BILANCIO DELL`AZOTO NEI BACINI IDROGRAFICI DI OGLIO E

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BILANCIO DELL`AZOTO NEI BACINI IDROGRAFICI DI OGLIO E
BILANCIO DELL’AZOTO NEI BACINI IDROGRAFICI DI OGLIO E MINCIO:
SORGENTI, SINK E SCALE TEMPORALI DEI PROCESSI
Elisa Soana, Erica Racchetti, Alex Laini, Pierluigi Viaroli e Marco Bartoli
Dipartimento di Scienze Ambientali, Università di Parma, V. le G.P. Usberti 33/A, 43100 Parma
Riassunto
Sono riportati i bilanci di massa dell’azoto nei bacini idrografici dei fiumi Oglio sublacuale e Mincio. Il
metodo di calcolo prevede la stima degli input potenziali (zootecnica, fertilizzazioni chimiche, deposizioni
atmosferiche, azoto fissazione, acque di irrigazione), degli output (asportazione delle colture,
volatilizzazione di ammoniaca, denitrificazione) e dell’export dai bacini alla sezione di chiusura.
In entrambi i bacini si evidenzia come il carico generato dal comparto zootecnico rappresenti l’apporto
maggiore di azoto alle terre coltivate (oltre il 75%), ben oltre la domanda teorica delle colture. Gli input
potenziali superano le asportazioni e determinano un elevato surplus azotato medio a livello di bacino.
L’analisi complessiva, che ha quale unità territoriale minima i comuni presenti nelle due aree di studio,
evidenzia situazioni estremamente eterogenee che necessitano di interventi di riqualificazione sito-specifici.
L’export annuale di azoto convogliato dai due fiumi in Po rappresenta una piccola frazione del carico
potenzialmente generato nel territorio e suggerisce la presenza di sink interni. Le perdite per denitrificazione
risultano elevate soprattutto nel reticolo idrografico secondario in ragione della notevole estensione lineare e
possono contribuire all’abbattimento di una quota importante del surplus azotato. Misure sperimentali e
calcoli teorici indicano infine nelle acque di falda un probabile recettore temporaneo per lo ione nitrato.
Parole chiave: bilancio dell’azoto, bacino idrografico, fiume Oglio, fiume Mincio, sorgenti diffuse, sorgenti
puntiformi
Introduzione
Le moderne pratiche agricole, che prevedono l’apporto di fertilizzanti azotati ai terreni e la coltivazione di
specie azoto-fissatrici, congiuntamente all’impiego di combustibili fossili, hanno incrementato gli input di
azoto reattivo nella biosfera e causato la progressiva saturazione degli ecosistemi terrestri e la conseguente
perdita verso quelli acquatici (Galloway et al., 2003), agevolata anche dalle pratiche irrigue adottate. La
mobilizzazione dei nutrienti negli ecosistemi acquatici e nelle acque sotterranee è favorita dalle profonde
trasformazioni dell’uso del suolo nei bacini scolanti e dalla generale banalizzazione del territorio e degli
ambiti fluviali (riduzione delle zone tampone, rettificazione, arginature, etc.), aspetti che accelerano
l’erosione e lo scorrimento superficiale (Vitousek et al., 1997; Bernot & Dodds, 2005). L’aumentata
disponibilità di sostanze chimiche di sintesi ed il progressivo disaccoppiamento con la zootecnia (produzione
di un pool di nutrienti non più commisurato alla capacità di metabolizzazione delle terre), hanno messo in
crisi la sostenibilità ambientale dell’intero sistema.
Il controllo degli apporti di azoto ai sistemi acquatici è divenuto attualmente una questione di interesse
generale, sia date le conseguenze ormai note a livello ecosistemico, fra tutte l’eutrofizzazione (Hilton et al.,
2006), sia vista la crescente preoccupazione circa l’aumento delle concentrazioni di nitrato nelle risorse
idriche destinate ad uso potabile e la possibile tossicità (Camargo & Alonso, 2006).
Una gestione sostenibile dell’azoto nei sistemi agricoli dovrebbe prevedere apporti maggiormente calibrati
alle capacità metaboliche dei terreni e delle produzioni, in moto da minimizzare i surplus; l’azoto in eccesso
rappresenta infatti un danno in termini sia economici che ecologici (Janzen et al., 2003).
