il libro delle case celesti

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il libro delle case celesti
LibertàEdizioni
Renzo Franzini
IL LIBRO DELLE CASE CELESTI
LibertàEdizioni
a Amelia e al suo giardino
IL LIBRO DELLE CASE CELESTI
il libro delle case celesti può essere assunto come ideale proseguimento
dell’atlante marino, ma anche come testo autonomo, nella qualità di memoria
o diario effettivo di un anno che va dal settembre 2003 al settembre 2004,
con la precisa intenzione di comporre un testo per ciascun giorno, e
rammentando che un’opera dei giorni non significa necessariamente una
cronaca dei giorni, benché la comprenda; vedansi a tale proposito i brani
riferiti ai fatti di madrid, o gli altri che riportano in modo meno diretto altre
vicende violente di questo secolo violento per costituzione e per elaborazione
di valori.
alle due estremità, quasi autonomamente, lo sviluppo di due costellazioni:
quale ne sia il tema, potrei dirlo, approssimativamente diretto verso l’istinto
della fondazione.
6
1/2 settembre 2003
stanotte una ragna irretiva il valore delle stelle e della oscurità
proiettando il mondo dell’ora in una resa imprecisa
spaventosa di nude proporzioni
e salivi fino al punto nevralgico della eternità
fino al sensibile acutizzarsi di un verbo primitivo
rumore
voce canto
rumore
salivi alle case celesti nel sogno delle vegetazioni
farfalle piccole bianche notturne tra le erbe e la luna bassa e
le parole lontane
oltre le menzogne quotidiane
come un’onda vagante sopra i talchi de gli oceani
dentro alle migrazioni nelle mobili
ombre del giardino e sulle cose di allora
7
8
costellazione 1
9
10
3-9
connessioni d’ombra virate da subito invisibili
in tali esordi ventosi di stagione rinnovata
quali voci sfiorano l’udito
in un silenzio di evocazione
nubi e vento nugoli di polveri
si solleva la vita
4-9
compilato il modulo della visita le spese prepagate
il rigore mentale l’afrore degli esseri svincolati da
ogni strategia
testa piatta come spappolata e forse
spappolata e senza storia
5-9
la grande plaga dell’arsura del mondo si manifesta
sotto ardenti mescidanze degli autunni
panni stesi rossi e blu
stesi sui cavi e le rondini rare
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6 – 9 (dedicato a m m)
(caro amico
tutto il possibile è possibile se detto
non vedo sul tuo volto segni di felicità
ragioni nervose quasi chiedessi salute una salute o un modo
lo chiamo cortesia
o misura vanamente
- piccoli vortici di foglie residuali giostrano sopra campi smarriti
l’ora meridiana si modula nei candidi teli di silenzio
le ombre si sciolgono e una mescola di bianco e di nero
si insedia nelle linee di fuga dello spazio erodendone la stabilità
se da impossibile derivi il possibile se esso sia riflesso di un lontano
tentato nel gesto vano di cattura (comprendimi
se la baldanza con la quale proclami il tuo ozio fosse corroborata
da autenticità altro sarebbe forse la tua vita
annoto di te (:) opacità cespugliosa biancastra collagene scomodo
figure salse geometrie residue soluzioni minerali un rito temporaneo
del dentro
polveri sospese nella fissità del mattino voragini ordine del clima
sopra i corpi del presente)
7-9
sempre tocchi di vanità nel cortile / adesso si alza il vento
tra presenze vidimanti del pomeriggio astrale
/ si alzano larghe nubi velate
si placa il vento nel loro capoverso
8-9
l’aria rasa tra le foglie secche molto prima della consuetudine
frammenti carte strappate sminuzzate artigliate quando
le calde ingiunzioni
si moderano nell’ordine esteso delle piogge prime
12
9-9
stampe sopra i comò ma
i ritratti possiedono la materia mostruosa della magia
l’indelicato possesso dell’altro
il violato mistero di un volto catturato
poi lontano nel tempo
(sai bene non amo le biografie per il fascino terribile delle cronologie e del
dopo quando a me mancheranno i corpi e i corpi sfumati nella morte non
sapranno del loro perdurare in una incerta creta di lucore
intanto fissato nel moto fluttuante e perpetuo il progressivo degrado dei
documenti la perdita di valore dei riferimenti così in una condizione di
ubriachezza
si crede la vita sensata soltanto)
10 - 9
tutelarsi in riflessi di metallo mentre le cose si fissano a una ragione di
esistenza piuttosto fragile e coglie quasi una curiosità naturalissima per la
morte e una valuta di cortesia antica il muro bianco i panni stesi la placazione
delle passioni
un corpo invecchiato appesantito nella spuma della foschia recente
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11 - 9
oggi dopo il plenilunio di là dove l’occhio si annulla
i deserti espongono povere mercanzie
pietruzze stoffette brandelli di miraggi totali condotti via dal vento
un brillio confuso di meditazione accanto a
letti prosciugati presso le sorgenti
crotali lamine stonate domestiche farfalle
(come puoi collocarti nella serie ma sei e rimani
nell’asciutto sudore della terra)
(
dolorosi colori si consegnano ai sensi
la intensa bellezza di settembre
e dolorosa e quasi lancinante di luce nitida e levigata
e il punto ancora rosseggiante
dove il sole aveva ferito l’orizzonte
)
copierai i tuoi proventi dal libro delle ore dell’anno dedicato
adesso sei qualcosa di sospeso in un cortile adesso di nessuno
volgerti non puoi né puoi guardare
se non il muschio dove l’acqua suole
quando scende bagnare il tuo presente impresso di ignoranze
e ore di ore ore di momenti sosti nel sorgere del vento
