La_vita_di_Karen_Horney

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La vita di Karen Horney
Karen Danielsen nacque vicino ad Amburgo nel 1885. Era figlia di un capitano di navi
mercantili spesso assente da casa a causa del suo lavoro. Karen e suo fratello furono adorati
dalla madre, ma non ebbero la presenza fisica ed emozionale del padre. Se il padre era
presente in casa il clima familiare non era piacevole. Karen reagì a tutto ciò immergendosi
nello studio, nella letteratura e nel teatro. Oltre all'amore/odio per il padre, la sua vita fu
segnata da numerosi traslochi che la vedranno anche da adulta a rimanere nelle varie dimore
solo per brevi periodi. Lo stesso accadde anche nella “casa” psicoanalitica in cui non riuscì a
mettere radici e dopo averla combattuta apertamente decise di allontanarsene definitivamente.
La psicoanalisi divenne la sua passione e su di essa si attivò tutto il suo amore e tutto il suo
odio.
Tra gli anni venti e trenta Karen Horney fu protagonista di un forte scontro con Freud
sull'origine della femminilità. Nel suo saggio “La fuga dalla femminilità” rovesciò
chiaramente il nesso causale freudiano sostenendo che la bambina non deve conquistare
l'eterosessualità perché ha già al suo interno un desiderio innato e spontaneo verso l'altro
sesso. E' proprio questa attrazione che attira l'interesse libidico della bambina verso il pene. Il
testo che raccoglie gli scritti di quegli anni si intitola “Psicologia femminile”. Le polemiche in
esso presenti riguardano anche il piacere primario che le donne hanno nel desiderare un
figlio: il bambino è in sé oggetto di desiderio e di piacere. Sia il desiderio di maternità che
l'attrazione fra i sessi si basano su una legge naturale, un patrimonio biologico della specie
che non ha bisogno né di spiegazioni psicologiche, né sociali. Sostenendo ciò, Karen Horney
ribatté al biologismo freudiano con un pensiero ugualmente biologico.
Il Settimo Congresso Internazionale di Psicoanalisi, svoltosi a Berlino nel 1922, fu
l'occasione per presentare ufficialmente alla comunità scientifica il suo scritto “Sulla genesi
del complesso di castrazione nelle donne”. A differenza di Freud, Karen Horney sosteneva
che la vagina non era il punto di arrivo nel processo di sessuazione femminile, ma l'organo di
partenza da cui si producono sensazioni e fantasie. La bambina sa fin dalle origini
dell'esistenza della vagina e per un meccanismo difensivo si troverà a denegarla. L'angoscia
per la mancanza del pene non origina una ferita narcisistica che non può essere elaborata, ma
è il sadismo attribuito al padre che produce l'invidia del pene. Questa però è a carattere
difensivo perché la bambina si deve proteggere dalle fantasie di penetrazione violenta da parte
del padre. E' la penetrazione tanto desiderata è al tempo stesso anche temuta che induce la
bambina a desiderare di possedere essa stessa un pene. Il tutto per fare in modo che quella
fantasia non possa essere messa in atto.
Questo fu solo l'inizio del suo allontanamento dalla scuola psicoanalitica freudiana e lo
scontro con le istituzioni psicoanalitiche può essere letto come il riproporsi dell'amore/odio
originario per la figura del padre. Il suo pensiero si sposterà sulle questioni sociali e culturali e
sull'influenza che esse hanno sulla struttura della personalità. Il processo di sessuazione della
bambina diventerà una questione di carattere sociale poiché è l'effettiva inferiorità sociale,
politica ed economica delle donne che modella lo sviluppo della sessualità femminile. Dato
che gli uomini eccellono e sovrastano le donne nel sociale, esse invidiano ciò che più
direttamente rappresenta la mascolinità: il pene. Nell'invidia del pene, quindi, si esprime quel
rancore che nasce dai vantaggi sessuali che il contesto sociale riserva agli individui di sesso
maschile.
Con la pubblicazione nel 1942 del suo lavoro “Autoanalisi”, Karen Horney evidenzia
che, per negare e compensare la propria condizione d'inferiorità, la donna si rifugia
nell'illusione dell'amore e della passione. Anche la sua vita privata e professionale ce lo
dimostra. Molti amori ed interessi segnarono la sua giovinezza, fino all'incontro con Oskar
Horney che sposò nel 1909. Nel 1910 si stabilirono a Berlino, dove ebbe inizio l'analisi con
Giada Braccesi
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Abraham che però si concluse velocemente: Karen non riusciva a sentirsi protetta da nessuna
figura maschile. Scelse quindi di autoanalizzarsi lasciandone traccia nei sui diari. Inoltre,
seguì la strada di sua madre e nel 1927 decise di lasciare il marito continuando a vivere con le
sue tre figlie. In quel periodo ebbe i primi successi professionali e poteva disporre di una
buona condizione economica. A quei tempi esisteva una consuetudine tra gli psicoanalisti:
mandare le proprie figlie in analisi. Karen scelse per loro Melanie Klein, ma l'esperienza non
fu positiva perché tutte e tre rifiutarono in maniera più o meno esplicita di continuare l'analisi.
