I rapporti tra la Corte Costituzionale e la Corte di Giustizia

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I rapporti tra la Corte Costituzionale e la Corte di Giustizia
I rapporti tra la Corte Costituzionale e la Corte di Giustizia
di Matteo Rosato
1. Premessa
Il rapporto tra la corte di giustizia e la Corte costituzionale si è sviluppato essenzialmente
sul piano del rapporto tra ordinamenti.
Ad ogni passo della giurisprudenza della Corte di giustizia verso l’affermazione del
primato del diritto comunitario su quello degli Stati membri, si è contrapposta una
pronuncia della Corte costituzionale che, ribadendo un’ottica rigorosamente dualistica, in
aperto contrasto con la corte di Giustizia, ha reso effettivo, attraverso la propria
giurisprudenza, il cammino comunitario del nostro paese. Così, all’affermazione del
primato del diritto comunitario su quello interno da parte della Corte di Giustizia ha fatto
seguito la Corte costituzionale con una serie di pronunce che si sono mosse da una
posizione nettamente contraria alla prevalenza del diritto comunitario alla totale
accettazione delle posizioni fatte proprie dalla Corte di Giustizia. La Corte costituzionale
ha, infatti, riconosciuto, con una serie di sentenze che prendono le mosse dalla metà degli
anni sessanta, la prevalenza dell’ordinamento comunitario e l’efficacia diretta delle sue
fonti (tra le altre regolamenti, direttive e sentenze della Corte di Giustizia).
L’avvicinamento tra le due Corti, tuttavia, non è stato totale, in quanto un simile
riconoscimento avrebbe implicato la superiorità gerarchica dell’ordinamento comunitario
su quello nazionale. La posizione fatta propria dalla Corte è, infatti, perfettamente
riassunta dalla sentenza c.d. La Pergola che vede i due ordinamenti come “autonomi e
distinti, ancorché coordinati, [...] secondo la ripartizione di competenza stabilita e
garantita dal Trattato”, attraverso il disposto dell’art. 11 della Costituzione. La Corte
costituzionale, pertanto, ha preferito utilizzare, piuttosto che il criterio gerarchico per
risolvere le antinomie fra i due ordinamenti, il principio della separazione delle
competenze sulla base delle limitazioni di sovranità previste, per ammissione della stessa
Corte, nell’art. 11; riconoscendo implicitamente in capo agli organi comunitari le
competenze necessarie per disciplinare le materie loro riservate dai Trattati istitutivi. Con
la conseguenza che le norme comunitarie hanno diretta applicazione nell’ordinamento
italiano restando però del tutto estranee al sistema delle fonti interne. Così ragionando, la
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Corte costituzionale ha evitato che le fonti, comunitarie e nazionali, fossero inglobate in
un unico sistema, contrariamente a quanto auspicato dalla Corte di Giustizia. Tuttavia,
nonostante i due tribunali siano partiti da premesse diverse, alla fine la soluzione scelta
dalla Corte costituzionale è stata favorevole alla diretta applicazione del diritto
comunitario negli Stati membri, senza l’intercessione della Corte costituzionale o del
legislatore interno, ma per il solo tramite della immediata applicazione di esso da parte dei
giudici ordinari.
2. L’originaria rinuncia della Corte costituzionale al rinvio pregiudiziale alla Corte
di Giustizia
Qualora all’interno degli ordinamenti nazionali vi siano problemi di interpretazione
relativi a una qualunque disposizione comunitaria, l’ex art. 234 Trattato Ce dispone
l’istituto del rinvio pregiudiziale. Tale meccanismo consente ai giudici nazionali, qualora
dubitino del corretto significato di una fonte comunitaria, di poter sospendere il processo
in corso e di rimettere la questione alla Corte di giustizia per la sua interpretazione. 1 In
particolare, la Corte di giustizia ha precisato la portata del ruolo dei giudici nazionali nelle
ipotesi di rinvio pregiudiziale: se per i giudici non di ultima istanza si tratta solo di una
facoltà, non bisogna però dimenticare che essi non hanno il potere di dichiarare invalidi gli
atti comunitari. D’altro canto, se per i giudici di ultima istanza il rinvio dovrebbe
costituire un obbligo, essi ne sono esentati o quando la medesima questione è già stata
posta alla Corte di giustizia in un precedente rinvio oppure quando la questione di diritto
comunitario è così chiara da non poter dare adito a dubbi nemmeno in altri sistemi
nazionali (sent. Cilfit del 1982).