nel piegamento estremo delle chiome
quanto sarà di noi invero non importa
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dammi il tuo sguardo voglio vedere il nord
la sublime emergenza del suo freddo
il largo piano dello spazio denso
la miniatura delle cose estreme
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13 - 9
settembre inquieto dona strani sospiri
[tocchi nel cranio pensiero dopo pensiero il planisfero delle tue nostalgie
ora nell’ora del ramo di fiume della età non più smarrita
immagini la futura illeggibilità delle parole tue per un uso
venuto meno per una consuetudine non più consueta
e l’espandersi di una violenza maggiore
(essendo in una ipotesi non poi tanto estrema
la lingua l’arma estrema e prima)
di te la fragilità di un tessuto tracciato con la salute incerta
di albe insonni e di risvegli con l’odore ancora di sfondo del fumo di
altri corpi stimando nulla le promesse in un giaciglio diviso
con le mani nude]
hanno chiesto di te in un altro porto dove però non rammento
quanto a me sembro vivo
lo sono ma solo in apparenza di figura
la stultitia di loro mi ha reso perduto alla vita inabile anche alla morte
nessuno siede accanto nei giorni rituali del ricordo
il mese mi rapina e degrada con albe di luna imprevedibili
sollevazioni di uragani in una quiete di clima senza nube
se ho riscosso il pegno di una lingua cosiddetta morta
accadde solo per provarla viva nel mio dettato di parlante solo
tale in ascolto mi rendi inusuale alle mie fantasie sopra di te
nello stelo illeso della mia irrequietezza di cui osservi petali
in una corona di noia
14 - 9
notti insonni si tingono del vento marino odoroso corposo felice
perturbazioni dispiegandosi veleggiano nello sconfinato periplo di
piazze
dove ripara la natura di noi acquietati per un poco dal bisogno di
contatto
e di sragione
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15 - 9
nei giorni dedicati al tuo anno
vele nelle pianure
la pelle di velluto
di un piccolo ramarro
fissato nella morte
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scialbe strutture del mai tono dimesso smesso lo smalto alterato
il risvolto della luce l’aspetto nel libro
letto sotto cose calanti
(una filtrante imperfezione d’aria semina nei corpi febbrili condizioni)
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trama tra la luna e la odissea
sabbiosa dello spazio
calligrafica calcificazione
dopo la increspatura della aurora
un nuovo cielo si ricarica di
noi nelle radure rare
tra i punti di attracco luminosi
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da quali estreme provenienze arranca ora la mia voce
inascoltata alla deriva nel fosco di folle senza sguardo
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19 - 9
si imbeve il nostro campo del tragico settembre
sonno semiubriaco intimità di calma estemporanea
futuro di un sogno finito
altro anche di non identificato
come un anno dagli anni
raccolto in albi di fotografie
20 - 9
[(aiutami a trovare la piccola cosa perduta
in sé non ha valore ma ne ha molto per me
- hai visitato un lungo corridoio la voce proveniva da una radio
nel punto inerziale della biforcazione - la prego
la prego servono a me i tovaglioli - hai pagato le cose del tempo
gli orientali boulevard) mi consegni dunque un tuo sogno
traversante il permeabile confine del corno delle unghie
ti chiedi se davvero hai chiamato il nome di lei
un certo ricorrente arretrarsi delle storie
nella forma ricorrente delle arti visitate
o praticate intensamente e vane
non siamo nulla
finalmente liberati dai vincoli di proprietà
assumiamo l’amica indolenza
camminando sulle suole della storia
nel principio di una età disincantata]
oggi le cose si immergono nella foschia del sole poi
scompaiono
presente completo pensi
allo sfumato tremore entro il quale
riposano i sensi
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21 - 9
hai cominciato a osservare l’inverno
dalle vigilie dell’ingrediente autunno
la veste smagliante di due cachi
due fuochi nel nero della notte e
profumi senza documenti
estremo il silenzio dell’opera l’approdo negato
senza alcuna opposizione
rinnovata distanza nel muto sostare
alle soglie della mente indagatrice
22 - 9
tintinnano i metalli delle grucce
si tende questo giorno di pallori
si è mosso il vento prigioniero
della valle
23 - 9
sarà forse la nebbia a invecchiare
gli eversivi modi delle ore correnti
e un articolo vuoto del proprio riferire
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il libro delle case celesti
19
20
24 - 9
le nebbie parevano solo in una inerzia
secretamente mobile dove ora irrompono
le grandi burrasche e i suoni scroscianti
dei verdi deformi nei voli scempi
degli uccelli neri
le ortiche feriscono di meno
il tossico buono si addolcisce
penetrato dal modo degli autunni
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25 - 9
fugge così la tua persona nell’onda lunghissima di chete bufere
là dove rimuore la mia ombra
io la mia ombra non concedo
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sempre l’alto protendersi dell’alba colpisce
le chiome più alte indorandole
della intelligenza dell’oriente
aprendosi le terre nelle membra
vanno
nella carenza delle vostre memorie sta il filo incongruo di quanto rimane
non i ricordi appartenenti a altri [distonie di sereno sono la noia imperfetta
di giardini sotto effetti di cose riflettenti]
27 - 9
