando la divisione segue:
z 3 + z 2 − 8z − 12 = (z − 3)(z 2 + 4z + 4) = (z − 3)(z + 2)2 .
La scomposizione in fratti semplici risulta:
1
2
2z 2 + 9z + 5
=
+
.
3
2
2
z + z − 8z − 12
(z + 2)
z−3
Conviene allora sviluppare le frazioni in serie binomiale. Si ha:
1
1
1
1
=
= h
i
2
2
1
(z + 2)
[3 + (z − 1)]
9 1 + (z − 1) 2
3
2
2
1
=
=
1
z−3
2 − (z − 1)
1 − 2 (z − 1)
pertanto:
∞
1X
1
=
(z + 2)2
9 n=0
Ã
−2
n
!µ
z−1
3
¶n
=
∞
X
(−1)(n + 1)
3n+2
n=0
µ
∞
X
2
z−1
=
z − 3 n=0
2
(z − 1)n
¶n
da cui infine:
µ
∞
∞
X
X
2z 2 + 9z + 5
(−1)(n + 1)
z−1
n
f (z) = 3
=
(z − 1) −
2
n+2
z + z − 8z − 12 n=0
3
2
n=0
¶n
.
Il raggio di convergenza della serie è la distanza di z0 = 1 dal punto singolare più
vicino, che è z = 3: dunque ρ = 2.
5) Sviluppare la funzione:
1
c − bz
in serie di Taylor con centro z0 , essendo c − bz0 6= 0 (b 6= 0) e determinarne il raggio
di convergenza.
f (z) =
c
è l’unico punto singolare isolato uniforme di f (z) (ed è polo di ordine
b
¯
¯
¯
c ¯¯
¯
1), segue subito ρ = ¯z0 − ¯ . Si ha subito:
b
Poiché z =
1
1
=
=
c − bz
c − bz0 − b(z − z0 )
"
1
b(z − z0 )
(c − bz0 ) 1 −
c − bz0
#
141
Si ottiene una serie geometrica convergente quando:
¯
¯
¯ b(z − z ) ¯
0 ¯
¯
¯
¯<1
¯ c − bz0 ¯
ovvero quando:
¯
¯
¯
c ¯¯
¯
|z − z0 | < ¯z0 − ¯ .
b
Si conclude:
"
∞
X
1
1
b(z − z0 )
f (z) =
=
c − bz
c − bz0 n=0 c − bz0
#n
=
∞
X
bn
(z − z0 )n
n+1
n=0 (c − bz0 )
Esercizi proposti.
1) Trovare lo sviluppo di Taylor di
f (z) = arctan z
con centro z0 = 0 e determinarne il relativo raggio di convergenza.
2) Sviluppare la funzione
1
− 3z 2
con centro z0 = 1 e determinarne il relativo raggio di convergenza.
f (z) =
z3
3) Dimostrare che ∀z ∈ C, vale la disequazione:
|ez | ≤ e|z| .
4) Sviluppare in serie di Taylor con centro z0 = 0 la funzione:
Ln(z + 1),
trovare il raggio di convergenza della serie e dimostrare che entro il cerchio di convergenza:
|Ln(z + 1)| ≤ ln(1 − |z|).
5) Sviluppare in serie di Taylor con centro z0 = 1 la funzione:
f (z) =
z2
1
− 2tz + 1
essendo t un numero reale tale che |t| < 1 e determinarne il raggio di convergenza.
6) Sviluppare in serie di Taylor con centro z0 = 0 la funzione:
f (z) = arcsin z
142
e determinarne il relativo raggio di convergenza.
7) Sviluppare in serie di Taylor con centro z0 = 1 la funzione:
f (z) =
e trovarne il relativo raggio di convergenza.
1
z3
143
Esercitazione 8
Esercizi su serie di Laurent.
1) Sviluppare in serie di Laurent con centro z0 = 0 la funzione:
f (z) =
1
,
z(1 − z − z 2 )
trovare i relativi raggi di convergenza e il residuo di f in z = 0.
Il centro dello sviluppo si trova nel polo di ordine 1 z = 0, mentre il polo più vicino
a z = 0 è da ricercarsi tra le radici di:
z 2 + z − 1 = 0.
Tali radici valgono:
√
√
5−1
5+1
z1 =
, z2 = −
.
2
2
√
5−1
Pertanto la serie cercata converge in 0 < |z| <
. Notiamo ora che:
2
√
√
1
5+1
1
− 5+1
=
= −z2 ,
=
= −z1
z1
2
z2
2
⇒ z1 z2 = −1,
√
1
1
1
1
−
= 5,
+
= 1.
z1 z2
z1 z2
Vale dunque la seguente identità(che equivale ad una scomposizione in fratti semplici):
·
1
z
z
Rg (z1 ) Rg (z2 )
1
1
g(z) =
=
=
+
=
−
2
1−z−z
(z − z1 )(z − z2 )
z − z1 z − z2
z2 − z1 z − z1 z − z2

=
¸

 1
1
1 


−
z 
1
1 1 − z
1−
−
z1
z2
z1 z2
e pertanto, usando la serie geometrica per le due frazioni:
g(z) =
∞
X
Fn z n
n=0
essendo i coefficienti Fn dati da:
µ
Fn =
1
z1
¶n
µ
1
−
z2
1
1
−
z1 z2
¶n
=
(z2n − z1n )z1 z2
= (−1)n−1 (z2n−1 − z2n−3 + ... − z1n−3 + z1n−1 ).
(z2 − z1 )(z1 z2 )n
144
Sorprendentemente, i coefficienti Fn sono tutti numeri interi. Si ha:
Ã√
F0 = 0, F1 = 1, F2 = 1, F3 =
z22 − 1 + z12
=
5+1
2
Ã√
!2
−1+
5−1
2
!2
= 2, etc..
Non è difficile rendersi conto del fatto che Fn sia un numero intero. Infatti, da:
(1 − z − z 2 )g(z) = z = g(z) − zg(z) − z 2 g(z)
si ottiene:
∞
X
Fn z n −
n=0
∞
X
Fn z n+1 −
n=0
∞
X
Fn z n+2 = z
n=0
(ciò implica F0 = 0, F1 = 1), identità che possiamo riscrivere come:
∞
X
Fn+2 z n+2 −
n=0
∞
X
Fn+1 z n+2 −
n=0
∞
X
Fn z n+2 = 0
n=0
ovvero:
Fn+2 = Fn+1 + Fn ,
(n = 0, 1, 2, ...)
Visti i valori di F0 e F1 , questa relazione ricorrente genera allora numeri interi positivi.
I numeri cosı̀ generati si dicono numeri di Fibonacci. La successione di Fibonacci ha
allora come elementi F0 = 0, F1 = 1, F2 = 1, F3 = 2, F4 = 3, F5 = 5, F6 = 8, .... Segue
allora lo sviluppo cercato:
f (z) =
∞
X
1
1
=
Fn z n−2 = + 1 + 2z + 3z 2 + 5z 3 + 8z 4 + ....
2
z(1 − z − z ) n=0
z
Il residuo di f (z) in z = 0 vale 1.
2) Trovare lo sviluppo di Laurent con centro z0 = 1 della funzione:
f (z) =
sin z
(z − 1)2
indicarne la corona circolare di convergenza e calcolare il residuo della funzione nel
punto z0 = 1.
Poiché z = 1, polo doppio, è l’unico punto singolare al finito della funzione, lo sviluppo
è valido nella corona circolare 0 < |z − 1| < ∞. Per ottenerlo, basta allora sviluppare
in serie di Taylor con centro z0 = 1 la funzione sin z. Si trova:
sin z =
¯
∞ sin(n) z ¯¯
X
n=0
n!
z=1
(z − 1)n = sin 1 + cos 1(z − 1) −
pertanto:
f (z) =
sin 1
cos 1
(z − 1)2 −
(z − 1)3 + ....
2
6
sin 1
cos 1
sin 1 cos 1
+
−
−
(z − 1) + ..
2
(z − 1)
z−1
2
6
Segue subito che il residuo in z = 1 vale cos 1.
145
3) Trovare lo sviluppo di Laurent con centro z0 = 0 della funzione:
f (z) = cot z =
cos z
sin z
indicarne la corona circolare di convergenza e calcolare il residuo della funzione nel
punto z = 0.
Poiché il punto singolare più vicino a z = 0 è z = π, lo sviluppo di Laurent converge
in 0 < |z| < π. Per trovare lo sviluppo, conviene osservare che:
z2 z4
+
− ...
cos z
z2
z4
2z 6
2!
4!
=
z cot z =
=
1
−
−
−
− ...
sin z
z2 z4
3
45 945
1−
+
− ....
z
3!
5!
1−
Pertanto:
1 z
z3
2z 5
− −
−
− ...
z 3 45 945
cot z =
e risulta:
Rcot z (0) = 1.
4) Trovare lo sviluppo di Laurent con centro z0 = 0 della funzione:
f (z) =
1
z 6 (z − 2)
indicarne la corona circolare di convergenza e trovare il residuo di f in z = 0.
Si ha subito che lo sviluppo converge in 0 < |z| < 2. In tale corona circolare allora si
può scrivere:
Ã
1
1
1
z z2 z3
´ =−
=− ³
1
+
+
+
+ ...
z−2
2
2
4
6
2 1− z
!
2
e allora:
µ ¶n
∞
1
1X
z
=
−
6
z (z − 2)
2 n=0 2
=−
1
1
1
1
1
1
1
z
− 5− 4−
−
−
−
−
− ...
6
3
2
2z
4z
8z
16z
32z
64z 128 256
e pertanto risulta:
R
1
z 6 (z−2)
(0) = −
1
.
64
5) Trovare lo sviluppo di Laurent con centro z0 = 0 di
1
f (z) = e z
e indicarne la corona circolare di validità.
146
Siccome l’unico punto singolare isolato uniforme della funzione è proprio z = 0 segue
che lo sviluppo sarà convergente in 0 < |z| < ∞. Si trova subito:
1
f (z) = e z = 1 +
1
1
1
1
+
+
+ ... +
+ ...
2
3
z 2!z
3!z
n!z n
Il residuo della funzione nel punto z = 0 è allora z = 1.
1
6) Noto lo sviluppo di Laurent con centro z0 = 0 della funzione e z , determinare il
residuo della funzione:
1
f (z) = ez e z
nel punto z = 0.
Il residuo si calcola determinando il valore del coefficiente di z1 dello sviluppo in serie
di Laurent della funzione con centro il punto indicato. Sappiamo che:
1
f (z) = ez e z
Ã
!µ
z2 z3
zn
= 1+z+
+
+ ... +
+ ...
2!
3!
n!
¶
1
1
1
1
1+ +
+
+ ... +
+ ... .
2
3
z 2!z
3!z
n!z n
Si tratta di isolare il coefficiente di z1 . Si vede subito che:
a−1 = R
1
ez e z
∞
X
1
1
1
1
+
+ ... =
(0) = +
2! 3!2! 4!3!
n=0 n!(n + 1)!
Esercizi proposti.
1) Sviluppi di Laurent con centri z0 = 0, z0 = −1 e relative corone circolari di convergenza, della funzione:
cos z
f (z) =
.
z(z + 1)
2) Sviluppo di Laurent con centro z0 = 0 e relativa corona circolare di convergenza,
della funzione:
coth z
.
f (z) =
z2
3) Sviluppo di Laurent con centro z0 = 0 e relativa corona circolare di convergenza,
della funzione:
(z − 1)2 cos z
f (z) =
.
z
4) Sviluppo di Laurent con centro z0 = 3 e relativa corona circolare di convergenza,
della funzione:
Ln(z − 1)
.
f (z) =
z−3
147
5) Sviluppo di Laurent con centro z0 = 1 e relativa corona circolare di convergenza,
della funzione:
z
f (z) =
.
2
(z − 1) (z + 2)3
6) Sviluppo di Laurent con centro z0 = 0, relativa corona circolare di convergenza e
residuo in z = 0, della funzione:
f (z) =
Ln(z − 2)
.
z2
7) Sviluppo di Laurent con centro z0 = 2, relativa corona circolare di convergenza e
residuo in z = 2, della funzione:
f (z) =
tan z
.
z−2
148
Lezione 31
Introduzione al concetto di distribuzione.
Le distribuzioni rappresentano una generalizzazione del concetto classico di funzione.
Nel seguito considereremo funzioni complesse di una variabile reale t. Diremo funzionale integrale (associato a f e operante su ϕ) e indicheremo di solito con f [ϕ],
l’integrale seguente:
Z
+∞
−∞
f (t)ϕ(t)dt.
Dal punto di vista formale, questo integrale è, prefissata f , una corrispondenza che
alla funzione ϕ associa uno specifico numero complesso f [ϕ] ∈ C (per indicare tale
numero complesso si usa anche la notazione < f |ϕ >).
Se ϕ appartiene ad uno spazio vettoriale complesso X di funzioni, allora la corrispondenza:
f : ϕ ∈ X −→ f [ϕ] ∈ C
è un funzionale complesso (cioè una corrispondenza tra vettori e numeri complessi)
lineare su X (infatti,
∀ϕ1 , ϕ2 ∈ X, ∀λ1 , λ2 ∈ C, f [λ1 ϕ1 + λ2 ϕ2 ] = λ1 f [ϕ1 ] + λ2 f [ϕ2 ]).
Notiamo ora che possiamo considerare una funzione f sotto due punti di vista differenti:
f : t ∈ R −→ f (t)
f : ϕ ∈ X −→ f [ϕ]
La descrizione classica di una funzione si ottiene facendo variare t in R nella corrispondenza t −→ f (t): otterremo dunque una descrizione alternativa di f facendo
variare ϕ in X nella corrispondenza ϕ −→ f [ϕ].
In questo contesto le funzioni ϕ ∈ X si dicono funzioni di prova, mentre la funzione
f è la funzione da descrivere mediante le funzioni di prova. Anche le funzioni f da
descrivere mediante funzionali integrali verranno scelte in opportuni spazi vettoriali
complessi. La scelta dello spazio delle funzioni di prova influenza in modo determinante la scelta delle funzioni da descrivere: infatti, deve comunque sempre esistere
l’integrale
Z
+∞
−∞
f (t)ϕ(t)dt.
Vediamo ora quali sono le scelte che ci saranno utili.
Cominciamo con l’osservazione che, nel seguito, useremo spesso la funzione gradino
unitario(o di Heaviside) u(t) definita da:
(
u(t) =
1 ∀t > 0
0 ∀t < 0
149
Con questa funzione possiamo dare subito un esempio di confronto tra la descrizione
classica e la descrizione tramite funzionali integrali.
Esempio di descrizione tramite funzionali integrali.
La descrizione classica di u(t) è rappresentata dalla definizione appena data. La
descrizione tramite funzionali integrali avviene nel modo seguente, detta ϕ(t) una
opportuna funzione di prova:
u : ϕ(t) −→
Z ∞
−∞
u(t)ϕ(t)dt =
Z ∞
0
ϕ(t)dt
Definizione di supporto.
Si dice supporto di una funzione il più piccolo insieme chiuso al di fuori del quale la
funzione f è nulla. Il supporto di ϕ si indica con supp ϕ o anche con supp[ϕ].
Esempi.
1) La funzione:
(
f (t) =
1 t ∈]0, 1[
= u(t) − u(t − 1),
0 t ∈]0,
/ 1[
ha come supporto [0, 1].
2) La funzione:
(
f (t) =
1 + t t ∈] − 1, 0[
= (1 + t)[u(t + 1) − u(t)] + (1 − t)[u(t) − u(t − 1)],
1 − t t ∈]0, 1[
ha come supporto [−1, 1].
Definizione di funzione a decrescita rapida.
Si dice a decrescita rapida ogni funzione f che soddisfa, quando |t| → ∞, a:
∃C > 0 : ∀n, |f (t)| <
C
|t|n
Siamo ora in grado di indicare, tra tutte le scelte possibili, le due scelte che faremo
per gli spazi vettoriali complessi delle funzioni di prova: lo spazio D delle funzioni di
prova a supporto limitato e infinitamente derivabili in R e lo spazio S delle funzioni
infinitamente derivabili in R e a decrescita rapida.
Esempio di funzione infinitamente derivabile a supporto limitato.
La funzione:
(
ϕ(t) =
1
e t2 −1 |t| < 1
0
|t| ≥ 1
150
ha come supporto [−1, 1] ed è infinitamente derivabile in R (ivi compresi i punti -1,1):
pertanto ∈ D.
Esempio di funzione a decrescita rapida.
2
La funzione f (t) = e−t appartiene a S.
La scelta di uno di questi spazi condiziona fortemente il tipo di funzioni che vengono
descritte tramite funzionali integrali. Vediamo cosa comporta per la natura di f la
scelta di ϕ ∈ D.
Definizione di funzione localmente integrabile.
Si dice localmente integrabile ogni funzione f tale che:
∀a, b ∈ R, a, b f initi,
Z b
a
|f (t)|dt < ∞.
L’insieme delle funzioni localmente integrabili è uno spazio vettoriale complesso che
si indica con L1loc .
Poichè deve essere integrabile in R il prodotto f ϕ, risulta che, se ϕR ∈ D, allora f ∈
+∞
1
L
(infatti, il supporto delle funzioni di prova ha misura finita, e −∞
f (t)ϕ(t)dt =
R loc
f
(t)ϕ(t)dt).
supp ϕ
Esempi di funzioni localmente integrabili.
1)
2
sin t, cos t, tn (n intero > 0), et , et ,
[u(t − 2) − u(t − 1)]
t2
appartengono allo spazio L1loc .
2) Le funzioni
appartengono allo spazio L1loc
tengono t = 0).
1
√ , ln |t|,
t
(sono integrabili localmente anche in intervalli che con-
3) Le funzioni:
e−t
1 1
, n (n intero > 0),
t t
t
1
non appartengono allo spazio Lloc .
Dunque la scelta di D come spazio delle funzioni di prova implica che le funzioni da
descrivere con funzionali integrali siano tutte e sole le funzioni ∈ L1loc .
Vediamo invece cosa comporta la scelta di S sulle funzioni f . Si osserva che
∀ϕ ∈ S, ∀n intero positivo, tn ϕ ∈ S.
151
Dunque le funzioni che potranno essere descritte mediante funzionali integrali su S
saranno funzioni che per |t| → ∞ crescono al più come polinomi di grado finito n.
Definizione di funzione a crescita lenta. Si dice a crescita lenta ogni funzione f
che soddisfi alla proprietà seguente:
f (t) = O|t|→∞ (tn )
(O è il simbolo di Landau) che equivale a scrivere:
∃n, ∃T > 0, ∃M > 0 : ∀|t| > T, |f (t)| ≤ M |t|n .
L’insieme delle funzioni a crescita lenta è uno spazio vettoriale complesso che si indica
con O.
Esempi di funzioni a crescita lenta.
1) Le funzioni:
2
(1 + t2 )4 sin t, e−t , u(t) − u(t − 1), cos t
sono funzioni a crescita lenta.
2) Le funzioni
tn ejt ,
sin t
, ln |t|
t
sono funzioni a crescita lenta.
3) Le funzioni:
√
e−t , et , e |t|
non sono funzioni a crescita lenta.
Dunque se ϕ ∈ S, segue che f ∈ O. Useremo questo fatto quando tratteremo la
trasformata di Fourier di distribuzioni.
152
Lezione 32
Distribuzioni.
Un punto di partenza concreto per arrivare a definire il concetto di distribuzione è
di provare a derivare la funzione gradino unitario u(t) nel suo unico punto di discontinuità t = 0. Nel senso classico del termine, si sa che la derivata di u(t) viene a
mancare proprio nel punto t = 0. Si può tentare di aggirare la difficoltà considerando
successioni di funzioni continue che abbiano come limite (puntuale) proprio u(t). Una
possibile successione con questa proprietà è quella che ha elementi un dati da:




0



 µ
1
t<−
2n
¶
1
1
1
un (t) =  n t +
−
≤t≤
2n
2n
2n



1


 1
t>
2n
Si ha:
∀t 6= 0,
lim un (t) = u(t)
n→∞
dun
= gn (t) delle funzioni un , espresse da:
dt
· µ
¶
µ
¶¸
1
1
gn (t) = n u t +
−u t−
.
2n
2n
Consideriamo ora le derivate
La rappresentazione grafica di tali funzioni è costituita da rettangoli di altezza n e
1
base (centrata in t = 0) di modo che l’area sottesa è sempre 1. In genere la funzione:
n