Circa la possibilità per la Corte costituzionale di ricorrere all’interpretazione della Corte
di giustizia va segnalato che la Corte ha deciso inizialmente di inibire a se stessa la
possibilità di utilizzare il rinvio pregiudiziale. Più precisamente, dopo che, nella sentenza
n. 168/1991, aveva riconosciuto la “possibilità di sollevare anch’essa questione
pregiudiziale di interpretazione ai sensi dell’art. 177 del Trattato CE,2 nell’ordinanza n.
A. ADINOLFI, L’accertamento in via pregiudiziale della validità di atti comunitari, Milano 1997;
G.GORI, Il rinvio pregiudiziale e la collaborazione tra la Corte di giustizia delle Comunità europee e
giudici nazionali alla luce della giurisprudenza più recente, in Riv. Dir. Eur. 1998; A.BARONE, Rinvio
pregiudiziale e giudici di ultima istanza, 2002; G. TRISORIO LUZZI, processo civile italiano e rinvio
pregiudiziale alla Corte di Giustizia delle Comunità europee, in riv. Proc. Civ. 2003, p.727 ss.; A.
SANTAMARIA, Il rinvio pregiudiziale nella nuova disciplina a seguito del trattato di Nizza, in Dir.
Comm. Int. 2003, p.367 ss.; P. BIAVATI, Diritto processuale dell’Unione europea, Milano, 2005.
2 Cfr. sent. n. 168/1991
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536/1995, con una netta presa di posizione contraria, ha, invece, affermato che il giudice
comunitario “non può essere adito, come pure ipotizzato in una precedente pronuncia
(sent. n. 168 del 1991, cit.), dalla Corte costituzionale” in quanto essa “esercita
essenzialmente una funzione di controllo costituzionale, di suprema garanzia della
osservanza della Costituzione della Repubblica da parte degli organi costituzionali dello
Stato e di quelli delle Regioni”. A ciò si aggiunge l’inequivocabile precisazione secondo cui
nella Corte costituzionale “non è ravvisabile quella “giurisdizione nazionale” cui fa
riferimento l’art. 177 (ora 234) Trattato CE poiché la Corte non può “essere inclusa fra gli
organi giudiziari, ordinari o speciali che siano, tante sono, e profonde, le differenze tra il compito
affidato alla prima, senza precedenti nell’ordinamento italiano, e quelli ben noti e storicamente
consolidati propri degli organi giurisdizionali”3
Sembrerebbe che la giustificazione giuridica a questo atteggiamento fosse fondata
esclusivamente sul concetto di giurisdizione. Non potendo, a detta della Corte,
autoqualificarsi come autorità giurisdizionale, conseguentemente non era possibile
configurare un rinvio pregiudiziale della Corte stessa. Il ragionamento seguito, rischiava
di risultare anche contraddittorio : in non poche occasioni la Corte ha riconosciuto a se
stessa la qualità di giudice a quo, autolegittimandosi a sollevare davanti a sé questioni di
costituzionalità; il che potrebbe far sorgere il dubbio che, essendo la Corte costituzionale
un’autorità in grado di poter sollevare questioni di incostituzionalità, allo stesso modo sia
nelle condizioni di potersi rivolgere alla Corte di Giustizia mediante il rinvio
pregiudiziale. da un lato, questo atteggiamento della Corte era penalizzante e poco
costruttivo, in quanto tagliava fuori le due Corti da un dialogo quotidiano e fruttuoso se si
considera la potenziale capacità dell’istituto del rinvio pregiudiziale di uniformare gli
orientamenti giurisprudenziali4.
