comandante - Amici del Cabiria

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comandante - Amici del Cabiria
COMANDANTE
Anno: 2003
Durata: 99
Origine: SPAGNA, USA
Genere: DOCUMENTARIO
Produzione: OLIVER STONE, FERNANDO SULICHIN E VINCENT JOLIET PER HBO DOCUMENTARY, MEDIA
PRODUCCION, MORENA FILMS S.L., PENTAGRAMA FILMS S.L.
Distribuzione: MIKADO (2005)
Data uscita: 22-04-2005
Regia: Oliver Stone
Attori:
Fidel Castro Se Stesso
Oliver Stone Se Stesso
Juanita Vera L'Interprete Di Castro
Sceneggiatura: Oliver Stone
Fotografia: Carlos Marcovich - Rodrigo Prieto
Musiche: Alberto Iglesias - Paul Kelly
Montaggio: Elisa Bonora - Alex Marquez
Trama:
Faccia a faccia tra il leader cubano Fidel Castro e il regista Oliver Stone, qui in veste di intervistatore. La pellicola è un
estratto di una serie di interviste e conversazioni fra i due durate più di 30 ore.
Critica:
"Un documento straordinario a condizione di saperlo interpretare, di capire i silenzi, i dinieghi, i dietrofront, di leggere nel
volto in primissimo piano di Castro il fastidio per certe domande o l'arte della dissimulazione con cui l'anziano leader, da
grande politico, si sottrae alle domande più scomode. Del resto, è ingenuo pensare che potesse essere altrimenti; e Stone, che
non è il primo venuto quanto a tecniche di controllo e di manipolazione, gioca a carte scoperte. Anche Castro ha il diritto di
dire "stop!" in qualsiasi momento durante le riprese, ma non lo farà mai; così come non chiederà nessuna modifica al
montaggio. Ne risulta il classico bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Mezzo vuoto per chi vorrebbe un contraddittorio
agguerrito, giornalistico, che Castro avrebbe sicuramente evitato. Mezzo pieno se si guarda il film per ciò che è: un ritratto
abilmente in bilico fra pubblico e privato, eseguito da un ritrattista che lascia un angolino per sé. Una conversazione, più che
un'intervista, in cui non conta solo ciò che si dice, ma anche come lo si dice (o non lo si dice). (...) Troppo poco per chi è
assetato di risposte. Molto per chi userà i toni soft di 'Comandante' (l'autunno del patriarca? ) come base per nuove domande.
E magari avrà un brivido davanti alle immagini d'archivio della Rivoluzione cubana, sempre più deteriorate. Perché anche la
storia ormai è un lusso, ma se negli Usa 'Comandante' è bandito, chi salverà la memoria visiva dei paesi poveri?" (Fabio
Ferzetti, 'Il Messaggero', 22 aprile 2005)
"Slittato in attesa che tornasse a rifulgere la stella ora appannata di Fidel, ecco l' interessante documentario del regista
politicamente scomodo Stone (prima di Arafat e di Alexander ), turista non per caso a Cuba a rendere omaggio al suo mito
politico. Per un americano dell'era Bush è un atto di coraggio: ma non è una intervista in ginocchio anche se il contesto sociale
e il bagno di folla tendono al misticismo. Oliver, pur in cerca di dialettica, ammira l'icona del socialismo col sigaro, vicino al
record dei 50 anni di potere. Quello che più interessa nel dialogo in diretta che esplora le contraddizioni del reale, è l'uomo
Castro, che ama Chaplin e la Bardot, che rievoca l' amico Che Guevara e va in amarcord alla crisi della Baia dei Porci."
(Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 23 aprile 2005)
Fidel Castro, che ora ha 78 anni, ha concesso a Oliver Stone un'intervista interessantissima: durante tre giorni e tre notti del
febbraio 2002 all'Avana, muovendosi in città tra lo studio di Castro ornato col busto di Lincoln, la Scuola di Medicina e quella
di Fisica dove lavora il figlio Fidel Castro jr. Fisico nucleare, il Museo di arte contemporanea, l'automobile, il ristorante, l'ex
guerrigliero che guida Cuba da più di 40 anni risponde a domande che gli vengono poste soprattutto su se stesso e sulle sue
idee generali, trascurando un poco la politica su cui Castro si esprime spesso, lasciando del tutto da parte il tema più bruciante,
il rispetto dei diritti umani. Materiali visivi d'epoca evocano la guerriglia rivoluzionaria cubana, Che Guevara, i momenti
cruciali dell'embargo posto dagli americani all'isola (dal 1960, 45 anni) o della Baia dei Porci. Le voci sono quelle originali,
tradotte dai sottotitoli in italiano, confuse a volte dalla voce di un'interprete bravissima. Fidel Castro è sottile, diritto, porta
benissimo la sua classica divisa verde oliva; gli occhi sono tristi, la barba è un poco rada («ho risparmiato 100 giorni della mia
vita da quando decisi di non sbarbarmi»); ha una bellissima voce calma e soft, si tormenta di continuo le mani nodose dalle
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unghie troppo lunghe. Chiede Stone: «E se non avesse vinto, con la rivoluzione?». «Sarei morto», risponde Fidel Castro, che
si controlla perennemente il polso. Non crede nel destino, non è mai stato un credente religioso, non ha mai pensato a come
vorrebbe esere ricordato. Non ha mai parlato con uno psichiatra: «Ho sempre avuto fiducia in me stesso». Trova l’idea della
First Lady «piuttosto ridicola», non parla dei suoi rapporti personali con le donne. Non va al cinema nè in vacanza da dieci
anni: «Troppo occupato». Gli piacevano (ma così, vagamente) Chaplin, Bardot, Loren. Krusciov gli era molto simpatico, «un
contadino astuto»; Nixon era «vanitoso, politicante, ipocrita»; sull’uccisione di Kennedy «rifiuto l’idea del cecchino
solitario»; dell'incontro con Giovanni Paolo II è rimasto molto soddisfatto. «Il dirigente sovietico che ha tagliato gli aiuti a
Cuba è il governo americano». Porta in auto una grossa pistola. «La specie umana è destinata all’estinzione, distruggiamo
troppe risorse». E lui? «Io non vorrei vivere per sempre». (Lietta Tornabuoni, La Stampa - 25/04/2005)
Che bocca grande che hai... Ahm, per mangiarti meglio! Il vecchio Fidel ci starebbe proprio bene nella favola di Cappuccetto
Rosso. Sornione, furbissimo, pacche sulle spalle e grandi sorrisi, il dittatore cubano si pappa in un sol boccone il pur
volenteroso Oliver Stone, che gli dedica il documentario Comandante. Da sempre affascinato dalle personalità forti,
ossessionato (giustamente) dall’urgenza dell’attualità storica, il controverso regista americano passa dalla Palestina all’isola
dei Caraibi per ritrarre “dal di dentro”, dopo il defunto Arafat, un altro nemico storico degli Stati Uniti, il “babau” che governa
da quasi mezzo secolo a un tiro di schioppo da Miami.
Il risultato è strano: un documento inedito, un volto non conosciuto di un potere totalitario, accompagnato però dal sospetto di
un’operazione non del tutto sincera. Fidel è furbo che più furbo non si può. Non che Stone non gli rivolga domande
imbarazzanti, ma il lider maximo ha un’abilità da slalomista consumato nell’evitarle, nel rispondere solo a ciò che gli fa
comodo e a schivare, vedendolo da lontano, ogni possibile trabocchetto. E il gioco Io conduce lui, nel palazzo presidenziale e
a spasso per le vie dell’Avana, incontrando folle festose che inneggiano al “comandante”.
Certo, sono molto belle le vedute alla Buena Vista Social Club, così come incantano i brani di musica che fanno tanto Caraibi.
Manca, però, il tentativo di scavare dietro la superficie, di farci vedere e sentire quello che gli occhi normali di un turista non
riescono a vedere e sentire. Qualche attimo di verità si coglie, di tanto in tanto, proprio come nel fumato su Arafat. Ma la
Cuba più profonda, quella che ha sperato nel riscatto con Fidel e che ora s’interroga su un presente gramo e un futuro incerto,
resta molto difficile da intravedere, confinata al di qua di quella rete di protezione da cui osserviamo, nel finale, decollare
l’aereo di Stone. (Luigi Paini, Il Sole-24 Ore - 03/05/2005)
Comandante è il risultato di un'intervista di trenta ore che Oliver Stone ha fatto a Fidel Castro in tre giorni. Vertiginosamente
oscillante tra gli standard del contemporaneo celebrity journalism, il pellegrinaggio personale (Stone è un fan naturale di
Castro, e Castro un fan naturale dei suoi film di guerra) e l'inchiesta politica, Comandante affascina proprio per la sua
indefinibilità. Negli Stati uniti, la sua messa in onda su Hbo era diventata un caso politico, si temevano le reazioni dei
dissidenti cubani e Oliver Stone era tornato all'Havana per girare una versione più breve dell'incontro, Looking for Fidel, che
venne poi trasmessa. In Italia, è sugli schermi cinematografici da oggi. Quando presentò il suo film al Sundance festival
Oliver Stone svelò che non sapendo bene come agire, aveva deciso «di abbattere la quarta parete, di mostrare la troupe e tutto
quello che stava succedendo intorno all'intervista, per creare una situazione in cui gli incidenti erano permessi». Fin dalle
prime battute del film - girato con telecamere in continuo movimento, e inquadrato da angolature drammatiche - non ci sono
dubbi su chi, tra i due conversanti, conduca il gioco. Con il valido aiuto di una traduttrice che lavora con lui da trent'anni,
Castro diverte, seduce, elude, prende di punta, pontifica, cambia marcia, getta fumo negli occhi, si perde in digressioni
teoriche e racconta dettagli minuziosi. «In un certo senso era come avere a che fare con una star del cinema - una specie di
Marcello Mastroianni», ha detto il regista. E nel film lo si vede seguire il ritmo ineguagliabile del leader cubano con
espressioni a tratti frustrate, ammirate, divertite, di riflessione....