la caduta del fiume verso il gorgo trascina il cielo verso innocui abissi
il cielo mobile e largo risale allargando l’aperto della piazza
dalla linea dei profili delle case
basse
nel brusiare poi chiassoso delle voci giovanili
le arcate scelgono la tolleranza ampia
rimanere nell’armonico disciolto dello spazio
al tavolo della ora indefinita
nel tonico effetto di un convito muto
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28 - 9
quasi forzoso attivarsi di un principio decaduto ripreso riverificato
se si creda alla assenza del passato
al
provenire dovunque del presente
[cosa sia la conclusione di una idea rivolta opposizione accanimento
o si appartenga alla assenza di respiro (torni così nel principio delle
attese quando le notti picchettano i recinti)]
ora pare di udire la pioggia è invece l’aria a ingannare
tra le inerzie legnose del giardino
29 - 9
in una crepa zenitale l’aurora appena tinta dai colori delle braci ultime
sovra
flaccide pieghevolezze di corpi vegetali illesi
(hai visto il tuo volto ripetuto in altri
volti tratti nudi l’acutezza fissa degli occhi a sbiadirlo
nella pasta irriproducibile delle tinte di qui)
fine falce di luna la farfalla serale
convoca sulla guancia la parola
trasparente della nube
blu
30 - 9
sono
questi
semisogni
si sentiva dire forse viviamo due volte o nessuna
(sopra leggere cromie del presto il telo degli eventi
emanava respiri di domestica ambiguità)
(si chiude la casa di settembre)
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1 ottobre 2003
l’impedimento risiede in una sostanza spessa e però non immobile
anzi ricettiva in una essenza di indocile sublime
aspra delicatezza la quale induce l’incerto influsso
di un pensiero di oziosa meditazione di quelle possibili
comincianti intorno a
possibili fughe
è il canto del lontano dove
le acque sospirano il moto apparente verso
acque altre poiché nulla è ritorno
strana ogni rivelazione
ottobre spreme la qualità delle notti la sostanza espressiva voluminosa
greve in un succo mattinale di madidi panni ancora e mani deluse
nel palpamento a prova
niente proprio niente nel tuo principio di regolarità
così debole rispetto a gli eventi così ostinato in essi sia si
ritrovino sia si prospettino e le minute catastrofi del giorno si inanellano
al piacevole aspetto delle aperture dei fiori vecchia fiaba mietuta
dall’ignobile leggerezza di una età detta matura
quando l’idea dell’essere è collazione di
un ordine disordine di eventi
soffiano su pavidi fuochi di crepuscoli
profumi stopposi delle erbe già vecchie
sopra i tragitti ostinati degli scarabei
una faglia ha spezzato la continuità della memorazione
tra infanzia e detta così maturità dove le intermittenze ovvero
in un carsico andamento
l’infanzia si fa ascoltare nella qualità
di ostinato profumo di fieno bagnato e foglie
(quale profumo appartiene alla tua intimità)
24
2 - 10
permane l’oggi una gravezza adagiata obesa sopra i volumi
ordinari di una edilizia umana
[città proiettata nei campi delle utopie sopra sabbiose fondamenta e
di
paludi e chirurgiche azioni di ricostruzione (nel marzo di allora
hai assaporato quanto la forza di una idea covi in sé
la propria debolezza
se ripetuta dai detti dei volgari
qualcuno tuttavia ha lasciato del sangue sul selciato
svanito poi nei soliloqui ottusi dei commenti)]
3 - 10
(stamane)
concretezza dello spazio tra i suoli e il primo aspetto del cielo
nella penetrabile densità della foschia blu ove andava
originandosi contrasto tra elementi
e l’occidente tutto ne subisce il fascino
4 - 10
alla fine nel gesto di volgersi a lato
lo sguardo ha sostato sulla icona triplice
dei boschi e le nebbie e il primo chiaro cielo
quello era il punto di abbandono esito di un agito
ritorno e prima altre aurore avevano imbrigliato
nei fiati mattinali implosioni abbondanti di luce
(certo siamo un poco spenti in questo periodo
tocca un tale compito oramai
antico vagare nelle valli col titolo subìto
di padri di noi stessi e senza altra prole)
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5 - 10
cascàmi scarti rottami il ripetuto del mare negli specchietti appesi
controvento polveri fini di derive di luna eri tra i
rimasti su i blocchi di cemento
te
risaliva ottobre nei cantieri delle piogge fedeli
alle speranze buttate negli scoli
hai carezzato la tua
pietosa nudità e le altre accovacciate sotto l’egida
delle foglie del riparo
indigenza povertà sapore di cose invecchiate
ti ha visitato il sentore del mare profughe figurazioni di dune
echi catturati amplificati di
giochi lanciati a distanza
6 - 10
apertura lata nello sguardo orientale tra il settentrione e l’est
cosa dunque farai della stazione dei tuoi tramonti
cataloghi brevi da piccole visioni
irrisoria natura di uno sfarfallio di fiori felice ancora
dentro i nuovi freddi (accolto il dilagare della aurora
poi lo sguardo si è volto
introdotto nel magnetismo tra l’oriente e il nord
compiuta forma di perfezione)
7 - 10
le mani affondano nel sangue del cielo
il sangue cola negli auspici delle piche
profezia o dono già stato la maschera
funebre nell’oro della aurora
nel primo tumulto del rischio della vita
(sono ancora lontane le rive della salvezza)
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8 - 10
tre volte subìto l’influsso dello stormo
tre volte lo sguardo si è fermato sull’albero nel campo solitario
sull’odore dolce del concime
volevi ricomporre l’incanto della scena
il giallo cromo le pareti sullo sfondo
