Benzina "mafiosa", pompe taroccate. "Cresta sul pieno

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Benzina "mafiosa", pompe taroccate. "Cresta sul pieno
PALERMO
Benzina "mafiosa", pompe taroccate. "Cresta
sul pieno per i Graviano"
Giovedì 06 Marzo 2014 - 06:15 di Riccardo Lo Verso
La Procura della Repubblica chiede il rinvio a giudizio per gli
ex titolari di due distributori riconducibili ai boss di
Brancaccio. Avrebbero truffato i clienti per accumulare il
denaro che serviva per pagare gli stipendi ai parenti dei
capimafia palermitani rinchiusi al 41 bis.
PALERMO - Benzina “mafiosa” e pompe taroccate. La cresta sarebbe servita per passare lo
stipendio ai familiari dei mafiosi.
La Procura della Repubblica chiede il rinvio a giudizio per Angelo Lo Giudice e Rosa
Bompasso. I loro distributori di carburante sarebbero stati per anni una fonte di reddito per i fratelli
Benedetto, Filippo e Giuseppe Graviano. Come? Le colonnine degli impianti sarebbero state
manomesse per ottenere maggiori ricavi da girare ai capimafia di Brancaccio e ai loro familiari. Da
qui le accuse di truffa e riciclaggio che vengono contestate a Lo Giudice e Bompasso, marito e
moglie, formalmente intestatari dei distributori Agip di viale Regione Siciliana, ad angolo con via
Oreto, ed Esso di Piazza Sant'Erasmo. Entrambi gli impianti sono finiti sotto sequestro. Il primo è
fallito e il secondo ha riaperto sotto un'altra insegna estranea ai fatti. Le due compagnie petrolifere,
Esso e Agip, sono parte offesa dell'inchiesta e sono pronte a costituirsi parte civile con l'assistenza
dell'avvocato Cristiano Galfano. Ad entrambi gli indagati i pubblici ministeri Vania Contrafatto e
Francesca Mazzocco contestano l'aggravante dell'articolo 7, quella prevista per chi agevola Cosa
nostra.
Nelle pompe non si vendeva solo carburante con il trucco. Sarebbero state anche due stazioni di
posta del clan mafioso di Brancaccio. Il nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza
vi trovò una sfilza di pizzini. E così sarebbe venuta a galla la contabilità che prevedeva stipendi
sostanziosi per i parenti più stretti degli ergastolani che nonostante il 41 bis avrebbero continuato a
gestire affari e potere. E cioè Rosalia Galdi, detta Bibiana, moglie di Giuseppe Graviano, Francesca
Buttitta, moglie di Filippo, Nunzia Graviano, "a picciridda" sorella dei boss (pure lei è finita in
carcere) a cui sarebbero spettati 4 mila euro al mese. E ancora mille euro ciascuno a Maria Anna Di
Giuseppe ed Antonietta Lo Giudice, mogli di Giuseppe Faraone e Giorgio Pizzo, entrambi detenuti,
e a Benedetto Graviano.
Nei due distributori i finanzieri trovarono tutto ciò che serviva per truffare, sostiene l'accusa,
i clienti. C'era la calamita che diminuiva l'erogazione fino al dieci per cento in meno di quanto
indicato sul dispaly. C'era l'interruttore piazzato in bagno che qualcuno pigiava quando il benzinaio
azionava la pistola del carburante. Oppure il telefono che a distanza accelerava il conteggio della
colonnina facendo semplicemente finta di essere impegnati in una conversazione.
Il difensore dei due indagati, l'avvocato Enrico Tignini non entra nel merito delle accuse, ma
si limita a precisare che nel caso di Lo Giudice “alcune fattispecie di reato potrebbero essere già
oggetto di analogo processo penale in fase di celebrazione con il rito abbreviato” (Lo Giudice è per
imputato di intestazione fittizia di beni ndr). Nel caso della Bompasso, invece, “si tratta della
titolare del Bar Liberty che nulla aveva a che fare con il distributore”. Anche il bar, annesso alla
pompa di benzina di viale Regione Siciliana è finito sotto sequestro perché considerato di proprietà
dei capimafia di Brancaccio.