Nel 1934 si trasferì a New York, dopo aver soggiornato due anni a Chicago per
superare gli esami di medicina abilitanti alla professione medica negli Stati Uniti. Entrò
quindi a far parte dell'Istituto Psicoanalitico di New York portando con sé la decennale
polemica contro Freud. Lì conobbe Erich Fromm ed ebbe inizio tra di loro una relazione
affettiva. Il conflitto con l'Istituto psicoanalitico, già presente dal suo arrivo, si risolse con la
sua uscita nel 1941 accompagnata da Erich Fromm, Clara Thompson e seguita da alcuni
studenti ed analisti in formazione.
Alla fine del 1941 fondò l'Associazione per il progresso della psicoanalisi che aveva
come programma la ricerca teorica per portare la disciplina oltre le teorie freudiane. La teoria
del transfert, fondamentale per le istituzioni psicoanalitiche, veniva messa in ombra da Karen
Horney a favore dello sforzo che ciascun individuo deve fare per conoscere se stesso usando
le scoperte della psicoanalisi. Neppure l'Associazione per il progresso della psicoanalisi
divenne “casa” per lei. Erich Fromm non era un medico e, secondo lei, la sua formazione non
garantiva un prestigio sufficiente per poter insegnare ai candidati in training presso
l'associazione. A favore di Fromm si schierarono Clara Thompson e Harry Stack Sullivan. Lo
scontro fu però caratterizzato anche dalla fine della loro relazione e dall'essere stato l'analista
di una delle sue figlie. Stupisce il fatto che fu proprio Karen Horney, così polemica verso le
regole dell'istituzione psicoanalitica, a portare contro Fromm argomentazioni relative alla
rigorosa osservanza delle regole. Forse in quella situazione si identificò completamente nella
figura del padre autoritario abbandonando la figura della figlia che non accetta l'autorità
paterna. Le battaglie non finirono con l'allontanamento di Fromm e nel 1944 nell'associazione
rimasero solo Karen Horney e Sarah Kelman.
Tutta la vita e il pensiero di Karen Horney furono caratterizzati dal desiderio di
separazioni e di scontri, dal desiderio di non appartenere. L'essere stata sola in adolescenza,
per necessità o per scelta, si ripresentò coattivamente nella sua esistenza e condizionò le sue
scelte in campo psicoanalitico. Nel suo mettersi “al di fuori” emerge la denegazione del
mondo psichico privilegiando come punto di partenza le relazioni sociali e culturali. Anche il
filosofo e sociologo T.W. Adorno ha sottolineato che il relativismo culturale di Karen Horney
non era più da considerarsi una critica al pensiero psicoanalitico, ma una costruzione di un
nuovo modello interpretativo.
Negli ultimi anni della sua vita rivolse la propria attenzione verso la filosofia Zen.
Anch'essa divenne un oggetto di investimento totale, ma si avvicinò a questa spiritualità senza
conflitti. In questo nuovo interesse è possibile leggere una riconciliazione con la figura
paterna. La passione nell'esser soli trova nella filosofia Zen accoglienza e realizzazione:
Karen Horney riafferma di aver “casa” solo in se stessa. Morì nel 1952 per un tumore. Una
delle sue ultime conversazioni fu con un medico dell'ospedale in cui era ricoverata al quale
parlò della difficoltà delle donne nel fare carriera e nell'affermare se stesse.
Freud ha lasciato alle donne del movimento psicoanalitico il compito di rispondere alla
questione aperta relativa allo sviluppo psicosessuale della bambina. Compito complesso,
perché in esso è contenuto un paradosso che porta all'immobilità nelle interpretazioni. Da una
parte c'era l'invito alle donne stesse a dire ciò che gli uomini non potevano dire, dall'altra c'era
la richiesta di appartenere al modello rigido delle teorie freudiane. Due sue allieve, Helene
Giada Braccesi
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Deutsch e Karen Horney provarono a colmare quel vuoto.
La Deutsch fu pienamente concorde con l'idea freudiana. L'invidia del pene, per lei,
aveva una consistenza biologica ed irriducibile. Secondo la Deutsch, alla mancanza biologica
del pene si può rispondere solo attraverso il masochismo, pertanto l'unico piacere che resta
alla bambina di fronte a quella ferita narcisistica è di desiderare la castrazione. Anche la
maternità è vista solo come un servizio alla specie: una sublimazione a carattere masochistico.
Al contrario, il lavoro interpretativo di Karen Horney si spostò sul sociale, sulle
componenti culturali che influenzavano la sessualità. Il suo pensiero rovescia il procedimento
psicoanalitico annullando l'importanza del mondo interno. Secondo lei, l'invidia del pene
nasce perché le donne sono incapaci di esprimere direttamente la loro aggressività. Per lei
sono i vantaggi culturali, economici e sessuali di cui solo gli individui di sesso maschile
godono la causa dell'invidia ed il desiderio di maternità va collocato tra i desideri primari del
mondo psichico femminile.
Giada Braccesi
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