TECNOLOGIE BELLICHE TEDESCHE

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TECNOLOGIE BELLICHE TEDESCHE
TECNOLOGIE BELLICHE TEDESCHE
LINEE FORTIFICATE E DIFESE PASSIVE DEL RIDOTTO ALPINO
1944-1945
Per la quasi totalità degli studiosi di storia militare e degli studiosi di tecnologie
militari del Terzo Reich, la voce del cosiddetto “Ridotto Alpino” o Alpenfestung
rientra tra quelle leggende prive di fondamenti storici, opera quindi di una geniale
campagna di controinformazione e disinformazione realizzata dal Ministero della
Propaganda di Goebbels, ma siamo sicuri che sia andata proprio così?
Nel 2001, in occasione di un viaggio in Slovacchia, alla ricerca di tracce e vestigia
del periodo storico che preferisco per lo studio della mia materia, vale a dire l’ultimo
anno di guerra della forze armate dell’Asse, ho avuto modo di parlare con alcuni
anziani abitanti di una serie di villaggi al confine tra Repubblica Ceca e Slovacchia, i
quali, parlando a ruota libera, mi citarono che, alla fine del 1944, diversi reparti del
genio tedesco, unitamente a interi convogli ferroviari, transitarono con alte frequenze
giornaliere da quelle parti, per inoltrarsi tra le vallate, a tuttoggi in parte selvagge ed
incontaminate, per consegnare e scaricare materiali bellici, avvalendosi anche di
manodopera locale, fidata in quanto “volksdeutsche”, per la realizzazione di una serie
di opere fisse e semipermanenti collocate in aree geografiche all’apparenza lontane
dalle linee del fronte e non riconducibili ad una minaccia immediata.
Tralasciando il fatto che il primo presupposto di analisi si basa sull’impossibilità che
almeno dieci persone si siano accordate allo scopo di inventare storie fantasiose, pur
vivendo in paesi diversi e non conoscendosi tra loro, per procedere in questa ricerca
basta consultare una cartina dell’Europa Centro Orientale nel periodo che va dalla
fine del 1944 all’inizio del 1945, ebbene si vedrà che la massima spinta difensiva da
parte delle forze corazzate tedesche verte sul tentativo di riprendere il controllo della
pianura ungherese e di Budapest stessa, per contrastare il dilagare delle armate
corazzate sovietiche.
Nello stesso periodo, sul fronte ovest, l’offensiva delle Ardenne tiene impegnati gli
Alleati occidentali per qualche settimana, ed anche qui le forze tedesche impiegate
sono giustificate in numero e tipologia di reparti, sul fronte orientale di Polonia e del
Baltico, lo sfondamento originato dall’operazione Bagration vede i tedeschi obbligati
a chiudere i varchi aperti con quello che hanno a disposizione, eppure……..
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Eppure a questo punto cominciano a vedersi circolare, nelle valli e nei paesini che
citavo in precedenza, mezzi corazzati delle ultime generazioni che per chiunque
sarebbero stati più utili altrove, ad esempio decine di Koenigtiger, Panther (con visori
all’infrarosso, NDR), cacciacarri Hetzer e Jagdpanther, ma anche artiglierie
polivalenti come i pezzi da 128 mm utilizzati sulle torri contraeree di Berlino, Vienna
ed Amburgo, lanciarazzi semoventi ed un nugolo di mitragliere contraeree da 20 e da
37 mm trainate o semoventi.
In termini assoluti non si tratta ovviamente di un numero enorme di mezzi, ma è
strano comunque che un’area con pochi passaggi obbligati stretti, oltretutto di grande
estensione kilometrica, sia oggetto di tanto interesse; si aggiunga inoltre che per tutta
la durata della guerra non vi furono mai da quelle parti, i bombardamenti che
devastarono altre zone del Reich, e gli stessi combattimenti aerei in quei cieli non
sono ricordati per particolarità proprie di qualche interesse, eppure il predominio
assoluto nell’aria era alleato in quel periodo, allora perché si avventurarono poco i
bombardieri leggeri e medi occidentali e sovietici sui cieli delle montagne tra
Slovacchia e Boemia-Moravia? Ordini precisi oppure scelta precisa per limitare le
perdite su di un territorio difeso potentemente?