La svolta si ebbe con la nota ordinanza n. 103 del 2008 e più recentemente con l’ordinanza
n. 207 del 2013. Con la celebre ordinanza del 2008 la Corte Costituzionale ha per la prima
Questa presa di posizione è stata in seguito ribadita con le ordd. 26 luglio 1996, n. 319, 6 aprile
1998, n. 108 e n. 109, nelle quali il giudice delle leggi ha restituito gli atti al giudice a quo per una
nuova valutazione sulla rilevanza della questione, confermando che spetta esclusivamente a
quest’ultimo, “il quale invochi una norma comunitaria come presupposto o parametro della
questione di legittimità costituzionale, provocarne l'interpretazione “certa ed affidabile”
rivolgendosi alla Corte di giustizia delle Comunità europee”.
4 Sulla posizione della Corte costituzionale italiana rispetto alla procedura pregiudiziale v. F.
SORRENTINO, Il diritto europeo nella giurisprudenza della Corte costituzionale: problemi e prospettive,
relazione al convegno su Giurisprudenza costituzionale ed evoluzione dell’ordinamento italiano, Roma,
24 maggio 2006; F. DONATI, Diritto comunitario e sindacato di costituzionalità, Milano, 1995; F.
GHERA, Pregiudiziale comunitaria, pregiudiziale costituzionale e valore di precedente delle sentenze
interpretative della Corte di Giustizia, in Giur. cost., 2000, 1193 ss.; G. MORBIDELLI, Controlimiti o
contro la pregiudiziale comunitaria, in Giur. cost., 2005, 3404 ss.
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volta utilizzato lo strumento del rinvio pregiudiziale alla CGUE.
La Corte Costituzionale si preoccupò di motivare la propria svolta giurisprudenziale in
stretta relazione alla circostanza che la questione fosse sorta nell’ambito di un giudizio in
via principale. Viene quindi effettuata dalla consulta una giustificazione di natura
procedurale, essendo in via principale l’unico giudice a pronunciarsi sulla controversia e
qualora in tali procedimenti non fosse possibile rinviare pregiudizialmente risulterebbe
leso il generale interesse alla uniforme applicazione del diritto comunitario.
3. Le questioni “doppiamente pregiudiziali”
Un aspetto fortemente interconnesso con quanto appena esaminato riguarda la
problematica delle questioni c.d. doppiamente pregiudiziali,5ossia di quelle questioni che
richiedono, per la loro risoluzione, l’intervento sia della Corte di giustizia sia della Corte
costituzionale. La prima occasione in cui la Corte si è trovata ad affrontare una simile
questione risale all’ordinanza n. 391/1992, in cui il giudice a quo aveva richiesto
l’interpretazione della Corte di giustizia (mediante lo strumento previsto dall’art. 234
Trattato CE) e, prima di conoscere l’esito del ricorso, aveva sollevato questione di
legittimità costituzionale. La risposta della Corte fu in termini di manifesta
inammissibilità, in quanto la questione di legittimità costituzionale era priva di certezza,
poiché proposta in via astratta ed ipotetica, mancando la risposta della Corte di
Lussemburgo La Corte, comunque, ha avuto modo di tornare sull’argomento sempre con
un’ordinanza, questa volta del 2001 (n. 249), che con maggiore chiarezza ha ribadito la
posizione affermata nel 1992. Viene, infatti, chiarito che, nel momento in cui il giudice a
quo richiede contemporaneamente l’intervento della Corte di giustizia e della Corte
costituzionale “tale richiesta di interpretazione rivolta alla Corte di giustizia fa sorgere nel
S. AGOSTA, Il rinvio pregiudiziale ex art. 234 Trattato CE, tra (ingiustificato?) horror obsequii della
Corte costituzionale ed irresistibile vocazione espansiva del giudice comunitario, in P. FALZEA, A.