1



0 t<−


2T


1
1
pT (t) = 1 −
≤t≤


2T
2T


1


 0 t>
2T
si dice funzione porta di ampiezza T e pertanto segue anche che gn (t) = np1 (nt).
du
Nello stesso modo in cui {un }n→∞ → u potremmo aspettarci che {gn (t)}n→∞ →
.
dt
Ora, all’aumentare di n, i rettangoli avranno basi sempre più decrescenti e altezze
sempre più crescenti. Nella posizione limite, la base sarebbe nulla, l’altezza sarebbe
infinita, ma l’area (base per altezza) dovrebbe continuare a valere 1. Nessuna funzione
può avere tali caratteristiche. Infatti, se indichiamo con δ(t) l’ipotetica funzione
limite, avremmo una funzione
diversa da zero soltanto in t = 0 (che è un insieme di
R∞
misura nulla), ma tale che −∞ δ(t)dt = 1 (area sottesa dalla posizione limite): questo
fatto è incompatibile con la definizione classica di integrale di Riemann. Se però, al
posto della successione {gn (t)} si considera la successione i cui elementi sono:
Z ∞
dun
−∞
dt
ϕ dt
153
essendo ϕ una funzione di classe C 1 , si ottiene:
lim
Z ∞
dun
n→∞ −∞
dt
Z
ϕ dt = lim
1
2n
n→∞ − 1
2n
1
nϕdt = lim n. ϕ(θn ) = ϕ( lim θn ) = ϕ(0)
n→∞
n→∞
n
1 1
ove θn ∈ [− , ] è un opportuno valore da usarsi per l’applicazione del teorema
2n 2n
del valor medio per l’integrale. Se formalmente si definisce una corrispondenza δ nel
seguente modo:
δ : ϕ → δ[ϕ] = ϕ(0),
si può anche scrivere:
dun
[ϕ] = δ[ϕ] = ϕ(0).
n→∞ dt
lim
dun
Si vede dunque che, cercando il limite dei funzionali integrali associati a
, si trova
dt
dun
è una funzione L1loc e ϕ può essere allora scelta in
un risultato corretto. Ora,
dt
D. Segue che, data una successione {fn } di elementi tutti ∈ L1loc , si può ricercare il
limite della successione dei funzionali integrali {fn [ϕ]}, ∀ϕ ∈ D. Si dimostra che tale
limite esiste sempre.
Viene cosı̀ giustificata la prima definizione di distribuzione (ne daremo altre due,
tutte equivalenti tra loro).
I definizione di distribuzione.
Data una successione {fn } di elementi tutti ∈ L1loc , si dice distribuzione su D il limite:
∀ϕ ∈ D, lim {fn [ϕ]} = F [ϕ].
n→∞
Useremo in seguito la scrittura (impropria) F (t) per indicare una distribuzione.
t non è una variabile nel senso stretto del termine: è piuttosto la variabile di integrazione dei funzionali integrali associati agli elementi della successione. Tuttavia è
comoda la scrittura F (t) e anche la più completa F (t)[ϕ(t)].
L’insieme di tutte le distribuzioni su D si indica con D0 . Si potrà allora scrivere
in modo compatto:
lim fn = F
n→∞D0
e si dice che F è il limite ”nel senso delle distribuzioni” della successione {fn }.
Ogni distribuzione F ∈ D0 è un funzionale lineare su D. Naturalmente F gode
di un’altra proprieà importante, che vedremo in seguito. Se F fosse un funzionale
integrale su D, si potrebbe ritornare alla descrizione classica delle funzioni: dunque,
ogni funzione f ∈ L1loc è una distribuzione, mentre, ovviamente, ci sono distribuzioni
che non sono funzioni. Di qui la comodità della notazione F (t). L’esempio più
semplice è proprio fornito dal limite della successione dei funzionali integrali associati
dun
, limite che abbiamo indicato con δ: tale limite è un funzionale lineare, come si
a
dt
verifica subito, ma non può essere in alcun modo essere ricondotto ad un funzionale
integrale. La definizione della distribuzione δ(t) è dunque, con la notazione introdotta:
δ(t) : ϕ → δ(t)[ϕ(t)] = ϕ(0)
154
La distribuzione δ(t) si dice distribuzione di Dirac.
Un altro modo (per ora solo formale) per indicare il limite precedente è quello di
scrivere:
dun
du
lim
[ϕ] =
[ϕ]
n→∞ dt
dt
con il che si verrebbe a stabilire che:
du
= δ(t).
dt
La distribuzione δ di Dirac è dunque da intendersi come derivata ”nel senso delle
distribuzioni” della u.
Definizione di supporto di una distribuzione.
Consideriamo tutti gli insiemi aperti della retta reale sui quali una distribuzione F è
nulla, cioé tale che, ∀ϕ ∈ D con supporto contenuto in uno di questi aperti, F [ϕ] = 0.
Allora F è nulla sull’unione di tutti questi aperti. Il complemento di questa unione,
che è il più piccolo insieme chiuso al di fuori del quale F è nulla, si dice supporto della
distribuzione F .
Esempio
Il supporto della distribuzione δ è t = 0. Infatti, ∀ϕ il cui supporto non contiene
t = 0, si ha δ[ϕ] = 0, e questo vale su ogni aperto della retta reale che non contenga
t = 0 e che contenga un supporto di una funzione di prova.
Questo risultato permette allora una rappresentazione grafica della distribuzione δ di
Dirac, che però non ha nulla a che vedere con un grafico. La δ viene rappresentata con
una freccia di lunghezza unitaria, spiccata a partire da t = 0 e diretta verso l’alto.
Siccome sappiamo anche eseguire il prodotto di una distribuzione per un numero,
quando occorre rappresentare aδ, a ∈ R, si disegna una freccia di lunghezza |a| a
partire da t = 0 e diretta verso l’alto o verso il basso a seconda che a > 0 o a < 0.
La distribuzione δ si può ottenere come limite di infinite successioni di funzionali.
Vale infatti il seguente teorema.
Sia f ∈ L1loc tale che:
Z ∞
−∞
f (t)dt = 1
allora la successione:
fn (t) = nf (nt)
è tale che:
lim fn (t)[ϕ] = δ[ϕ]
n→∞
Esempi.
155
1) la funzione:
f (t) =
è tale che:
1 1
π 1 + t2
Z ∞
1
−∞
1
dt = 1
π 1 + t2
e allora la successione:
fn (t) =
n
1
π 1 + n2 t2
tende a δ.
2) La funzione:
f (t) =
è tale che:
Z ∞
sin t
−∞
πt
sin t
πt
dt = 1
e allora la successione:
sin nt
πt
tende a δ. Questo risultato è vero quando al numero intero n si sostituisce un numero
reale Ω. Risulta infatti:
sin Ωt
lim 0
= δ(t)
Ω→∞D
πt
fn (t) =
3) La funzione:
è tale che:
1
2
f (t) = √ e−t
π
Z ∞
−∞
e allora la successione:
1
2
√ e−t dt = 1
π
r
n −nt2
fn (t) =
e
π
√
tende a δ (si noti la sostituzione di n con n, possibile perché t è elevata al quadrato).
156
Lezione 33
Operazioni sulle distribuzioni.
L’insieme D0 diventa uno spazio vettoriale complesso definendo la distribuzione
λ1 F1 + λ2 F2 nel modo seguente:
∀ϕ ∈ D, (λ1 F1 + λ2 F2 ) [ϕ] = λ1 F1 [ϕ] + λ2 F2 [ϕ].
Questa struttura ci permette allora di dire che lo spazio vettoriale L1loc è un sottospazio
vettoriale di D0 (le funzioni sono distribuzioni, ma ci sono distribuzioni che non sono
funzioni, come δ).
Lo spazio vettoriale delle funzioni di prova deve poter ammettere una definizione di
limite di successioni. Su D il limite ϕ di una successione {ϕn } di elementi di D si
definisce nel modo seguente:
lim ϕn = ϕ
n→∞
se e solo se i supporti di ogni ϕn sono contenuti in uno stesso insieme di misura finita
e se e solo se ∀m, ϕ(m)
−→ ϕ(m) uniformemente.
n
Diremo che un funzionale lineare F su D0 è continuo su D se e solo se, data una
successione {ϕn } di elementi ϕn ∈ D che tendono al limite ϕ ∈ D si ha:
·
¸
lim F [ϕn ] = F lim ϕn = F [ϕ].
n→∞
n→∞
II definizione di distribuzione.
Si dice distribuzione ogni funzionale lineare e continuo su D.
Si dimostra che ogni limite di successioni è lineare e continuo: dunque la prima e la
seconda definizione sono equivalenti.
In particolare, il funzionale integrale associato ad ogni funzione f ∈ L1loc è lineare
e continuo. Viene confermato dunque che ogni funzione localmente sommabile è
distribuzione, ma non viceversa.
Definiremo adesso ulteriori operazioni lineari sulle distribuzioni, utilizzando il fatto
che,
se F (t) fosse in particolare una funzione, allora il Rfunzionale
che la descrive è
R
R +∞
R F (t)ϕdt, con tutte le proprietà tipiche dell’integrale ( R = −∞ ). Ogni operazione
definita nel seguito potrà dunque essere verificata esplicitamente sugli integrali. Inoltre, se
∀ϕ ∈ D, A(t)[ϕ(t)] = B(t)[ϕ(t)]
scriveremo semplicemente
A(t) = B(t).
157
1 - Traslazione.
Data una distribuzione F (t) ∈ D0 e un numero reale t0 , la distribuzione traslata
F (t − t0 ) è la distribuzione definita da:
∀ϕ ∈ D, F (t − t0 )[ϕ(t)] = F (t)[ϕ(t + t0 )].
Verifica per funzioni.
Se F (t) è funzione, allora:
Z
R
Z
F (t − t0 )ϕ(t)dt =
R
F (t)ϕ(t + t0 )dt
(si effettua il cambio di variabile t0 = t − t0 e si tiene conto del fatto che ogni variabile
di integrazione è muta, vale a dire che si può rinominare ad arbitrio).
Applicazione a δ.
La distribuzione traslata δ(t − t0 ) opera su ϕ nel modo seguente:
∀ϕ ∈ D, δ(t − t0 )[ϕ(t)] = δ(t)[ϕ(t + t0 )] = ϕ(t0 )
Il supporto risulta allora il punto t0 e la rappresentazione grafica di δ(t − t0 ) consiste
di una freccia unitaria rivolta verso l’alto e spiccata da t = t0 . Considerazioni simili
per aδ(t − t0 ), ∈ R.
Periodicità.
Se:
∀ϕ ∈ D, ∃T > 0 ∈ R : F (t − T )[ϕ(t)] = F (t)[ϕ(t + T )]
allora F si dice distribuzione periodica di periodo T .
2 - Cambiamento di scala.
Sia F ∈ D0 , a ∈ R, a 6= 0. La distribuzione F (at) è allora la distribuzione definita
da:
· µ ¶¸
1
t
∀ϕ ∈ D, F (at)[ϕ(t)] =
F (t) ϕ
.
|a|
a
Verifica per funzioni. Se F è funzione, allora:
Z
· µ ¶¸
1 Z
t
F (at)ϕ(t)dt =
F (t) ϕ
|a| R
a
R
dt
(si effettua il cambio di variabile t0 = at e si tiene conto del fatto che, quando a > 0 i
limiti non cambiano, mentre quando a < 0 i limiti si scambiano).
Distribuzioni pari.
158
Si dice pari ogni distribuzione F tale che:
∀ϕ ∈ D, F (−t)[ϕ(t)] = F (t)[ϕ(−t)] = F (t)[ϕ(t)]
Si dice dispari ogni distribuzione F tale che:
∀ϕ ∈ D, F (−t)[ϕ(t)] = F (t)[ϕ(−t)] = −F (t)[ϕ(t)]
(si è usata la definizione nel caso a = −1.)
Applicazione a δ.
∀ϕ ∈ D, δ(−t)[ϕ(t)] = δ(t)[ϕ(−t)] = ϕ(0) = δ(t)[ϕ(t)];
δ è una distribuzione pari .
3 - Moltiplicazione di una distribuzione per una funzione di classe C ∞ (R).
In generale, non esiste il prodotto di due distribuzioni ∈ D0 (ad esempio, √1t ∈ L1loc ,
ma √1t √1t = 1t ∈
/ L1loc ). Se però, data una distribuzione F ∈ D0 si considera una
funzione Ψ di classe C ∞ (R), si può definire il prodotto Ψ · F come la distribuzione
che opera nel modo seguente:
∀ϕ ∈ D, Ψ(t) · F (t)[ϕ(t)] = F (t)[Ψ(t)ϕ(t)]
Verifica per funzioni
Immediata, vista la definizione di funzionale integrale:
Z
R
Z
(Ψ(t)F (t))ϕ(t)dt =
R
F (t)(Ψ(t)ϕ(t))dt.
Applicazione a δ.
Se F = δ si ha subito:
∀ϕ ∈ D, Ψ(t) · δ(t)[ϕ(t)] = δ(t)[Ψ(t)ϕ(t)] = Ψ(0)ϕ(0) = Ψ(0)δ(t)[ϕ(t)]
Si può allora scrivere l’identità:
Ψ(t) · F (t) = Ψ(0)F (t).
Ad esempio:
t · δ(t) = 0, et · δ(t) = δ(t), (A cos t + B sin t) · δ(t) = Aδ(t),
t · δ(t − t0 ) = t0 δ(t − t0 ), (t2 − t − 1) · δ(t + 2) = 5δ(t + 2), etc.
4 - Derivazione.
159
Sia F (t) ∈ D0 . La distribuzione derivata di F, indicata con F 0 (t), è la distribuzione
definita da:
∀ϕ ∈ D, F 0 (t)[ϕ(t)] = −F (t)[ϕ0 (t)].
Siccome ϕ(t) è infinitamente derivabile, segue anche:
∀n, ∀ϕ ∈ D, F (n) (t)[ϕ(t)] = (−1)n F (t)[ϕ(n) (t)].
Una distribuzione è dunque infinitamente derivabile. Per la derivata si può anche
dF (t) d(n)F (t)
usare la notazione
,
. La derivata definita in questo modo si dice derivata
dt
dt
nel senso delle distribuzioni o anche derivata funzionale.
Verifica per funzioni.
La formula data equivale all’applicazione del teorema di integrazione per parti. Infatti:
Z
0
R
F (t)ϕ(t)dt =
[F (t)ϕ(t)]+∞
−∞
Z
−
Z
0
R
F (t)ϕ (t)dt = −
R
F (t)ϕ0 (t)dt
poiché ϕ(±∞) = 0, essendo ϕ(t) a supporto limitato.
Applicazione a u(t).
Z ∞
du
= −u(t)[ϕ0 (t)] = −
ϕ0 (t)dt = ϕ(0) = δ(t)[ϕ(t)]
dt
0
e, più semplicemente:
du(t)
= δ(t).
dt
All’ordine m:
u(m) (t) = δ (m−1) (t), m ≥ 1
∀ϕ ∈ D,
Derivata di funzioni discontinue.
Sia f una funzione dotata di una discontinuità di prima specie in t = 0 (i risultati si
applicano a qualunque altra discontinuità, purché di prima specie). Sia:
σ = f (0+ ) − f (0− )
Allora f (t) si può scrivere come:
f (t) = fc (t) + u(t)σ
ove fc è la funzione continua che si ottiene da f sottraendo σ dalle ordinate di f
quando t > 0. Allora:
dfc (t)
df (t)
= σδ(t) +
,
dt
dt
dfc
è la derivata in senso classico, in tutti i punti in cui esiste. Ad esempio:
dove
dt
d
d
[u(t) cos t] = [u(t)[cos t − 1] + u(t)] = δ − u(t) sin t.
dt
dt
160
Lezione 34
Distribuzioni fondamentali.
Tramite l’operazione di derivazione si può definire una distribuzione altrettanto
importante della distribuzione δ di Dirac.
Distribuzione pseudofunzione
1
.
t
Partiamo dal fatto che ln|t| è una funzione localmente sommabile: dunque
ln|t|[ϕ(t)] ∈ D0 .
Poiché | ln |t| ha una singolarità in t = 0 il funzionale integrale associato a ln|t| è un
valor principale:
Z ∞
ln |t|[ϕ(t)] = v.p.
−∞
ln |t|ϕ(t)dt = lim
·Z −²
²→0
−∞
Z ∞
ln |t|ϕ(t)dt +
²
¸
ln |t|ϕ(t)dt
Deriviamo nel senso delle distribuzioni. La definizione di (ln |t|)0 fornisce:
0
0
(ln |t|) [ϕ(t)] = − ln |t|[ϕ (t)] = −v.p.
= − lim
·Z −²
²→0
= lim
²→0
n
−[ln |t|ϕ(t)]−²
−∞
0
−∞
−
ln |t|ϕ (t)dt +
[ln |t|ϕ(t)]∞
²
o
Z ∞
²
+ lim
²→0
Z ∞
−∞
¸
0
ln |t|ϕ (t)dt
"Z
−²
−∞
= lim {− ln(²)ϕ(−²) + ln(²)ϕ(²)} + v.p.
²→0
= v.p.
ln |t|ϕ0 (t)dt
Z ∞
ϕ(t)
ϕ(t)
dt +
dt
t
t
²
Z ∞
ϕ(t)
−∞
Z ∞
ϕ(t)
t
#
dt
dt
t
1
1
Si dice pseudofunzione , e si indica con p.f. , la distribuzione definita da:
t
t
∀ϕ ∈ D, p.f.
Si ha subito che:
−∞
Z ∞
ϕ(t)
1
: ϕ −→ v.p.
dt
t
t
−∞
1
t · p.f. = 1.
t
Infatti:
Z ∞
Z ∞
1
ϕ(t)
∀ϕ ∈ D, t · p.f. [ϕ(t)] = v.p.
t
dt =
ϕ(t)dt = 1[ϕ(t)].
t
t
−∞
−∞
Derivate del prodotto di una funzione Ψ ∈ C ∞ (R) per una distribuzione
F ∈ D0 .
161
Vale il seguente risultato:
(Ψ · F )0 = Ψ0 · F + Ψ · F 0 .
Infatti:
∀ϕ ∈ D, (Ψ · F )0 [ϕ] = −Ψ · F [ϕ0 ] = −F · [Ψϕ0 ] = −F [(Ψϕ)0 − Ψ0 ϕ]
= F [Ψ0 ϕ] − F [(Ψϕ)0 ] = Ψ0 · F [ϕ] + F 0 [Ψϕ] = Ψ0 · F [ϕ] + Ψ · F 0 [ϕ]
Segue, ∀m:
(Ψ · F )(m) =
m
X
Ã
k=0
m
k
!
Ψ(m−k) · F (k) .
Applicazione a δ.
Derivando una volta il prodotto Ψ · δ = Ψ(0)δ si ha:
d
(Ψ · δ) = Ψ(0)δ 0 = Ψ0 · δ + Ψ · δ 0 = Ψ0 (0)δ + Ψ · δ 0
dt
da cui segue:
Ψ · δ 0 = Ψ(0)δ 0 − Ψ0 (0)δ
Se si deriva ancora una volta si ha:
(Ψ · δ 0 )0 = Ψ(0)δ 00 − Ψ0 (0)δ 0 = Ψ0 · δ 0 + Ψ · δ 00 = Ψ0 (0)δ 0 − Ψ00 (0)δ + Ψ · δ 00
da cui, isolando Ψ · δ 00 , si ha:
Ψ · δ 00 = Ψ(0)δ 00 − 2Ψ0 (0)δ 0 + Ψ00 (0)δ.
All’ordine m:
(m)
(Ψ · δ)
=
m
X
Ã
k
(−1)
k=0
m
k
!
Ψ(m−k) (0) · δ (k) .
Ad esempio:
t · δ (m) = −mδ (m−1) .
Una ulteriore proprietà di δ è la seguente: data f , derivabile in R e dotata di n zeri
semplici t1 , t2 , .., tn , allora:
n
X
δ(t − tk )
δ(f (t)) =
.
0
k=1 |f (tk )|
Ad esempio:
1
δ(t2 − 1) = [δ(t − 1) + δ(t + 1)].
2
Definizione del treno di impulsi.
Sia T > 0: la distribuzione:
sT (t) =
∞
X
−∞
δ(t − nT ),
162
si dice treno di impulsi (o anche pettine di Dirac) di ampiezza T .
Come applicazione delle proprietà della distribuzione δ si ha:
Ψ · sT (t) =
∞
X
Ψ(nT )δ(t − nT )
−∞
e si ottiene il campionamento della funzione Ψ: i valori Ψ(nT ) si dicono campioni di
Ψ ad intervalli di ampiezza T (che si dice intervallo di campionamento) e T1 si dice
frequenza di campionamento.
Struttura di D0 .
Vale il seguente teorema.
Sia F ∈ D0 : allora esiste una funzione continua g(t) ∈ L1loc ed esiste un intero n tali
che, almeno su di un prefissato intervallo limitato I si abbia:
F = g (n) .
La funzione continua è definita a meno di un polinomio arbitrario di grado n − 1.
Esempio 1.
La funzione tu(t) è continua e allora:
d2
d
[tu(t)]
=
u(t) = δ(t).
dt2
dt
Esempio 2.
La funzione t ln |t| − t è continua e:
d2
d
1
(t ln |t| − t) =
ln |t| = p.f. .
2
dt
dt
t
La terza definizione di distribuzione può infine essere formulata nel modo seguente.
III definizione di distribuzione.
Si dice distribuzione ogni derivata ad un opportuno ordine di una funzione continua
∈ L1loc .
Segue un teorema piuttosto importante che sarà in seguito usato per risolvere
equazioni alle distribuzioni.
Distribuzioni con supporto in t = 0. Sia F ∈ D0 una distribuzione con supporto
nel punto t = 0: allora F ha la forma:
F = α0 δ + α1 δ 0 + α2 δ 00 + ... + αm δ (m) =
m
X
k=0
αk δ (k) .
163
essendo α0 , α1 α2 δ, .., αm ∈ C.
Equazioni alle distribuzioni.
Data una funzione Ψ ∈ C ∞ (R) e una distribuzione F ∈ D0 si presenta talvolta il
problema di risolvere rispetto ad una distribuzione incognita X l’equazione:
Ψ(t) · X(t) = F (t).
Una tale equazione è lineare e non omogenea. Pertanto la sua soluzione generale ha
la forma:
X(t) = X0 (t) + W (t)
ove X0 è una soluzione particolare dell’equazione completa e W (t) è la soluzione
generale dell’omogenea associata:
Ψ(t) · W (t) = 0.
Il caso più semplice è rappresentato da Ψ(t) = t. Risolviamo anzitutto l’equazione
omogenea: t · X(t) = 0. Questa equazione equivale a dire che il supporto della
distribuzione X(t) è il punto t = 0. Allora si applica il teorema precedente e si
conclude che:
m
X
X(t) =
αk δ (k) .
k=0
Però X(t) deve soddisfare alla equazione t · X = 0 e allora:
t · (α0 δ(t) + α1 δ 0 (t) + ... + αm δ (m) (t)
= −α1 δ(t) − 2α2 δ 0 (t) − .. − nαn δ (n−1) (t) = 0
e l’equazione è soddisfatta se e solo se α1 = α2 = ... = αn = 0. Conosciamo inoltre
1
una soluzione particolare della equazione : si tratta della distribuzione p.f. . Segue
t
allora che la soluzione generale di t · X(t) = 1 è:
1
X(t) = p.f. + aδ(t).
t
Il risultato si può generalizzare nel modo seguente: data l’equazione:
Ψ(t) · X(t) = 0
ove Ψ ∈ C ∞ (R) ammette una infinità numerabile di zeri isolati semplici t1 , t2 , .... e
X(t) è incognita, allora la soluzione è:
X(t) =
∞
X
ak δ(t − tk ).
k=1
Esempio.
Risolvere l’equazione:
³
Gli zeri di ejω0 t − 1 sono tn =
´
ejω0 t − 1 · X(t) = 0.
2π
2nπ
= nT, (T =
) e allora:
ω0
ω0
X(t) =
∞
X
n=−∞
an δ(t − nT ).
164
Lezione 35
Prodotto di convoluzione di funzioni.
Siano f, g due funzioni ∈ L1loc . Si dice prodotto di convoluzione delle funzioni f e g e
si indica con f ∗ g, la funzione h(t), quando esiste, definita da:
Z
h(t) = f (t) ∗ g(t) = (f ∗ g)(t) =
R
f (τ )g(t − τ )dτ.
Il prodotto di convoluzione è lineare a destra e a sinistra e commutativo. Infatti:
Z
∀λ1 , λ2 ∈ C, (λ1 f1 + λ2 f2 ) ∗ g =
Z
= λ1
(λ1 f1 + λ2 f2 )(τ )g(t − τ )dτ
Z
R
f1 (τ )g(t − τ )dτ + λ2
R
f2 (τ )g(t − τ )dτ = λ1 (f1 ∗ g)(t) + λ2 (f2 ∗ g)(t),
Z
f ∗ (λ1 g1 + λ2 g2 ) =
Z
= λ1
R
R
(f ∗g)(t) =
Z
f (t)g1 (t − τ )dτ + λ2
R
Z
R
f (τ )g(t−τ ))dτ = −
R
f (τ )(λ1 g1 + λ2 g2 )(t − τ )dτ
f (t)g2 (t − τ )dτ = λ1 (f ∗ g1 )(t) + λ2 (f ∗ g2 )(t).
Z −∞
+∞
Z
f (t−θ)g(θ)dθ =
R
f (θ)g(t−θ))dθ = (g∗f )(t)
L’integrale di convoluzione si può interpretare come il risultato di una serie di
operazioni geometriche qui di seguito elencate:
1) riflessione di g(τ ) attorno all’asse delle ordinate, allo scopo di ottenere g(−τ );
2) traslazione di g(−τ ) di ammontare pari a −t, onde ottenere g(t − τ );
3) moltiplicazione per f (τ );
4) calcolo dell’area di f (τ )g(t − τ ) intersecata dall’asse τ .
Un caso interessante è fornito da:
µ ¶
1
t
f () ∗ p1
k
k
µ
Z
=
R
f (τ )p1
¶
t−τ
1 Z t+ 2
dτ =
f (τ )dτ,
k
k t− k2
k
pertanto il prodotto
di convoluzione
risulta essere il valor medio della funzione f (t)
"
#
µ ¶
k
k
1
t
nell’intervallo t − , t +
. Quando k → 0, p1
(che sottende area unitaria)
2
2
k
k
tende a δ(t) e si conclude (con questo passaggio al limite nel senso delle distribuzioni)
che f ∗ δ = f , ovvero che δ rappresenta l’unità del prodotto di convoluzione.
Funzioni unilatere.
Si dice funzione unilatera (destra) ogni funzione f (t) nulla per t < 0. Si dice funzione
unilatera (sinistra) ogni funzione f (t) nulla per t > 0. La funzione u(t) è unilatera
destra, la funzione u(−t) è unilatera sinistra. Ogni funzione unilatera destra si può
165
scrivere sotto la forma u(t)g(t), ove g(t) non è necessariamente nulla per t < 0, mentre
ogni funzione unilatera sinistra si scrive sotto la forma u(−t)g(t).
Prodotto di convoluzione di funzioni unilatere destre.
Consideriamo due funzioni unilatere destre u(t)f (t), u(t)g(t) con f, g ∈ L1loc , non
necessariamente nulle per t < 0. Allora:
Z
u(t)f (t) ∗ u(t)g(t) =
R
u(τ )f (τ )u(t − τ )g(t − τ )dτ =
Z ∞
0
f (t)u(t − τ )g(t − τ )dτ,
ove si è usato il fatto che ∀τ < 0, u(τ ) = 0. Avendo limitato l’integrazione a τ > 0,
u(t − τ ) risulta diverso da 0 solo nel caso t > 0, τ < t: pertanto:
u(t)f (t) ∗ u(t)g(t) = u(t)
Z t
0
f (τ )g(t − τ )dτ.
Esempio.
Calcolare u(t) sin t ∗ u(t) sin t.
Si ha subito:
u(t) sin t ∗ u(t) sin t = u(t)
= u(t) sin t
= u(t)
Z t
0
Z t
0
sin τ sin(t − τ )dτ
sin τ cos τ dτ − u(t) cos t
Z t
0
sin2 τ dτ
sin3 t
t
sin 2t
u(t)
− u(t) cos t + u(t) cos t
=
(sin t − t cos t).
2
2
4
2
Derivata di un prodotto di convoluzione.
La derivata di un prodotto di convoluzione è pari alla derivata di uno dei due fattori
moltiplicata, secondo la convoluzione, per il fattore rimanente. Infatti:
Se ∃f 0 ⇒
d
(f ∗ g) = f 0 ∗ g
dt
Se ∃g 0 ⇒
d
(f ∗ g) = f ∗ g 0
dt
Se ∃f 0 , g 0 ⇒
d
(f ∗ g) = f 0 ∗ g = f ∗ g 0
dt
Ad esempio, se ∃g 0 ,
Z
d
d Z
d
(f ∗ g) =
f (τ )g(t − τ ))dτ =
f (τ ) g(t − τ ))dτ = f ∗ g 0 ,
dt
dt R
dt
R
e in modo simile per le altre espressioni.
166
Segue anche che, detto p(D) un polinomio di grado n a coefficienti costanti
d
nell’operatore D = , allora si deduce (nel caso in cui le derivate f (k) , g (k) , n = 1, .., k
dt
esistono):
p(D)(f ∗ g) = (p(D)f ) ∗ g = f ∗ (p(D)g).
Sia ora f infinitamente derivabile, allora il prodotto di convoluzione f ∗ g risulta infinitamente derivabile: per la derivabilità infinita basta pertanto quella di uno dei
due fattori. Questa proprietà viene correntemente usata per effettuare lo smoothing(lisciatura) di funzioni dotate di discontinuità. Basta infatti effettuare il prodotto
di convoluzione per una opportuna funzione infinitamente derivabile per ottenere una
funzione priva di discontinuità e infinitamente derivabile.
Esempio.
Consideriamo il prodotto di convoluzione di u(t) con la funzione infinitamente
sin Ωt
derivabile
(entro l’integrale poniamo Ω(t − τ ) = θ):
πt
uΩ (t) = u(t) ∗
Z Ωt
sin Ωt
1 Z ∞ sin Ω(t − τ )
sin θ
=
dτ =
.
πt
π 0
t−τ
−∞ θ
Detta Si(t) la funzione integralseno definita da:
Si(t) =
Z t
sin θ
θ
0
dθ,
si ricava subito:
1 1
+ Si(Ωt).
2 π
L’andamento di uΩ è quello di una funzione indefinitamente derivabile che segue in
valor medio l’andamento di u(t), con oscillazioni sopra e sotto i valori 0 e 1 assunti
sin t
dalla funzione a gradino. Infatti Si0 (t) =
e pertanto i punti di massimo sono in
t
(2k + 1)π mentre i punti di minimo sono in 2kπ. Ad esempio Si(π) ∼ 0.59π, mentre
Si(2π) ∼ 0.455π . Pertanto uΩ , quando t > 0, compie oscillazioni attorno alla retta
y = 1 e le oscillazioni si smorzano man mano che t → ∞.
uΩ (t) =
Associatività del prodotto di convoluzione.
In generale, il prodotto di convoluzione non è associativo. Se però, date tre funzioni
f, g, h localmente sommabili esistono f ∗ g, (f ∗ g) ∗ h, g ∗ h, f ∗ (g ∗ h), allora, in tal
caso:
f ∗ (g ∗ h) = (f ∗ g) ∗ h = f ∗ g ∗ h.
Infatti, sotto le ipotesi indicate:
Z ·Z
(f ∗ g) ∗ h =
R
Z
=
R
¸
R
Z
f (τ )dτ
R
Z
f (τ )g(θ − τ )dτ h(t − θ)dθ =
R
Z
f (τ )dτ
R
g(θ − τ )h(t − θ)dθ
Z
g(u)h((t − τ ) − u)du =
R
f (τ )(g ∗ h)(t − τ )dτ = f ∗ (g ∗ h).
167
Integrale del prodotto di convoluzione.
Come applicazione, siano f, g integrabili (secondo l’integrazione impropria) sull’intero
asse reale, cioé tali che:
Z
Z
R
f (t)dt < ∞,
R
g(t)dt < ∞.
Supponiamo esista f ∗ g: calcoliamo allora l’integrale di f ∗ g. Si ha:
Z
f ∗1=
Z
R
f (t)dt, g ∗ 1 =
g(t)dt,
R
Z
Z
(f ∗ g) ∗ 1 =
R
(f ∗ g)(t)dt, f ∗ (g ∗ 1) =
Z
⇒
R
Z
Z
(f ∗ g)(t)dt =
R
f (t)dt
R
Z
R
f (t)dt
R
g(t)dt
g(t)dt
Supporto di un prodotto di convoluzione.
Abbiamo il seguente risultato: se f ∗ g esiste e se si definisce:
supp f + supp g = {τ + θ, τ ∈ supp f, θ ∈ supp g}
allora:
supp f ∗ g ⊆ supp f + supp g.
Infatti, per la definizione di supporto:
supp f ∗ g = {t|(f ∗ g)(t) 6= 0} = {t|∃τ : f (τ ) 6= 0, g(t − τ ) 6= 0}
= {τ + θ|f (τ ) 6= 0, g(θ 6= 0} = {τ + θ, τ ∈ supp f, θ ∈ supp g} = supp f + supp g.
Si ha la seguente conseguenza: se f = 0 per t < a e g < 0 per t < b, allora f ∗ g = 0
per t < a + b. Infatti:
supp f + supp g = {τ + θ|τ ≥ a, θ ≥ b} = {t|t ≥ a + b}.
168
Lezione 36
Prodotto di convoluzione di distribuzioni.
Per arrivare alla definizione del prodotto di convoluzione di distribuzioni, occorre
determinare il funzionale integrale associato al prodotto f ∗g. Sia pertanto f ∗g ∈ L1loc
e ϕ ∈ D; allora
(f ∗ g)[ϕ] =
Z
Z
Z
R
(f ∗ g)(t)ϕ(t)dt =
R
ϕdt
R
f (τ )g(t − τ )dτ dt
Z Z
=
R2
f (τ )g(t − τ )ϕ(t)dτ dt,
da cui, ponendo θ = t − τ , si ricava:
Z Z
(f ∗ g)[ϕ] =
Ora, essendo:
Z
R2
f (τ )g(θ)ϕ(θ + τ )dτ dθ =
R
Z
f (τ )dτ
R
g(θ)ϕ(τ + θ)dθ
Z
R
g(θ)ϕ(τ + θ)dθ = g(θ)[ϕ(τ + θ)]
ancora una funzione di prova in τ , segue che:
∀t = θ + τ, (f ∗ g)(t)[ϕ(t)] = f (τ ) [g(θ)[ϕ(τ + θ)]] .
Si generalizza questo risultato al caso delle distribuzioni e si ottiene la seguente
definizione del prodotto di convoluzione per distribuzioni.
Definizione di convoluzione tra distribuzioni
Siano F, G ∈ D0 : il prodotto di convoluzione (F ∗ G)(t) è la distribuzione definita da:
∀ϕ ∈ D, ∀t = θ + τ, (F ∗ G)(t)[ϕ(t)] = F (τ ) [G(θ)[ϕ(τ + θ)]] .
La definizione non assicura l’effettiva esistenza del prodotto di convoluzione. Infatti,
anche se ϕ(t) è a supporto limitato in R, la funzione ϕ(τ + θ) non è a supporto
limitato in R2 . Infatti, indicati con a e b, a < b, gli estremi del supporto di ϕ, risulta
ϕ 6= 0, ∀a < τ + θ < b e pertanto il supporto di ϕ(τ + θ) risulta essere in R2 una
intera striscia racchiusa dalle rette τ + θ = a e τ + θ = b.
Si dimostra al proposito il seguente teorema.
Siano F, G ∈ D0 e siano supp F, supp G i loro supporti. Poiché il supporto di
F ∗ G è il prodotto cartesiano supp F × supp G Allora il prodotto di convoluzione
esiste se, qualunque sia la striscia supp ϕ(τ + θ), l’insieme:
∀ϕ ∈ D, {supp F × supp G} ∩ supp ϕ(τ + θ)
ha misura finita.
169
Ad esempio, il prodotto di convoluzione di due distribuzioni a supporto limitato
esiste sempre. Esiste dunque anche il prodotto di convoluzione di una distribuzione a
supporto limitato con una a supporto non limitato. Esiste infine sempre il prodotto
di convoluzione di due distribuzioni a supporto [a, ∞] o a supporto [−∞, b].
Proprietà.
1) Siano F, G ∈ D0 tali che ∃F ∗ G. Allora:
F ∗ G = g ∗ F.
2) Siano F, G ∈ D0 tali che ∃F ∗ G. Segue:
supp F ∗ G ⊆ supp F + supp G
(in particolare, se F, G ∈ D0 hanno supporto contenuto in R+ , allora F ∗G ha supporto
contenuto in R+ ).
3) Siano F, G, H ∈ D0 tali che ∃F ∗ G, G ∗ H, F ∗ (G ∗ H), (F ∗ G) ∗ H; allora:
F ∗ (G ∗ H) = (F ∗ G) ∗ H = F ∗ G ∗ H.
Applicazioni a δ.
1) Sia F ∈ D0 e G = δ. Allora:
F ∗δ =δ∗F =F
cioé δ è l’unità del prodotto di convoluzione. Infatti:
∀ϕ ∈ D, ∀t = θ+τ, (F ∗δ)(t)[ϕ(t)] = F (τ ) [δ(θ)[ϕ(τ + θ)]] = F (τ )[ϕ(τ )] = F (t)[ϕ(t)].
2) Sia F ∈ D0 e G = δ(t − t0 ). Allora:
F (t) ∗ δ(t − t0 ) = F (t − t0 ).
Infatti:
∀ϕ ∈ D, ∀t = θ + τ, F (t) ∗ δ(t − t0 )[ϕ(t)] = F (τ ) [δ(θ − t0 )[ϕ(τ + θ)]]
= F (τ )[ϕ(τ + t0 )] = F (t − t0 )[ϕ(t)]
Per traslare una distribuzione (e dunque anche una funzione) di t0 , basta farne la
convoluzione con δ traslata di t0 .
3) Siano F, G ∈ D0 tali che ∃F ∗ G. Allora:
(F ∗ G)(t − t0 ) = F (t − t0 ) ∗ G(t) = F (t) ∗ G(t − t0 ).
170
Infatti è possibile usare la associatività, ottenendo:
(F ∗ G)(t − t0 ) = (F ∗ G) ∗ δ(t − t0 ) = F (t) ∗ (G(t) ∗ δ(t − t0 )) = (F (t) ∗ δ(t − t0 )) ∗ G(t).
Per traslare un prodotto di convoluzione, basta allora traslare soltanto uno dei due
fattori.
4) Sia F ∈ D0 , allora:
F (m) = F ∗ δ (m)
Infatti:
h
i
∀ϕ ∈ D, ∀t = θ + τ, (F ∗ δ (m) )(t)[ϕ(t)] = F (τ ) δ (m) (θ)[ϕ(τ + θ)]
= F (τ )[(−1)m ϕ(m) (τ )] = F (m) (t)[ϕ(t)].
Per derivare una distribuzione m volte basta farne il prodotto di convoluzione con la
derivata m − esima di δ.
Esempio di un prodotto di convoluzione non associativo.
Sia F = 1, G = δ 0 , H = u; segue:
(1 ∗ δ 0 ) ∗ u = 0, 1 ∗ (δ 0 ∗ u) = 1 ∗ δ = 1.
L’associatività non è verificata perché non esiste 1 ∗ u.
Reciproca di una distribuzione rispetto alla convoluzione.
Sia F ∈ D0 : si dice reciproca di F rispetto alla convoluzione la distribuzione G (se
esiste) tale che:
F ∗ G = δ.
Applicazione alle equazioni differenziali.
Una equazione differenziale di ordine n a coefficienti costanti, scritta sotto la forma:
n
X
ak y (k) (t) = s(t)
k=0
si può scrivere sotto la forma equivalente:
à n
X
!
ak δ
(k)
∗ y(t) = s(t).
k=0
Sotto questa forma, compare la distribuzione:
P (δ) =
n
X
k=0
ak δ (k)
171
che è un polinomio formale in δ e nelle sue derivate fino all’ordine n. Se fosse possibile determinare la distribuzione reciproca di P (δ), allora sarebbe facile trovare un
integrale particolare dell’equazione data. Infatti, da:
P (δ)(t) ∗ G(t) = δ(t)
segue subito, visto che l’associatività è soddisfatta:
G(t) ∗ (P (δ(t)) ∗ y(t)) = (G(t) ∗ P (δ(t))) ∗ y(t) = y(t)
da cui segue la soluzione cercata:
y(t) = G(t) ∗ s(t).
In questo contesto, G(t) si dice distribuzione di Green della equazione differenziale
data.
Si noti che:
P (δ(t)) ∗ G(t) = δ(t)
è la stessa equazione di partenza, con s(t) sostituita da δ(t). Questa osservazione ci
permette di determinare G(t).Infatti, essendo supp δ il punto t = 0, sia per t > 0 che
per t < 0 l’equazione per G coincide con l’omogenea associata:
n
X
ak w(k) (t) = 0.
k=0
Allora G(t) può essere messa sotto la forma:
G(t) = u(t)
n
X
λk wh ,
h=1
ove w1 , w2 , .., wn sono n soluzioni linearmente indipendenti della omogenea associata.
Sostituendo nella equazione cui soddisfa G si ottiene allora un sistema di n equazioni
nelle n costanti incognite λ1 , λ2 , .., λk che ammette una ed una sola soluzione.
Esempio.
Sia data l’equazione, con s(t) = u(t)r(t) unilatera:
y 00 + ω 2 y = s(t).
In questo caso:
G00 + ω 2 G = δ, w1 = cos ωt, w2 = sin ωt, G(t) = u(t)(λ1 cos ωt + λ2 sin ωt),
da cui λ1 = 0, λ2 =
1
ω
G(t) =
e:
Z t
u(t)
sin ωt ⇒ y(t) = u(t) r(τ ) sin ω(t − τ )dτ.
ω
0
172
Esercitazione 9
Esercizi su distribuzioni.
1) Verificare che le seguenti corrispondenze sono lineari:
a)
Z
f : D −→ C : ϕ −→ f [ϕ] =
R
f (t)ϕ(t)dt
ove f ∈ L1loc ;
b)
δ : D −→ C : ϕ −→ δ[ϕ] = ϕ(0);
c)
δ 0 : D −→ C : ϕ −→ δ 0 [ϕ] = −ϕ0 (0).
Soluzione.
Per provare a) si deve verificare che:
∀λ1 , λ2 ∈ C, ∀ϕ1 , ϕ2 ∈ D, f [λ1 ϕ1 + λ2 ϕ2 ] = λ1 f [ϕ1 ] + λ2 f [ϕ2 ]
Essendo data la definizione di f , si ricava subito:
Z
∀λ1 , λ2 ∈ C, ∀ϕ1 , ϕ2 ∈ D,
Z
R
[λ1 ϕ1 + λ2 ϕ2 ]dt = λ1
R
Z
ϕ1 dt + λ2
R
ϕ2 dt
Per provare b) si utilizza la definizione della distribuzione δ:
∀λ1 , λ2 ∈ C, ∀ϕ1 , ϕ2 ∈ D, δ[λ1 ϕ1 + λ2 ϕ2 ] = λ1 ϕ1 (0) + λ2 ϕ2 (0) = λ1 δ[ϕ1 ] + λ2 δ[ϕ2 ]
Per provare c) si usa la definizione di δ 0 :
∀λ1 , λ2 ∈ C, ∀ϕ1 , ϕ2 ∈ D, δ 0 [λ1 ϕ1 + λ2 ϕ2 ] = −λ1 ϕ01 (0) − λ2 ϕ02 (0) = λ1 δ 0 [ϕ1 ] + λ2 δ 0 [ϕ2 ]
2) Si consideri la successione di funzioni definite da:



 n
1
n
wn (t) =
1


 0 ∀ t < 0, ∀ t >
n
Dire qual’è il limite puntuale per n → ∞ della successione {wn } e calcolare:
∀t:0≤t≤
lim wn .
n→∞D0
Soluzione.
173
La successione data converge puntualmente se:
∀t ∈ R,
lim |wm − wn | = 0.
m,n→∞
La disequazione è certo verificata per t ≤ 0. Sia ora t0 > 0. Sia N ≥
1
. Allora
t0
1
1
1
1
< t0 , < t0 : dunque per definizione
e ∀n > N ≥
risulta
t0
t0
m
n
wm (t0 ) = wn (t0 ) = 0 e allora si è trovato un N tale che ∀m, n > N ,|wm − wn | = 0.
Pertanto la successione {wn } converge puntualmente. Si ha inoltre:
∀m > N ≥
lim wn = 0
n→∞
ove il limite è il limite puntuale. Per t < 0 il risultato è ovvio. Per t > 0, basta
1
1
1
prendere N ≥ , n ≥ N ≥ . Segue che ∀n > N, t > e pertanto si ha limn→∞ wn =
t
n
n
0.
Per calcolare limn→∞D0 wn osserviamo che:
Z
lim
n→∞
R
wn (t)ϕ(t)dt = n→∞
lim n
Z n
0
ϕ(t)dt = lim n ·
1
1
ϕ(θn ) = ϕ(0), 0 < θn < .
n
n
3) Indicare la funzione f ∈ L1loc descritta da:
∀ϕ ∈ D, ϕ →
Z b
a
ϕ(t)dt
Soluzione.
Si tratta della funzione caratteristica dell’intervallo [a, b], che può essere messa sotto
la forma:
f (t) = χ(t) = u(t − b) − u(t − a).
4) Sia data la successione:
(
ln (t) =
C(n)(1 − n|t|) ∀ t : − n1 ≤ t ≤ n1
0
∀ t < 0, ∀ |t| > n1
Determinare C(n) in modo che:
lim ln = δ(t)
n→∞D0
e calcolare allora:
lim l0 .
n→∞D0 n
Soluzione.
174
2
Il grafico della funzione (1 − n|t|) è costituto da un triangolo di base e di altezza
n
1
1: l’area è . Se la successione deve tendere a δ, l’area sottesa da ciascun elemento
n
della successione deve essere 1 e pertanto C(n) = n.
La successione delle derivate prime è:
ln0 (t) =




0







 n2
1
t<−
n
1
− ≤t≤0
n
1
0<t≤
t
1
t>
n



−n2







 0
Allora, tenendo conto che ϕ(−∞) = ϕ(+∞) = 0:
lim ln0 = lim
n→∞D0
= − lim
Z +∞
n→∞ −∞
Z +∞
n→∞ −∞
ln0 (t)ϕ(t)dt
ln (t)ϕ0 (t)dt = −ϕ0 (0) = δ 0 (t)[ϕ(t)].
5) Esprimere:
u(t)f 0 (t), u(t)f 00 (t)
ove f ∈ C ∞ (R) mediante la funzione unilatera fu (t) = u(t)f (t) e le sue derivate.
Soluzione
Per quanto riguarda la prima formula, osserviamo che:
d
[u(t)f (t)] = (fu )0 = u(t)f 0 (t) + f (t)u0 (t) = u(t)f 0 (t) + f (0)δ
dt
da cui:
u(t)f 0 (t) = (fu (t))0 − f (0)δ.
La seconda formula si ottiene, derivando la derivata ottenuta:
(fu (t))00 = (u(t)f 0 (t) + f (0)δ(t))0 = f 0 (t)δ(t) + u(t)f 00 (t) + f (0)δ 0 (t)
= f 0 (0)δ(t) + u(t)f 00 (t) + f (0)δ 0 (t)
da cui:
u(t)f 00 (t) = (fu (t))00 − f (0)δ 0 (t) − f 0 (0)δ(t).
6) Trovare la derivata prima della funzione:
f (t) = sgn(t3 − t).
Soluzione.
175
Si ha:

−1 ∀t : t < −1




+1 ∀t : −1 < t < 0
−1 ∀t : 0 < t < 1



+1 ∀t : t > 1
sgn(t3 − t) = 
Pertanto:
d
(sgn(t3 − t)) = 2δ(t + 1) − 2δ(t) + 2δ(t − 1).
dt
7) Derivare fino all’ordine 4 la funzione:
|t3 − t|.
Soluzione. Si ha:
d 3
d
|(t − t)| = [(t3 − t)(sgn(t3 − t))]
dt
dt
2
3
3
= (3t − 1)(sgn(t − t)) + (t − t)[2δ(t + 1) − 2δ(t) + 2δ(t − 1)] = (3t2 − 1)(sgn(t3 − t))
d2 3
|(t − t)| = 6t(sgn(t3 − t)) + (3t2 − 1)[2δ(t + 1) − 2δ(t) + 2δ(t − 1)]
dt2
= 6t(sgn(t3 − t)) + 4δ(t + 1) + 2δ(t) + 4δ(t − 1)
d3 3
d
|(t − t)| = [6t(sgn(t3 − t)) + 4δ(t + 1) + 2δ(t) + 4δ(t − 1)]
3
dt
dt
3
= 6sgn(t − t) − 12δ(t + 1) + 12δ(t − 1) + 4δ 0 (t + 1) + 2δ 0 (t) + 4δ 0 (t − 1)]
d4 4
|(t − t)| =
dt4
= 12δ(t+1)−12δ(t)+12δ(t−1)−12δ 0 (t+1)+12δ 0 (t−1)+4δ 00 (t+1)+2δ 00 (t)+4δ 00 (t−1)].
176
Esercitazione 10
Esercizi sul prodotto di convoluzione.
1) Calcolare il seguente prodotto di convoluzione:
u(t)eat ∗ u(t) sin(bt), a ∈ R, b ∈ R, a2 + b2 6= 0.
Soluzione.
Si trova subito:
u(t)eat ∗ u(t) sin(bt) = u(t)
= u(t)
·Z t
0
aτ
0
e sin(bt) cos(bτ )dτ −
·
= u(t) sin(bt)
Ora:
Z t
Z t
0
eaτ sin[b(t − τ )]dτ
Z t
0
¸
aτ
e cos(bt) sin(bτ )dτ
aτ
e cos(bτ )dτ − cos(bt)
Z
Z t
0
¸
aτ
e sin(bτ )dτ .
eat sin(bt)dt =
eat
[a sin(bt) − b cos(bt)]
a2 + b2
eat cos(bt)dt =
eat
[a cos(bt) + b sin(bt)]
a2 + b2
Z
e pertanto:
"
µ
eat
a
u(t)e ∗ u(t) sin(bt) = u(t) sin(bt) 2
a cos(bt) + b sin(bt) − 2
2
a +b
a + b2
at
"
µ
eat
a
−u(t) cos(bt) 2
a sin(bt) − b cos(bt) + 2
2
a +b
a + b2
=
2) Data la funzione:
u(t)
[beat − a sin(bt) − b cos(bt)].
a2 + b2
µ
T
pT (t) = u t +
2
verificare che:
Z
¶
µ
T
−u t−
2
Z
R
¶#
(pT ∗ pT )(t)dt =
R
¶
Z
pT (t)dt
R
pT (t)dt.
Soluzione.
Si trova subito che:
(pT ∗ pT )(t) = [u(t + T ) − u(t)](t + T ) + [u(t) − u(t − T )](T − t).
¶#
177
Pertanto:
Z
R
Z
(pT ∗ pT )(t)dt =
=
{[u(t + T ) − u(t)](t + T ) + [u(t) − u(t − T )](T − t)} dt
R
Z 0
−T
tdt +
Z 0
dt +
−T
mentre:
Z T
0
T dt −
Z T
0
tdt = T 2
Z
R
pT (t)dt = T,
e segue il risultato.
3) Calcolare il seguente prodotto di convoluzione:
u(t − 2) ∗ tu(t).
Soluzione.
Si trova subito:
u(t − 2) ∗ tu(t) = u(t)
Z t
0
u(τ − 2)(t − τ )dτ =
u(t − 2)(t − 2)2
2
L’integrale può anche essere calcolato nel seguente modo:
tu(t) ∗ u(t − 2) = u(t)
Z t
0
τ u(t − 2 − τ )dτ =
u(t − 2)(t − 2)2
.
2
Lo stesso risultato può essere trovato osservando che il prodotto di convoluzione da
calcolare è ottenuto traslando di 2 la funzione u(t): basta pertanto calcolare:
tu(t) ∗ u(t) = u(t)
Z t
0
τ dτ =
u(t)t2
.
2
Se si trasla uno dei due termini di 2, il prodotto risulta allora traslato di 2.
4) Calcolare il seguente prodotto di convoluzione:
[u(t) − u(t − 2)] ∗ tu(t).
Soluzione.
Si ha subito:
u(t)t2 u(t − 2)(t − 2)2
[u(t) − u(t − 2)] ∗ tu(t) =
−
.
2
2
5) Calcolare il seguente prodotto di convoluzione:
∞
X
1
αn ejnω0 t .
[u(t) − u(t − T1 )] ∗
T1
−∞
178
Soluzione.
Z
∞
∞
X
X
1
1
jnω0 t
[u(t) − u(t − T1 )] ∗
αn e
=
[u(τ ) − u(τ − T1 )] ∗
αn ejnω0 (t−τ )
T1
T
R
1
−∞
−∞
=
∞
X
αn
−∞
ejnω0 t Z T1 −jnω0 τ
e
dτ
T1 0
ejnω0 t 1
αn
[e−jnω0 T1 − 1]
= α0 +
T1 −jnω0
n6=0
X

ejnω0 t 2 −jnω0 T1  ejnω0
2
= α0 +
αn
e
T
nω
1
0
n6=0
X
= α0 +
X 2αn e−jnω0
n6=0
nω0 T1
T1
2
µ
sin nω0
T1
2
− e−jnω0
2j
T1
2


¶
T1 jnω0 t
e
.
2
6) Verificare che:
d
(u ∗ f ) = f.
dt
Soluzione.
Si ha subito:
d
(u ∗ f ) =
dt
Ã
d
u∗f
dt
!
= δ ∗ f = f.
7) Sia f funzione a supporto limitato. Provare che:
d2
[|t| ∗ f (t)] = 2f (t).
dt2
Soluzione.
La condizione che f abbia supporto limitato assicura l’esistenza del prodotto di
convoluzione. Pertanto:
d2
[|t| ∗ f (t)] =
dt2
Ã
!
d2
|t| ∗ f (t) = 2δ(t) ∗ f (t) = 2f (t).
dt2
8) Risolvere la seguente equazione differenziale:
y 00 + 2y 0 − 3y = u(t)e−t .
Soluzione.
179
L’equazione caratteristica è s2 + 2s − 3 = 0 con soluzioni s1 = 1, s2 = −3 e le
soluzioni linearmente indipendenti della omogenea associata sono w1 = et , w2 = e−3t .
Si tratta di trovare la distribuzione di Green G(t) dell’equazione. Poiché:
G00 + 2G0 − 3G = δ
si può porre:
G(t) = u(t)(aet + be−3t ).
Si trova:
G0 (t) = (a + b)δ + u(t)(aet − 3be−3t )
G00 (t) = (a + b)δ 0 + (a − 3b)δ + u(t)(aet + 9be−3t )
Si ricava subito:
(
a+b =0
3a − b = 1
1
1
a= , b=− .
4
4
La distribuzione di Green è:
G(t) =
u(t) t
(e − e−3t ).
4
La soluzione particolare dell’equazione completa si ottiene calcolando:
y(t) = u(t)e−t ∗
u(t) t
(e − e−3t ).
4
Si trova subito:
u(t)e
−t
u(t) t
u(t) Z t −τ t−τ
u(t) t
−3t
∗
(e − e ) =
(e (e − e−3(t−τ ) )dτ =
(e + 3e−3t − 2e−t ).
4
4 0
8
Esercizi proposti.
1) Usando la proprietà di traslazione, calcolare:
tu(t) ∗ tu(t − 4).
2) Calcolare il prodotto di convoluzione:
p1 ∗ u(t) sin t.
3) Calcolare il prodotto di convoluzione:
½·
¸
u(t) − u(t −
¾
1
(4t − 1) ∗ u(t) cos t.
2
180
4) Calcolare il prodotto di convoluzione:
{[u(t) − u(t − 1)]t + [u(t − 1) − u(t − 2)](2 − t)} ∗ u(t) cos t
5) Calcolare il prodotto di convoluzione:
δ 000 ∗ | sin t|
6) Calcolare il prodotto di convoluzione:
[u(t) − δ 0 (t − 1)] ∗ u(t)e−t .
7) Calcolare il prodotto di convoluzione:
u(t)(ejt + e−3jt ) ∗ (δ(t − 1) + δ 0 (t − 4)).
181
Lezione 37
Trasformata di Fourier di funzioni.
Sia f : R −→ C una funzione della variabile reale t. La corrispondenza:
Z
F : f −→ F (ω) =
R
f (t)e−jωt dt
si dice trasformazione di Fourier. Quando esiste, la funzione F (ω) si dice trasformata
di Fourier di f . Si scrive anche:
F (ω) = F[f (t)].
Si dice anche che, quando esiste, F (ω) è l’integrale di Fourier di f (t), per mettere in
evidenza che, come vedremo, la trasformata di Fourier molte volte non esiste come
funzione perchè generalmente sarà una distribuzione.
Abbiamo subito una condizione sufficiente (ma non necessaria) affinché una funzione ammetta trasformata di Fourier che sia una funzione.
Definizione dello spazio di funzioni L1 .
Una funzione complessa della variabile reale t si dice sommabile se e solo se:
Z
R
|f |dt < ∞.
Le funzioni sommabili costituiscono uno spazio vettoriale complesso che viene indicato
con L1 . Ovviamente L1 ⊂ L1loc .
Esempi di funzioni ∈ L1
2
e−t , e−|t| ,
1
1
, u(t), [u(t + 1) − u(t − 1)]ln|t|, [u(t + 1) − u(t − 1)] √ .
2
1+t
t
Condizione sufficiente per l’esistenza di F (ω).
Sia f ∈ L1 e continua: allora esiste F (ω) continua, limitata e tale che limω→∞ F (ω) =
0.
Infatti:
¯Z
¯
|F (ω)| = ¯¯
R
¯
¯
f (t)e−jωt dt¯¯ ≤
Z
R
|f (t)|dt < ∞.
La continuità rispetto a ω proviene dalla continuità di e−jωt rispetto a ω, mentre
l’annullarsi del limite proviene dalla continuità di f .
Non è difficile trovare funzioni f ∈
/ L1 per le quali esiste l’integrale di Fourier.
Si può collegare la trasformata di Fourier alla serie di Fourier tramite il seguente
argomento euristico.
182
Sia f¸(t) ∈ L1 continua: consideriamo il suo sviluppo di Fourier nell’intervallo
T T
− ,
, scritto sotto la forma complessa:
2 2
∞
X
T
an ejnω0 t , |t| < ,
f (t) =
2
−∞
ove:
1Z
2π
, an =
f (t)e−jnω0 t dt.
ω0 =
T
T R
La serie di Fourier è una funzione periodica di periodo T che coincide con f (t)
T T
T T
nell’intervallo [− , ], mentre al di fuori dell’intervallo [− , ] non ha più a che
2 2
2 2
vedere con la funzione, essendo f (t) in genere non periodica.
Allora, se si aumenta T , è evidente che la serie coinciderà in parti sempre maggiori
della retta reale con la funzione f (t). Al limite per T −→ ∞, serie e funzione
coincideranno dappertutto. Si tratta di vedere come si modificano le formule quando
T −→ ∞. Innanzi tutto osserviamo che nω0 è una variabile discreta, i cui valori
consecutivi differiscono di ω0 . Pertanto l’intervallo tra due valori consecutivi diventa
tanto minore quanto maggiore diventa T . Al limite per T −→ ∞, la variabile nω0
diventa una variabile continua ω e l’intervallo tra i valori consecutivi diventa una
intervallo infinitesimo dω: possiamo cioè affermare che:
·
T −→∞ ⇒ nω0 −→ ω, ω0 −→ ω
Con questa osservazione risulta allora che:
Z
T −→ ∞ ⇒ T an →
R
f (t)e−jωt dt = F (ω).
Scriviamo ora la serie sotto la forma:
f (t) =
∞
∞
1 X
1 X
T an ejnω0 t ω0 =
(T an )ejnω0 t ω0
T ω0 −∞
2π −∞
Con la stessa argomentazione euristica di prima concludiamo:
T −→ ∞ ⇒
∞
1 X
1 Z
F (ω)ejωt dω,
(T an )ejnω0 t −→ f (t) =
2π −∞
2π R
poiché la somma sulla variabile discreta nω0 diventa l’integrale sulla variabile continua
ω. La trasformata di Fourier può allora essere assimilata all’analogo continuo dei
coefficienti di una serie di Fourier in un intervallo di ampiezza finita. L’espressione
ottenuta per f (t) ci permette allora di considerare il concetto di antitrasformazione.
Antitrasformazione di Fourier.
Sia F (ω) una funzione complessa della variabile reale ω. Si dice antitrasformazione
di Fourier la corrispondenza:
F −1 : F (ω) −→ f (t) =
1 Z
F (ω)ejωt dω.
2π R
183
Si scrive F −1 [F [(ω)] = f (t) e si dice che f è la antitrasformata di Fourier di F (ω).
Per la definizione si ha:
F −1 [F[f (t)]] = f (t), F[F −1 [F (ω)]] = F (ω),
ovvero:
F −1 ◦ F = 1 = F ◦ F −1 .
Tramite l’antitrasformata di Fourier è di fatto possibile generare due trasformate da
una sola funzione, come risulta dal seguente teorema.
Teorema di simmetria.
Sia f (t) tale che esista come funzione F (ω) = F[f (t)], cioè:
F : f (t) −→ F (ω)
Allora:
F : F (t) −→ 2πf (−ω)
cioè la funzione F (t) ha come trasformata di Fourier la funzione 2πf (−ω). Basta
infatti, nella definizione di integrale di Fourier, cambiare la variabile muta t in −ω
(questo implica lo scambio dei limiti, ma anche un cambio di segno del differenziale)
e poi, per evitare ambiguità, cambiare la variabile ω in t. Si può dunque scrivere:
Z
F (ω) =
R
f (t)e−jωt
Z
1 Z
2πf (−ω)ejωt dω = F −1 [2πf (−ω)].
2π
R
R
Esempi di calcolo di trasformate e di applicazione del teorema di simmetria.
⇒ F (t) =
f (−ω)e−jt(−ω) dω =
1) Calcolare:
F[pT (t)]
e trovare la trasformata di
sin Ωt
usando il teorema di simmetria.
πt
Si ha subito:
Z
F[pT (t)] =
R
Z
pT (t)e−jωt dt =


T


=  sin


³
ωT
2
ω
2
´
− T2
e−jωt dt
ω=0
ω 6= 0
perchè, quando ω 6= 0, la primitiva di e−jωt risulta −

T
2

1 −jωt
e
da cui:
jω
jωT
jωT
µ
¶
1 h −jωt i T2
e− 2 − e 2  2
ωT

−
e
=−
= sin
.
− T2
jω
jω
ω
2
184
Poichè:
µ
2
ωT
sin
ω→0 ω
2
lim
ricaviamo che:
¶
=T
µ
¶
ωT
sin
2 .
∀ω, F[pT (t)] =
ω
2
Osserviamo adesso che:
µ
¶
tT
sin
2 ∈
/ L1 .
t
2
Tuttavia è possibile calcolare la sua trasformata di Fourier mediante il teorema di
simmetria. Infatti:

µ
tT
 sin

2
F
t

2
¶


 = 2πpT (−ω) = 2πpT (ω).