Ma procediamo sul fronte terrestre.
Scopro nel 2002 una serie di volumi scritti da autori, ancora poco diffusi in Italia,
come Igor Witkowski e Fredrich Georg, che trattano argomenti “alternativi” quali le
armi nucleari o segrete del Terzo Reich, ed in tutti e due i casi (vale il discorso di
prima: o si sono accordati tra loro per costruire burle o hanno appurato verità e
testimonianze dirette) si cita la zona da me “esplorata”, come ultimo baluardo
difensivo montuoso per garantire la possibilità ai nazisti di infliggere perdite pesanti
agli Alleati e quindi sperare di ottenere condizioni, in caso di resa, più onorevoli di
quelle ottenibili con la caduta di Berlino, ed eventualmente di potersi avvalere di
quella zona per stoccare e utilizzare le cosiddette “armi della disperazione”, ossia
bombe radiologiche e missili con carichi non convenzionali.
Convinto di essere sulla pista giusta, procedo ad analizzare il territorio e a sentire
testimonianze, fino a trovare un anziana donna che ricorda perfettamente di quando,
nel gennaio o febbraio 1945, lei adolescente salutò il padre che si assentò per giorni
interi a scaricare “un treno pieno di carri armati tedeschi che però non avevano i
cingoli e sembravano dei giocattoli rotti anche se sembravano nuovi e lucidi”, alle
mie domande, anche effettuate con l’uso di disegni e di un sempre utile libro tascabile
per il riconoscimento dei mezzi e delle armi della Seconda guerra Mondiale, la
signora mi indicò con il dito la sagoma del Panzer IV Ausf J (illustrato nella versione
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con la protezione addizionale in torretta e gli “schurzen” laterali e mi disse che le
sembrava il tipo di carro che suo padre raccontava di aver scaricato per ore con una
gru alla stazione di Trencin, e del quale rammentava di aver ricevuto dal genitore un
piccolo modello in latta.
Conscio che a quell’epoca il Panzer IV non fosse più un mezzo di prima linea, anche
se aggiornato e riarmato, mi domandai subito che cosa potesse voler dire scaricare dei
Panzer IV smontati a pezzi quando all’epoca i pianali ferroviari erano in grado di
scaricarli interi a decine, ed in tempo più breve, così il dubbio rimase tale fino alla
successiva visita nelle valli, effettuata allo scopo di trovare qualche ingresso dei
tunnel di accesso alle paventate fabbriche sotterranee ed ai complessi di assemblaggio
e lancio della armi V di cui i libri sopraccitati parlano.
In quella occasione, invece, con mio grande stupore, trovai nella provincia di
Malacky, su di una strada tortuosa che conduce ad un altipiano, una coppia di scavi a
forma di cubo nel terreno, di circa 6 metri di lato, posti a circa un paio di kilometri
l’uno dall’altro, affiancati da una sorta di stretto passaggio con rampa di accesso, mi
diedi la risposta di cosa fossero, ricordando un libro acquistato in Italia qualche
tempo fa: “Panzer in Italy”, dove è illustrato uno scavo simile che mostra
l’interramento di una torretta di Panther (Pantherturm tipo III) sulla linea Gotica,
forse avevo trovato le prime tracce concrete del progettato ultimo baluardo del Reich.
Solo che in quel caso, probabilmente, erano state usate torri da 75mm dei Panzer IV ,
come negli esempi fotografati qui sotto
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Scavo della torre 2
Verso il
confi ne
boemo
Zona
militare
Scavo della torre 1
Verso
Bratislava
Schizzo del sito in analisi
Il semplice disegnino serve a mostrare l’intelligente dislocazione delle postazioni, che
potevano, su livelli differenti, darsi copertura reciproca pur rimanendo ben
mimetizzate nella boscaglia, con un campo di tiro enorme.
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Con le mie limitate capacità modellistiche ho cercato di realizzare un piccolo
esempio utilizzando un “format” di qualche tempo fa, reperito su di una fotocopia di
pubblicazione di settore, che illustrava la torretta di un Panther, per mostrare il
metodo di realizzazione di tale postazione blindata posta sul crinale di un altura,
come in Slovacchia, la foto 1 lo mostra
Foto 1
Nella seconda immagine, voglio rendere l’idea costruttiva dell’inserimento del
bunker in cemento (ma poteva anche essere metallico) nel terreno, per spiegare lo
scavo di cui si parlava in precedenza.