SPADARO, L. VENTURA, La Corte costituzionale e le Corti d’Europa, Torino, 2003; P. A.
CAPOTOSTI, Questioni interpretative dell'attuale giurisprudenza costituzionale sui rapporti tra diritto
interno e diritto comunitario, in Giurisprudenza Costituzionale, 1987; S. M. CARBONE, Corte
costituzionale, pregiudiziale comunitaria e uniforme applicazione del diritto comunitario, intervento al
seminario sull'argomento Diritto comunitario e diritto interno, 20 aprile 2007; M. CARTABIA - J. H.
H. WEILER, L'Italia in Europa, profili istituzionali e costituzionali, Il Mulino, 2000; A. CELOTTO,
Ancora un'occasione perduta per mettere chiarezza sulle interferenze tra giudizio di costituzionalità e
giudizio di “comunitarietà”, in Giur. cost., 2004; G. COCCO, Una convivenza voluta ma sofferta: il
rapporto tra diritto comunitario e diritto interno, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario,
1991.M. CONDINANZI, Comunità europee, Unione europea ed adattamento, in Istituzioni di diritto
internazionale, Giappichelli, 2003; F. GHERA, Pregiudiziale comunitaria, pregiudiziale costituzionale e
valore di precedente delle sentenze interpretative della Corte di giustizia, in Giur. cost., 2000.
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giudizio a quo una “pregiudiziale comunitaria”, circa la compatibilità con il diritto comunitario
della stessa norma sospettata di contrasto con la Costituzione, con conseguente incidenza sulla
rilevanza della questione di legittimità costituzionale” Occorre, peraltro, precisare che
situazioni analoghe, ma in parte differenti, si erano verificate con le ordinanze nn. 244 del
1994 e n. 38 del 1995. La differenza sta nel fatto che non si trattava di questioni
doppiamente pregiudiziali, ma di questioni di legittimità costituzionale di norme la cui
interpretazione era stata già chiesta alla Corte di giustizia. Si può affermare che la Corte
costituzionale con queste pronunce abbia voluto precisare che non è sufficiente la mera
anteriorità cronologica della proposizione del ricorso, ma è necessaria l’effettiva anteriorità
cronologica della soluzione della questione proposta davanti alla Corte comunitaria. la
preoccupazione della Corte di “arrivare seconda” in quella che può essere definita una
competizione interpretativa, sia da rinvenire nella preoccupazione per la possibilità che le sue
pronunce possano essere seccamente smentite da un altro Tribunale. A conferma di
quanto detto si pone l’ordinanza n. 85/2002, avente sempre ad oggetto una disposizione
su cui il giudice rimettente aveva sollevato, con la medesima ordinanza, questione sia di
legittimità costituzionale sia di interpretazione ex art. 234 Trattato CE. La Corte ha,
ancora una volta, optato per l’inammissibilità della questione definendo l’ordinanza di
rimessione manifestamente inammissibile perché manifestamente contraddittoria, in quanto
il giudice a quo “solleva contemporaneamente questione pregiudiziale interpretativa dei principi
del trattato CE avanti alla Corte di giustizia, al fine di accertare se la norma censurata sia
compatibile con l’ordinamento comunitario e, quindi, applicabile nell'ordinamento italiano, e
questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale, così presupponendo che la norma, di cui
egli stesso ha sollecitato l’interpretazione della Corte di giustizia, sia applicabile”6
Si può rilevare che tutte le volte in cui il giudice ha chiesto alla Corte di sollevare essa
stessa questione di interpretazione alla Corte di giustizia, la Consulta ha costantemente
rispedito al mittente il compito di adire il giudice comunitario, restituendo gli atti per una
nuova valutazione della rilevanza della questione. Al contrario, quando il giudice ha
chiamato in causa la Corte, pendente un ricorso alla Corte di giustizia, essa ha dichiarato
l’inammissibilità della questione per difetto di motivazione sulla rilevanza. In quest’ultimo
caso la diversa soluzione può essere giustificata dal fatto che il giudice a quo chiede
l’intervento della Corte costituzionale senza aspettare la pronuncia della Corte di
giustizia, non potendo in tal modo motivare adeguatamente sulla rilevanza della
A. PREDIERI, La giurisprudenza della Corte costituzionale sulla gerarchia e sulla competenza di
ordinamenti o di norme nelle relazioni fra Stato e Comunità europea, in AA.VV.