In questo contesto l’approccio del bilancio di massa dell’azoto costituisce un utile strumento per valutare i
rischi associati a diverse pratiche zootecniche e usi del suolo sulla qualità delle acque interne. Dal momento
che i processi idrologici determinano in gran parte il destino del surplus azotato, l’unità territoriale del bacino
idrografico rappresenta la scala di indagine più adatta (Campling et al., 2005), anche in ottica di
pianificazione, gestione e riqualificazione territoriale. Questa metodologia è inoltre considerata dall’Unione
Europea un importante indicatore di efficienza per monitorare i progressi nell’implementazione delle
politiche connesse all’attuazione della Direttiva Nitrati (Drolc & Koncan, 2008).
In Pianura Padana i macroinquinanti derivanti da attività agro-zootecniche (sorgenti diffuse) e da impianti di
trattamento dei reflui (sorgenti puntiformi) rappresentano le cause principali del quadro generale di scarsa
qualità delle acque superficiali e di falda. Nel presente lavoro è riportata una valutazione delle pressioni
1
antropiche e dei riflessi sulla qualità idrochimica in due sottobacini lombardi del fiume Po, l’Oglio
sublacuale e il Mincio, mediante il calcolo del bilancio di massa dell’azoto condotto a scala di bacino
idrografico. L’ipotesi è che il disaccoppiamento tra agricoltura e zootecnia e la generale banalizzazione del
paesaggio rendono bacini a forte vocazione agricola grandi sorgenti di azoto per le acque superficiali e di
falda e per gli ecosistemi confinanti.
Materiali e metodi
Area di studio
I fiumi Oglio sublacuale (154 km, emissario del Lago d’Iseo) e Mincio (75 km, emissario del Lago di
Garda), drenano bacini rispettivamente di 3.800 e 775 km2 (Figura 1), rappresentativi della realtà padana in
termini di uso del suolo, pratiche agronomiche, condizioni pedoclimatiche e idrologiche. Lo sfruttamento
agro-zootecnico del territorio, gli insediamenti urbani e la valenza turistica dei due bacini lacustri
determinano accertati fenomeni di inquinamento da sorgenti azotate puntiformi e diffuse (Regione
Lombardia, 2006). La Carta della Vulnerabilità della Regione Lombardia, elaborata in attuazione della
Direttiva Nitrati evidenzia inoltre che buona parte dell’area pedecollinare dei due bacini ricade tra le “zone
vulnerabili da nitrati di provenienza agrozootecnica”.
I manufatti che regolano l’erogazione delle acque lacustri sono posti all’origine dei due corsi d’acqua, in
corrispondenza dell’abitato di Sarnico per l’Oglio e di Ponti sul Mincio-Monzambano per il Mincio (dighe
sarnico e Monzambano). L’assetto idrogeologico dei due sistemi fluviali è stato profondamente alterato da
numerosi interventi antropici di difesa idraulica, sistemazioni per la navigazione, realizzazione di canali ad
uso irriguo e di sbarramenti per la produzione di energia idroelettrica. Nei primi 30 km dell’Oglio sublacuale
sono presenti 6 centrali idroelettriche e oltre 25 canalizzazioni artificiali di prelievo per uso irriguo ed
industriale sottopongono. Il fiume Mincio non presenta nel tratto settentrionale sbarramenti analoghi a quelli
del fiume Oglio ma ha all’origine due grandi derivazioni che intercettano nel periodo estivo oltre la metà
della portata erogata dal Lago di Garda. I deflussi idrici stagionali dei due fiumi non rispecchiano quindi
l’andamento delle precipitazioni, ma sono definiti dall’entità delle erogazioni dai due laghi alpini e dei
prelievi nei successivi snodi idraulici, legittimati da concessioni irrigue e industriali.
Lago d’Iseo
Lago di Garda
BERGAMO
BRESCIA
M
e
ll
a
MANTOVA
CREMONA
Po
Po
0
20 km
Figura 1. Bacini dei fiumi Oglio sublacuale e Mincio.
Metodologia di indagine
Impiegando database ad alta risoluzione spaziale e coefficienti tratti dalla realtà locale è stato adottato
l’approccio del “soil system budget” (Oenema et al., 2003), ovvero un bilancio condotto quantificando gli
apporti (spandimenti di effluenti zootecnici, fertilizzazioni chimiche, deposizioni atmosferiche, fissazione
biologica, acque di irrigazione) e le perdite (asportazione delle colture, volatilizzazione di ammoniaca,
denitrificazione) attraverso la Superficie Agricola Utilizzata (SAU) (Figura 2). I termini sono stati calcolati
con risoluzione comunale, quindi corretti in base alla frazione di area comunale compresa entro i confini dei
rispettivi bacini idrografici. Il surplus (differenza tra sommatoria degli input e sommatoria degli output),
rappresenta una misura dell’azoto ancora potenzialmente disponibile al termine dell’annata agraria
(Campling et al., 2005), ovvero dell’efficienza di utilizzo nel sistema, ma indirettamente costituisce anche un
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indicatore del potenziale rischio di inquinamento da composti azotati degli ecosistemi acquatici (Schröder et
al., 2004).