Foto 2
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Trovato in questo modo almeno un punto di partenza, si renderà necessario trovare la
sua legittima continuazione nella fascia più meridionale del progettato Ridotto
Alpino, vale a dire l’Italia.
Sempre nella lettura di testi di storia militare poco conosciuti, ho reperito
informazioni su di un ipotesi di trasformazione del Nord Italia in un fianco sud
particolarmente ben difeso del Terzo Reich, con la realizzazione di un grande
aeroporto unico (al posto di diverse piste separate) nella zona di Malpensa, che
sarebbe stato destinato a diventare sede di un gruppo di caccia intercettori a reazione
Me262 o Me163, i quali, unitamente a batterie di missili terra aria Enzian e
Schmetterling avrebbero avuto il compito di sbarrare l’accesso al sud della Germania
ai B24 ed ai B17 alleati.
Corollario inscindibile a tutto ciò sarebbe ovviamente dovuta essere l’opera di
fortificazione della zona del Brennero e delle pianure prealpine venete, nonché delle
valli altoatesine, con l’utilizzo di bunker per artiglierie ed armi automatiche, anche
recuperati dal Vallo Littorio italiano, come anche delle cosiddette “panzerstellung”
utilizzanti torrette di carri, o a volte anche scafi parziali e casamatte come gli
M15/42, privati del cannone da 47 mm in torretta (rimpiazzato dalle due Breda di
scafo) e deposti su di una costruzione “bauform” in cemento con entrata a pochi metri
di distanza (ultimo esempio superstite in tal senso è visibile, vedi foto, ancora oggi
presso la polveriera smantellata ad Alice Castello,vicino a Vercelli in Piemonte) , o
carri completi ma interrati, anche non necessariamente tedeschi (come i P40 italiani
ad esempio).
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Per quest’ultima serie di posizioni fortificate sono ancora alla ricerca di nuove
informazioni e/o testimonianze, anche se per adesso ho potuto verificare l’esistenza
nel territorio del comune di Busto Arsizio di alcune posizioni in cemento armato
abbandonate in corso di costruzione, da destinarsi presumibilmente alla messa in
postazione di batterie flak da 20 o 37 mm, da impiegarsi per la protezione ravvicinata
del progettato aeroporto di Gallarate-Malpensa.
A titolo di informazione tecnica, ricordo che sto continuando a cercare nella regione
montuosa slovacca ulteriori siti interessanti, visto che proseguendo la strada che
avanza verso le montagne a partire dai due scavi per le torrette di panzer si entra in
una zona riservata militare per la quale l’accesso non è consentito e che,
probabilmente, mi porterà a scoprire cosa i nazisti cercassero di nascondere o di
realizzare tra quelle gallerie, e forse a quel punto il Ridotto Alpino smetterà di essere
una leggenda, cominciando a divenire oggetto di studio per ulteriori ricerche
storiche……
Si è accennato, nelle righe precedenti, alla ipotetica trasformazione dell’Italia
Settentrionale in una zona ad alta capacità difensiva per proteggere la fascia
meridionale del terzo Reich, nella fattispecie si citava la fortificazione del triangolo
Aeroporto della Malpensa – Gallarate – Milano Nord, che sarebbe dovuta essere
effettuata con l’introduzione di nuovi sistemi d’arma, per un verso, e con
l’aggiornamento dei preesistenti, per un altro.