T
Ponendo
= Ω e dividendo per 2π entrambi i membri della equazione precedente,
2
si ricava:
·
¸
sin Ωt
F
= p2Ω (ω).
πt
Con il calcolo appena effettuato possiamo ottenere un risultato importante. Ricordiamo che:
sin Ωt
lim 0
= δ(t).
Ω→∞D
πt
Passando al limite sotto il segno di trasformata si ha:
·
lim 0 F
Ω→∞D
¸
sin Ωt
=F
πt
·
¸
lim
Ω→∞D0
sin Ωt
= F[δ(t)] = lim 0 p2Ω (ω) = 1(ω).
Ω→∞D
πt
Si conclude dunque che la trasformata di Fourier della distribuzione δ vale la funzione
costante 1(ω):
F[δ(t)] = 1(ω).
Se si applica formalmente il teorema di simmetria si conclude altresı̀ che (essendo δ
una distribuzione pari):
F[1] = 2πδ(ω).
Quest’ultima espressione si può scrivere sotto la forma (scorretta):
1 Z −jωt
e
dt
δ(ω) =
2π R
che diventa, cambiando t in ω e ω in t:
δ(t) =
1 Z
ejωt dω.
2π −R
185
Storicamente questa espressione fu una delle prime definizioni di δ: si tratta però di
una scrittura inconsistente dal punto di vista matematico.
2) Calcolare:
·
−α|t|
F (ω) = F[e
1
α
], α > 0, F
π α2 + ω 2
¸
Poiché e−α|t| = u(t)e−αt + u(−t)eαt , si trova:
Z
R
=
e−α|t| e−jωt =
Z ∞
0
e−(α+jω)t dt +
Z 0
−∞
e(α−jω)t dt
h
i∞
h
i0
1
1
1
1
2α
e−(α+jω)t +
e(α−jω)t
=
+
= 2
.
0
−∞
−(α + jω)
(α − jω)
α + jω α − jω
α + ω2
Usando il teorema di simmetria si deduce allora che:
·
¸
1 α
F
= e−α|ω| .
2
2
πα +t
186
Lezione 38
Proprietà della trasformata di Fourier di funzioni.
Le proprietà della trasformazione di Fourier sono importanti soprattutto per il
calcolo effettivo delle trasformate, che dunque non andranno mai calcolate usando
la definizione (tranne casi semplici quali quelli visti negli esempi precedenti). Prima
di elencare le proprietà possiamo esaminare la struttura dell’integrale di Fourier e
dedurne alcune conseguenze utili per semplificare i calcoli.
Sia f = f1 + jf2 . Segue che
[f1 + jf2 ](cos ωt − j sin ωt) = f1 cos ωt + f2 sin ωt + j(f2 cos ωt − f1 sin ωt),
e allora:
Z
Z
F (ω) =
R
(f1 cos ωt + f2 sin ωt)dt + j
R
(f2 cos ωt − f1 sin ωt)dt.
Discutiamo questo integrale quando 1) f è reale, 2)f è immaginaria pura.
1) f reale (⇔ f2 = 0). Risulta:
Z
F (ω) =
Z
R
f1 cos ωtdt − j
f1 sin ωtdt.
R
A questo punto facciamo intervenire la parità di f . Se f = f1 è pari, segue che:
F (ω) = 2
Z ∞
0
f1 cos ωt
e pertanto F (ω) è reale e pari in ω.
Segue: i) f reale e pari in t ⇒ F reale e pari in ω.
Se invece f = f1 è dispari, allora:
F (ω) = −2j
Z ∞
0
f1 sin ωt
e pertanto F (ω) immaginaria pura e dispari in ω.
Segue: ii) f reale e dispari in t ⇒ F immaginaria pura e dispari in ω.
2) f immaginaria pura (⇔ f1 = 0). In questo caso:
Z
F (ω) =
Z
R
f2 sin ωtdt + j
R
f2 cos ωtdt.
Facciamo di nuovo intervenire la parità di f . Se f è pari, allora:
F (ω) = 2j
Z ∞
0
f2 cos ωtdt
187
e pertanto F (ω) è immaginaria pura e pari in ω.
Segue: iii) f immaginaria pura e pari in t ⇒ F immaginaria pura e pari in ω. Se
infine f è dispari, allora:
F (ω) = 2
Z ∞
0
f2 (t) sin ωtdt
pertanto F (ω) è reale e dispari in ω.
Segue: iv) f immaginaria pura e dispari in t ⇒ F reale e dispari in ω.
Una ulteriore proprietà si ottiene dal calcolo seguente:
µZ
Z
F(f ∗ (t)) =
R
f ∗ e−jωt dt =
R
f (t)ejωt dt
¶∗
= F ∗ (−ω),
ovvero:
F : f ∗ (t) −→ F ∗ (−ω).
L’elenco che segue indica le proprietà più significative della trasformazione F.
1) Linearità.
Siano f1 , f2 funzioni tali che esistono F[f1 ], F[f2 ]. Allora:
∀λ1 , λ2 ∈ C, F[λ1 f1 + λ2 f2 ] = λ1 F[f1 ] + λ2 F[f2 ].
2) Cambiamento di scala.
Sia a 6= 0 e sia f funzione tale che esiste F[f ]. Allora:
µ
F[f (at)] =
ω
1
F[f (t)]
|a|
a
¶
=
1
F
|a|
µ
¶
ω
.
a
La proprietà si ottiene con il solito cambiamento di variabile t0 = at nell’integrale di
Fourier. Se a = −1 si ottiene:
F[f (−t)] = F (−ω) .
Allora, quando f (t) = f (−t), si ricava:
F[f (−t)] = F (−ω) = F[f (t)] = F (ω) ,
pertanto la trasformata di Fourier di una funzione pari è pari.
Se invece f (t) = −f (−t), si ricava:
F[f (−t)] = F (−ω) = F[−f (t)] = −F (ω) ,
pertanto la trasformata di Fourier di una funzione dispari è dispari.
188
(Questi risultati sono in accordo con quanto visto prima).
3) Traslazione in t.
Sia f tale che ∃F[f ] e sia t0 reale. Allora:
F[f (t − t0 )] = e−jωt0 F (ω).
(basta calcolare l’integrale di Fourier con il cambiamento t − t0 = t0 ).
4) Traslazione in ω.
Sia f tale che ∃F[f ] e sia ω0 reale. Allora:
h
i
F ejω0 t f (t) = F (ω − ω0 ).
(basta calcolare l’integrale di Fourier).
Regola mnemonica.
Di solito, si dice modulazione la moltiplicazione di una funzione per un esponenziale
immaginario del prodotto di una costante per la variabile. Allora le proprietà 3 ) e
4) si possono facilmente ricordare nel modo seguente:
traslazione in t −→ modulazione in ω,
traslazione in ω −→ modulazione in t.
Le proprietà che seguono sono le più importanti.
5) Derivazione in t.
Sia f di classe C 1 (R) e ∈ L1 . Sia a sua volta f 0 ∈ L1 . Allora:
F[f 0 ] = jωF (ω).
Infatti:
Z
0
F[f ] =
0 −jωt
R
fe
=
i+∞
f (t)e−jωt
−∞
h
Z
+ jω
R
f (t)e−jωt dt = jωF (ω)
poiché, se f è in L1 e continua, lim|t|→∞ f (t) = 0.
Se f è di classe C n (R) e f 0 , f 00 , .., f (n) sono ancora in L1 , allora, fino all’ordine n:
F[f (n) ] = (jω)n F (ω).
Questa proprietà ha una conseguenza molto importante. Infatti, prendendo i moduli,
si trova:
¯Z
¯
¯
¯
¯
¯
¯
(n) ¯
(n) −jωt ¯
¯
¯F[f ]¯ = ¯
f e
dt¯ = |ω|n |F (ω)|,
R
189
da cui, usando la disequazione modulare:
1
|F (ω)| =
|ω|n
R
¯
¯Z
(n)
¯
¯
|dt
C
R |f
(n) −jωt ¯
¯
f
e
dt
≤
≤
.
¯
¯
n
|ω|
|ω|n
R
Si conclude: tanto più f è derivabile a derivate sommabili, tanto più velocemente
decresce all’infinito F (ω).
Al limite per n → ∞ si conclude che una funzione f infinitamente derivabile in t
ammette una trasformata di Fourier F a decrescita rapida in ω.
6) Derivazione in ω.
Sia f continua e ∈ L1 e tale che tf ∈ L1 . Allora:
dF (ω)
= F[(−jt)f (t)].
dω
Se inoltre, fino all’ordine n, tf, .., tn f sono elementi continui di L1 , allora:
dn F (ω)
= F[(−jt)n f (t)].
dω n
I risultati si ottengono derivando sotto il segno.
Anche questa proprietà ha conseguenze importanti. Infatti, nel caso in cui esiste
dn F (ω
segue che la funzione continua tn f ∈ L1 . Allora lim|t|→∞ tn f (t) = 0 e:
dω n
c
lim tn f (t) = 0 ⇔ ∃c > 0, α > 0 : |f (t)| ≤ n+α .
|t|→∞
|t|
f dunque decresce più velocemente di
1
.
|t|n
Si conclude: tanto più velocemente decresce all’infinito la funzione f , tanto più è
derivabile la sua trasformata di Fourier F (ω).
Al limite per n → ∞ si conclude che una funzione f a decrescita rapida in t ammette
una trasformata di Fourier F infinitamente derivabile in ω.
Con questi due importanti risultati si dimostra allora il teorema seguente.
Sia St lo spazio vettoriale delle funzioni infinitamente derivabili a decrescita rapida
nella variabile t e sia Sω il corrispondente spazio nella variabile ω. Allora F è una
corrispondenza iniettiva , suriettiva e continua tra St e Sω :
F : St −→ Sω
F −1 : Sω −→ St .
Sostanzialmente le trasformate di Fourier di funzioni infinitamente derivabili e a
decrescita rapida rimangono a decrescita rapida e infinitamente derivabili. Questa
importante conseguenza ci permetterà di definire la trasformata di Fourier di distribuzioni.
190
Lezione 39
Trasformata di Fourier di distribuzioni a crescita lenta.
La proprietà che segue permette formalmente il calcolo di un prodotto di convoluzione, anche se vedremo che tale calcolo è più semplice con l’uso delle trasformate
di Laplace.
7) Trasformate e convoluzione.
Siano f, g continue e in L1 e tali che esista f ∗g continuo e in L1 . Siano F = F[f ], G =
F[g] funzioni tali che esiste F ∗ G. Allora:
F[f ∗ g] = F (ω)G(ω)
1
F (ω) ∗ G(ω).
2π
F[f g] =
Infatti (ponendo t0 = t − τ ):
Z µZ
F[f ∗ g] =
Z
=
R
R
R
Z
f (τ )dτ
0
R
g(t )e
¶
Z
f (τ )g(t − τ )dτ e−jωt dt =
−jω(t0 +τ )
R
Z
0
dt =
R
Z
f (τ )dτ
Z
f (τ )e
−jωτ
dτ
R
R
g(t − τ )e−jωt dt
0
g(t0 )e−jωt dt0 = F (ω)G(ω).
La seconda formula si ottiene dal teorema di simmetria, osservando che F (t)G(t) ha
come trasformata 2π(f ∗ g)(−ω) e pertanto f (t)g(t) ha per trasformata 2π(F ∗ G)(ω).
8) Formula di Parseval-Plancherel.
Siano f, g come in 7) con le ipotesi aggiuntive che f (t)g ∗ (t) e F (ω)G∗ (ω) siano in L1 .
Allora:
µ
¶
1 Z
1 Z
∗
∗
f (t)g (t)dt =
F (ω)G (ω)dω =
F (t)G (t)dt .
2π R
2π R
R
Z
∗
(il passaggio all’ultimo integrale è possibile poiché ω è variabile muta). Il calcolo
diretto è basato sull’osservazione seguente (quando la funzione f (t) possiede trasformata di Fourier a sua volta funzione di ω):
Z
R
f (t)dt = F[f (t)]ω=0 .
Pertanto:
Z
R
f (t)g ∗ (t)dt = F[f (t)g ∗ (t)]ω=0 =
·Z
¸
1
[F (ω) ∗ G∗ (−ω)]ω=0
2π
1 Z
1
∗
F (Ω)G (Ω − ω)dΩ
=
F (Ω)G∗ (Ω)dΩ,
=
2π R
2π R
ω=0
e con opportuni cambi della variabile muta si giunge al risultato.
191
Applicazione.
Quando f = g si ricava:
Z
1 Z
1 Z
2
|f (t)| dt =
|F (ω)| dω =
|F (t)|2 dt.
2π
2π
R
2
Si dice spazio L2 lo spazio vettoriale complesso delle funzioni f tali che:
Z
R
|f |2 dt < ∞.
Segue che F trasforma funzioni ∈ L2 in funzioni ∈ L2 .
Esempio.
Calcolare la trasformata di Fourier di:
2
f (t) = e−αt , α > 0.
Si devono usare le proprietà viste. Otteniamo, indicando con F (ω) la trasformata di
2
Fourier di e−αt :
·
¸
j 0
dF (ω)
j
j
ω
2
= F[−jte−αt ] = F
f (t) =
F[f 0 (t)] =
jωF (ω) = − F (ω),
dω
2α
2α
2α
2α
da cui segue l’equazione differenziale cui soddisfa F (ω):
dF (ω)
ω
+
F (ω) = 0.
dω
2α
La soluzione è:
ω2
F (ω) = Ke− 4α .
Si tratta ora di determinare K. Allo scopo, usiamo il fatto che F −1 [F (ω)] = f (t)
ottenendo l’eguaglianza:
∀t ∈ R,
K Z − ω2 jωt
2
e 4α e dω = e−αt ,
2π R
che, nel caso particolare t = 0 ci dà:
K Z − ω2
e 4α dω = 1.
2π R
Con il cambiamento di variabile
ω
dω
w = √ , dw = √
2 α
2 α
l’integrale precedente fornisce l’eguaglianza:
K √ Z −w2
2 α e dw = 1
2π
R
192
ed essendo
Z
2
R
otteniamo:
e−w dw =
√
π
√
r
K √ √
α
π
2 α π = 1 ⇒ K√ = 1 ⇒ K =
.
2π
π
α
Segue infine:
r
−αt2
F[e
]=
π − ω2
e 4α .
α
Vediamo ora come si può estendere la trasformata di Fourier alle distribuzioni. Ricerchiamo al solito il funzionale integrale associato alla trasformata di Fourier di una
funzione f (t) che possegga una trasformata di Fourier F (ω) che sia una funzione di
ω. Si ha, con ϕ(ω) funzione di prova:
Z
F[f (t)](ω)[ϕ(ω)] =
R
R
F (ω)ϕ(ω)dω =
R2
f (t)e−jωt ϕ(ω)dtdω
Z
Z
=
Z Z
f (t)dt
R
ϕ(ω)e−jωt dω = f (t)[F[ϕ](t)]
(si è cambiata la variabile ω con t e viceversa).
Questo calcolo sembrerebbe portare ad una buona definizione di trasformata di
Fourier di distribuzioni, perchè la trasformazione di Fourier viene trasferita dalla
funzione f alla funzione di prova ϕ. Purtroppo, se ϕ ∈ D, in generale F[ϕ] ∈
/ D
(infatti la trasformata di Fourier di una funzione a supporto limitato non risulta
in genere a supporto limitato, come il calcolo della trasformata di Fourier F[pT ] =
2
ωT
sin
ci permette di verificare).
ω
2
Si dovrà allora scegliere, come spazio delle funzioni di prova, uno spazio invariante
sotto la trasformazione di Fourier. Uno spazio del genere lo conosciamo: si tratta dello
spazio vettoriale complesso delle funzioni infinitamente derivabili a decrescita rapida,
per cui sappiamo che:
F : St −→ Sω
F −1 : Sω −→ St .
Pertanto, onde poter utilizzare la definizione ricavata dal calcolo del funzionale integrale associato alla trasformata di Fourier di una funzione, sceglieremo come spazio
delle funzioni di prova proprio St . Ma allora le funzioni descritte dai funzionali integrali su St saranno le funzioni a crescita lenta e il corrispondente spazio St0 delle
distribuzioni sarà lo spazio delle distribuzioni a crescita lenta. Siamo dunque in grado
di scrivere, detta σ ∈ St una funzione di prova e detta Σ una distribuzione a crescita
lenta, la definizione di trasformata di Fourier F{Σ} (useremo le parentesi graffe dopo
il simbolo di trasformazione per racchiudere distribuzioni, mentre le parentesi quadre
dopo il simbolo di trasformazione racchiuderanno funzioni). Si ha:
∀σ ∈ St , ∀Σ ∈ St0 , F{Σ}[σ] = Σ[F[σ]].
Risulta utile considerare la principale proprietà delle distribuzioni a crescita lenta,
che ci permetterà di individuarle.
193
Tutte le funzioni a crescita lenta sono distribuzioni a crescita lenta e la derivata di
una distribuzione a crescita lenta è ancora una distribuzione a crescita lenta.
Esempi.
du
1) La funzione u(t) è una funzione a crescita lenta: segue che δ =
è una disdt
tribuzione a crescita lenta.
1
d ln |t|
2) La funzione ln|t| è una funzione a crescita lenta: segue che p.f. =
è una
t
dt
distribuzione a crescita lenta.
P
3) La funzione ∞
−∞ u(t − nT ) è una funzione a crescita lenta: segue che sT (t) =
P∞
−∞ δ(t − nT ) è una distribuzione a crescita lenta.
4) La funzione sin et è una funzione a crescita lenta: segue che et cos et è una distribuzione a crescita lenta.
Non sarebbe difficile dare esempi di funzioni che non sono a crescita lenta e che
purtuttavia danno origine a distribuzioni a crescita lenta.
Un teorema che caratterizza completamente le distribuzioni a crescita lenta è il
seguente.
Data una qualunque distribuzione a crescita lenta Σ ∈ S 0 è sempre possibile trovare
due interi positivi m, n e una funzione f (t) ∈ L1 limitata e continua, tali che:
Σ(t) =
dm
[(1 + t2 )n f (t)].
dtm
Questo teorema permette una definizione alternativa equivalente di trasformata di
Fourier di una distribuzione Σ ∈ S 0 . Si definisce infatti (essendo F[f (t)] = F (ω)):
F{Σ}(ω) = (jω)m (1 −
d2 n
) F (ω).
dω 2
Si dimostra che questa definizione risulta equivalente a quella già scritta, e che non
dipende da m, n, f .
194
Lezione 40
Trasformate di Fourier di distribuzioni notevoli.
Si dimostra il teorema seguente:
la trasformazione di Fourier è una corrispondenza iniettiva e suriettiva tra St0 (lo
spazio vettoriale delle distribuzioni a crescita lenta in t) e Sω0 (lo spazio vettoriale
delle distribuzioni a crescita lenta in ω):
Osserviamo ora che le proprietà della trasformazione di Fourier vere per le funzioni
si mantengono vere per le distribuzioni a crescita lenta, senza che siano necessarie
particolari ipotesi aggiuntive per l’esistenza.
Si hanno dunque le proprietà seguenti:
1) Linearità.
∀λ1 , λ2 ∈ C, Σ1 , Σ2 ∈ S 0 , F{λ1 Σ1 + λ2 Σ2 } = λ1 F{Σ1 } + λ2 F{Σ2 }.
2) Traslazione in t.
∀t0 ∈ R, F{Σ}(t − t0 ) = e−jωt0 F{Σ}.
3) Traslazione in ω.
∀ω0 ∈ R, F{ejω0 t Σ}(t) = F(ω − ω0 ).
4) Cambiamento di scala.
µ
¶
1
ω
∀a ∈ R, a 6= 0, F{Σ(at)} =
F{Σ}
.
|a|
a
5) Derivazione in t.
F{
dn
Σ(t)} = (jω)n F{Σ}.
dtn
6) Derivazione in ω.
F{(−jt)n Σ(t)} =
dn
F{Σ}.
dωn
7) Convoluzione.
Siano Σ1 , Σ2 ∈ S e tali che o F{Σ1 } o F{Σ2 } siano funzioni di classe C ∞ (R). Allora:
F{Σ1 ∗ Σ2 } = F{Σ1 } · F{Σ2 }
195
Inversamente, se o Σ1 o Σ2 sono funzioni di classe C ∞ (R), allora:
F{Σ1 · Σ2 } =
1
Σ1 ∗ Σ2 .
2π
Anche per le distribuzioni a crescita lenta vale il teorema di simmetria:
F : Σ(t) −→ F{Σ}(ω)
F : F{Σ}(t) −→ 2πΣ(−ω)
Calcolo di trasformate di distribuzioni.
1) Calcolare F{1} e F{δ}.
Dalla definizione:
Z
∀σ ∈ S, F{1}[σ] = 1[F[σ]] =
R
[F[σ]](ω)dω
Ricordiamo ora che, per la formula di antitrasformazione:
∀t ∈ R, σ(t) =
1 Z
[F[σ]](ω)ejωt dω,
2π R
dunque, cambiando t in ω e t in ω:
Z
R
[F[σ]](t)dt = 2πσ(0) = 2πδ(ω)[σ(ω)].
Si conclude:
F{1} = 2πδ(ω).
Dal teorema di simmetria segue:
F{δ} = 1
essendo 1 distribuzione pari.
Il calcolo può anche essere effettuato tramite la definizione alternativa. Infatti:
½
1
F{1} = F (1 + t )
1 + t2
¾
2
Ora:
Ã
!
½
1
d2
= 1− 2 F
dω
1 + t2
¾
Ã
!
d2
= 1 − 2 πe−|ω| .
dω
´
d ³
d ³ −|ω| ´
=
e
u(−ω)eω + u(ω)e−ω
dω
dω
ω
= u(−ω)e − δ(ω) − u(ω)e−ω + δ(ω) = u(−ω)eω − u(ω)e−ω
2
d2 ³ −|ω| ´
e
= u(−ω)eω − δ(ω) + u(ω)e−ω − δ(ω) = e−|ω| − 2δ(ω).
dω
Segue:
Ã
!
d2
1 − 2 e−|ω| = 2δ(ω)
dω
196
da cui:
F{1} = 2πδ(ω).
Applicazione delle proprietà.
Come applicazione delle proprietà della trasformazione di Fourier abbiamo subito:
n
o
F ejω0 t = 2πδ(ω − ω0 )
(
F {sin ω0 t} = F
ejω0 t − e−jω0 t
2j
(
F {cos ω0 t} = F
)
ejω0 t + e−jω0 t
2
= jπ[δ(ω + ω0 ) − δ(ω − ω0 )]
)
= π[δ(ω + ω0 ) + δ(ω − ω0 )]
F{δ (n) } = (jω)n
F{δ(t − t0 )} = e−jωt0
F{δ (n) (t − t0 )} = e−jωt0 (jω)n .
2) Calcolare F{u(t)}.
du
Sappiamo che
= δ.Allora, detta F (ω) = F{u(t)} e usando la proprietà della
dt
derivazione in t, otteniamo:
jω · F (ω) = 1 ⇒ F (ω) = p.f.
1
+ αδ(ω).
jω
α si determina osservando che:
F{1} = 2πδ(ω) = F{u(t) + u(−t)} = p.f.
1
1
+ αδ(ω) + p.f.
+ αδ(−ω) = 2αδ(ω)
jω
−jω
per cui α = π e pertanto:
F{u(t)} = p.f.
1
+ πδ(ω).
jω
3) Calcolare F{p.f. 1t }, F{sgn(t)}, F{|t|}.
Si ha, per il teorema di simmetria:
(
)
1
F p.f. + πδ(t) = 2πu(−ω)
jt
ovvero:
F{p.f.
1
1
} = 2πu(−ω)− π = −π(2u(ω)− 1) = −πsgn(ω) ⇒ F{p.f. } = −jπsgn(ω).
jt
t
197
Dal teorema di simmetria si deduce anche:
1
F{sgn(t)} = −2jp.f. .
ω
Infine, essendo |t| = t · sgn(t), si ricava:
F{|t|} = −2p.f.
1
.
ω2
4) Calcolare F{u(t)ejω0 t },F{u(t) cos jω0 t}, F{u(t) sin jω0 t}.
Si ha subito:
F{u(t)ejω0 t } = πδ(ω − ω0 ) + p.f.
1
,
j(ω − ω0 )
da cui:
(
F{u(t) cos ω0 t} = F
(
F{u(t) sin ω0 t} = F
ejω0 t + e−jω0 t
2
ejω0 t − e−jω0 t
2j
)
=
π
ω
[δ(ω − ω0 ) + δ(ω + ω0 )] + jp.f. 2
,
2
ω0 − ω 2
=
π
ω0
[δ(ω − ω0 ) − δ(ω + ω0 )] + p.f. 2
.
2j
ω0 − ω 2
)
5) Calcolare F −1 {u(ω)}.
Si usa il teorema di simmetria:
F : u(t) −→ p.f.
F : p.f.
1
+ πδ(ω)
jω
1
+ πδ(t) −→ 2πu(−ω)
jt
da cui, usando il cambiamento di scala con a = −1 e dividendo per 2π:
F :−
1
1 1
p.f. + δ(t) −→ u(ω).
2πj
t 2
6) Calcolare:
F −1 {u(ω)F (ω)}.
Si ha subito, per la proprietà della convoluzione e detta f (t) = F −1 {F (ω)}:
Ã
F
−1
!
Z
1
1 1
1
1
f (τ )
{u(ω)F (ω)} = −
p.f. + δ(t) ∗ f (t) = −
v.p.
dτ + f (t)
2πj
t 2
2πj
2
R t−τ
198
Lezione 41
Trasformate di Fourier del treno di impulsi e distribuzioni periodiche.
Proponiamoci ora di calcolare la trasformata di Fourier del treno di impulsi:
sT (t) =
∞
X
δ(t − nT ).
−∞
Si ha:
F {sT (t)} =
∞
X
F{δ(t − nT )} =
−∞
∞
X
e−jnT ω = S(ω).
−∞
Segue che S(ω) è una distribuzione: non può essere una funzione essendo una somma
infinita di esponenziali. Sia ora
2π
ω0 =
.
T
Risulta allora che S(ω) è una distribuzione periodica di periodo ω0 . Infatti:
S (ω + ω0 ) =
∞
X
−jnT (ω+ω0 )
e
=
−∞
∞
X
e
−jnT ω −jnT 2π
T
e
=
∞
X
e−jnT ω = S(ω)
−∞
−∞
Inoltre S(ω) soddisfa alla relazione:
e−jωT · S(ω) = S(ω)
Infatti:
e−jωT · S(ω) = e−jωT ·
∞
X
e−jnT ω =
−∞
∞
X
e−j(n+1)T ω =
−∞
∞
X
e−jmT ω = S(ω)
−∞
avendo cambiato l’indice di somma da n a m = n + 1. S(ω) soddisfa pertanto
all’equazione:
(e−jωT − 1) · S(ω) = 0.
Gli zeri della funzione (e−jωT − 1) sono i punti ωn = nω0 e sono tutti zeri di ordine
1 per (e−jωT − 1). Allora la soluzione S(ω) dell’equazione è, ricordando che S(ω) ha
supporto nei punti nω0 :
S(ω) =
∞
X
cn δ(ω − nω0 ).
−∞
Ora ricordiamo che S(ω) è periodica di periodo ω0 : ciò implica che ogni cn sia eguale
ad un unico valore costante C. Si ottiene dunque:
S(ω) = C
∞
X
δ(ω − nω0 ).
−∞
Si tratta ora di determinare il valore di C. Questo valore si ottiene calcolando in due
modi diversi l’effetto della distribuzione S(ω) su di una opportuna funzione di prova.
Scegliamo come funzione di prova una versione infinitamente derivabile ΛT della porta
199
·
¸
T T
di ampiezza T , cioè una funzione che coincida con 1 nell’intervallo − ,
tranne che
2 2
T T
in intorni di misura infinitesima degli estremi − , , in modo tale che sia assicurata
2 2
sin Ωt
la infinita derivabilità anche in detti intorni (basterebbe la convoluzione pT ∗
,
πt
con Ω molto maggiore di T ). Allora, se usiamo per S(ω) l’espressione ultima, si ha:
S(ω)[ΛT (ω)] = C
∞
X
δ(ω − nω0 )ΛT (ω) = CΛT (0) = C,
−∞
mentre, se consideriamo il funzionale integrale associato all’esponenziale e−jnω0 t otteniamo:
(
Z ω0
Z
2
ω0 n = 0
−jnω0 T
−jnω0 T
e
ΛT (ω)dω = ω e
dω =
,
0
0 n 6= 0
R
− 2
e pertanto:
S(ω)[ΛT (ω)] = lim
Z X
N
N →∞ R
−N
e−jnω0 T ΛT (ω)dω = ω0 ,
da cui, per confronto, segue:
C = ω0
che finalmente ci permette di scrivere che:
F {sT (t)} = ω0 sω0 (ω).
Segue l’importante risultato:
la trasformata di Fourier di un treno di impulsi di ampiezza T è ancora un treno di
2π
, moltiplicato per il fattore ω0 .
impulsi di ampiezza ω0 =
T
Il risultato ottenuto ha notevole importanza. Vediamone alcune conseguenze.
Funzioni e distribuzioni periodiche.
·
¸
T T
Sia f0 (t) ∈ D una distribuzione con supporto limitato dato da − ,
: allora il
2 2
prodotto di convoluzione f0 ∗ sT esiste sempre e vale:
0
f0 (t) ∗ sT =
∞
X
f0 (t − nT ).
−∞
Questo prodotto di convoluzione è ancora periodico di periodo T , essendo il treno di
impulsi periodico di periodo T (ricordiamo la proprietà di traslazione di un prodotto
di convoluzione). Se scriviamo:
f (t) = f0 (t) ∗ sT =
∞
X
f0 (t − nT )
−∞
possiamo concludere che questa è la forma più generale sotto cui scrivere una funzione
o una distribuzione periodica di periodo T .
200
Vale la seguente condizione necessaria e sufficiente per la periodicità.
Condizione necessaria e sufficiente affinché una distribuzione (e quindi anche una
2π
funzione) f (t) sia periodica di periodo T è che, posto ω0 =
, la trasformata di
T
Fourier F{f (t)} = F (ω) abbia la forma:
F (ω) =
∞
X
βn δ(ω − nω0 )
−∞
ove i coefficienti βn sono a crescita lenta in n.
Dimostriamo anzitutto la sufficienza.
L’ipotesi è che: F (ω) =
P∞
βn δ(ω − nω0 ), con βn a crescita lenta in n; la tesi da
2π
dimostrare è che F −1 {F (ω)} è periodica di periodo T =
. Il calcolo fornisce:
ω0
−∞
f (t) = F −1 {F (ω)} = F −1 {
∞
X
βn δ(ω − nω0 )} =
∞
X
βn F −1 {δ(ω − nω0 )}
−∞
−∞
∞
X
βn jnω0 t
=
e
.
−∞
2π
2π
. Infatti:
ω0
Segue subito che f (t) è periodica di periodo T =
µ
2π
f t+
ω0
¶
=
´
³
∞
X
βn jnω0 t+ ω2π0
2π
−∞
e
=
∞
∞
X
X
βn jnω0 t jnω0 ω2π
βn jnω0 t
0 =
e
e
e
= f (t).
−∞
2π
−∞
2π
La distribuzione f (t) risulta a crescita lenta in t, essendo i coefficienti βn a crescita
lenta in n.
2π
;
ω0
P∞
la tesi da dimostrare è che F (ω) = −∞ βn δ(ω − nω0 ), con βn a crescita lenta in
n. Siccome f è una distribuzione periodica, sappiamo che può essere posta sotto la
forma:
f (t) = f0 (t) ∗ sT (t)
·
¸
T T
. Allora, detta F0 (ω) = F{f0 } la trasformata
ove f0 ha supporto limitato in − ,
2 2
di Fourier di f0 (che esiste sempre ed è una funzione essendo f0 a supporto limitato),
si trova:
∞
Dimostriamo ora la necessità. L’ipotesi è che f sia periodica di periodo T =
F {f0 (t) ∗ sT (t)} = F0 (ω)ω0
X
δ(ω − ω0 )
−∞
=
∞
X
−∞
ω0 F0 (nω0 )δ(ω − ω0 ) =
∞
X
βn δ(ω − ω0 )
−∞
I coefficienti βn = ω0 F (nω0 ) sono a crescita lenta in n perchè F0 (ω) è la trasformata
di Fourier di una distribuzione a crescita lenta e dunque anch’essa a crescita lenta:
F0 (nω0 ) è allora a crescita lenta in n.
201
Possiamo applicare il risultato trovato
al
caso delle funzioni periodiche di periodo T,
·
¸
T T
lo sviluppo in serie di Fourier dato da:
che ammettono, nell’intervallo − ,
2 2
f (t) =
∞
X
αn ejnω0 t , ω0 =
−∞
Allora:
F{f (t)} = F
(∞
X
)
αn ejnω0 t =
−∞
∞
X
2π
.
T
2παn δ(ω − nω0 ).
−∞
da cui, per confronto con le espressioni precedenti:
αn =
βn
1
= F0 (nω0 ).
2π
T
Pertanto se di una funzione periodica
sono noti i coefficienti αn del suo sviluppo in
·
¸
T T
serie di Fourier nell’intervallo − ,
:
2 2
∞
X
f (t) =
αn ejnω0 t ,
−∞
si può allora subito ricavare la sua trasformata di Fourier:
F (ω) = F (ω) =
∞
X
2παn δ(ω − nω0 ).
−∞
Inversamente, se sono noti i coefficienti βn della trasformata di Fourier di una funzione
periodica:
F (ω) =
∞
X
βn δ(ω − nω0 )
−∞
allora si può subito ricavare la sua serie di Fourier:
f (t) =
∞
X
βn jnω0 t
e
.
−∞
2π
202
Lezione 42
Formula di somma di Poisson, teorema del campionamento.
Sia f una distribuzione ∈ S 0 e supponiamo esista:
∞
X
f ∗ sT =
f (t − nT ) = ϕ(t).
−∞
ϕ(t) è una distribuzione periodica di periodo T , dunque appartiene ancora a S 0 .
Indichiamo con F (ω) = F{f } la trasformata di Fourier di f .
Vale la seguente formula di somma di Poisson:
∞
X
∞
1 X
f (t − nT ) =
F (nω0 )ejnω0 t .
T
−∞
−∞
Infatti:
F{f ∗ sT } = ω0 F (ω)
∞
X
δ(ω − ω0 ) = ω0
−∞
∞
X
F (nω0 )δ(ω − ω0 )
−∞
da cui antitrasformando:
ϕ(t) =
∞
X
f (t − nT ) =
−∞
∞
1 X
F (nω0 )ejnω0 t ,
T −∞
Applicazione a δ.
Si trova subito:
sT (t) =
∞
X
δ(t − nT ) =
−∞
∞
1 X
ejnω0 t ,
T −∞
che può essere interpretato come lo sviluppo in serie di Fourier del treno di impulsi
sT (t).
Molte volte la formula di somma di Poisson si usa nel caso speciale t = 0, ottenendo
(l’indice di somma cambia da n in −n):
∞
X
f (nT ) =
−∞
∞
1 X
F (nω0 ),
T −∞
(naturalmente occorre che le due serie convergano).
Anche il caso T = 1 è di interesse: si ottiene:
∞
X
−∞
f (n) =
∞
X
−∞
F (2πn).
203
Esempio 1.
Sia:
f (t) = e−α|t| , α > 0, F (ω) =
Segue:
∞
X
−α|n|
e
∞
X
=
−∞
−∞
α2
α2
2α
.
+ ω2
2α
+ (2πn)2
Esempio 2.
Sia:
r
−αt2
f (t) = e
Segue:
∞
X
α > 0, F (ω) =
r
−αn2
e
=
−∞
La funzione
r
Θ(t) =
π − ω2
e 4α
α
∞
π 2 n2
πX
e− 4α .
α −∞
∞
αX
2
e−α(t−n)
π −∞
si dice funzione theta di Riemann ed è importante nella teoria dei numeri.
Teorema del campionamento.
Il problema che il teorema del campionamento vuole risolvere è quello della ricostruzione di una funzione a partire da un suo insieme di valori, detti campioni,
presi ad intervalli regolari di ampiezza T (campionamento effettuato con frequenza di
1
campionamento pari a ). Cominciamo con l’osservare che, dati i campioni f (nT )
T
di una funzione f , si può costruire una distribuzione:
ϕ(t) = T
∞
X
f (nT )δ(t − nT ) = T f (t) · sT (t).
−∞
Questa distribuzione ha una trasformata di Fourier periodica di periodo ω0 . Infatti:
F{ϕ(t)} = T
∞
∞
X
X
1
F (ω − nω0 ) = Φ(ω),
δ(ω − nω0 ) =
ω0 F (ω)
2π
−∞
−∞
e Φ(ω) risulta essere una distribuzione periodica di periodo ω0 , che ripete periodicamente la distribuzione F (ω) . Questa è l’osservazione di partenza per arrivare alla
dimostrazione del seguente teorema (teorema del campionamento).
Sia f una funzione reale, dotata di una trasformata di Fourier a supporto limitato
nell’intervallo [−ωC , ωC ]. Indicata con T la misura dell’intervallo di campionamento
segue che f è completamente individuata dai suoi campioni f (nT ) (n = 0, ±1, ±2, ...)
π
.
nel caso in cui T soddisfi a 0 ≤ T ≤
ωC
204
Infatti, l’ipotesi su f implica che la trasformata di Fourier F (ω) sia simmetrica rispetto
all’asse delle ordinate con supporto [−ωC , ωC ]. Ora, con i campioni a nostra disposizione (è tutto ciò che conosciamo di f ) costruiamo la distribuzione già definita:
ϕ(t) = T
∞
X
f (nT )δ(t − nT ) = T f (t) · sT (t).
−∞
La trasformata di Fourier di ϕ(t) vale
Φ(ω) =
∞
X
F (ω − nω0 ).
−∞
Questa è la distribuzione che costruiamo dai nostri dati: sappiamo anche che essa
ω0
ripete periodicamente la trasformata F (ω) con periodo ω0 . Se ωC <
, allora
2
F (ω) è ripetuta senza sovrapposizioni. Pertanto si può isolare F (ω) in Φ(ω) ad
esempio moltiplicando Φ(ω) o per una versione infinitamente derivabile Λω0 della porta
di ampiezza ω0 (nel caso in cui F sia distribuzione e non funzione) o per pω0 . In
entrambi i casi vengono soppresse tutte le ripetizioni di F (ω) esterne all’intervallo
[−ωC , ωC ] e si ricava f antitrasformando:
f (t) = F −1 {Λω0 Φ(ω)}, oppure f (t) = F −1 {pω0 Φ(ω)}.
π
π
si dice campionamento critico, mentre nel caso T >
non è possibile
ωC
ωC
alcuna ricostruzione.
Il caso T =
La condizione T <
π
1
=
si può scrivere anche:
ωC
2νC
1
> 2νC
T
e significa che la frequenza di campionamento deve essere più grande del doppio della
massima frequenza contenuta nello spettro del segnale. Ad esempio, se la massima
frequenza fosse pari a 20 kHz, la frequenza di campionamento dovrebbe essere superiore a 40 kHz.
Si può ottenere una formula esplicita per la ricostruzione di f (t), quando ha senso la
moltiplicazione pω0 Φ. Infatti:
f (t) = F −1 {pω0 Φ(ω)} = ϕ(t) ∗
∞
X
sin ω20 t
sin ω20 t
f (nT )δ(t − nT ) ∗
=T
πt
πt
−∞
sin ω20 (t − nT )
f (nT )
=T
.
π(t − nT )
−∞
∞
X
Quando T =
π
si trova:
ωC
∞
X
µ
π
f n
f (t) =
ωC
−∞
¶
sin(ωC t − nπ)
(ωC t − nπ)
205
In questo caso il campionamento critico può dare luogo a fenomeni di aliasing, ovvero
a ricostruzioni di funzioni che non sono la funzione di cui erano stati considerati
originariamente i campioni.
sin x
La funzione
si dice anche, in questo contesto, funzione di interpolazione e
x
viene di solito indicata con:
sin x
sincx =
.
x
206
Esercitazione 11
Esercizi su calcolo di trasformata di Fourier di funzioni.
1) Data la funzione a supporto limitato:
f (t) = (1 + t)[u(t + 1) − u(t)] + (1 − t)[u(t) − u(t − 1)]
calcolare F (ω) con l’uso della definizione di trasformata di Fourier.
Soluzione.
Si ha subito ∀ω 6= 0:
F (ω) =
Z ∞
−∞
Z 0
f (t)e−jωt dt =
Z 1
=
−1
e−jωt +
−1
·Z 0
(1 + t)e−jωt dt +
te−ωt dt −
−1
Z 1
0
Z 1
0
(1 − t)e−jωt dt
¸
te−jωt dt
#
"
´
´
´
1 ³ −jω
1 jω
1 ³
1 −jω
1 ³ −jω
jω
jω
=−
e
−e
+ − e + 2 1−e
+
e
− 2 e
−1
jω
jω
ω
jω
ω
"
"
#2
ω #2
ω
´
´
sin ω2
1 ³ jω
2
1 ³ jω
ej 2 − ej 2
−jω
−jω
=− 2 e +e
+ 2 = 2 2 e −2−e
=4
.
=
ω
ω
ω
j ω
2jω
2
Quando ω = 0 si ha:
F (0) = 2 −
1 1
− = 1 = lim F (ω).
ω→0
2 2
F (ω) risulta continua, infinitamente derivabile e
lim F (ω) = 0.
ω→∞
2) Siano f, g continue ∈ L1 e dotate di trasformate di Fourier F[f ] = F (ω), F[g] =
F (ω) continue e di classe L1 . Dimostrare che:
Z ∞
−∞
f (t)G(t)dt =
Z ∞
−∞
g(t)F (t)dt.
Soluzione.
Usiamo la proprietà:
Z ∞
−∞
Segue subito:
·Z ∞
−∞
f (t)G(t)dt =
·Z ∞
−∞
¸
−jωt
f (t)G(t)e
f (t)G(t)e
dt
=
ω=0
.
ω=0
¸
−jωt
dt
1
F (ω) ∗ 2πg(−ω)
2π
207
=
·Z ∞
¸
−∞
F (Ω)g(Ω − ω)dΩ
=
ω=0
Z ∞
−∞
F (Ω)g(Ω)dΩ.
Cambiando la variabile muta Ω in t si ricava allora il risultato.
3) Sia f continua, di classe C 1 e dotata di una trasformata di Fourier continua e di
classe C 1 . Sia g(t) = e−|t| . Dimostrare che:
Z ∞
−∞
f (t)
1Z ∞
dt =
F (t)e−|t| dt.
1 + t2
2 −∞
Soluzione.
Basta ricordare che:
F : e−|t| −→
2
.
1 + ω2
Allora, per quanto visto nell’esercizio precedente:
Z ∞
−∞
f (t)
Z ∞
2
dt
=
e−|t| F (t)dt,
1 + t2
−∞
che è il risultato richiesto.
4) Calcolare, con i metodi degli esercizi precedenti, il seguente integrale:
I=
Z ∞
−∞
sin(Ωt)
.
πt(1 + t2 )
Soluzione.
Ricordiamo che:
sin(Ωt)
−→ p2Ω (ω).
πt
Allora, applicando la formula dell’esercizio precedente, segue:
F:
Z ∞
−∞
sin(Ωt)
1Z ∞
1 Z Ω −|t|
−|t|
=
p
e
dt
=
e dt
2Ω
πt(1 + t2 )
2 −∞
2 −Ω
·
=
¸
1Z 0 t
1 Z Ω −t
1 1
1
1
e dt +
e dt =
(1 − e−Ω ) − (e−Ω − 1) = (1 − e−Ω ).
2 −Ω
2 0
2 Ω
Ω
Ω
5) Antitrasformare secondo Fourier la funzione:
F (ω) = u(ω) − u(ω − 2).
Soluzione.
208
Si ha, utilizzando la formula di antitrasformazione:
"
#2
1 1 jωt
1 Z∞
1
ejt
jωt
[u(ω) − u(ω − 2)]e dω =
f (t) =
e
=
(e2jt − 1) =
sin t.
2π −∞
2π jt
2jπt
πt
0
6) Trovare l’espressione generale di una funzione f la cui trasformata di Fourier contenga solo frequenze positive fino ad una frequenza massima ωM .
Soluzione. La funzione di ω, G(ω) = u(ω)−u(ω−ωM ) contiene solo frequenze positive
fino alla frequenza massima ωM . Se ne calcoliamo la antitrasformata, otteniamo:
"
#ω
1 1 jωt M
1 Z∞
jωt
[u(ω) − u(ω − ωM )]e dω =
g(t) =
e
2π −∞
2π jt
0
ωM
1
ej 2 t
ωM
=
(ejωM t − 1) =
sin
t.
2jπt
πt
2
Sia ora f una funzione continua ∈ L1 dotata di una trasformata di Fourier F (ω)
anch’essa continua ∈ L1 . Allora:
 ω
 ej 2M t
f (t) ∗ 
πt
sin