La stima dei termini del bilancio è stata effettuata integrando dati statistici inerenti i settori agro-zootecnico e
civile (censimenti ISTAT, banche dati del Programma di Tutela e Uso delle Acque della Regione
Lombardia) e il quadro quali-quantitativo del reticolo idrografico superficiale derivante da serie storiche di
ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente) Lombardia e del Consorzio dell’Oglio e da
monitoraggi condotti nell’ambito dei progetti STRA.RI.FLU. (STRAtegia di RIqualificazione FLUviale
partecipata) Oglio e Mincio. In mancanza di informazioni proprie delle aree indagate si è fatto ricorso a dati
di letteratura, dopo un’attenta valutazione della loro applicabilità.
Figura 2. Schematizzazione degli input e output di azoto alle superfici coltivate.
Il carico generato dall’attività zootecnica è stato calcolato impiegando dati di consistenza del patrimonio
allevato (V Censimento Generale dell’Agricoltura, ISTAT, 2000), pesi vivi medi e coefficienti di produzione
di azoto delle diverse categorie animali (D.G.R. 21/11/2007, n° 8/5868). Informazioni relative alle vendite
annuali di fertilizzanti (Tavole Provinciali su Agricoltura e Zootecnia, ISTAT, 2000) e ai contenuti medi di
azoto per le diverse tipologie (Vitosh, 1996) sono state utilizzate nella stima dell’apporto imputabile alle
pratiche di concimazione chimica. La stima dell’input da fissazione biologica è stata effettuata sulla base
delle estensioni occupate da specie azoto-fissatrici (V Censimento Generale dell’Agricoltura, ISTAT, 2000)
e dei relativi tassi medi (Smil, 1999; McKee & Eyre, 2000). È stato considerato un carico da deposizioni
atmosferiche di 8 kg N ha-1 anno-1 come azoto organico e NO3- (Tagliaferri et al., 2006). L’azoto convogliato
ai campi mediante le acque di irrigazione è stato infine quantificato in base ai fabbisogni idrici delle colture
(Buzzacchi et al., 2008) e alle concentrazioni medie di azoto totale (TN) nelle acque ad uso irriguo
(monitoraggi ARPA e progetti STRA.RI.FLU.).
L’asportazione ad opera delle colture è stata stimata impiegando le estensioni delle superfici agricole
occupate dalle diverse colture (V Censimento Generale dell’Agricoltura, ISTAT, 2000), le rese medie
annuali (Tavole Provinciali su Agricoltura e Zootecnia, ISTAT, 2000) e i relativi coefficienti di rimozione
(Piano di Sviluppo Rurale 2007-2013, Regione Lombardia). In assenza di misure dirette nell’area indagata, i
tassi di volatilizzazione di NH3 e di denitrificazione nei suoli agrari sono stati desunti dalla letteratura. Le
perdite per volatilizzazione di NH3 sono state fissate nel 30% degli input di azoto da effluenti zootecnici e
nel 20% degli input da fertilizzazioni chimiche (Ferm, 1998), considerando però una ri-deposizione media
del 60% nei pressi della sorgente di emissione. La denitrificazione nei suoli è stata infine stimata
considerando perdite del 10% degli apporti azotati totali da pratiche agro-zootecniche (Smil, 1999).
Il carico generato dal comparto civile è stato calcolato dalla consistenza della popolazione (XIV Censimento
Generale della Popolazione e delle Abitazioni, ISTAT, 2001) mediante un coefficiente di produzione
giornaliera di azoto dell’Abitante Equivalente (Provini et al., 1998). Sebbene non inserito nel computo del
bilancio azotato a livello del suolo agrario, il calcolo ha permesso un confronto a livello di ordine di
grandezza tra sorgenti diffuse e puntiformi.
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I carichi azotati esportati annualmente dai bacini mediante trasporto fluviale sono stati quantificati in base a
valori medi di portate e concentrazioni di TN alle stazioni di chiusura (monitoraggi ARPA 2000-2008 e
progetti STRA.RI.FLU.).