Cominciando con l’analisi della morfologia del luogo, bisogna rammentare che
l’aeroporto da noi chiamato “Malpensa”, in realtà era situato poco lontano dalla sede
attuale, all’interno di una brughiera, tra Lonate Pozzolo e Vizzola Ticino, in un
contesto molto meno urbanizzato di adesso peraltro, con una cintura difensiva
esterna costituita da una serie di sbarramenti flak a cura dell’ AR.CO. (artiglieria
contraerea della RSI), per la verità non molto nutriti, in quanto costituiti da pezzi da
90/53 (validissimi ma pochi), mitragliere da 20 mm Breda-Scotti (ottime per il
calibro ma inefficaci a colpire ed abbattere gli incursori alleati come i bimotori e i
quadrimotori dell’epoca – NDR) implementata dai caccia intercettori dell’ANR
(pochi ma pilotati ottimamente da uomini di grande coraggio e capacità) e da
qualche reparto tedesco contraereo armato con batterie statiche e semoventi o trainate
dotate di pezzi da 88 mm, da 37 mm e da 20 mm quadrinate o singole.
Nel gennaio del 1945, dopo lo svolgimento dell’offensiva in Garfagnana denominata
“Wintergewitter”, i nazisti preventivarono una serie di progetti finalizzati alla difesa
del fianco sud anche per evitare che si potesse verificare lo stesso disastro avvenuto
sul fronte orientale con il collasso della linea difensiva della Vistola e con il
consolidamento delle teste di ponte sull’Oder da parte dei sovietici.
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Si decise di ripartire tra difese passive ed attive la sequenza di operazioni da
intraprendere, per ciò che concerne le difese passive si calcolò di :
-Spostare in caverne le linee produttive principali delle aziende di interesse strategico
italiane ed italo-tedesche,
lavoro questo effettuato almeno in parte come ancora oggi si può notare nelle
gallerie della Gardesana che ospitano le vestigia di questi impianti, sebbene il
progetto originario prevedesse anche centri di comando sotterranei, per intenderci
come quello realizzato a Zossen per la Wermacht, centri di controllo del traffico
aereo militare e dei gruppi di caccia difensivi, sale controllo per i sistemi d’arma della
cintura difensiva esterna ed interna delle regioni italiane interessate dal progetto, la
cosiddetta “Flakverteidigungzone N.4 - Italien”, è un mistero irrisolto come si
sarebbe riusciti a realizzare tutto questo con una manodopera non qualificata e
soprattutto in un periodo in cui tale manodopera era, se non alla macchia o allo
sbando, sicuramente non di facile reperimento per numeri elevati, ovviamente
necessari per costruire opere di tale portata! I centri di comando, poi sarebbero stati
necessariamente tecnologici al punto di garantire, con il massimo sfruttamento della
rete radar, il tracciamento, l’inseguimento e la gestione in simultanea di differenti
bersagli. La parte attiva del sistema contraereo sarebbe stata appannaggio di un
complesso di sottosistemi d’arma ripartiti in missili e cannoni.
Ho potuto reperire testimonianze dirette di personale (operante in seno alla
Organizzazione Todt ed alla Organizzazione Paladino, la equivalente italiana)
coinvolto nella preparazione dei piani di lavoro, che mi hanno parlato di due o più
batterie “Enzian” da collocarsi nell’area gallaratese ed altrettante da sistemarsi nei
pressi dello sbarramento del Brennero, abbinate ad un complesso di lancio
“Wasserfall” destinato ad una vallata altoatesina e disperso su diverse piazzole di
lancio occultate in boschi della zona con un unico bunker di gestione dei lanci nel
fianco di un costone roccioso.
Inoltre, un amico esperto in rilevazione aerofotogrammetria mi ha fatto ragionare su
ciò che lo stesso Friedrich Georg nella sua opera “Secret weapons of the Third Reich
– Volume 2” cita, vale a dire la predisposizione di piazzole di lancio per V1 nella
zona di Ponte Oleggio (NO), in grado di colpire eventuali basi logistiche e
concentramenti di uomini e mezzi nella pianura padana a sud del Po, qualora gli
Alleati fossero avanzati con uno sbarco in Liguria o nella parte alta del Tirreno.
Oggi , in effetti, si può vedere , anche con lo strumento di Google Earth, che nei
pressi del ponte metallico sul Ticino, vi sono, anche se coperti dalla vegetazione e da
anni di edificazioni di vario tipo, possibili aree disperse ma collegate da sentieri
troppo larghi per essere percorribili a piedi e troppo raggiati e simmetrici per essere
stati creati per motivi di pascolo o di turismo.