la asimmetria prospettica tra i becchi
delle gru l’incerto sonno dei metalli tra le erbe
i sassi levigati nei terreni duri
ma lo smalto totale del sole
i barbagli felici delle cose sotto la matrice protettrice
il triplice volo dello stormo l’albero del mondo solitario
fresco intenso profumo di concime
9 - 10
capita a volte non bastino i piccoli strumenti sopra il comodino
a supportare il compito intimo di accanirsi in una vocale
o nell’intoppo subìto come scacco quando il cielo si sfascia
in una fase intermedia di neutralità
tutto si dissolve nello sguardo
liquidi residui degli atolli
materie dormienti dei vulcani
spenti
l’agire indoloroso della morte
in un principio
di serena limpidezza
10 - 10
nel senso grumoso del pomeriggio
di un modo rappreso delle ore
la identità dell’essere del nulla
pare toccarsi come un pensiero puro
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11 - 10
bella luce
la luna appena stata piena
la beava del riflesso di metallo facile nel moto rettilineo
scivolando sopra la frontiera
((sento uno sfaldamento poco a poco dentro una fuga
di me in forma indefinibile adesso quasi mancanza o
lentezza mai prima conosciute
entrato in una dimensione dove la maturazione somiglia a
imbalbamento e nel volgersi dell’anno alla sua riva
il gelido cantone delle more rosseggia del pigmento degli autunni))
l’usuale regione all’improvviso rendeva stranito il tuo corpo
incontravi un effetto di estrema lontananza quasi tracciata lì fosse
una frontiera una vela gonfiata dal vento delle ere e
ora l’ingiunzione alla sosta il commovente incantamento del bosco
la penombra il
dilatarsi di una fonazione
si risaliva il tempo nella vibrazione compito intenso di ignoranze
prossimo il precipizio delle rive a deserti petrosi
a specchi ciechi di acque
verso serene posture di relitti addormentati sulle dune
12 - 10
vedo le ombre dei vivi le materie friabili dei corpi
la erosione delle carni continua nelle frizioni agli altri impercettibili
solo nell’oggi
tenuità di celeste
e
vagabonde nuvole
il resto quasi una asprezza arginata dal
tepore
di un pomeriggio tranquillo
una civetta e
un’altra
(appartieni alla stirpe di nessuno sei della stirpe dei senza dimora)
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a sé
13 - 10
di nuovo non sai bene né come né quando la
confusione dei piani intersecantisi comporti linee
di orizzonte
pure
ma accetti il tormentoso sonno
e le visioni
la insinuazione di una parete bianca a
schermo
lo spugnoso rancore di chi dorme
inesorabilmente si va verso il nodove
14 - 10
ti sei narrato ma in una forma tarda
in una lingua non tua
in un
modo diverso
dove ti
sai altro e tutti e
nessuno o esempio
scaduto a meraviglia
15 - 10
le porte tagliarono la sera
bocche scordate sulle labbra
l’intenso intimo costituente pallore
il fosco rumore dei monti
remora felice delle valli lontane
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16 - 10
la alta capitolazione della luna il vitreo aspetto del giardino
sotto orione l’influsso di cristallo della notte
chiara
(mi chiami dalle tue lontananze e osservi il perpetuo
differirsi di oceàno quasi da un libro
mi dici
del dolore o della incomprensione
scrivi dubbi
le cose
precipitarle covarle in un
nido di oscurità)
17 - 10
sole svelato in una area pura di spazialità
fumi de gli insediamenti
imbevuti del primo colore dell’aurora
sorgente dai tagli di cirri
ora la plumbea utilità di una nube avanza dai campi del settentrione
il nostro silenzio pascola le pareti della tua stanza adibita a
rassegna di anonimi ritratti
le polveri sanno l’istanza del delirio
finti passi sotto spoglie leggere
la aria orientale risale alle radici del tuo presente tempo
18 - 10
oppure esiste una fatalità solo presunta più forte di ogni volontà
ma allora immersi nel suo umore ignoto
si prosegue alla deriva
il freddo dell’alba ti assale
miraggio la carne di pietra
lagune sulle lagune
30
19 - 10
le vostre sterili forme di ricordo non approdano a nulla e
nulla forse è accaduto e
non siete passati attese di un frutto lasciato a
marcire tra le foglie di adesso
valicavi la tua era le tortore bianche dell’amore infantile
i sassolini lasciati a lievitare
i pochi giochi di legno nel sole [freddo nelle sale
dove passi veloci rimuovono parole e le braci spente come
possiamo facciamo cosa siamo
là era qualcosa di concluso tra sterpaglie e sottobosco
fino al dolore di quanto era di fronte
una pagliuzza trasferita dalla orientale rapina del caos]
foschie campanili di sabbia
colore vano delle vane sostanze
giorno scremato dagli inverni in attesa
sui ventri bianchi delle catene
20 - 10
poi sorge la sera da uno scudo leggero di perturbazione
dal modulo riflesso delle onde
i lumi svuotano i siti
le
recenti corse le morose composizioni di un saluto
nella forma di labbra contro labbra
e
le
geometriche fioriture dei volumi
la disillusione incrocia in un lago molto prossimo
la notte si rannicchia nel canale e dorme dove
le pietre carezzano le acque
non è comparsa luna sopra i gioghi dei tetti
31
21 - 10
l’alba colmava di foschia gli anfratti e i fossi
e le
piccole convalli e i loci già maturi
degli autunni
tessendoli di quanto dopo poco svanirà nel profumo di bagnato
delle cose chiuse ancora nella vita di un pensiero
ami tali discese
verso i profondi inverni
pensi a coloro i quali senza nomi
hanno agito nella illusione di tramandare qualcosa di perduto
22 - 10