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questione, non potendo sapere se la norma impugnata sia applicabile o no. Questa scelta
da parte della Corte costituzionale di dare priorità alla pronuncia del Tribunale
comunitario, d’altronde, è perfettamente compatibile con la teoria dualistica abbracciata
con la sentenza n. 170/1984. Configurando i rapporti tra i due ordinamenti in un ottica di
separazione, la Corte ha, allo stesso tempo, dichiarato la propria estraneità rispetto al
sindacato sulle fonti interne in contrasto con norme comunitarie direttamente applicabili
e, conseguentemente, l’impossibilità di utilizzare lo strumento del rinvio pregiudiziale. “Il
rifiuto di ricorrere al rinvio pregiudiziale sembrava essere dettato dalla necessità, mai apertamente
manifestata ma implicitamente ricavabile, di non assoggettare se stessa ad un giudice che si è
sempre proclamato superiore non solo nei confronti delle giurisdizioni ordinarie, ma anche di
quelle costituzionali”7
4. Uno spiraglio nei rapporti tra le due Corti
In tutti i casi in cui si è presentata l’occasione di gettare le basi per un dialogo con la Corte
di giustizia, la Corte costituzionale, come si è avuto modo di vedere, ha sempre, nella
maggior parte dei casi, scelto di estromettersi da qualunque collaborazione. È doveroso
precisare che la Corte costituzionale italiana non è la sola nel panorama europeo ad aver
presentato resistenze riguardo al confronto con la Corte di giustizia: stessa situazione si
ha, infatti, con il Bundesverfassungsgericht tedesco, con il Conseil Constitutionnel
francese, con il Tribunal Constitucional spagnolo. Eccezioni sono costituite dal
Verfassungsgerichtshof austriaco, dalla Cour d’Arbitrage belga e dal Tribunal
Constitucional portoghese.
Si è visto che nei casi in cui ci si aspettava una sua iniziativa circa la proposizione del
ricorso pregiudiziale alla Corte di giustizia, ha precisato l’impossibilità di un tale
intervento non potendosi configurare come autorità giurisdizionale fino al 2008, anno
della svolta nel rapporto tra le due corti; altrettanto si è visto nei casi di questioni
doppiamente pregiudiziali in cui la Consulta, quando non ha ritenuto la questione
inammissibile, ha restituito gli atti al giudice a quo, affinché provvedesse autonomamente
al rinvio pregiudiziale senza alcuna intermediazione.
T. GROPPI, La Corte costituzionale come giudice del rinvio ai sensi dell’art. 177 del trattato CE,
SORRENTINO, È veramente inammissibile il “doppio rinvio”?, in Giur. cost., 2002.
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5. Il ruolo del giudice nel processo di costruzione dell’ordinamento comunitario
Nel rapporto tra la giurisprudenza della Corte costituzionale e quella della Corte di
Giustizia non può passare in secondo piano la posizione del giudice ordinario.
Uno dei punti più importanti su cui si incentra il rapporto tra le due Corti riguarda
proprio l’importanza da attribuire all’opera della giurisprudenza ordinaria. In altre parole,
un aspetto importante da affrontare riguarda l’incidenza del ruolo del giudice
nell’evoluzione del sistema delle fonti del diritto a proposito proprio della realizzazione
dell’ordinamento comunitario: non a caso si parla della creazione di un nuovo diritto
comune europeo. Un esplicito riconoscimento del valore della giurisprudenza per la
realizzazione dell’ordinamento comunitario è contenuto nel preambolo della Carta di
Nizza dove si afferma che la Carta riafferma “i diritti riconosciuti dalla giurisprudenza della
Corte di giustizia delle Comunità europee e da quella della Corte europea dei diritti dell’uomo”.