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Per la parte d’artiglieria, si è ipotizzato, oltre ai soliti cannoni da 88mm e mitragliere
quadrinate a controllo radar, anche dell’installazione, nei pressi delle piste
d’atterraggio, di batterie fisse da 105mm o da 128mm, anche se questa notizia appare
francamente più difficile da verificare a causa della scarsità di pezzi del genere da
trasferire in Italia in quel periodo e a causa della difficoltà oggettiva di mantenere in
posizione statica dei cannoni in una zona troppo vicina alla linea del fronte, quindi
valori strategici elevati non facilmente sacrificabili, se non a malincuore, in caso di
avanzata nemica o di sfondamenti improvvisi.
Resta, invece, molto più realisticamente, la valutazione effettuata dai nazisti sulle
possibilità di installazione di sistemi d’arma più convenzionali nella parte di
Lombardia oggetto del presente studio.
Ancora oggi, se si attraversa in auto il cantiere denominato “Malpensa 2000 Cargo
City”, nella strada che porta a Ferno e a Lonate Pozzolo, si possono notare vestigia
semisepolte dalla vegetazione del Parco del Ticino che lasciano intendere almeno in
parte, quello che i tedeschi intendevano fare per garantire la massima protezione del
complesso aeroportuale più importante del Nord Ovest d’Italia, si possono trovare
infatti i resti di una “luftschutzturme”, sorta di ricovero antiaereo costruito a
formicaio a punta conica in cemento armato, destinato a proteggere il personale
militare (o civile) che si fosse trovato nelle vicinanze in caso di bombardamenti
nemici, esempi di questo genere di costruzione si possono ancora trovare sia in
Francia che in Germania, anche di notevoli dimensioni.
Nella stessa zona, facendo poche centinaia di metri, si possono vedere i resti di un
basso bunker in cemento, probabilmente destinato a ospitare un piccolo corpo di
guardia incaricato di sorvegliare l’accesso nord del complesso aeroportuale, è altresì
probabile che si possano reperire anche altre costruzioni in zona, ma sia la
vegetazione intricata, sia la recinzione del cantiere, impediscono l’ingresso e quindi
le possibilità di esplorazione.
Nei piani tedeschi, la linea di difesa Ticino-Po rivestiva, nella primavera del 1945,
un’importanza primaria per un ordinato ripiegamento delle grandi unità durante la
grande offensiva di sfondamento alleata attraverso la Linea Gotica e la pianura
padana.
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Con il collasso del Gruppo d’Armate che difendeva il Nord Italia, l’unica alternativa
strategica valida nelle menti dei comandanti tedeschi, sarebbe stata quella di
permettere ai resti delle unità impiegate di ritornare verso il sud della Germania
attraverso il Brennero, quindi in Austria e, se possibile, attestarsi nelle vallate
bavaresi per organizzare un’ultima difesa; purtroppo, un calcolo geografico errato
aveva fatto dimenticare che il Ticino ed il Po non sono di dimensioni e di
caratteristiche morfologiche ed idrografiche tali da essere considerati ostacoli
insormontabili per le forze alleate, perfettamente in grado di valicarli con mezzi
idonei, tranne forse alcuni punti di rive alte, come appunto è il caso della zona della
Malpensa, dove anche piccoli gruppi di combattimento bene armati ed attestati in
posizioni defilate e mimetizzate, avrebbero potuto causare gravi perdite
all’attaccante, sebbene lo strapotere aereo alleato avrebbe forse messo in discussione
anche questo barlume di possibilità.
Non dimentichiamo che a pochi km di distanza, a Turbigo (MI), il ponte ferroviario e
stradale sul Ticino che separa Piemonte e Lombardia, è dotato di bunker per armi
automatiche, fornelli da mina per demolizione e apprestamenti difensivi in terra che,
sebbene colmati dalla vegetazione, non hanno perso la connotazione iniziale e sono
identificabili
Ecco che, alla luce di questa analisi, il concetto di sviluppo di un triangolo difensivo
dotato di armi avanzate, intorno agli aeroporti del nord diventa più comprensibile.
Forse in futuro si potranno reperire altri dati ed altre testimonianze e, con il tempo, si
potranno riscrivere pagine di passato ancora nebulose ma non per questo meno
interessanti….
Roberto Casalone
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