immersi in un fosco indefinito i corpi galleggiano pesantemente nella
smemoratezza
[generico non protetto
hai sceso le scale di un aldilà locale
riflesso nel vetro del crepuscolo
il sembiante possedeva la
estranea naturalezza di
una presenza pronta a concretizzarsi nella disposizione di un
futuro ingredire tra le cose mobili
e
atti di erosione
[solerte e anticipatrice retorica
della astensione
23 - 10
tratteniamo tenui ipotesi
impressioni dell’ora dell’oggi parole prestate al silenzio
un
quarto di tono restituito all’enigma
mano di cera dita affusolate
dita antiche velate di splendore / i morti non somigliano a se stessi
essi non somigliano a nessuno essi non sono non sono
nessuno
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24 - 10
le secche nocche della polvere ti hanno accompagnato l’odore
quasi acido oramai dei cibi dalle sere di prima
l’inverno
entrato nella notte
in cucina
il ristagno
azzurro di fuori la stanca landa siderea del giardino
25 - 10
le sagome dei boschi contro il primo crepuscolo il tracciato delle nubi
verso il loro destino riti di uccelli sopra i terreni
questo
era
ti lasciavi osservare senza nulla agire
se non la ventura del corpo
nella misera futilità della esistenza
(quale bella notte stiamo infantilmente invecchiando
nel disegno tracciato da altre mani
certi giorni sei vuoto o refrattario a accogliere
flessioni atonali degli spazi aperti
e
delle zone dove l’umido lurido sole di ottobre
ancora tarda a approdare alla felice cortesia delle finestre)
26 - 10
soccorri la anomalia del giorno con la speranza vuota
fioriscono le brine delle notti sui prati generati
dal ricordo
la morte degli dei da sempre predicata
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27 - 10
(ti hanno chiesto cosa fosse allegoria
hai mostrato disposizioni senza intento
concluse solo nel gesto indicatore
ti hanno chiesto cosa fosse indifferenza
hai citato il tuo vagare sempre
non sai se abbiano compreso quanto l’opera si mescoli
all’essere dell’essere dell’uomo
al divenire in atto alla violenza della forma senza corpo d’amore)
i cani sono morti penombra nel primo pomeriggio
conciliabolo oscuro della pioggia
accompagni le ultime cose oltre la recinzione verso i sentieri alti negli
scavalcamenti verso i boschi
e
le indefinite forme delle rive
intento antico confabulio dimesso sostanza degli eventi futili
quasi irrisorie un palpito di foglie flocculio di filamenti
la sospensione eterea di un brano di crisalide
leggere le tracce dispariscono nei varchi aggrovigliati del
fosco sottobosco
il profumo del fango e la carnosa scorza delle erbe
28 - 10
i colli galleggiano nei mari densi delle foschie albali
gli esseri si rifocillano alle sorgive dei bar
sostano tra un riflesso e l’alone di un volto
rasato alla toilette
rimane una ferita ruvida nell’aria
precoce avvertibile varianza della età
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29 - 10
immagini straniere dai tuoi sonni profondi
le mura delle palpebre tutelano i tuoi luoghi giaci sotto abiti dimessi
nelle narici l’odore della carne cruda
di vicoli violati
hai vagato nella piazza di trascorsi miracoli tra epoche non tue
ricordi virtuali pallidi digitali
la rima del grigiore sopra i tetti
latrine fetide nelle università l’odore
andato via nel mezzo di altri esseri
(questo corpo che ha raccolto saperi una volta morto non sarà più nulla)
30 - 10
l’oro delle foglie giace nel prato la terra
in grembo accoglie il sole
si diluisce l’arcano metallo del pomeriggio
nell’intruglio biancastro del crepuscolo
la diffusa liquida tensione si appiana
nel proveniente fresco della fatua oscurità
31 - 10
dammi tema motivo parola
nella disciplina di questo anno stanziale
nella coltre amara e protettiva
l’orto lunare di etiche forse invecchiate
impallidisce l’ombra degli oggetti
nel mondo squilibrato delle sedici
il planisfero appeso alla parete
scala uno a uno della vita indossata
la natura si bea della pioggia incline
a miti ridondanze di una nota resecata
non è scempio il vento tra i canneti
(si chiude la casa di ottobre)
35
disciplina
coltivi
e
1 novembre 2003 (descrizione occidentale)
sopra le meditazioni intense dei centri commerciali incoronati
da nomi luminosi
profilati dallo spazio oscuro delle profondità
completi finalmente
isolati
in sé
vuoti disabitati sereni disposti verso grassi asfalti
neri nettati dal battesimo dell’acqua
branchi bradi di piloni
di
cemento piantati nelle mescole sassose
sventrate già vecchie costruzioni rammentate da superstiti facciate
ghirlande di lampioni pensiline di plexiglass
sotto cui soliloquia il sonno
di una automobile
qualche passo
fa
il magnetico impulso dei metalli sotto le scolte passeggere del vento
finalmente qui travasa l’infinito nel finito altrimenti impossibile rito
nell’artificio puro senza umana presenza epifania del mondo trasformato
(in un giorno lentissimo sovrabbondante
reti di ferro nelle distanze fradice dei campi sotto il
cordame di pioggia annunciata
il pomeriggio si rilascia pesante
sopra gli esseri tutti sopra il corpo dell’essere dilaniando
ogni opposizione con una fredda melancholia)
36
2 - 11
circùm-navigazione della morte
le coste i volti dei golfi diversi la sua geografia
ero in procinto di partire assieme agli altri
nel tono bianco smagliante di un giorno aereo solcato dai gabbiani
e i cirri leggieri del sereno
osservavo i portolani le mappe e le carte dispiegate
rammento una cifra la distanza il punto più lontano di una terra dalle terre