Sul côté light, si apprende che Castro cammina avanti e indietro nel suo ufficio per tenersi in forma, che non si è mai sognato
di andare dallo psicologo, che adora Sofia Loren, Brigitte Bardot, Cantinaflas e, soprattutto, Charlie Chaplin - di cui conosce a
memoria tutti film. Che la prima volta che ha visto Nixon, nel 1959, lo ha giudicato «un politico di mente ristretta», che
Krushev gli piaceva perché era «un paesano astuto», che Kennedy è stato ucciso da più di un fucile solo e che, dopo la
vicenda di Elian Gonzales (un miracolo da parte di Cuba e un disastro da parte americana) nel paese si sono moltiplicate le
manifestazioni a suo favore. Ma, in mezzo a questo fiume di parole e dettagli impressionistici, Castro riesce a infilare le sue
frustrazioni (per esempio perché Cuba è stata «usata» sia dagli Usa che dall'Urss), e verità come quella secondo cui, dalla crisi
dei missili in poi, il popolo americano ha permesso che l'espressione «sicurezza nazionale» diventasse il mantra assoluto del
paese.
Da parte sua, Stone riesce a infilare domande sulla presenza cubana in Vietnam, sulla tortura ai prigionieri politici, sui rapporti
con il Che e la sua morte, sulle elezioni poi non così libere.... Castro sorvola, elude o risponde con cose già dette ma è
interessante il modo in cui dice, o non dice, le cose. Montato con un occhio ai ritmi e alle sensibilità del pubblico televisivo,
anche Comandante è valido più per quello che lascia trasparire che per quello che mostra. Oliver Stone ha anticipato che
cercherà di rendere disponibile, almeno su Internet, «per studiosi e politologi» le rimanenti ore dell'intervista. (Giulia
D'Agnolo Vallan, Il Manifesto - 25/04/2005)
L’operazione è ambiziosa e potente: un’intervista al lider maximo Fidel Castro fatta dallo stesso Oliver Stone. Paiono
amiconi, i due: Oliver di qui, Oliver di là. Da un punto di vista cinematografico, i fan dell’autore di Natural Born Killers
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troveranno pane per i loro denti, giacché il concept del documentario è lo stesso di JFK: immagini girate ex novo e inserti di
repertorio manipolati a piacimento. Lo stile è solido, incalzante, difficile annoiarsi. Ma in fin dei conti, cosa resta di Fidel e di
questo incontro? Poco, pochissimo. Castro è una vecchia volpe e Stone cade nella trappola. Fateci caso: mai che risponda
direttamente, senza se e senza ma, alle domande più imbarazzanti e urgenti. Il “comandante“, anzi, piega l’occhio della
macchina da presa e la volontà dell’intervistatore a proprio vantaggio. Finisce per rispondere sempre alle domande che
avrebbe voluto gli si facesse, mai a quelle che gli vengono fatte. Poi, il lato grottesco del potere esce tutto lo stesso. Come
quando sostiene di non avere il culto della personalità e si scopre che ha chiamato i figli Fidel Castro I, Fidel Castro Il...