sul ruolo del giudice, si può sottolineare, da un lato, l’affermazione del primato del diritto
comunitario su quello nazionale, essendo all’evidenza uscita ormai definitivamente
sconfitta la teoria dualista, ancora a parole riaffermata dalla nostra Corte costituzionale, a
vantaggio della teoria monista da sempre sostenuta dalla Corte europea; e, dall’altro, il
conseguente potere-dovere del giudice di sottoporre, in caso di dubbio ed in via
pregiudiziale, alla Corte di Lussemburgo la questione relativa all’interpretazione del
diritto comunitario, nonché l’obbligo di disapplicazione (o non applicazione) del diritto
nazionale, qualora lo stesso sia ritenuto in contrasto con il diritto comunitario.
L’importanza ed il ruolo centrale che viene ad assumere il giudice nazionale deriva dal
fatto che la Corte di giustizia, al fine di rendere efficaci i vincoli derivanti per gli Stati
membri dal diritto comunitario, ha pensato di affidare il compito di controllare, e in parte
di sanzionare, gli Stati ai loro giudici nazionali, attraverso appunto gli strumenti della
pregiudiziale comunitaria e del potere- dovere di disapplicazione. Il ricorso da parte del
giudice alla Corte europea per l’interpretazione pregiudiziale del diritto comunitario è poi
venuto ad assumere un’efficacia decisamente maggiore a seguito del riconoscimento, da
parte della Corte costituzionale, della efficacia di fonte del diritto anche alle sentenze
interpretative della Corte di Lussemburgo8, come ribadito di recente dalla giurisprudenza
costituzionale che ha restituito gli atti al giudice a quo per un riesame della rilevanza a
seguito di ius superveniens, dove lo ius era appunto rappresentato da una sentenza
interpretativa della Corte di giustizia. Attraverso la possibilità di disapplicazione della
G. MARTINICO, Le sentenze interpretative della Corte di giustizia come forme di produzione
normativa, in Riv. dir. cost., 2004, 249 ss.
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fonte nazionale, in quanto contrastante con il diritto comunitario, il giudice comune viene
così ad esercitare una sorta di controllo diffuso nei confronti della legge nazionale, che
porta spesso al rinvio pregiudiziale. Quest’ultimo, infatti, viene ad assumere caratteri, per
certi versi simili a quelli della pregiudiziale di costituzionalità davanti alla Corte
costituzionale, dal momento che si viene, di fatto, ad esercitare un controllo sulla
conformità della legge nazionale al diritto comunitario allorché la Corte di giustizia, come
spesso accade, non si limita a rispondere al quesito posto dal giudice, ma si spinge oltre
dando esplicitamente un giudizio in ordine ad una determinata disciplina.9 Il giudice
nazionale viene pertanto a trovarsi nella condizione di dover seguire l’interpretazione
conforme, non solamente con riguardo alla Costituzione, ma pure con riferimento al
diritto comunitario, così come, in varie occasioni, sottolineato dalla Corte di giustizia10.
Attraverso il raccordo con la Corte di giustizia è pertanto consentito al giudice comune di
superare, a determinate condizioni, anche l’interpretazione fornita dalla Corte
costituzionale e soprattutto quella del legislatore nazionale. Non è esagerato dire che il
ruolo che viene richiesto al giudice nazionale, a seguito della realizzazione
dell’ordinamento comunitario, è senza alcun dubbio centrale e complesso.
6. La qualificazione delle pronunce della Corte di giustizia tra le fonti del diritto
Un ultimo aspetto da affrontare riguarda l’efficacia delle sentenze della Corte di giustizia.