essa aveva la forza di incantarmi nei quattro numeri della composizione
difficile uscire dai sogni condurne oltre il sonno la materia
risuonavano però certo le voci l’incedere più tardi di due termini il resto e
accanto
accanto
quanto resta
così rintoccavano in me col martellio vellutoso dei ritorni piani e
pensavo un pensiero
cosa resta di noi nell’esempio di case affacciate sulle immobili acque dei
varchi
se il pieno dei giorni tracimi verso un nulla di inutili apparenze
o sia rimanenza non un poco da un molto perduto bensì
la essenza nutrita dell’esistere
chi allora o cosa sarebbe partito se tale il resto si offriva
se nell’andarmene - io tanto chiedevo - questo restasse di me
scrivimi hai detto e ti scrivo nello smalto imprevisto di un lucido limpido
giorno dei morti
dopo le brume vischiose delle notti e le piogge di un tempo generato
scrivo il respiro di un sogno sognato sulle rive di un mare sconosciuto
guardo il giallo impastato di verde delle foglie autunnali del noce
penso alla attuale ricorrenza alla sua ricorrenza nel momento e
forse eravamo già morti e forse nel resto restiamo
(
viaggio di un anno nel sogno delle nevi
oltre i mondi folti delle brume poco lontana alle rive
la luna naviga l’oscuro sereno)
37
3 - 11
quello è il paese dei volti desiderati
tutte si corrispondono le età
(nello spiazzo ai piedi della rupe hai parcheggiato e orinato gli edifici
nel basso vallone oltre le chiome dei boschi e i tornanti
odore di catrame lattine schiacciate appiattite
rifiuti e marciume
avevi adorato i cigni
fermi
nel corpo fosco della corrente grigiargento
essi vivevano sublimi una animale indifferenza
tu eri soltanto estemporaneo
caso effimero
fuori dalla loro assoluta contingenza
4 - 11
così sia un fatale segugio sulle tracce di animali trasparenti
planano lievi dagli alberi i merli neri foglie
sopra i terreni non noi nelle fratte del buio
nella penombra dileguante
5 - 11
abbandonata l’antica esistenza le foglie cercano
metamorfosi nei suoli
se nel ricordo della sera il male si divide e si
scinde erodendosi e corrodendosi e quando poi oltre
i presunti corpi delle nebbie gli astri
sfioreranno la tensione della fantasia
nulla si sappia di conforto
il bene neppure trascorso
38
6 - 11
forse il madore complesso dei modi di sempre o le felicità
lineari delle guerre non chiedono al modo geometrico di una etica
l’indirizzo di una quiete costante essendo la quiete un ostacolo
il primo e più arduo al faticoso innescarsi della
vita nel raggio di oscura potenza
passeremo del tutto ignorando il passaggio
7 - 11
vento felice da est a guidare il pensiero a settentrione
ha asciugato la notte cumulato le cose leggere negli antri
sollevato i lembi al meridione
8 - 11
(ora
solo
ignoro le età della vita eppure già mi sento consumato)
chiaro è quanto ti avvolga e prema il tempo della confusione organizzato
in modo di lievemente sconnessi argomenti brevi perdite delle memorie
citate lo stesso affastellarsi di un catalogo neppure enunciato
il piano della vita dichiarato si svuota degli istanti del presente
dovrai ora tentare un ripristino ridisegnare / mappe di corpi
ricollocare le terre scoperte i dolori l’immite speranza
in un triangolo oscuro di respiro
stasera sarai di nuovo al nord
col carretto degli anni colmato a dismisura di domande
e non so come si possa evitare il gioco inerziale della nostalgia
[nei viaggi oramai senza ritorno osservavi gli scialli di nubi
irretite nelle trame dei boschi
quando l’oracolo dei monti generava la pioggia degli inverni
(nessuno possiede alcunché ma abbracciare le ombre è diffuso)]
39
9 - 11
ostaggio della vita si ruota nella gravitazione di un
magnete illuso da minimi miracoli
istituzioni quali decadenza e amore o la differenza
la stessa matrice della diversità sono corrose
l’infinitesimo scarto del riflesso diventa nel paragone
un incolmabile ambito di alienazione
dunque un mondo di illusioni se la pioggia era solo erosione del vento
tra le prede sparute delle siepi
eppure il corpo era nella concretezza
del clima severa
pungente nella risacca delle acque quasi
nell’indugio dei fanghi tra i boschi però pareva ancora la pioggia
solo vento
esasperante grattava gli esilissimi membri di
un piccolo noce tessendo
un mondo fatuo di impropri riflessi paragoni traballanti analogie
morgana febbrile dei sensi
10 - 11
il pieno aspetto della luna inclina sopra i vapori
nella ora della assenza delle ombre nel disvelamento delle cose quando
sorge nell’alba la forma delle cose [il giardino si è fatto essenziale
ma nella trama scoperta non è la scoperta delle cose
(e)
nella scienza dell’alba passiva esse lamentano
la sofferenza inutile dello svelamento]
11 - 11
la scienza stessa non sa più assaporare nel numero la
intensa qualità di imprecisione
il formulario ha perso una incidenza umanamente celeste e
si procede nella
occupazione (è profondo il colore del giorno
forse alimentato da un mare lontano)
40
12 - 11 (preghiera terrena)
(constatazione)
personae scancellate dagli spostamenti d’aria delle esplosioni nullificate
dal lampo nucleare sterminate nelle cremazioni sminuzzate nei sacrifici
tribali
disapparite per causa di regimi annichilite e senza narrazione
maleficate personae dalle attività produttive le quali indagano
lo spirito fatuo del gruppo e poi stanno a guardare la bianca litote delle
mani non utili più
[(se avrai raccolto se non avrai raccolto l’odissea è sempre di nessuno