(Mauro Gervasini, Film TV - 27/04/2005)
Risultato di un’intervista di 30 ore che Oliver Stone ha fatto a Fidel Castro, Comandante oscilla vertiginosanente tra gli
standard del contemporaneo celebrity journalism, il pellegrinaggio personale (Stone è un fan naturale di Castro, e Castro un
fan naturale dei suoi film di guerra) e l’inchiesta politica. Fin dalle prime battute del film - girato con telecamere in continuo
movimento, da angolature drammatiche - non ci sono dubbi su chi conduca il gioco. Con l’aiuto di Juanita Vera, traduttrice
che lavora con lui da trent’anni (e capace di anticiparne Le risposte) Castro diverte, seduce, elude, pontifica, cambia marcia,
butta fumo negli occhi, si perde in digressioni teoriche e racconta dettagli minuziosi. «in un certo senso era come avere a che
fare con una star del cinema - una specie di Marcello Mastroianni», ha detto Stone, e nel film lo si vede inseguire il leader
cubano con espressioni a tratti frustrate, ammirate, divertite. Si apprende così che Castro adora Sofia Loren, Brigitte Bardot,
Cantinflas e, soprattutto, Charlie Chaplin. Che la prima volta che ha visto Nixon, nel 1959, lo ha giudicato «un politico di
mente ristretta», che Kruscev gli piaceva perché era «un paesano astuto», che Kennedy è stato ucciso da più di un fucile. Ma
Castro riesce anche ad esprimere le sue frustrazioni (Cuba è stata “usata” sia dagli USA che dall’URSS), e alcune verità come
quella secondo cui, dalla crisi dei missili in poi, La “sicurezza nazionale” sia diventato il mantra in nome di cui gli USA
giustificano tutto. Stone infila qualche domanda “pericolosa” (per esempio sulla tortura). Raramente ottiene delle risposte. Ma
anche il modo in cui Castro “non” dice le cose è molto interessante.(Giulia D'Agnolo Vallan, Ciak - 10/05/2005)
"Caro Oliver Stone, sei sicuramente un regista di prima fascia. La tua filmografia parla chiaro: ci convivono l'ottimo, il medio
e il pessimo ('Alexander' è una ferita ancora aperta), ma in quanto a sturm und drang, tempesta e ardore, non sei secondo a
nessuno. Ma come ti è venuto in mente d'inserire le tue, certo legittime, sensazioni di cuore e di pancia nel tritacarne di un
genere che pretende, per andare dritto allo scopo, di apparire ed essere equanime, asettico, impietoso e tagliente? Succederà
che di questo tuo 'Comandante', documentario su Fidel Castro presentato al festival di Berlino 2003, nessuno saprà davvero
che farsene: per i Castro-dipendenti la dose d'agiografia è fiacca, per tutti gli altri letale. Prodotto con soldi spagnoli, il ritratto
scaturisce da oltre trenta ore di colloqui realizzati a Cuba nel corso dei quali l'intervistato poteva in qualsiasi momento
interrompere la registrazione e procedere alla cancellazione o al rifacimento dei passaggi sgraditi: chissà perché il Lider
Maximo non ha mai avuto bisogno d'esercitare il diritto di veto...". (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 30 aprile 2005)
E’ il primo documentario di Oliver Stone, autore “scomodo” e forse per questo votato al genere (in seguito ha realizzato un
ritratto di Yasser Arafat, assediato nel suo quartier generale di Ramallah, presentato a Venezia 2003). Lo dimostra scegliendo
un argomento, o per meglio dire un personaggio, che proprio comodo per l’America non è: Fidel Castro. Un personaggio, il
dittatore cubano, che da qualche tempo promana meno fascino di una volta anche nei confronti delle sinistre di tutto il mondo,
dopo le esecuzioni sommarie ordinate ai danni di cittadini in fuga in piena guerra in Iraq. Proprio per questo, l’uscita italiana
del film è slittata sull’onda delle critiche piovutegli dall’Occidente. C’è da aggiungere che Stone rivolge uno sguardo denso di
ammirazione all’icona del socialismo e della resistenza all’embargo Usa, inseguendo con riverenza l’uomo che si cela dietro
barba e sigaro.
Il documentario, presentato al Festival di Berlino 2003, sezione Panorama, e prima ancora al Sundance Film Festival, è
composto da una serie di conversazioni mirate a dare un’idea del carattere e delle peculiarità dell’uomo-Fidel. Il film
rappresenta più di quanto possiamo immaginare una sfida alla maggioranza politica e civile americana, come sottolinea lo
stesso protagonista quando afferma: “E’ così brutto essere un dittatore? Gli Stati Uniti si sono comportati bene con tanti di
loro”. Vi si ripercorrono 40 anni di potere castrista con l’ausilio di materiale di archivio sulla rivoluzione cubana,
sull’invasione della Baia dei Porci e la crisi dei missili del 1962. Non potevano mancare rievocazioni del compagno Che
Guevara (due anni fa “I diari della motocicletta”, progetto che stava a cuore a Gianni Minà e concretizzato grazie alla
produzione di Robert Redford e alla regia di Walter Salles, era in piena fase di riprese), ma c’è molto anche dell’uomo Fidel e
delle sue inclinazioni, dai film di Charlie Chaplin a Brigitte Bardot, con un primo piano che tradisce la preferenza per una
marca di scarpe sportive.
Dallo svolgersi dell’intervista ai primi piani della videocamera, dalla folla festante in adorazione per il lider maximo alla
totale assenza, al contrario, di considerazioni sui diritti civili del popolo cubano, emerge un’aura di beatificazione di Castro.
Nonostante l’interesse di quello che può definirsi uno scoop, un maggiore distacco avrebbe giovato. (www.fice.it)
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