ωM
t ,
2 
ha come trasformata di Fourier la funzione:
F (ω)G(ω) = F (ω)[u(ω) − u(ω − ωM )]
che contiene solo frequenze positive 0 < ω < ωM . Pertanto la forma generale di una
funzione f il cui spettro contenga solo frequenze positive 0 < ω < ωM , è:
 ω
 ej 2M t

ωM 
f (t) ∗
sin
t .
 πt
2 
7) Calcolare la trasformata di Fourier di:
2
f (t) = ejt .
Soluzione.
2
Poniamo F (ω) = F[ejt ]. Per le proprietà della trasformata segue subito:
 ³
dF (ω)
1
2
= F[−jtejt ] = − F 
dω
2
d ejt
dt
2
´
=−
pertanto F (ω) è la soluzione dell’equazione differenziale:
jω
dF
+
F = 0.
dω
2
jωF (ω)
,
2
209
Si trova subito:
F (ω) = Ce−
jω 2
4
e C si ricava dall’osservazione che:
jω 2
1 Z∞
Ce− 4 ejωt dω.
2π −∞
2
ejt =
Ponendo t = 0 si trova:
"
à !
à !
#
Z ∞
2
1 Z∞
C Z∞
ω2
ω2
− jω4
Ce
cos
dω − j
sin
dω
1=
dω =
2π −∞
2π −∞
2
2
−∞
C
=
π
·Z ∞
¸
Z ∞
C
cos(w )dw − j
sin(w )dw =
π
−∞
−∞
2
da cui
r
C=
Segue:
r
jt2
F[e ] =
r
2
π
(1 − j),
2
π
(1 + j).
2
jω 2
π
(1 + j)e− 4 .
2
8) Calcolare:
· ¸
v.p.F
1
.
t
Soluzione.
Si ha subito:
"Z
Z ∞ −jωt
Z ∞ −jωt #
−² e−jωt
1
e
e
v.p.F
= v.p.
dt = lim
dt +
dt
²→0
t
t
t
t
−∞
²
−∞
· ¸
"
= lim −
²→0
Z ∞ jωt
e
²
t
dt +
= −2j
Z ∞ −jωt
e
²
t
#
dt = lim −
Z ∞
sin(ωt)
0
t
"
²→0
Z ∞ jωt
e − e−jωt
²
dt = −jπsgn(ω).
t
#
dt
210
Esercitazione 12
Esercizi sulla trasformata di Fourier di distribuzioni.
I risultati sulla trasformata di Fourier della δ e sue derivate, ci permettono di utilizzare un metodo generale per il calcolo di trasformate di Fourier, anche di funzioni.
Data infatti una funzione f , deriviamo f tante volte quante sono necessarie per far
comparire soltanto δ, δ 0 , δ 00 , ... sino ad un opportuno ordine N : ottenuta cosı̀ f (N ) si
applica la formula:
F[f (N ) ] = (jω)N F (ω)
che ci permette di ricavare F (ω).
1) Calcolare la trasformata di Fourier della funzione:

0



 t+2
f (t) =

2−t



t < −1
−1 ≤ t ≤ 0
0<t≤1
t>1
0
Soluzione.
La derivata prima vale:
f 0 (t) =

0





δ(t + 1)



 1









t < −1
t = −1
−1 < t < 0
−1
0<t<1
−δ(t − 1) t = 1
0
t>1
La derivata seconda vale allora:
f 00 (t) = δ 0 (t + 1) + δ(t + 1) − 2δ(t) + δ(t − 1) − δ 0 (t − 1).
Pertanto:
F{f 00 } = −ω 2 F (ω) = jωejω + ejω − 2 + e−jω − jωe−jω = jω(ejω − e−jω + ejω − 2 + e−jω )
³
ω
ω
= −2ω sin ω + ej 2 − e−j 2
da cui:
´2
= −2ω sin ω − 4 sin2
µ
¶
ω
sin ω sin 2
F (ω) = 2
+ µ ¶2 .
ω
ω
2
2
ω
2
211
2) Trovare la trasformata di Fourier della funzione periodica di periodo 2:
f (t) = f0 (t) ∗
∞
X
δ(t − 2n)
−∞
essendo f0 la seguente funzione a supporto limitato costituito dall’intervallo [−1, 1]:


0 t < −1




1



−1 −1 ≤ t < −


2


1
1
f0 (t) =
.
1 − ≤t≤


2
2


1



−1
<t≤1



2

 0 t>1
Soluzione.
Dobbiamo anzitutto calcolare F0 (ω) = F[f0 (t)] con il metodo delle derivate. Si ha
subito:
µ
¶
µ
¶
1
1
f00 (t) = −δ(t + 1) + 2δ t +
− 2δ t −
+ δ(t − 1).
2
2
ω
ω
ω
F[f00 (t)] = jωF0 (ω) = −ejω − 2ej 2 − 2e−j 2 + e−jω = 2j sin ω + 4j sin
2
da cui:
2
4
ω
F0 (ω) = sin ω + sin .
ω
ω
2
Poiché T = 2 si ha ω0 = π. Si ha allora:
F0 (nπ) =
2
4
nπ
sin nπ +
sin
= c.
nπ
nπ
2
Ricordando che βn = ω0 F (nω0 ) si ricava:
βn =
Ma:
sin(2m)
4
nπ
sin
n
2
π
π
= 0, sin(2m + 1) = (−1)m
2
2
e allora:
F[f (t)] = 4
∞
X
(−1)m
−∞
2m + 1
δ(ω − (2m + 1)π)
e nello stesso tempo si ottiene lo sviluppo in serie di Fourier, con coefficienti αn =
f (t) = 2
∞
X
(−1)m j(2m+1)πt
e
.
−∞ (2m + 1)π
βn
:
2π
212
3) Dire quali delle seguenti distribuzioni F (ω) sono trasformate di Fourier di funzioni
periodiche f (t), trovarne, nei casi affermativi, ω0 e T e scrivere senza antitrasformare
lo sviluppo in serie di Fourier delle funzioni f (t):
2
∞
∞
∞
X
X
sin ω4 X
·
δ(ω − 2nπ); sin(2πω); 2πω 2 ·
δ(ω − n); 2π
n2 δ(ω − n);
ω
−∞
−∞
−∞
2πδ(ω − 2); πδ(ω + 2) + δ(ω − 2); δ(ω − 1) + δ(ω − 2); e
−ω
·
∞
X
δ(ω − n);
0
0
X
e−n δ(ω − n); δ(ω − 2) + δ(ω −
√
2).
−∞
Soluzione.
1) Per la distribuzione:
ω
πn
∞
∞ sin
X
X
4 ·
2 δ(ω − 2πn)
F (ω) = 2
δ(ω − 2nπ) =
ω
πn
−∞
−∞
sin
i coefficienti
πn
2
βn =
πn
sono a crescita lenta in n e pertanto la antitrasformata è periodica di periodo T = 1.
Lo sviluppo in serie di Fourier è pertanto il seguente:
sin
πn
∞ sin
1 X
2 ej2nπt .
f (t) = 2
2π −∞ πn
2) La funzione:
F (ω) = sin πω
non può essere trasformata di funzione periodica.
3)
F (ω) = 2πω 2 ·
∞
X
δ(ω − n) =
∞
X
2πn2 δ(ω − n)
−∞
−∞
è combinazione lineare di δ(ω − n) con coefficienti βn = 2πn2 a crescita lenta in n. In
questo caso ω0 = 1 e T = 2π. Lo sviluppo in serie di Fourier è allora:
∞
X
f (t) =
n2 ejnt .
−∞
4)
F (ω) =
∞
X
−∞
2πn2 δ(ω − n)
213
coincide con F (ω) del punto 3).
5) Nel caso
F (ω) = 2πδ(ω − 2)
si ha subito 2 = nω0 da cui , ad esempio, n = 1, ω0 = 2, T = π. Allora F (ω) può essere
considerata una trasformata di Fourier di una funzione periodica con coefficienti:
(
βn =
0 n 6= 1
2π n = 1
In questo caso:
f (t) = e2jt .
6)
F (ω) = πδ(ω + 2) + δ(ω − 2)
Si può scegliere ω0 = 2, T = π e in tal caso:


 0
n 6= ±1
βn = π n = −1


1 n=1
Lo sviluppo in serie di Fourier è allora il seguente:
1
1 2jt
f (t) = e−2jt +
e .
2
2π
7) Per la distribuzione:
F (ω) = δ(ω − 1) + δ(ω − 2)
risulta ω0 = 1, T = 2π e i coefficienti βn sono dati da:
(
βn =
0 n 6= 1, 2
1 n = 1, 2
Lo sviluppo in serie di Fourier risulta:
1 jt
[e + e2jt ].
2π
f (t) =
8)
−ω
F (ω) = e
·
∞
X
δ(ω − n) =
0
ha ω0 = 1, T = 2π e :
∞
X
e−n δ(ω − n)
0
(
βn =
e−n n ≥ 0
0
n<0
La antitrasformata è periodica essendo i coefficienti a crescita lenta in n e segue lo
sviluppo in serie di Fourier:
f (t) =
∞
1 X
e−n ejnt .
2π −∞
214
9)
F (ω) =
0
X
e−n δ(ω − n)
−∞
ha ω0 = 1, T = 2π e coefficienti βn dati da:
(
βn =
0
n≥0
−n
e
n<0
Pertanto i coefficienti βn non sono a crescita lenta e l’antitrasformata non è periodica.
10)
F (ω) = δ(ω − 2) + δ(ω −
√
2)
2
non è trasformata di una funzione periodica poiché √ non è razionale.
2
Esercizi proposti.
1) Calcolare:
F[(1 − t2 )u(1 − |t|)].
2) Calcolare:
¸
·
t
.
F
sinh t
(Suggerimento: calcolare dapprima:
v.p.
Z ∞
−∞
e−jωt
1
dt
sinh t
con il teorema dei residui e applicare poi la proprietà di derivazione in ω).
3) Calcolare:
#
"
sinh(at)
F
, 0 < a < b.
sinh(bt)
(Suggerimento: anche in questo caso usare il teorema dei residui per la funzione:
f (z) = ejz
4) Calcolare:
(
F f0 (t) ∗
sinh az
.)
sinh bz
∞
X
)
δ(t − n)
−∞
ove:
f0 (t) = u(t + 1) − u(t − 1).
5) Calcolare:
F [ | sin t| ] .
215
6) Calcolare, con l’uso della formula di Poisson,
∞
X
0
n2
1
+1
(Suggerimento: trovare la trasformata di Fourier di
·
1
osservando che:
t2 + 1
¸
Z ∞
1
cos ωt
F 2
=2
dt
t +1
1 + t2
0
e usando il teorema dei residui per
f (z) =
7) Calcolare:
∞
X
sin(2nπa)
0
usando la formula di Poisson.
ejz
).
1 + z2
n
, a > 0,
216
Lezione 43
Trasformata di Laplace di funzioni.
Sia f : R −→ C una funzione localmente sommabile. Sia s = σ + jω una
variabile complessa. Si dice trasformazione di Laplace bilatera, e si indica con L, la
corrispondenza:
Z ∞
L : f −→ L[f ] =
f (t)e−st dt = FL (s).
−∞
Si dice trasformazione di Laplace unilatera, e si indica con Lu , la corrispondenza:
Lu : f −→ Lu [f ] =
Z ∞
0
f (t)e−st dt = FLu (s).
La definizione scritta mette subito in evidenza un primo legame fondamentale tra
trasformata di Laplace e di Fourier. Infatti:
L[f ] = F[e−σt f (t)].
Siamo dunque in grado di asserire che la trasformata di Laplace esiste per tutti i σ
reali tali per cui e−σt f (t) è distribuzione a crescita lenta. Possiamo pertanto definire
il dominio di esistenza della trasformata di Laplace nel modo seguente.
Dominio di esistenza della trasformata di Laplace.
Si dice dominio di esistenza della trasformata di Laplace e si indica con domL FL (s),
l’insieme dei punti s definito da:
n
o
domL FL (s) = s : e−<(s)t f (t) ∈ S 0 .
Il dominio di esistenza caratterizza in modo univoco l’immagine di una funzione f
sotto trasformazione di Laplace: infatti due funzioni differenti possono avere la stessa
trasformata di Laplace, ma con domini di esistenza differenti, come mostra il seguente
esempio.
Esempio.
Consideriamo la funzione u(t) e calcoliamone la sua trasformata di Laplace:
L[u] =
Z ∞
−∞
−st
u(t)e
dt =
Z ∞
0
e−st dt = −
1 h −st i∞ 1
e
= , <(s) > 0,
0
s
s
e risulta:
domL FL (s) = {s : <(s) > 0},
altrimenti non sarebbe possibile calcolare la primitiva al limite t → ∞. Consideriamo
ora la funzione −u(−t) e calcoliamone la sua trasformata di Laplace:
L[−u(−t)] = −
Z ∞
−∞
u(−t)e−st dt = −
Z 0
−∞
e−st dt =
1
1 h −st i0
e
= , <(s) < 0,
−∞
s
s
217
e risulta:
domL FL (s) = {s : <(s) < 0},
altrimenti non sarebbe possibile calcolare la primitiva al limite t → −∞.
1
Le due funzioni u(t), −u(−t) hanno dunque la stessa trasformata F (s) = : però
s
1
i domini di esistenza di come trasformata sono diversi : nel caso f (t) = u(t) si ha
s
domL FL (s) = {s : <(s) > 0}, nel caso f (t) = −u(−t) si ha domL FL (s) = {s : <(s) <
0}.
Vale il seguente fondamentale teorema:
l’insieme domL FL (s) è una striscia verticale aperta che può essere un semipiano oppure
anche l’intero piano complesso e FL (s) è una funzione analitica in ogni punto s di
domL FL (s).
Cominciamo con il dimostrare che il dominio è una striscia verticale aperta. Poichè:
¯Z ∞
¯
Z 0
Z ∞
¯
¯
−st ¯
−σt
¯
f
(t)e
dt
<
|f
(t)|e
dt
+
|f (t)|e−σt dt
¯
¯
−∞
−∞
0
basta discutere separatamente l’esistenza dei due integrali
Z 0
−∞
|f (t)|e−σt dt,
Z ∞
0
|f (t)|e−σt dt
che corrispondono rispettivamente al caso t < 0, t > 0.
a) Caso t > 0. Supponiamo esista σ1 tale che:
Z ∞
0
|f (t)|e−σ1 t dt < ∞.
Allora:
∀σ > σ1 ,
Z ∞
0
|f (t)|e−σt dt < ∞.
Infatti, essendo per ∀t > 0, e−(σ−σ1 )t < 1, si ha:
|f (t)|e−σt = |f (t)|e−(σ−σ1 )t e−σ1 t < |f (t)|e−σ1 t
e pertanto:
Z ∞
0
Sia ora:
|f (t)|e−σt dt <
½
σ1f = inf σ1 :
Z ∞
0
Z ∞
0
|f (t)|e−σ1 t dt < ∞.
¾
|f (t)|e
−σ1 t
dt < ∞
Si dice che σ1f è la prima ascissa esponenziale (o ascissa esponenziale destra). Allora:
∀σ > σ1f ,
Z ∞
0
|f (t)|e−σ1 t dt < ∞
218
e pertanto l’integrale esiste in un semipiano destro aperto:
S1 = {s : <(s) > σ1f } .
b) Caso t < 0. Si procede in modo analogo. Supponiamo che esista σ2 tale che:
Z 0
−∞
Allora:
|f (t)|e−σ2 t < ∞.
Z 0
∀σ < σ2 ,
−∞
|f (t)|e−σt dt < ∞.
Infatti, essendo per ∀t < 0, e−(σ−σ2 )t < 1, si ha
|f (t)|e−σt = |f (t)|e−(σ−σ2 )t e−σ2 t < |f (t)|e−σ2 t
e pertanto:
Z 0
−∞
|f (t)|e−σt dt <
Sia ora:
½
σ2f = sup σ2 :
Z 0
−∞
Z 0
−∞
|f (t)|e−σ2 t dt < ∞.
¾
−σ2 t
|f (t)|e
dt < ∞
Si dice che σ2f è la seconda ascissa esponenziale (o ascissa esponenziale sinistra)
Allora:
Z 0
∀σ < σ2f ,
|f (t)|e−σ2 t dt < ∞
−∞
e pertanto l’integrale esiste in un semipiano sinistro aperto:
S2 = {s : <(s) < σ2f } .
Si conclude pertanto che:
Z ∞
−∞
|f (t)|e−σt dt
esiste quando
S1 ∩ S2 6= ∅
e questo avviene se e solo se:
σ1f < σ2f .
Segue allora:
domL FL (s) = {s : σ1f < <(s) < σ2f }
che definisce una striscia verticale aperta. Consideriamo ora ∀n, la funzione
tn e−σt e−jωt .
Allora, se e−σt ∈ S 0 , allora ∀n, tn e−σt ∈ S 0 . Segue che la trasformata di Laplace di
tn f ha la stessa striscia di esistenza della trasformata di Laplace di f . Ma allora:
∀n, ∀s ∈ domL FL (s),
d(n) FL (s) Z
= (−1)n tn f (t)e−st dt
dsn
R
219
e questo prova l’analiticità di F L(s), poiché ∀n la derivata esiste nella regione
{s : σ1f < <(s) < σ2f } .
Una prima conseguenza fondamentale di questo teorema è che, se l’asse jω è interno
alla striscia verticale di esistenza, allora si può calcolare la trasformata di Fourier di
f semplicemente passando al limite per σ → 0 nella funzione analitica FL (s):
F[f ] = lim FL (s).
σ→0
Esempio di determinazione del dominio di esistenza.
Determinare la striscia di esistenza di L[e−α|t| ] e calcolare:
L[e−α|t| ] = FL (s), α > 0
Osserviamo che e−α|t| e−st = u(t)e−(α+s)t + u(−t)e(α−s)t . Allora, per t > 0, e−(s+α)t
decresce quando <(s) > −α, mentre per t < 0 e(α−s)t decresce quando <(s) < α.
Segue σ1f = −α, σ2f = α e allora:
domL FL (s) = {s : −α < <(s) < α} .
Con questo risultato allora si possono calcolare i limiti per t → ±∞ (sono entrambi
nulli) e pertanto si ha:
Z
−α|t|
L[e
] = FL (s) =
R
e
−α|t| −st
e
dt =
Z 0
−∞
αt −st
e e
dt +
Z ∞
0
e−αt e−st dt
1 h −(α+s)t i∞
1
1 h (α−s)t i0
1
2α
−
=
e
e
+
= 2
.
−∞
0
α−s
α+s
α−s α+s
α − s2
Questo esempio ci permette anche di calcolare subito la trasformata di Fourier della
funzione e−α|t| : infatti:
=
F[e−α|t| ] = lim
σ→0 α2
2α
2α
2α
= lim 2
= 2
.
2
2
2
σ→0 α − σ + ω − 2jωσ
−s
α + ω2
220
Lezione 44
Striscie di esistenza e inversione della trasformata di Laplace.
Ascisse di convergenza per funzioni con comportamento simile per t → ∞
e t → −∞.
i) Per le funzioni a supporto limitato:
σ1f = −∞, σ2f = ∞.
segue allora che FL (s) è analitica nell’intero piano complesso, cioé intera. Pertanto
esiste anche la trasformata di Fourier che è funzione ottenuta passando al limite per
σ → 0.
ii) Per le funzioni a decrescita rapida:
−∞ ≤ σ1f < 0 < σ2f < ∞.
La striscia di esistenza per FL (s) può anche essere un semipiano o l’intero piano
complesso e la trasformata di Fourier esiste sempre come funzione ottenuta passando
al limite per σ → 0.
iii) Per le funzioni a crescita lenta:
σ1f = σ2f = 0.
Esiste solo la trasformata di Fourier come distribuzione e non esiste la trasformata di
Laplace.
2
iv) Per le funzioni a crescita esponenziale (come e|t| , et ) si ha:
−∞ ≤ σ2f < 0 < σ1f < ∞
e allora non esiste né la trasformata di Fourier né quella di Laplace.
Ascisse di convergenza per funzioni unilatere
Se la funzione f è unilatera, allora σ2f = ∞. Allora:
i) f a supporto limitato a destra: in questo caso σ1f = −∞ e FL (s) è intera.
ii) f a decrescita rapida a destra: in questo caso −∞ ≤ −σ1f < 0 e FL (s) è analitica
in un semipiano destro che contiene l’asse ω (esiste allora anche la trasformata di
Fourier ed è funzione).
f a crescita lenta. In questo caso σ1f = 0 e FL (s) è analitica in un semipiano destro
che può includere o non includere l’asse ω (in generale allora la trasformata di Fourier
esiste o come funzione o come distribuzione).
221
iv) f a crescita esponenziale: FL (s) è allora analitica in un semipiano destro che non
contiene ω e allora non esiste la trasformata di Fourier.
Formula di inversione di Riemann-Fourier.
La formula di inversione per la trasformazione di Laplace si deduce facilmente dalla
formula di inversione per la trasformazione di Fourier. Sia data infatti L[f ] = FL (s):
risulta allora assegnato
{s : σ1f < <(s) < σ2f } .
Ora, fissiamo un numero reale σ0 : {σ1f < σ0 < σ2f }. Si vede subito che la funzione
di ω:
FL (σ0 + jω) = F[e−σ0 t f (t)]
è una trasformata di Fourier dalla quale, mediante la formula di antitrasformazione,
può essere ottenuta la funzione e−σ0 t f (t). Esplicitamente:
e
−σ0 t
1 Z
f (t) =
FL (σ0 + jω)ejωt dω.
2π R
Questo integrale può essere ricondotto ad una integrazione complessa, effettuando il
cambiamento di variabile:
s = σ0 + jω ⇒ ds = jdω, jω = s − σ0 , ∞ → σ0 + j∞, −∞ → σ0 − j∞.
Sostituendo:
1 Z
e
f (t) =
FL (σ0 + jω)ejωt dω
2π R
Z σ0 +j∞
1
1 −σ0 t Z σ0 +j∞
1
(s−σ0 )t
FL (s)e
ds =
e
FL (s)est ds
=
2π σ0 −j∞ j
2jπ
σ0 −j∞
−σ0 t
e pertanto:
f (t) =
1 Z σ0 +j∞
FL (s)est ds.
2πj σ0 −j∞
La formula precedente si dice formula di antitrasformazione di Riemann-Fourier e la
retta s = σ0 è una retta parallela all’asse immaginario jω che si dice anche cammino
di Bromwich: l’integrale è allora un integrale di un tipo già visto e si calcola usando
il Lemma di Jordan. Si dimostra facilmente che il risultato non dipende dalla scelta
del cammino di Bromwich.
Infatti, scegliamo un’altra retta s = σ 0 diversa da s = σ0 e congiungiamo entrambe
con due segmenti paralleli all’asse reale =(s) = R, =(s) − R. Otterremo un rettangolo
il cui perimetro si sceglie come cammino chiuso semplice di integrazione per FL (s)est :
risulta allora che l’integrale di Riemann-Fourier su <(s) = σ0 è percorso in verso
opposto a quello su <(s) = σ 0 . Essendo FL (s) analitica l’integrale vale 0. Passando
al limite per R → ∞ e usando il Lemma di Jordan si conclude che i contributi
dovuti ai due segmenti paralleli all’asse reale sono nulli e segue che gli integrali di
Riemann-Fourier su <(s) = σ0 e su <(s) = σ 0 sono eguali.
Nel calcolo di una antitrasformata, la presenza dell’esponenziale eσt ejωt stabilisce
la regola che nel caso t > 0 si è obbligati a scegliere un cammino di chiusura contenuto
in un semipiano sinistro (chiusura a sinistra) mentre nel caso t < 0 si è obbligati
222
a scegliere un cammino di chiusura contenuto in un semipiano destro (chiusura a
destra). Inoltre va sempre dichiarato a priori il dominio di esistenza entro il quale
scegliere il cammino di Bromwich. Ad esempio, per una funzione razionale con N
poli, i possibili domini di esistenza sono al più N + 1 (tenendo dunque conto che
possono anche esserci poli immaginari puri).
Esempi. 1) Calcolare tutte le possibili antitrasformate della funzione:
F (s) =
s
.
s2 + 1
In questo caso i poli sono s = ±j e le possibili striscie di esistenza sono solo due e
cioé <(s) > 0 e <(s) < 0. Si vede inoltre che la ipotesi di applicabilità del Lemma di
Jordan risulta soddisfatta:
lim F (s) = 0.
s→∞
a) Sia σ0 > 0. Allora, nel caso t > 0 si deve scegliere la chiusura a sinistra. Sono
coinvolti entrambi i poli e tenendo conto che il verso di percorrenza è quello antiorario,
si trova:
1
R s2s+1 (j) = R s2s+1 (−j) =
2
da cui:
1
1
1 Z σ0 +j∞ s
est ds = ejt + e−jt = cos t.
f (t) =
2
2jπ σ0 −j∞ s + 1
2
2
Invece, nel caso t < 0 si chiude a destra, nessun polo è coinvolto e segue f (t) = 0. Il
risultato finale è allora:
f (t) = u(t) cos t.
b) Sia σ0 < 0.Allora, nel caso t > 0 si deve scegliere la chiusura a sinistra, nessun polo
è coinvolto e segue f (t) = 0. Invece, nel caso t < 0 si chiude a destra, sono coinvolti
entrambi i poli e tenendo conto che il verso di percorrenza è quello orario, si trova:
1 Z σ0 +j∞ s
1
1
f (t) =
est ds = − ejt − e−jt = − cos t.
2
2jπ σ0 −j∞ s + 1
2
2
Il risultato finale è allora:
f (t) = −u(−t) cos t.
Abbiamo dunque ottenuto due funzioni differenti a partire dalla stessa trasformata,
utilizzando però due striscie di esistenza differenti tra loro.
2) Calcolare tutte le possibili antitrasformate della funzione:
F (s) =
s
.
(s + 1)(s − 2)
In questo caso i poli sono tutti reali (s1 = −1, s2 = 2) e le possibili striscie di esistenza
sono tre. L’ipotesi di applicabilià del Lemma di Jordan è soddisfatta. I residui della
223
funzione nei due poli sono:
s
R (s+1)(s−2)
est (−1) =
e−t
2e2t
s
(2) =
, R (s+1)(s−2)
3
3
a) Sia σ0 > 2. Allora, nel caso t > 0 si deve scegliere la chiusura a sinistra. Sono
coinvolti entrambi i poli e tenendo conto che il verso di percorrenza è quello antiorario,
si trova:
e−t + 2e2t
f (t) =
.
3
Invece, nel caso t < 0 si chiude a destra, nessun polo è coinvolto e segue f (t) = 0. Il
risultato finale è allora:
e−t + 2e2t
f (t) = u(t)
.
3
b) Sia −1 < σ0 < 2. Allora, nel caso t > 0 si deve scegliere la chiusura a sinistra.
Risulta coinvolto il polo s1 = −1 e tenendo conto che il verso di percorrenza è quello
antiorario, si trova:
e−t
f (t) =
.
3
Invece, nel caso t < 0 si chiude a destra, risulta coinvolto il polo s2 = 2 e tenendo
conto che il verso di percorrenza è quello orario si ha:
f (t) = −
In definitiva:
2e2t
.
3
e−t
2e2t
f (t) = u(t)
− u(−t)
.
3
3
c) Sia σ0 < −1. Allora nel caso t > 0 si deve scegliere la chiusura a sinistra. Nessun
polo è coinvolto e pertanto:
f (t) = 0.
Invece, nel caso t < 0 si chiude a destra, risultano coinvolti entrambi i poli s2 =
−1, s2 = 2 e tenendo conto che il verso di percorrenza è quello orario si ha:
f (t) = −
e−t + 2e2t
.
3
Il risultato finale è:
e−t + 2e2t
.
3
Dagli esempi precedenti risulta anche che, se si piazza il cammino di Bromwich alla
destra del polo con la parte reale più grande, allora la antitrasformata relativa risulta
essere la antitrasformata unilatera della funzione FL (s). Se invece si piazza il cammino
di Bromwich alla sinistra del polo con la parte reale più piccola si ottiene la cosiddetta
antitrasformata antiunilatera di FL (s).
f (t) = −u(−t)
224
Lezione 45
Proprietà della trasformata di Laplace.
Le proprietà della trasformazione di Laplace sono ovviamente le stesse della trasformazione di Fourier: va però tenuto conto del dominio di esistenza della trasformata
di Laplace di ogni funzione in esame. Inoltre saranno evidenziate le proprietà della
trasformazione unilatera di Laplace, quando queste si discostino dalle proprietà della
trasformazione bilatera.
1) Linearità.
Siano f , g tali che esistono le trasformate
L[f ] = FL (s), L[g] = GL (s)
e siano:
domL F (s) =]σ1f , σ2f [, domL G(s) =]σ1g , σ2g [
le rispettive striscie di esistenza. Allora:
∀λ1 , λ2 ∈ C, L[λ1 f + λ2 g] = λ1 FL (s) + λ2 GL (s)
e la striscia di esistenza è (purché sia sup(σ1f , σ1g ) < inf(σ2f , σ2g ):
] sup(σ1f , σ1g ), inf(σ2f , σ2g [.
Si noti che la condizione sulla striscia di esistenza è necessaria al fine di evitare errori
sull’esistenza della trasformata di Laplace.
Ad esempio, ci possiamo chiedere se ∃L[1]. Se scriviamo 1 = u(t) + u(−t) e
applichiamo la linearità senza controllare quale sia la striscia di esistenza, troviamo:
L[1] = L[u(t) + u(−t)] =
1 1
− =0
s s
mentre, se si fosse controllato a priori il dominio, si sarebbe potuto vedere che esso
era l’insieme vuoto (infatti sup(σ1f , σ1g ) = 0, inf(σ2f , σ2g = 0).
2) Cambiamento di scala.
Sia f funzione tale che esiste la trasformata L[f ] = FL (s) con dominio
domL F (s)F (s) =]σ1f , σ2f [.
Allora,
∀a 6= 0, L[f (at)] =
e la striscia di esistenza è |a|domL F (s).
1
s
FL ( )
|a|
a
225
3) Traslazione nel tempo.
Sia f funzione tale che esiste la trasformata L[f ] = FL (s) con dominio domL F (s) =
]σ1f , σ2f [. Allora,
∀t0 , L[f (t − t0 )] = e−st0 FL (s)
e la striscia di esistenza rimane invariata.
4) Traslazione nella frequenza complessa s.
Sia f funzione tale che esiste la trasformata L[f ] = FL (s) con dominio domL F (s) =
]σ1f , σ2f [. Allora,
∀s0 , L[es0 t f (t)] = FL (s − s0 )
e la striscia di esistenza è s0 + domL F (s).
5) Derivazione nel tempo.
Sia f funzione tale che esiste la trasformata L[f ] = FL (s) con dominio domL F (s) =
]σ1f , σ2f [. Allora, se esiste f 0 ed è funzione, allora:
L[f 0 ] = sFL (s).
Se esistono le derivate fino all’ordine N e sono funzioni, allora:
L[f (k) ] = sk FL (s), k = 1, 2, ..N,
e la striscia di esistenza rimane invariata.
6) Derivazione nella frequenza complessa s.
Sia f funzione tale che esiste la trasformata L[f ] = FL (s) con dominio domL F (s) =
]σ1f , σ2f [. Allora, ricordando che FL (s) è una funzione analitica:
dn FL (s)
∀n,
= L[(−t)n f ]
n
ds
e la striscia di esistenza rimane invariata.
7) Trasformata di un prodotto di convoluzione.
Siano f , g tali che esistono le trasformate
L[f ] = FL (s), L[g] = GL (s)
e supponiamo esista f ∗ g. Allora:
L[f ∗ g] = FL (s)GL (s),
e la striscia di convergenza è
domL F (s) ∩ domL G(s).
226
Questo risultato permette di individuare il metodo più conveniente per il calcolo di
un prodotto di convoluzione. Se sono note le trasformate di Laplace di due funzioni
f, g, allora:
f ∗ g = L−1 [FL (s)GL (s)]
La formula corrispondente per la trasformata di un prodotto ordinario è simile a
quella ricavata nel caso della trasformazione di Fourier:
L[f g] =
1 Z σ0 +j∞
FL (σ)GL (s − σ)dσ
2πj σ0 −j∞
ove σ0 individua una retta parallela all’asse immaginario compresa in
domL F (s) + domL G(s)
(che è l’insieme dei complessi
s = sF + sG : sF ∈ domL F (s), sG ∈ domL G(s)).
8) Trasformata di un integrale indefinito.
Sia f funzione tale che esiste
la trasformata L[f ] = FL (s) con dominio domL F (s) =
Z
]σ1f , σ2f [. Allora, se esiste
t
0
f (τ )dτ si ha:
L
·Z t
0
¸
f (τ )dτ =
FL (s)
s
e la striscia di convergenza risulta essere:
] sup(σ1f , 0), σ2f [.
Proprietà specifiche della trasformazione unilatera.
Se si considera la trasformata unilatera Lu , le proprietà che non sono valide nella
forma scritta sopra sono tutte quelle che comportano una variazione dei limiti di
integrazione (ad esempio, il cambiamento di scala e la traslazione nel tempo).
Merita evidenziare la corrispondente proprietà della trasformazione unilatera nei
riguardi della derivazione. Infatti, ∀s ∈ domLu F (s):
Lu [f 0 ] =
Z ∞
0
f 0 (t)e−st dt = [f (t)e−st ]∞
0 +s
Z ∞
0
f (t)e−st dt = −f (0) + sFLu (s)
Una semplice generalizzazione allora porta a scrivere ∀s ∈ domLu F (s):
Lu [f (n) ] = sn FLu (s) − sn−1 f (0) − sn−2 f 0 (0) − .. − sf n−2 (0) − f n−1 (0).
La striscia di convergenza rimane invariata.
Anche per la trasformazione unilatera del prodotto di convoluzione vanno osservate
le opportune cautele. Infatti:
Lu [f ∗ g] =
Z ∞ µZ ∞
0
−∞
¶
f (τ )g(t − τ )dτ e−st dt =
Z ∞
−∞
f (τ )dτ
Z ∞
0
g(t − τ )e−st dt
227
=
Z ∞
−∞
f (τ )e−sτ dτ
Z ∞
−τ
g(θ)e−sθ dθ
e l’ultimo integrale non coincide per nulla con Lu [f ] · Lu [g]. Risulta invece vera la
seguente proprietà:
L[u(t)f (t) ∗ u(t)g(t)] = Lu [f ] · Lu [g].
228
Lezione 46
Trasformate notevoli di funzioni.
L’uso delle proprietà della trasformazione di Laplace permette il calcolo di trasformate in modo semplice e senza ricorso alla definizione.
Esempio 1.
Partiamo dal risultato:
1
L[u(t)] = , domL F (s) = {s : <(s) > 0} .
s
Allora, applicando m volte la proprietà di integrazione, si ricava:
"
#
1
tm−1
= m , domL F (s) = {s : <(s) > 0} .
L u(t)
(m − 1)!
s
e con la proprietà di traslazione si ottiene:
#
"
es0 t tm−1
1
L u(t)
=
, domL F (s) = {s : <(s) > <(s0 )} .
(m − 1)!
(s − s0 )m
Questo risultato può essere interpretato in questo modo: la antitrasformata unilatera
di una funzione razionale propria è una combinazione lineare di prodotti di potenze di
t per esponenziali complessi. Sia data infatti una funzione razionale propria in s che
presenta n poli s1 , .., si , .., sn con molteplicità m1 , m2 , .., mi , .., mn rispettivamente:
F (s) =
X
k,lk
Ak,−lk
(s − sk )lk
k = 1, 2, .., n, lk = 1, 2, ..mk
Scelto il cammino di Bromwich in modo che sia alla destra della parte reale del polo
con parte reale più grande, si trova:

X
L−1 
k,lk

X Ak,−l tlk −1 esk t
Ak,−lk 
k
=
u(t)
(s − sk )lk
(l
k − 1)!
k,lk
L’estensione al caso λ ∈ R, λ > 0 avviene tramite la funzione Γ(λ) di Eulero:
"
#
es0 t tλ−1
1
L u(t)
=
, domL F (s) = {s : <(s) > <(s0 )} .
Γ(λ)
(s − s0 )λ
Un caso particolare delle formule precedenti è rappresentato dal calcolo della trasformata di Laplace delle funzioni trigonometriche. Si ha infatti:
L[u(t)ejω0 t ] =
1
1
, L[u(t)e−jω0 t ] =
, domL F (s) = {s : <(s) > 0} .
s − jω0
s + jω0
229
Per linearità si ricava subito:
L[u(t) cos ω0 t] =
s
ω0
,
L[u(t)
sin
ω
t]
=
, domL F (s) = {s : <(s) > 0} .
0
2
s2 + ω0
s2 + ω02
Esempio 2.
Trasformata di Laplace di
f (t) = u(t)
·
¸
sin t
.
t
sin t
Sia FL (s) = L u(t)
. Allora:
t
µ ¶
·
¸
dFL (s)
1
sin t
1
L −tu(t)
=
= L [−u(t) sin t] = −
=
−
t
ds
1 + s2
s2
Pertanto:
·
d
1
+k
s
FL (s) = arctan
Ora:
1
s
=
µ ¶2
1
1
1+ 2
1+
s
s
1
¸
1
sin t
+ k = u(t)
+ kL−1 [1]
s
t
e dovendo questa identità essere vera ∀t, segue k = 0 e allora
L−1 arctan
1
FL (s) = arctan , domL F (s) = {s : <(s) > 0} .
s
Consideriamo ora la funzione integralseno definita da:
Si(t) =
Z t
sin τ
0
τ
dτ
Usando la proprietà di integrazione segue subito:
L [u(t)Si(t)] =
1
1
arctan , domL F (s) = {s : <(s) > 0} .
s
s
Esempio 3.
Se le funzioni sono a supporto limitato, la trasformata di Laplace risulta essere una
funzione analitica intera. Sia data la funzione a supporto limitato: f (t) = t[u(t) −
u(t − T )]. Allora:
FL (s) = L [t[u(t) − u(t − T )]] = −
d e−sT
1
d 1
+
= 2 (1 − e−sT − sT e−sT )
ds s ds s
s
che risulta intera in quanto
lim FL (s) =
s→0
T2
.
2
230
Sia data ora la funzione a supporto limitato:
·
µ
T
f (t) = k u(t) − 2u t −
2
¶
¸
+ u(t − T ) .
Segue subito che:
FL (s) =
i
T
T
kh
k
1 − 2e−s 2 + e−sT = (1 − e−s 2 )2
s
s
che risulta intera in quanto
lim FL (s) = 0.
s→0
Sia infine data la funzione a supporto limitato:
·
f (t) =
µ
¶
µ
2k
T
T
tu(t) − 2 t −
u t−
T
2
2
¶
¸
+ (t − T )u(t − T ) .
Si ottiene, usando le proprietà di derivazione e di traslazione :
FL (s) =
T
2k 1
2 sT
1
2k
− 2 e− 2 + 2 e−sT =
(1 − e−s 2 )2
2
2
T s
s
s
Ts
che risulta intera in quanto
kT
.
s→0
2
Trasformata unilatera di una funzione periodica.
lim FL (s) =
Una funzione periodica di periodo T si può sempre scrivere sotto la forma:
f (t) =
∞
X
f0 (t − nT )
−∞
ove:
(
f0 (t) =
f (t) 0 < t < T
0
t < 0, t > T
Il supporto di f0 (t − nT ) è l’intervallo [nT, (n + 1)T ]. Si ha subito:
Lu
"∞
X
−∞
#
f0 (t − nT ) =
∞ Z (n+1)T
X
0
nT
f0 (t − nT )e−st dt =
∞
X
0
e−nT s
Z T
0
0
f0 (t0 )e−st dt0
avendo osservato che la trasformata unilatera elimina i termini della somma con n < 0
e che si può fare il cambiamento di variabile t0 = t − nT . Segue allora:
FL (s) = F0L (s)
∞
X
e−nT s
0
ove:
F0L (s) =
Z T
0
f0 (t)e−st dt.
Essendo f0 a supporto limitato, segue che F0L (s) è analitica intera. La serie geometrica fornisce, quando <(s) > 0:
∞
X
0
e−nT s =
1
1 − e−sT
231
e segue il risultato finale:
F0L (s)
.
1 − e−sT
Essendo le funzioni a numeratore e a denominatore intere, si ricava che la trasformata
unilatera di un funzione periodica di periodo T è una funzione meromorfa.
Lu [f (t)] =
Esempio.
Calcolare la trasformata unilatera della funzione:
f (t) =
∞
X
f0 (t − nT )
−∞
ove:
·
T
f0 (t) = k u(t) − 2u t −
2
Poiché:
F0L (s) =
si ricava subito:
µ
¶
¸
+ u(t − T ) .
T
k
(1 − e−s 2 )2
s
T
F0L (s)
k (1 − e−s 2 )2
Lu [f (t)] =
=
1 − e−sT
s 1 − e−sT
T
sT
k (1 − e−s 2 )
= tanh
=
.
T
−s
s 1+e 2
4
232
Lezione 47
Trasformazione di Laplace nell’ambito delle distribuzioni.
La trasformata di Laplace potrà essere definita nel caso delle distribuzioni ∈ D0 .
Basta infatti utilizzare la relazione:
L[f ] = F[e−σt f (t)]
tra la trasformata di Laplace di una funzione f e la trasformata di Fourier di e−σt f
per definire la trasformata di Laplace di una distribuzione f ∈ D0 come la trasformata
di Fourier della distribuzione e−σt · f . In simboli:
L{f (t)}(σ + jω) = F{e−σt · f (t)}(ω) = FL (s).
Si dice trasformazione di Laplace nell’ambito delle distribuzioni ∈ D0 in la corrispondenza:
L : f ∈ D0 −→ L{f (t)}.
Si definisce anche la trasformazione unilatera di distribuzioni nel modo seguente (essendo u(t) una versione infinitamente derivabile di u(t):
Lu : f ∈ D0 −→ L{u(t) · f (t)}.
Il dominio di esistenza della trasformata di Laplace di una distribuzione f è definito
da:
n
o
domL FL = s = σ + jω : e−σt · f (t) ∈ S 0 .
Vale il seguente risultato fondamentale:
Sia f ∈ D0 una distribuzione. Il dominio di esistenza della trasformata di Laplace
L{f (t)} è una striscia verticale aperta (che può essere un semipiano oppure anche
l’intero piano complesso) e, all’interno del dominio di esistenza L{f (t)} = FL (s) è
una funzione analitica di s.
La prima parte si dimostra con la stessa tecnica usata per le funzioni. Cominciamo
dal caso t > 0. Supponiamo che:
∃ σ1 : e−σ1 t · f ∈ S 0 .
Allora
∀σ > σ1 , e−σt · f ∈ S 0 .
Infatti:
e−σt = e−(σ−σ1 )t e−σ1 t < e−σ1 t
e a maggior ragione
e−σt · f ∈ S 0 .
Detto:
n
σ1f = inf σ1 : e−σ1 t · f ∈ S 0
o
233
segue subito che ∀σ > σ1f , e−σt · f ∈ S 0 . σ1f si dice prima ascissa di esistenza della
trasformata di Laplace della distribuzione f .
Nel caso t < 0 si procede analogamente. Supponiamo che:
∃ σ2 : e−σ2 t · f ∈ S 0 .
Allora
∀σ < σ2 , e−σt · f ∈ S 0 .
Infatti:
e−σt = e−(σ−σ2 )t e−σ2 t < e−σ2 t
e a maggior ragione
e−σt · f ∈ S 0 .
Detto:
n
σ2f = sup σ1 : e−σ1 t · f ∈ S 0
o
segue subito che ∀σ < σ2f e−σt · f ∈ S 0 . σ2f si dice seconda ascissa di esistenza della
trasformata di Laplace della distribuzione f . Si conclude che:
domL FL
risulta non vuoto quando:
σ1f < σ2f
e in tal caso si tratta di una striscia verticale.
Veniamo ora alla dimostrazione della seconda parte. Sia s ∈ domL FL . Poichè
L{f } = FL (σ + jω) è una funzione di σ infinitamente derivabile in σ, possiamo
scrivere:
∂
∂
FL (σ + jω) =
F{e−σt · f } = F{(−t)e−σt · f }
∂σ
∂σ
−σt
e te
è ancora a decrescita rapida. Usiamo ora la proprietà di derivazione rispetto
a ω della trasformazione di Fourier. Ricaviamo:
1 ∂
1 ∂
1
L{f } =
F{e−σt · f } = F{(−jt)e−σt · f } = F{(−t)e−σt · f }
j ∂ω
j ∂ω
j
e per confronto:
1 ∂
∂
FL =
L{f }.
∂σ
j ∂ω
Risulta allora FL (σ + jω) funzione al più a crescita lenta sulle rette verticali appartenenti alla striscia verticale aperta domL FL e dunque funzione analitica in detta
striscia verticale (che è una regione).
Inversione della trasformata di Laplace nella’ambito delle distribuzioni.
Sia f ∈ D0 distribuzione che non sia una funzione: ovviamente non si può applicare
la formula di inversione di Riemann-Fourier per il fatto che FL (σ + jω) è funzione
a crescita lenta in ω, fatto che impedisce l’uso del Lemma di Jordan nel calcolo
dell’integrale. Daremo quindi la seguente definizione dell’antitrasformata di Laplace.
234
Sia FL (σ + jω) una funzione analitica a crescita lenta in ω in una striscia verticale
σ1f < <(s) < σ2f .
Allora, se
∀σ ∈]σ1f , σ2f [
la distribuzione:
f (t; σ) = eσt F −1 {FF (σ + jω)}
risulta indipendente da σ, si dice che f (t; σ) è l’antitrasformata di Laplace di FF (σ +
jω).
Ci si chiede se, data una funzione analitica F (s) che sia analitica in una striscia
verticale, tale funzione possa sempre essere considerata come la trasformata di Laplace
di una opportuna distribuzione. La risposta a questo quesito è fornita dal seguente
risultato:
Sia F (s) funzione di variabile complessa s. Allora le seguenti condizioni sono equivalenti:
i) F (s) è la trasformata di Laplace di una distribuzione f con dominio di esistenza
costituito da una striscia verticale finita (che può essere un semipiano o l’intero piano
complesso);
ii) F (s) è una funzione analitica a crescita lenta su striscie verticali finite (su
semipiani, o l’intero piano complesso).
Infatti la trasformata di Laplace è una funzione analitica che in ω può al massimo
essere a crescita lenta.
Esempi di funzioni che non possono essere trasformate di Laplace di alcuna
distribuzione.
1) Sia λ = λ1 + jλ2 , λ2 6= 0. Consideriamo la funzione:
F (s) = e(λ1 +jλ2 )(σ+jω) = eλ1 σ−λ2 ω ej(λ2 σ+λ1 ω)
Lungo parallele all’asse ω la funzione non è a crescita lenta e pertanto non esiste
nessuna distribuzione f di cui eλs sia trasformata di Laplace. Ad esempio, F (s) = ejs
non può essere trasformata di Laplace di alcuna distribuzione.
2) Sia
2
F (s) = e−s = eω
2 −σ 2
e−2jωσ .
La funzione non è a crescita lenta in ω, dunque non può essere antitrasformata. Invece
la funzione:
2
2
2
F (s) = es = eσ −ω e2jωσ
è addirittura a decrescita rapida in ω e dunque la sua antitrasformata esiste come
1 2
1
funzione (si tratta della gaussiana √ e− 4 t ).
2 π
Comportamento di F (s) agli estremi del dominio di esistenza.
235
Sia F(s) una funzione analitica in un semipiano destro S: si dice indice di crescita
esponenziale destra il numero reale
αF = inf {α : F (s) = eαF s G(s), G(s) a crescita lenta in S} .
Si dice ascissa del fronte di una distribuzione f(t) il numero reale
tf = sup {a : f = 0 ∀ t < a} .
Vale il seguente risultato (teorema dell’ascissa del fronte): Sia f ∈ D0 tale che
esista L{f } = F L(s). Allora, detto αF l’indice di crescita esponenziale destra di
F L(s), vale la seguente identità:
tf = −αF .
Il significato concreto di questo teorema è il seguente: tanto più f comincia in ritardo
rispetto a t = 0, tanto più velocemente decresce F (s) per s −→ ∞.
1
e−s
Ad esempio u(t) ha come trasformata , u(t − 1) ha come trasformata
: nel
s
s
primo caso tf = 0, nel secondo caso tf = 1.
La dimostrazione del teorema dell’ascissa del fronte è basata sul risultato seguente:
data una distribuzione f ∈ D0 che sia la distribuzione nulla per t < a allora la sua
trasformata di Laplace F L(s) è analitica in un semipiano destro e si può mettere
sotto la forma:
F (s) = e−as G(s)
essendo G(s) a crescita lenta in s. Allora:
tf = sup {a : f = 0 ∀ t < a}
n
= sup a : F (s) = e−as G(s), G(s) a crescita lenta in S
o
= sup {−α : F (s) = eαs G(s), G(s) a crescita lenta in S}
= − inf {α : F (s) = eαs G(s), G(s) a crescita lenta in S} = −αF .
236
Lezione 48
Trasformate di distribuzioni notevoli, teorema del valore iniziale e finale.
Con l’uso delle proprietà che verranno ora elencate, saremo in grado di calcolare le
trasformate di Laplace delle distribuzioni più importanti. Prima di ogni calcolo, ci si
deve però assicurare che il dominio di esistenza della trasformata di Laplace sia non
vuoto.
Vediamo prima di tutto le proprietà, con l’osservazione che la dimostrazione è
immediata, grazie al legame tra trasformata di Laplace e di Fourier.
Proprietà della trasformazione di Laplace.
1 - Linearità.
Siano f, g distribuzioni dotate di trasformate di Laplace FL (s), GL (s) nei rispettivi
domini di esistenza domL FL , domL GL . Allora:
∀λ1 , λ2 ∈ C, L{λ1 f + λ2 g} = λ1 L{f } + λ2 L{g}, s ∈ domL FL ∩ domL GL
2 - Cambiamento di scala.
Sia a ∈ R, a 6= 0 e sia f distribuzione per cui ∃FL (s) in domL FL . Allora:
µ ¶
1
s
L{f }(at) =
FL
, s ∈ |a|domL FL .
|a|
a
3 - Traslazione in t.
Sia f distribuzione per cui ∃FL (s) in domL FL e sia t0 ∈ R. Allora:
L{f }(t − t0 ) = e−st0 FL (s) , s ∈ domL FL .
4 - Traslazione in s.
Sia f distribuzione per cui ∃FL (s) in domL FL e sia s0 ∈ C. Allora:
L{es0 t · f }(t) = FL (s − s0 ) , s ∈ s0 + domL FL .
5 - Derivazione in t.
Sia f distribuzione per cui ∃FL (s) in domL FL . Allora:
L{f 0 }(t) = sFL (s) , s ∈ domL FL .
237
6 - Derivazione in ω.
Sia f distribuzione per cui ∃FL (s) in domL FL . Allora:
L{(−t) · f }(t) =
dFL (s)
, s ∈ domL FL .
ds
In particolare, se si considera la trasformata unilatera e se esiste f (0) :
Lu {f 0 }(t) = sFLu (s) − f (0), s ∈ domL FLu .
7 - Convoluzione.
Siano f, g distribuzioni dotate di trasformate di Laplace FL (s), GL (s) nei rispettivi
domini di esistenza domL FL , domL GL e tali che esiste f ∗ g. Allora:
L{f ∗ g} = FL (s)GL (s), s ∈ domL FL ∩ domL GL
Per la trasformata unilatera:
L{(u · f ) ∗ (u · g)} = FLu (s)GLu (s), s ∈ domLu FLu ∩ domLu GLu
Esempi.
1) Sia f (t) = δ(t). Allora:
e−σt · δ(t) = δ(t), ∀σ ∈ R
e pertanto:
σ1f = −∞, σ2f = +∞ ⇒ domL FL = {s : s ∈ C}.
Si conclude:
L{δ(t)} = F{e−σt · δ(t)} = F{δ(t)} = 1.
2) Sia f (t) = δ 0 (t). Allora:
0
e−σt·δ (t) = δ 0 (t) + σδ(t) ∈ S 0 ∀σ ∈ R
e pertanto:
domL FL = {s : s ∈ C}.
Segue:
L{δ 0 (t)} = F{δ 0 (t) + σδ(t)} = jω + σ = s.
Possiamo iterare il procedimento precedente. Per n = 2 si ha:
L{δ 00 (t)} = F{e−σt · δ(t)00 } = F{σ 2 δ(t) + 2jσδ 0 (t) + δ 00 (t)} = σ 2 + 2σjω − ω 2 = s2 .
Per induzione completa:
L{δ (n) (t)} = sn .
238
3) Sia f (t) = δ(t − t0 ), t0 ∈ R. Allora:
e−σt·δ(t−t0 = e−σt0 δ(t − t0 )
e allora:
domL FL = {s : s ∈ C}.
Segue:
L{δ(t − t0 )} = F{e−σt0 δ(t − t0 )} = e−σt0 F{δ(t − t0 )} = e−σt0 e−jωt0 = e−st0 .
Combinando con la regola di derivazione si trova anche:
L{δ (n) (t − t0 )} = sn e−st0 .
I seguenti risultati sono molto utili nelle applicazioni e collegano l’andamento
della distribuzione f in intorni destri dell’origine con l’andamento della trasformata
di Laplace per s → ∞ (teorema del valore iniziale) oppure il comportamento della
distribuzione f per s → +∞ con il comportamento della trasformata di Laplace su
rette parallele che si avvicinano indefinitamente all’asse immaginario (teorema del
valore iniziale)
Teorema del valore iniziale.
Sia f (t) ∈ D0 una distribuzione unilatera tale da ammettere in un intorno destro
dell’origine uno sviluppo in serie di potenze, nel quale f (n) (0+ ), n = 0, 1, 2... sia il
primo coefficiente non nullo:
f (t) =
f (n) (0+ ) n f (n+1) (0+ ) n+1
t +
t ...., t > 0,
n!
(n + 1)!
allora, detta FLu (s) la trasformata di Laplace di f (t) con dominio <(s) > 0 e supposto
che sn+1 FLu (s) sia analitica in un semipiano destro si ha:
f (n) (0+ ) = lim sn+1 FLu (s).
s→∞
Basta infatti ricordare che L{tn } =
(
Lu
n!
sn+1
, da cui:
)
f (n) (0+ ) n f (n+1) (0+ ) n+1
f (n) (0+ ) f (n+1) (0+ )
t +
t .... =
+
+ ....
n!
(n + 1)!
sn+1
sn+2
ed essendo s = ∞ al più un polo di ordine n per ipotesi, segue, al limite per s → ∞,
la tesi.
Nel caso n = 0 questo teorema non serve per calcolare il limite per t → 0+ di f perchè
questo limite si suppone che esista per ipotesi.
Esempio 1.
239
Sia
1
F (s) = (1 − e−s ) + se−2s
s
in <(s) > 0. Si ha :
lim sF (s) = 1 + lim s2 e−2s = 1
s→∞
s→∞
e in effetti:
f (t) = u(t) − u(t − 1) + δ 0 (t − 2).
Esempio 2.
Sia
F (s) =
1
s2
in <(s) > 0. Si ha:
lim s2 F (s) = 1
s→∞
e in effetti: f (t) = tu(t) da cui:
d
[tu(t)]|t=0+ = 1.
dt
Teorema del valore finale.
Sia
F (s) = G(s) +
N
X
Ak
k=1 s − jωk
ove G(s) è analitica a crescita lenta in un semipiano destro che comprenda al proprio
interno l’asse immaginario: pertanto
domL FL = {s : −|σ| < <(s) < ∞} .
Allora l’antitrasformata di Laplace di F (s) è una distribuzione limitata per t → ∞.
Se in particolare:
A
F (s) = G(s) +
s
ed esiste limt→∞ f (t) allora:
lim f (t) = A = lim sF (s)
t→∞
s→0
La dimostrazione si effettua calcolando le corrispondenti antitrasformate. Si trova,
nel primo caso:
f (t) = g(t) + u(t)
N
X
Ak ejωk t
k=1
con g(t) distribuzione di ordine esponenziale negativo per t → ∞, mentre nel secondo
caso si ha:
f (t) = g(t) + Au(t)
.
240
Il teorema non serve per calcolare limt→∞ f (t) la cui esistenza è presupposta per
ipotesi.
Esempio 1.
Sia F (s) =
s2
1
+ s5 , allora:
+1
f (t) = u(t) sin t + δ 5 (t)
che si mantiene limitata per t → ∞ mentre:
lim sF (s) = 0.
s→0
Esempio 2.
Sia F (s) =
s5
1
+ . Allora
s+1 s
f (t) = (u(t)e−t ) ∗ δ (5) (t) + u(t) = δ (4) − δ 000 + δ 00 − δ 0 + δ − u(t)e−t + u(t)
e si verifica subito che:
lim [δ (4) − δ 000 + δ 00 − δ 0 + δ − u(t)e−t + u(t)] = 1 = lim sF (s).
t→∞
s→0
241
Esercitazione 13
Esercizi su calcolo di trasformata di Laplace di funzioni.
1) Calcolare la trasformata di Laplace della funzione:
f (t) =
∞
X
u(t − nT ).
0
Soluzione.
Si ha subito
domL FL = {s : <(s) > 0}
e pertanto:
F (s) =
∞
1 1 −sT 1 −2sT
1X
+ e
+ e
+ ... =
e−nsT
s s
s
s 0
·
µ
1
1
1
sT
=
=
1 + coth
−sT
s1−e
2s
2
¶¸
.
2) Calcolare la trasformata di Laplace della funzione:
f (t) = u(t) + 2
∞
X
(−1)n u(t − nT ).
0
Soluzione.
Si ha subito
domL FL = {s : <(s) > 0}
e pertanto:
F (s) =
1 2 −sT 2 −2sT 2 −3sT
− e
+ e
− e
+ ...
s s
s
s


sT
1
e− 2
e−sT
1

= −2
1
−
2
=
sT
sT
s
1 + e−sT
s
e 2 + e− 2

1 e
= 
s
sT
2
+ e−
e
sT
2
sT
2
− 2e−
+ e−
sT
2
sT
2

=
µ
1
sT
tanh
s
2
¶
.
3) Calcolare la trasformata di Laplace della funzione:
f (t) = u(t)e−at sin(bt + c).
Soluzione.
Scriviamo:
u(t)e−at sin(bt + c) = u(t)e−at sin(bt) cos c + u(t)e−at cos(bt) sin c
242
Allora:
domL FL = {s : <(s) > −a}
e ricordando che:
L{u(t) sin(bt)} =
s2
b
s
, L{u(t) cos(bt)} = 2
, <(s) > 0
2
+b
s + b2
segue subito, usando la proprietà di traslazione in frequenza complessa s:
L{u(t)e−at sin(bt) cos c + u(t)e−at cos(bt) sin c} =
(s + a) sin c + b cos c
.
(s + a)2 + b2
4) Calcolare la trasformata di Laplace della funzione:
f (t) =
1
(t + T )[u(t + T ) − u(t − T )] + u(t − T ).
2T
Soluzione.
Si ha subito
domL FL = {s : <(s) > 0}
e pertanto, usando la linearità e le proprietà di traslazione:
½
1
(t + T )[u(t + T ) − u(t − T )] + u(t − T )
L
2T
=
¾
1
1
L{[(t + T )u(t + T )} −
L{(t + T )u(t − T )]} + L{u(t − T )}
2T
2T
esT
1
e−sT
=
−
L{(t
−
T
+
2T
)u(t
−
T
)]}
+
2T s2 2T
s
sT
−sT
−sT
−sT
e
e
e
e
1
=
−
−
+
=
sinh(sT ).
2T s2 2T s2
s
s
T s2
5) Calcolare la trasformata di Laplace della funzione:
f (t) = u(t)t − u(t − 1)et + 2u(t − 2) cosh(2t).
Soluzione.
Osserviamo che la funzione u(t)t ha come prima ascissa di esistenza σ1f = 0, la
funzione u(t − 1)et ha come prima ascissa di esistenza σ1f = 1 e la funzione u(t −
2) cosh 2t ha come prima ascissa di esistenza σ1f = 2. Segue allora:
domL FL = {s : <(s) > 2}.
Per usare la proprietà di traslazione scriviamo:
u(t − 1)et = u(t − 1)et−1 · e
243
2u(t − 2)
e2t + e−2t
= u(t − 2)e2(t−2) · e4 + u(t − 2)e−2(t−2) · e−4 .
2
Pertanto:
L{u(t)t − u(t − 1)et + 2u(t − 2) cosh(2t)} =
1
e−(s−1) e−2(s−2) e−2(s+2)
−
+
+
.
s2
s−1
s−2
s+2
6) Calcolare la trasformata di Laplace della funzione:
τ2
e− 4t
f (t) = u(t) √ .
πt
Soluzione.
Si ha subito:
domL FL = {s : <(s) > 0}.
Allora:

τ2

τ2
√
√ Z ∞ 1
τ
e− 4t  Z ∞
e− 4t e−st
−( st− √
)2
−τ s

2 t
√
√
√
=
u(t)
L u(t)
dt = e
e
dt
0
0
πt
πt
πt
Poniamo:
w(t) =
√
da cui si ricava:
√
e:
Ora
τ
st − √
2 t
q
t=
w±
√
w2 + 2τ s
√
2 s


√
dt
1
w
√ = √ 1 ± q
√  dw.
2
s
t
w + 2τ s
t intesa in senso aritmetico varia da 0 a ∞. Scegliamo
−2π < Arg(s) < 2π, <(s) > 0.
Ciò implica che:

<
q
q

√ 
√ 
w2 + 2τ s
w ± w2 + 2τ s
 ≥ 0, = 
=0
√
√
2 s
2 s
w±
e pertanto che w varierà tra −∞ e +∞. Sostituendo nell’integrale di Laplace si ha:


τ2



√ Z ∞
e− 4t 
1
w
2
−τ s
√ e−w 1 ± q
L u(t) √  = e
√  dw.
2
πs
−∞
πt
w + 2τ s
Il secondo integrale è nullo perchè integrale di una funzione dispari, mentre il primo
integrale è l’integrale di una gaussiana. Segue:


e
L u(t) √

2


√
1 1 −τ √s Z ∞ −w2
e−τ s
=√ √ e
e dw = √ .
s π
s
−∞
πt 
− τ4t
244
Il caso τ = 0 fornisce:
"
#
u(t)
1
L √
=√ .
s
πt
7) Calcolare la trasformata di Laplace della funzione:
e−s0 t
f (t) = u(t) √ .
πt
Soluzione.
Per la traslazione:
domL FL = {s : <(s) > −<(s0 )}
e pertanto:
"
#
1
e−s0 t
=√
.
u(t) √
s + s0
πt
8) Calcolare la trasformata di Laplace della funzione:
f (t) = u(t)
Z t −s0 τ
e
0
√
πτ
dτ.
Soluzione.
Per la traslazione:
domL FL = {s : <(s) > −<(s0 )}
e pertanto, usando la proprità dell’integrazione:
"
L u(t)
Z t −s0 τ
e
0
"
#
#
1
e−s0 t
1
√ dτ =
u(t) √
= √
.
πτ
s
s s + s0
πt
9) Calcolare la trasformata di Laplace della funzione:
"
f (t) = u(t) s0
#
Z t −s0 τ
e
0
e−s0 t
√ dτ + √
.
πτ
πt
Soluzione.
Per la traslazione:
domL FL = {s : <(s) > −<(s0 )}
e pertanto, usando la linearità:
s0
1
F (s) = √
+√
=
s s + s0
s + s0
√
10) Calcolare la trasformata di Laplace della funzione:
f (t) =
Z t ±jτ
e
√
0
2πτ
dτ.
s + s0
.
s
245
Soluzione.
Si ha subito:
domL FL = {s : <(s) > 0}
e per le proprietà di traslazione in s e di integrazione, segue subito:
"Z
0
t
#
e±jτ
1
1
√
dτ = √ √
.
2πτ
2s s ∓ j
246
Esercitazione 14
Esercizi su calcolo di antitrasformate di Laplace e su calcolo di
trasformata di Laplace di distribuzioni.
1) Calcolare la antitrasformata unilatera di Laplace della funzione
µ
¶
F (s) = Ln 1 −
3
,
s2
sapendo che:
domL FL = {s : <(s) > 0}.
Soluzione.
Usiamo la proprietà di derivazione in s:
L[−t · f (t)] =
Allora:
dF (s)
.
ds
dF (s)
2·3 1
6
=
.
3 3 =
2
ds
s(s − 3)
1 − s2 s
Scomponiamo in fratti semplici:
√
√
R 26 (0) R 26 ( 3) R 26 (− 3)
6
= s(s −3)
+ s(s −3)√
+ s(s −3) √
s(s2 − 3)
s
s− 3
s+ 3
I residui valgono:
R
6
s(s2 −3)
(0) = −2,
√
( 3) =
¯
6 ¯¯
R 26
= 1,
2
s(s −3)
3s − 3 ¯s=√3
¯
√
6 ¯¯
R 26 (− 3) = 2
=1
s(s −3)
3s − 3 ¯s=−√3
e allora:
6
−2
1
1
√ +
√ .
=
+
− 3)
s
s− 3 s+ 3
Segue la antitrasformata unilatera:
s(s2
"
L−1
u
#
√
√
dF (s)
= −2u(t) + u(t)e 3t + u(t)e− 3t = −t · f (t)
ds
ed essendo
·
¸
√
√
u(t) 2
− (e 3t + e− 3t )
f (t) =
t
t
continua in t = 0 segue:
·
µ
Ln 1 −
L−1
u
3
s2
¶¸
=
√ i
2u(t) h
1 − cosh( 3t) .
t
247
2) Calcolare la antitrasformata unilatera di:
F (s) =
1
1
µ
¶
2
1 + s tanh πs
2
sapendo che:
domL FL = {s : <(s) > 0}.
Soluzione.
Si ha:
πs
πs
1 e 2 + e− 2
1 + e−πs
1
F (s) =
.
πs
πs =
−
2
2
1+s e2 −e 2
1 + s 1 − e−πs
Consideriamo:
1 + e−πs
1 + s2
Questa funzione è analitica intera (i poli s1,2 = ±j sono singolarità apparenti), dunque
trasformata unilatera di Laplace di una funzione a supporto limitato. Infatti si trova
subito:
F0 (s) =
"
L−1
u
#
1 + e−πs
= u(t) sin t + u(t − π) sin(t − π) = [u(t) − u(t − π] sin t = f0 (t)
1 + s2
che è funzione a supporto limitato. Allora, ricordando l’espressione per la trasformata
di Laplace di una funzione periodica, si conclude che la antitrasformata f (t) è la
ripetizione periodica di f (0 (t), con periodo T = π, e si scrive:



L−1
u 


1
1
µ
¶
 = u(t)| sin t|.
2
πs
1 + s tanh
2
3) Calcolare il seguente prodotto di convoluzione:
g(t) = u(t) cos2 t ∗ u(t) cos2 t.
Soluzione.
Possiamo calcolare il prodotto di convoluzione in due modi differenti.
I modo.
1
g(t) = u(t) cos2 t ∗ u(t) cos2 t = [(u(t)(1 + cos 2t) ∗ (u(t)(1 + cos 2t)]
4
1
= [u(t) ∗ u(t) + 2u(t) ∗ u(t) cos 2t + u(t) cos 2t ∗ u(t) cos 2t]
4
u(t) Z t
u(t)t u(t) Z t
+
cos 2τ dτ +
cos 2τ cos 2(t − τ )dτ
=
4
2 0
4 0
248
u(t)t u(t) sin 2t u(t) Z t
u(t) Z t
+
+
cos2 2τ cos 2tdτ +
sin 2t cos 2τ sin 2τ dτ
4
4
4 0
4 0
u(t)t u(t) sin 2t u(t) cos 2t Z t
u(t) sin 2t Z t
(1 + cos 4τ )dτ +
sin 2τ d(sin 2τ )dτ
=
+
+
4
4
8
8
0
0
=
µ
¶
u(t)t u(t) sin 2t u(t) cos 2t
u(t) sin3 2t
1
=
+
+
t + sin 4t +
4
4
8
4
16
u(t)t u(t) sin 2t u(t)t cos 2t u(t) cos 2t sin 4t u(t) sin3 2t
=
+
+
+
+
4
4
8
32
16
2
u(t)t u(t) sin 2t u(t)t cos 2t u(t) cos 2t sin 2t u(t) sin3 2t
=
+
+
+
+
4
4
8
16
16
u(t)t u(t) sin 2t u(t)t cos 2t u(t) sin 2t
=
+
+
+
4
4
8
16
u(t)t
5 u(t) sin 2t u(t)t cos 2t
=
+
+
.
4
16
4
8
II modo.
Basta calcolare:
·
¸
1
1 1
s
L[u(t) cos t] = FLu (s) = L[u(t)(1 + cos2t)] =
+ 2
.
2
2 s s +4
2
Il prodotto cercato è allora fornito dalla formula:
g(t) = L
−1
h
i
FL2u (s)
"
−1
=L
·
1 1
s
+ 2
4 s s +4
¸2 #
Ã
2s2 + 2
1
= L−1 
4
s(s2 + 4)
!2 

La scomposizione in fratti semplici e semisemplici allora fornisce:
"
1 −1 1
3
4
L
+ 2
− 2
2
4
s
s + 4 (s + 2)2
da cui:
"
#
#
1
u(t)t 3u(t) sin 2t
+
+ L−1 − 2
g(t) =
.
4
8
(s + 2)2
Il calcolo di
"
−1
L
1
− 2
(s + 2)2
#
può essere fatto in due modi differenti, o usando la formula di antitrasformazione di
Riemann-Fourier, o usando ancora una volta un prodotto di convoluzione. Con il
primo metodo si ottiene 0 quando t < 0 mentre per t > 0, σ0 ):
"
−1
L
¯
¯
#
1 Z σ0 +j∞ est
d
est ¯¯
d
est ¯¯
1
=
ds =
¯
+
¯
(s2 + 2)2
2πj σ0 −j∞ (s2 + 4)
ds (s + 2j)2 ¯s=2j ds (s − 2j)2 ¯s=−2j
"
2est
test
−
=
(s + 2j)2 (s + 2j)3
#
"
s=2j
2est
test
+
−
(s − 2j)2 (s − 2j)3
#
s=−2j
249
=−
te2jt 2e2jt
te−2jt 2e−2jt
t cos 2t sin 2t
+
+−
−
=−
+
16
64j
16
64j
8
16
e pertanto:
g(t) =
u(t)t 5u(t) sin 2t u(t)t cos 2t
u(t)t 3u(t) sin 2t u(t)t cos 2t u(t) sin 2t
+
+
−
=
+
+
4
8
8
16
4
16
8
Con il secondo metodo si ottiene:
"
−1
L
#
1
1
u(t) Z t
= (u(t) sin 2t) ∗ (u(t) sin 2t) =
sin 2τ sin 2(t − τ )dτ
(s2 + 2)2
4
4 0
¸
·Z
Z t
t
u(t)
cos 2t sin2 2τ dτ
sin 2t sin 2τ cos 2τ dτ −
=
4
0
0
"
#
Z t
Z t
u(t)
sin 2τ d(sin 2τ )
1 − cos 4τ
=
sin 2t
− cos 2t
dτ
4
2
2
0
0
"
#
u(t)t cos 2t u(t) sin 2t
u(t) sin3 2t t cos 2t cos 2t sin 4t
−
+
=−
+
.
=
4
4
2
8
8
16
4) Calcolare la antitrasformata unilatera di:
F (s) =
e−2s − e−4s
1 − e−8s
sapendo che
domL FL = {s : <(s) > 0}.
Soluzione.
Se si pone:
F0 (s) = e−2s − e−4s
e
F1 =
1
1 − e−8s
si ha:
−1 −2s
L−1
− e−4s ] = δ(t − 2) − δ(t − 4)
u [F0 (s)] = Lu [e
e
·
−1
L−1
u [F1 (s)] = Lu
¸
∞
X
1
=
δ(t − 8n)
1 − e−8s
0
e allora:
L−1
u [F (s)] = [δ(t − 2) − δ(t − 4)] ∗
∞
X
δ(t − 8n).
0
Esercizi proposti.
1) Calcolare la trasformata di Laplace della funzione:
f (t) = [u(t) − u(t − π)]| sin 2t|.
250
2) Discutere l’esistenza della trasformata di Laplace di
∞
1 X
ln |t|, p.f. ,
δ(t − nT ).
t −∞
3) Determinare, con le relative striscie di esistenza, tutte le antitrasformate di:
F (s) =
s2 + 5s + 1
.
(s + 2)(s2 + 4s + 8)
4) Calcolare il seguente prodotto di convoluzione, usando le proprietà della trasformata di Laplace:
g(t) = u(t) sin t ∗ u(t)e−t sinh t.
5) Determinare la antitrasformata unilatera di:
F (s) =
s6 + s5 + 1
.
(s2 + 1)2
6) Determinare la antitrasformata unilatera della funzione:
F (s) =
s2 − 16
.
(s2 − 1)3
7) Determinare la antitrasformata unilatera di:
F (s) = ln
s+a
, a > 0, b > 0
s+b
e determinare anche la striscia verticale di esistenza.
i
Indice
Lezione 1. Campi vettoriali................................................................................1
Lezione 2. Potenziali............................................................................................6
Lezione 3. Integrali curvilinei...........................................................................10
Lezione 4. Integrali di linea dei campi vettoriali..........................................12
Lezione 5. Campi conservativi..........................................................................15
Lezione 6. Integrali superficiali e integrali di superficie..............................19
Lezione 7. Teoremi per campi vettoriali.........................................................22
Lezione 8. Teoremi di Green e di Stokes........................................................24
Esercitazione 1. Esercizi sull’integrazione di linea.........................................27
Esercitazione 2. Esercizi sui teoremi della divergenza e di Stokes.............30
Lezione 9. Numeri complessi..............................................................................35
Lezione 10. Rappresentazione trigonometrica
ed esponenziale di numeri complessi.................................................................39
Lezione 11. Funzioni di variabile complessa....................................................44
Lezione 12. Inversione di funzioni.....................................................................49
Lezione 13. Limiti e continuità..........................................................................55
Lezione 14. Derivabilità e analiticità................................................................58
Lezione 15. Condizioni di Cauchy-Riemann...................................................62
Lezione 16. Conseguenze delle condizioni di Cauchy-Riemann
sotto forma reale...................................................................................................64
Esercitazione 3. Esercizi su numeri complessi e funzioni complesse..........68
Esercitazione 4. Esercizi su funzioni analitiche...............................................71
Lezione 17. Integrazione complessa..................................................................75
Lezione 18. Integrazione e funzioni analitiche.................................................79
Lezione 19. Singolarità e integrazione, residui................................................83
Lezione 20. Formule integrali.............................................................................89
Lezione 21. Scomposizione in fratti semplici, applicazioni
del teorema dei residui al calcolo di integrali..................................................92
Lezione 22. Metodi di calcolo per integrali di variabile reale.......................96
ii
Lezione 23. Calcolo di valori principali..........................................................100
Lezione 24. Lemma di Jordan e integrali su cammini
paralleli all’asse immaginario............................................................................103
Esercitazione 5. Applicazione pura e semplice del teorema dei residui...106
Esercitazione 6. Integrali impropri di funzioni razionali che
soddisfano alle ipotesi del lemma del grande arco di cerchio ....................109
Lezione 25. Serie in campo complesso, serie di Taylor e di Laurent........115
Lezione 26. Sviluppabilità in serie di Taylor.................................................119
Lezione 27. Sviluppabilità in serie di Laurent...............................................123
Lezione 28. Comportamento locale di funzioni analitiche
in punti al finito..................................................................................................128
Lezione 29. Comportamento locale di funzioni analitiche
in intorni di z = ∞..............................................................................................132
Lezione 30. Comportamento globale delle funzioni analitiche
in base alle singolarità.......................................................................................134
Esercitazione 7. Esercizi su serie di Taylor...................................................138
Esercitazione 8. Esercizi su serie di Laurent..................................................143
Lezione 31. Introduzione al concetto di distribuzione..................................148
Lezione 32. Distribuzioni..................................................................................152
Lezione 33. Operazioni sulle distribuzioni....................................................156
Lezione 34. Distribuzioni fondamentali.........................................................160
Lezione 35. Prodotto di convoluzione di funzioni.......................................163
Lezione 36. Prodotto di convoluzione di distribuzioni.................................168
Esercitazione 9. Esercizi su distribuzioni.......................................................172
Esercitazione 10. Esercizi sul prodotto di convoluzione.............................176
Lezione 37. Trasformata di Fourier di funzioni............................................181
Lezione 38. Proprietà della trasformata di Fourier di funzioni................186
Lezione 39. Trasformata di Fourier di distribuzioni a crescita lenta.......190
Lezione 40. Trasformate di Fourier di distribuzioni notevoli....................194
Lezione 41. Trasformata di Fourier del treno di impulsi e
distribuzioni periodiche.....................................................................................198
Lezione 42. Formula di somma di Poisson,
teorema del campionamento.............................................................................202
Esercitazione 11. Esercizi su calcolo di trasformata
di Fourier di funzioni.........................................................................................206
Esercitazione 12. Trasformata di Fourier di distribuzioni..........................210
iii
Lezione 43. Trasformata di Laplace di funzioni.............................................216
Lezione 44. Striscie di esistenza e inversione
della trasformata di Laplace.............................................................................220
Lezione 45. Proprietà della trasformata di Laplace....................................224
Lezione 46. Trasformate notevoli di funzioni................................................228
Lezione 47. Trasformazione di Laplace nell’ambito delle distribuzioni...232
Lezione 48. Trasformate di distribuzioni notevoli,
teoremi del valore iniziale e finale...................................................................236
Esercitazione 13. Esercizi su calcolo di
trasformate di Laplace di funzioni..................................................................241
Esercitazione 14. Esercizi su calcolo di antitrasformate di Laplace
e su calcolo di trasformate di Laplace di distribuzioni...............................249
Indice Analitico
δ come unità della convoluzione, 164
²-intorno, 41
F del treno di impulsi, 199
F di distribuzioni periodiche, 200
F-trasformata della convoluzione , 190
L di un prodotto di convoluzione, 225
Lu di un prodotto di convoluzione, 226
zw ,
condizioni di C.R. reali, 62
condizioni di Cauchy-Riemann, 62
coniugata armonica, 65
coniugazione complessa, 37
continuità, 56
convoluzione di distribuzioni, 168
convoluzione e associatività, 166
convoluzione tra funzioni, 164
corona di convergenza di una serie di
Laurent, 118
costante di Eulero-Mascheroni, 136
curva chiusa semplice, 12
curva regolare, 10
curve equipotenziali, 8
z, w ∈ C, 51
aliasing, 205
antitrasformata antiunilatera , 223
antitrasformata di Fourier, 183
antitrasformazione di Fourier, 182
argomento di un numero complesso, 39
ascissa esponenziale destra, 217
ascissa esponenziale sinistra, 218
ascisse di convergenza per funzioni unilatere, 220
derivabili à complessa, 58
derivata complessa, 58
derivata di F[f ], 188
derivata di F (ω), 189
derivata di funzioni discontinue, 159
derivata di una convoluzione, 165
derivata di una distribuzione, 159
derivazione in s di L[f ], 225
derivazione in t e L, 225
diseguaglianza di Cauchy , 90
disequazione modulare, 76
disequazione modulare complessa, 78
distribuzione δ di Dirac, 154
distribuzioni a crescita lenta, 192
distribuzioni con supporto 0, 162
distribuzioni dispari, 158
distribuzioni pari, 157
divergenza, 4
divergenza (significato), 21
dominio di esistenza della trasformata
di Laplace, 216
dominio di esistenza della trasformata
di Laplace di una distribuzione,
232
cambiamento di scala, 157
cambiamento di scala per L[f ] , 224
cammino di Bromwich, 221
cammino di chiusura, 97
cammino nel piano complesso, 75
campionamento critico, 204
campo complesso, 36
campo scalare, 1
campo vettoriale, 1
campo vettoriale conservativo, 6
campo vettoriale irrotazionale, 21
campo vettoriale solenoidale, 21
centro di una serie di Taylor, 116
cerchio di convergenza di una serie di
Taylor, 116
comportamento globale delle funzioni
analitiche, 134
comportamento locale, 128
Comportamento locale in intorni di z =
∞ , 132
condizioni di C.R. in forma polare, 66
i
ii
equazioni alle distribuzioni, 163
estensione analitica, 61
flusso di un campo vettoriale, 20
forma cartesiana, 36
forma esponenziale, 41
forma trigonometrica, 39
formula di inversione della trasformata
di Laplace, 221
Formula di Parseval-Plancherel, 190
formula di somma di Poisson, 202
Formula integrale di Cauchy, 90
frequenza di campionamento, 203
funzionale complesso, 148
funzionale integrale, 148
funzionali integrali, 151
funzione Γ di Eulero, 136
funzione integralseno, 166
funzione a crescita lenta, 151
funzione a decrescita rapida, 149
funzione analitica, 60
funzione analitica hermitiana, 63
funzione armonica, 64
funzione complessa, 44
funzione complessa periodica, 46
funzione di Heaviside, 148
funzione di interpolazione, 205
funzione di Jukowski, 53
funzione esponenziale, 46
funzione localmente integrabile, 150
funzione meromorfa, 134
funzione non limitata, 48
funzione polidroma, 49
funzione porta, 152
funzione sommabile, 181
funzione theta di Riemann, 203
funzione unilatera destra, 164
funzione unilatera sinistra, 164
funzioni di prova, 148
funzioni intere, 60, 134
funzioni inverse, 49
funzioni iperboliche, 47
funzioni trigonometriche, 46
gradiente, 4
gradiente (significato), 21
gradino unitario, 148
gradino unitario u(t), 113
INDICE ANALITICO
insieme connesso, 14
insieme semplicemente connesso, 14
integrale curvilineo, 10
integrale del prodotto di convoluzione,
167
integrale di Fourier, 181
integrale di linea, 12
integrale di superficie, 20
integrale superficiale, 19
interpretazione dei coefficienti di una
serie di Laurent, 125
intorno di z = ∞, 42
Laplaciano, 4
Laplaciano in coordinate polari, 66
legame tra le trasformate di Laplace e
Fourier, 216
Lemma del grande arco di cerchio, 98
Lemma del piccolo arco di cerchio, 100
Lemma di Gauss, 24
Lemma di Jordan, 104
limite, 55
linea di diramazione, 50
linea di taglio, 50
linearità di F, 187
linearità di L[f ], 224
linee di campo, 2
logaritmo complesso, 49
metodo del cammino di chiusura, 97
modulazione in ω, 188
modulazione in t, 188
modulo di un numero complesso, 37
nabla, 4, 21
non esistenza del limite, 55
numeri di Fibonacci, 144
ordine di connessione, 14
parte regolare di una serie di Laurent,
117
parte singolare di una serie di Laurent,
117
pettine di Dirac di ampiezza T , 162
piano complesso esteso, 43
piano complesso tagliato, 50
polo di ordine n, 84
potenziale scalare, 6
INDICE ANALITICO
potenziale vettore, 22
prima def. di distribuzione, 153
prodotto di distribuzioni e funzioni, 158
proprietà dell’integrale di Fourier, 186
proprietà della trasformazione di Laplace
di distribuzioni, 236
proprietà di F di distribuzioni, 194
1
pseudofunzione , 160
t
punti di diramazione, 50
punti singolari, 61
punto all’∞ nel campo complesso, 42
punto singolare, 83
punto singolare isolato, 83
punto singolare non isolato, 83
punto singolare non uniforme, 84
punto singolare uniforme, 84
radice n-esima, 49
raggio di convergenza di una serie di
Taylor, 116
ramo, 50
rapporto incrementale, 58
reciproca per la convoluzione, 170
regione, 14
Residui in un polo di ordine 1, 89
residuo di f , 85
Residuo in z = ∞, 86
riscalamento di F, 187
rotore, 4
rotore (significato), 21
scomposizione in fratti irriducibili, 94
Scomposizione in fratti semplici, 92
seconda def. di sistribuzione, 156
semipiano di chiusura, 97
serie binomiale, 139
serie di Laurent, 117
serie di Taylor, 116
singolarità apparente, 83
singolarità essenziale, 85
smoothing di funzioni discontinue, 166
spazio D, 149
spazio L1loc , 150
spazio S, 149
spazio di funzioni L1 , 181
striscia di esistenza della trasformata di
Laplace , 218
iii
successione di Fibonacci, 144
superfici equipotenziali, 7
superficie, 16
supporto della distribuzione δ, 154
supporto di f ∗ g, 167
supporto di una distribuzione, 154
supporto di una funzione, 149
supporto limitato, 149
Sviluppabilità in serie di Laurent, 123
Sviluppabilità in serie di Taylor, 119
Teorema dei residui, 87
teorema del campionamento, 203
Teorema del valor principale, 101
teorema del valore finale, 239
teorema del valore iniziale, 238
Teorema di Abel et al., 115
Teorema di Casorati, 129
Teorema di Cauchy, 80
teorema di Gauss, 23
Teorema di Green, 24
Teorema di Liouville, 91
teorema di Liouville, 134
Teorema di Mittag-Leffler, 136
Teorema di Picard, 130
teorema di simmetria, 183
Teorema di Stokes, 24
Teorema di Weierstrass, 115
Teorema fond. del calcolo integrale, 81
teorema fondamentale dell’algebra, 91
Teorema generalizzato dei residui, 87
terza def. di distribuzione, 162
trascendenti intere, 134
trasformata di Fourier, 181
trasformata di Laplace di sistribuzioni,
232
trasformazione di Fourier, 181
trasformazione di Laplace, 216
trasformazione di Laplace unilatera, 216
trasformazione lineare fratta, 52
trasformazioni conformi, 54
traslata di una distribuzione, 157
traslazione in ω, 188
traslazione in t, 188
traslazione in frequenza di L[f ], 225
traslazione nel tempo e L, 225
treno di impulsi di ampiezza T , 161
iv
unicità dello sviluppo in serie di Laurent, 123
unicità dello sviluppo in serie di Taylor,
119
valor principale, 50
valor principale secondo Cauchy, 100
INDICE ANALITICO