ma se già al viaggio non credi già non esiste alcuna odissea)
neppure le ceneri delle nuove retoriche sanno penetrare il grande silenzio
di tale viva pullulante ecatombe]
(conseguenza)
stai - semplicemente stai - non basito no medusato catturato dallo sguardo
della ex pianura al cospetto della mescola umana di stirpi anonimizzate
dal convulso motore del danaro
stai al cospetto di correnti violentate di vegetazioni plastificate di vento
tossificato di terre macellate da chimici fertilizzanti
stai nelle mire di schiere quotidianamente intente nella opera di
confermazione di un oramai ben rodato sistema
le cui propaggini artigliano l’universo mondo le fedi in esso i credi e le
discipline aliene e i tentativi di modificazione e gli altri di opposizione
stai - talora - sulle ripe cangianti di acque un tempo sacre dove
- un tempo - sapevi meditare e
- ora - sempre più in una sfera di rarità - ancora sei inciso da fasi spaziali di estrema magnifica tensione poiché - colà ancora dalla terra deriva una emanazione di frequenze le quali
te costringono a una felicissima passività di raccordo
- poi - travasato oltre un confine non vedibile ritrovi gli istrumenti
cartacei con cui sui sentieri gli amori cosiddetti clandestini si sono nettati
con la fretta di una ragionevole paura - ora ritorni ai principi di una consumata civiltà la quale ha conquistato
decisiva la smemoratezza consegnando imagines et loci
alle onomastiche tecnologie figurali a retoriche ternarie a
sistemi integrati di catturazione - ma
se quotidianamente tu
ti rifiuti così dentro e fuori il corpo in contrappasso tu
(fuori dalla speranza di un condivisibile coi più contrasto
fuori dalla ostinazione della convinzione per il tramite delle parole fuori
da ogni anche certezza trascendente e fuori da ogni aggruppamento)
ancora ascolti la pulsazione della terra e l’ordine di una salvezza
41
13 - 11
bianchi fumi ascendono il primo chiarore
dai campi della fine della notte
le cose irrigidite dentro i freddi
sotto oblique lune e tempeste materiche di oscurità avanzi
alle pendici di una vita non tua
tralasci il resto o
consideri
l’alto dovere di una traslazione subìto
il fascino di un difetto minimo
lo sguardo di nessuno
scivolava dal piano delle costellazioni al pianoro profondo
di un universo limitato oramai
vicino ridotto a fatue narrazioni di astri senza nome
14 - 11
ora è cieco il contributo dello sguardo sopra gli
innominabili vige la sospensione
cosa ne sai dei principi infelici delle acque
la fatica vicina di una origine e l’affannoso scaturire
mite è l’opera del giorno una ampia teoria del ritorno
sulle orme già nuove dei tracciati inoperosi
e schivi
15 - 11
scomparsi negli ordini di fumo dispersi gli atti tutti anche
la terra tace ammutita e messa via
subentrano i rami delle assenze
esiliando forme fatue di ripristini
42
16 - 11 (descrizione occidentale)
il fumo uccide si
annotava nel cenacolo della
memoria traendo dal vuoto pacchetto delle sigarette
sotto il porfido del cielo dove andavano traversando
apparsi all’orizzonte di una vita
sagome
puntute di gabbiani diluite pressoché della stessa
materia di foschia
si andava peraltro riflettendo
l’alto tasso di plastiche avariate disoramai
usurate frante presso frantumi di bottiglie
accanto a
i
transennamenti da
quartieri ove si compiono i sonni convulsi delle
cose stoccate
inoltre le monumentalità di vetrocemento
presso aree ancora in questa età contemporanea
per un poco non occupate però sì già saldate
al futuro da picchettature di duro metallo
colore della ruggine
l’ipocondria spenta di erbaglia palustre
ove scatta intensa tremitante la corsa di
una lepre
a graticci di legno
si aggrappano
festoni di teli plasticati del colore delle arance
artificiali
cedevoli sopra la non più coriacea
crosta terrestre così da mostrarsi gli steli di
lappole nella faglia sottilissima tra
la cordolatura e il nero asfalto non si fa niente
resto di resti di resti
ora non prima non
adesso e non mai ombre appoggiate ai corpi
neppure ombre e pulviscolo neppure nulla
in tali ingiunzioni di averi
43
17 - 11
la zona si offriva al campo rassegnato dello sguardo
subentravano anche approssimazioni della detta vita
cose dotate appena di una forma tuguri capanni ricoveri
precari in un corrivo mondo di penombre
- tempi delle febbri dei mormorii di sotto
la eco annullata delle scale le voci di coloro
giunti in visita
- il paradosso sta realmente
in un indefinito sempre più prossimo
in un fumoso dove oggetti
dislocati isolati soli rimangono
quasi segni di china sul foglio pastoso
senza trasparenza
(e in qualche luogo non reggimentato la intesa smarrisce
la ragione di un domani o la meta o quanto resta
di un pensiero del possibile altro
trascendenza o infinitudine)
si è voltato il tempo del mistero in un crepuscolo
di serenità
18 - 11
un certo male della ripetizione artiglia le pareti
con la discrezione medicale di una cura condotta
dalla apparente malattia di un giardino dove le
foglie raccolte attorno al tronco del noce indicano altre
attenzioni
e primaverile un dolceamaro profumo si insinua
in questa prolusione degli inverni concordi e
gentilmente sollevati nella stirpe aerea delle grosse brume
(hai scelto una nuova residenza
domandi se
veramente si abbia perduto qualcosa se la attuale realtà
sia la somma inconclusa di una perdita
la calda estate di due giorni fa è l’odore amaro delle viole