Risultati e discussione
Il carico derivante dal comparto zootecnico ha rappresentato la fonte principale di azoto in entrambi i bacini
(Tabella I), con apporti areali anche superiori a 500 kg N ha-1 SAU anno-1, imputabili prevalentemente agli
allevamenti bovino (55%) e suino (30%). La seconda fonte di azoto per importanza è risultata essere
l’applicazione di fertilizzanti di sintesi, mentre la fissazione biologica, le deposizioni atmosferiche e le acque
di irrigazione hanno costituito complessivamente in media il 20% degli input totali. L’uptake da parte delle
colture ha rappresentato il principale sink di azoto (~50% imputabile alla coltivazione del mais), con la
denitrificazione nei suoli agrari e la volatilizzazione responsabili invece delle rimanenti perdite (~35% degli
output totali).
Tabella I. Bilancio dell’azoto nei bacini dei fiumi Oglio sublacuale e Mincio (t N anno-1).
INPUT
Reflui zootecnici
Fertilizzazioni chimiche
Fissazione biologica
Deposizioni atmosferiche
Acque di irrigazione
∑ input
OUTPUT
Asportazione delle colture
Volatilizzazione di NH3
Denitrificazione nel suolo agrario
OGLIO
SUBLACUALE
42.521
27.640
7.975
1.845
4.074
84.055
34.259
10.147
7.016
∑ output
Bilancio = ∑ input -∑ output
Export
NUE, Nitrogen Use Efficiency (%)
51.422
32.633
16.000
43
MINCIO
11.178
5.902
2.988
473
758
21.299
8.324
2.641
1.708
12.672
8.627
2.700
37
La disponibilità teorica di azoto a livello di suolo agrario risulta ampiamente superiore alla domanda delle
colture, con surplus medi a livello di bacino di oltre 140 kg N ha-1 SAU anno-1 e valori massimi fino a ~400
kg N ha-1 SAU anno-1 in alcune realtà comunali (Figura 3).
Le criticità dei bacini in esame sono state evidenziate anche dal calcolo di una misura di efficienza del
sistema agro-zootecnico in termini di utilizzo dell’azoto (NUE, Nitrogen Use Efficiency), ottenuta
rapportando la quota asportata mediante i raccolti all’input complessivo verso i suoli coltivati (Liu et al.,
2008). A livello di intero bacino risulta un valore medio pari a circa il 43% per l’Oglio e 37% per il Mincio,
indicando una condizione di scarsa efficienza ed estrema vulnerabilità degli ecosistemi acquatici data
l’elevata probabilità di percolazione e dilavamento di composti azotati.
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Surplus azotato (kg N ha­1 SAU anno­1)
0 – 78
79 – 157
159 – 236
237 – 315
316 – 389
0
20 km
Figura 3. Distribuzione spaziale del surplus azotato rispetto alla Superficie Agricola Utile (SAU) a scala
comunale nei bacini dei fiumi Oglio sublacuale e Mincio (kg N ha-1 SAU anno-1).
I carichi generati dal comparto civile, costituenti l’insieme delle sorgenti azotate puntiformi (~5.000 t N
anno-1 per l’Oglio e ~900 t N anno-1 per il Mincio), sono risultati trascurabili rispetto a quelle diffuse,
considerando un ulteriore abbattimento del 70-80% in seguito ai trattamenti di depurazione (D. Lgs.
n°152/2006, Allegato 5 alla Parte III).
L’analisi dell’export di azoto dai bacini idrografici consente di stimare il contributo dei processi di
trasformazione dell’azoto rispetto all’eccesso di questo elemento. Il carico esportato in Po su base annuale
(16.000 t N per l’Oglio e 2.700 t N per il Mincio) rende conto di circa il 50% del surplus esistente nel bacino
dell’Oglio sublacuale, mentre la percentuale si riduce al 32% per il Mincio, ad indicare come una quota
importante dell’eccesso rimanga nel territorio. Il rapporto tra carichi esportati e carichi generati (0,19 per
l’Oglio e 0,13 per il Mincio) ricade all’estremo inferiore dell’intervallo relativo ad un ampio dataset di bacini
idrografici del mondo (Boyer et al., 2006), facendo ipotizzare l’esistenza di importanti sink interni ai sistemi.