Riguardo questo aspetto, la Corte costituzionale ha fornito una particolare interpretazione
secondo la quale dette sentenze producono effetti diretti come qualunque altra fonte del
diritto comunitario. “Tale interpretazione non fa altro che confermare l’impostazione offerta
dalla Corte riguardo ai rapporti con l’ordinamento comunitario, isolandosi, di fatto, dalle
questioni comunitarie. In questo modo ha reso ancor più difficile la possibilità di dialogare con la
Corte di giustizia, poiché se, al contrario, avesse attribuito a dette sentenze l’efficacia del precedente
giurisprudenziale avrebbe dovuto tollerare di esservi vincolata. In altre parole, la Corte avrebbe
dovuto riconoscere la superiorità gerarchica di un altro Tribunale, cui, conseguentemente,
uniformarsi”11. Invece, la Corte, a partire dalla sent. n. 113/1985 ha affermato che il
principio per cui il diritto comunitario è immediatamente applicabile nel territorio dello
Stato, senza possibilità di incisione da parte della normativa nazionale, “vale non soltanto
Cfr. R. CALVANO, La Corte di giustizia e la Costituzione europea, Roma 2004.
G. SORRENTI, L’interpretazione conforme a Costituzione, Milano 2006.
11 F. GHERA, Pregiudiziale comunitaria, pregiudiziale costituzionale e valore di precedente delle sentenze
interpretative della Corte di giustizia, in Giur. cost., 2000, 1193 ss.
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per la disciplina prodotta dagli organi della CEE mediante regolamento, ma anche per le
statuizioni risultanti [...] dalle sentenze interpretative della Corte di giustizia”. In modo
ancor più chiaro e approfondito, la Corte ha poi precisato nella sentenza n. 389/1989 che,
essendo prerogativa esclusiva della Corte di giustizia assicurare il rispetto del diritto
nell’interpretazione e nell’applicazione dei Trattati “se ne deve dedurre che qualsiasi sentenza
che applica e/o interpreta una norma comunitaria ha indubbiamente carattere di sentenza
dichiarativa del diritto comunitario, nel senso che la Corte di giustizia, come interprete qualificato
di questo diritto, ne precisa autoritariamente il significato con le proprie sentenze e, per tale via, ne
determina, in definitiva, l'ampiezza e il contenuto delle possibilità applicative”12 Di conseguenza,
“quando questo principio viene riferito a una norma comunitaria avente “effetti diretti” (...) non
v’è dubbio che la precisazione o l’integrazione del significato normativo compiute attraverso una
sentenza dichiarativa della Corte di giustizia abbiano la stessa immediata efficacia delle
disposizioni interpretate”13 Il pensiero comune in dottrina è di una visione della Corte
costituzionale di segno diametralmente opposto a quello della Corte di giustizia che, a
partire dalla sentenza Cilfit del 1982, ha assegnato alle proprie sentenze interpretative
valore di precedente. Per la Corte di Lussemburgo, infatti, il giudice di ultima istanza non
è obbligato a sollevare questione pregiudiziale se la questione sollevata sia materialmente
identica ad altra questione, sollevata in relazione ad analoga fattispecie, che sia già stata
decisa in via pregiudiziale o se esiste già una giurisprudenza comunitaria costante resa su
fattispecie analoghe. Schematizzando, la Corte afferma, in un primo momento, che le
sentenze della Corte di giustizia hanno la stessa efficacia delle fonti del diritto; tuttavia
nelle sentenze della Corte di giustizia è contenuta l’affermazione secondo cui le sentenze
della stessa Corte costituiscono precedenti. E allora la soluzione della Corte non può
essere accolta; se si considerano le sentenze della Corte di giustizia come fonti del diritto,
bisognerà in tal caso considerare come norme del diritto comunitario (immediatamente
applicabili) le statuizioni in esse contenute: prima fra tutte la statuizione che considera le
sentenze stesse come precedenti. È evidente come la Corte, più che rinforzare il suo
ragionamento su basi logiche, abbia preferito difendere la sua posizione dall’inarrestabile
cammino dell’ordinamento comunitario che rivendica la supremazia della sua funzione.
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Cfr. sent. n. 389/1989
Cfr. sent. n. 389/1989
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