Relativamente al bacino dell’Oglio sublacuale, per il quale è disponibile un quadro dettagliato di
informazioni relative al reticolo idrografico, nonché studi sito-specifici sulle dinamiche di ritenzione
dell’azoto, è stato stimato il contributo del processo di denitrificazione in diversi comparti acquatici e infraacquatici all’abbattimento del surplus. Gli ambienti perifluviali connessi idraulicamente al fiume risultano in
grado di rimuovere tra 150 e 1260 kg N ha-1 anno-1 (Racchetti et al., 2011), tassi tra i maggiori ritrovabili in
letteratura (Pina-Ochoa & Alvarez-Cobelas, 2006), a conferma della funzionalità di questi ecosistemi quali
“hot spot” di denitrificazione (McClain et al., 2003). Estendendo il tasso massimo a tutte le zone umide nel
bacino la rimozione teorica annuale complessiva ammonterebbe a circa 250 t N, valore di ben tre ordini di
grandezza inferiore al surplus annuale nel bacino. Il contributo di questi ecosistemi alla dissipazione dei
carichi azotati appare infatti trascurabile, dato il rapporto altamente sbilanciato tra superfici coltivate
(~230.000 ha) e superfici di ambienti umidi (~200 ha).
Un contributo rilevante in termini di rimozione potrebbe però essere imputabile al reticolo idrografico
secondario, in considerazione della notevole estensione lineare (oltre 12.500 km). Sebbene misure
sperimentali di tassi di denitrificazione non siano disponibili per l’area in esame, dall’impiego del modello di
Christensen et al. (1990) che stima il potenziale di denitrificazione sulla base del tenore di ossigeno, della
disponibilità di NO3- nelle acque e della domanda sedimentaria di ossigeno (dati da monitoraggi ARPA e
progetto STRA.RI.FLU.), si ricava una rimozione teorica nell’intero bacino di oltre 5.500 t N durante il
periodo in cui i canali del reticolo minore sono attivi per l’irrigazione (maggio-settembre). L’asportazione
del reticolo verrebbe inoltre incrementata di ulteriori 3.000 t N applicando agli oltre 9.500 km tra siepi e
filari adiacenti ai corsi d'acqua (Regione Lombardia, 2007) i tassi massimi di abbattimento dell’azoto
ritrovabili in letteratura (Mander et al., 1997) per ambienti della medesima tipologia.
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Considerazioni analoghe sul destino dell’eccesso di azoto rimangono valide anche per il bacino del Mincio.
La minor quota di surplus soggetto ad export (32%) rispetto al bacino dell’Oglio sublacuale è probabilmente
imputabile al rapporto maggiore tra superfici occupate da ambienti lentici e superfici coltivate. Peculiarità
del fiume Mincio sono infatti le aree vallive (Valli del Mincio, oltre 1000 ha) e i tre bacini lacustri
(Superiore, di Mezzo e Inferiore) che circondano la città di Mantova.
E’ infine probabile che il destino dell’eccesso dell’azoto sia l’acqua di falda: dilavamento e la percolazione
determinano un inquinamento diffuso che aumenta i tenori di nitrato nelle acque sotterranee. Nei tratti di
Oglio e Mincio alimentati da falde superficiali, campionamenti effettuati dal Dipartimento di Scienze
Ambientali dell’Università degli Studi di Parma hanno dimostrato che si registrano aumenti consistenti delle
concentrazioni di nitrato, non riconducibili ad ingressi puntiformi con portata significativa. Le concause che
determinano l’inquinamento delle falde superficiali e profonde sono diverse, ma una delle più significative
risulta la pratica tradizionale di irrigazione basata sullo scorrimento superficiale e operata in suoli altamente
permeabili. L’apporto di azoto al fiume proveniente dalle falde mostra infatti un chiaro andamento stagionale
che sembrerebbe ricalcare il calendario delle pratiche irrigue, con un massimo misurato in agosto.
Conclusioni
La presente ricerca ha evidenziato l’importanza dell’approccio del bilancio di massa per la valutazione della
sostenibilità dei sistemi antropici. L’analisi condotta a scala comunale indica un’estrema eterogeneità delle
situazioni sul territorio, il che sottolinea l’importanza di interventi di riqualificazione sito-specifici. Ne risulta
quindi come la riqualificazione fluviale non possa essere svincolata dalla riqualificazione del bacino drenante
e dovrebbe prevedere innanzitutto interventi atti a ridurre a monte i quantitativi di azoto che giungono in
ambito fluviale, nonché azioni di ripristino delle funzioni ecologiche proprie delle aree marginali e del
reticolo secondario. Considerato lo sviluppo lineare di quest’ultimo nelle aree di pianura, risulta evidente che
una gestione pianificata di superfici così vaste potrebbe garantire un contributo significativo nel controllo del
carico azotato. Ci sono però evidenze che le acque di falda rappresentino un’importante sink di azoto nei
bacini: nel breve periodo gli acquiferi possono accumulare azoto (come confermato anche dai trend in atto
nelle concentrazioni di nitrato), ma nel medio-lungo termine parte del nitrato immagazzinato può essere
soggetto a riciclo verso le acque superficiali tramite le risorgive.
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