siero colloso nelle mani dopo l’effetto di un contatto inuso)
44
19 - 11
errante una trasformazione conduce verso i fossi
i mattutini animali e gli scossi alti corpi vegetali
oppressi nel risveglio grondante dentro i freddi
si arranca nell’arretrante cammino
perché si crede a una lontana direzione
giorno scialbo nel quale molto dovuto avresti fare
e nulla hai fatto qualche povero pensiero
alle ore un oggetto di cristallo il rumore di una caduta
eri colto in un modo di insonne apparenza quando
giunse frantumante un battesimo di vetri
20 - 11
il caso della notte galleggia nell’esiguo residuo
delle piogge di ieri specchiando sé in una
filtrazione di risvolti
convogli valicano lenti il rumore discreto degli addii
21 - 11
adombramento non era tormento alla fase crescente del
crepuscolo e ristava poi fino alla bruma sulle plaghe delle sorti delle
cacce è un ritrovato silenzio a predicarsi tra i filari
le voci si ripercorrono in rinnovata agilità
sull’adagiarsi naturale degli accenti ove si apprende il filo
del racconto in una molle monotonia priva di incaglio
45
22 - 11
protocolli si succedono a protocolli intanto il fumo
si adagia sopra i verdi campi notturni in un complesso
clima di temporali inedito cosa si possa agire in questa
terra della schiavitù ricorsiva
parlari omologhi si tacitano nel notempo delle ere contemporanee
(ricoveri nicchie punti di osservazione
alternative tenute per sé sotto i convogli
panciuti delle nebbie)
23 - 11
gioco di nacchere al buio
ritorno di maschere vive
vivamente dentro un trito carnevale
in un paese da sempre in disarmo
lo stupore fermato a contenere
lo schifo delle sue conseguenze
46
24 - 11
moto mai sussidiario visione febbricitante sempre come
dopo i risvegli dalle grandi fatiche il foglio delle terre
la concava sghemba torsione
dei colli velati
e la voragine grande di sotto
la mente non trova riposo nell’apparire innocuo degli oggetti disposti su
i coltivi per la malia quasi greve e sottile
la erosione permane da forme di visioni
diffuse foschie ora a tratti più folte disvelano
per discontinuità la minacciosa continua leggerezza
di un territorio sospeso sopra i vuoti corpi delle regioni
profonde ma giunto poi nel cuore del paese
ritrovi forme di ricomposizione
momenti di pienezza o comprensione
vivida del tempo raccolto tutto nel movimento unisono degli esseri
su un totale di evi adunati tra l’infantile stabilità
delle facciate e un pensiero semplicissimo di scomparizione
un a fresco già visto
in altre età
sempre la stessa pensavi e questa
rimanenza dell’antico cosiddetto sparirà brillerà nell’aria
e cancellare e sparire poi riedificare le cosazioni
anomale di un oggi sempre stato
ne traevi - del tempo - una agonia - felice la origine diffusa di un sapere indecidibile
nella noia tranquillissima dove eri seduto alla foce di un bar
sotto l’insegna comune nella piazza
di una imprevista elargizione dell’essere qui
(il limite degli astri delle forze limite poteri limite
schiere disperse rintocchi tarocchi ossessivi battito palpito
di metalli poi l’infinitesimo piccolo dettaglio)
47
25 - 11
l’abbrutimento è in questo non silvano ammutimento dei campi
le rocce arcaiche ma il tempo vissuto
raccolto risale nello spazio dove hai ventilato
vissuto un estraneo presente
questo distingui nel
regime delle attuali apparenze
oggi larghe scie bianche tagliano la zona del celeste
visibile dalla finestra
rintocca la campana il
modo dei mattini e
avvertibile una vibrazione
nelle costruzioni antiche con l’indispensabile vocalio
di una lingua salvatica di consonanze brusche
e strascicata (fragili scosse politiche fanno oscillare
le croci dure di questa terra da sempre in disarmo
un cane passa la lingua sulle nere pozzanghere
su i fanghi torbidi nella aria cupa delle sere
delle auto
sosta sopra odori secreti e le erbe
disidratate e i cementi
piscia poi riprende sicuro
il corso della stenta passeggiata per le quartierazioni
irregolari del paese delle fetide croci)
26 - 11
la pioggia stride contro il rude elemento della atmosfera
mesta ma folle va per i sonni
giornata cupa bellissima di monadi ventose
e strascichi di vele a ideali meridiani
48
27 - 11
l’alba trasceglieva nell’abito complesso
un oro chiaro e una candida schiuma sul rigo
orizzontale della ascesa degli astri diversi dopo
la notte dunque una visibilità articolata
nel sottomondo dove perenne il torpore delle macchine
bruisce
nessun reperto nessuna reliquia o resto di qualche valore
tutto è stato demandato alla cura grezza degli esecutori
28 - 11
guardo il volto brumoso dell’origine colore del vino
il fumo azzurro sopra i campi e i boschi
la commozione varia del cielo
nei giorni compresi da questa postfazione
i cementi trasudano le acque piovute
hanno volti forti
nel madore sotto il limpido fosco del mattino
soli isolati stanziano sopra le terre fumanti crude
resistenti
il rettilineo flesso della luce
si scioglie ledendo docilmente
le fissità precarie le memorie dei tempi
dell’anno le fasi di arretramento un liscio
sorvolare le quote dei paesi
tramonto precoce della luna dentro l’abisso viola del
la nube
dalle cave di nebbia emergono i contorni
irregolari dei lumi
49
29 - 11
la notte non ha orizzonte dunque non conosce distanza
dunque annulla il sentore della profezia dunque ignora
il motore del passato la notte dunque naviga la luna
ignara di golfi e di approdi
(indugia la sua mesta maestà
nessuno nessuno conosce
le note rubate al cantico tradotto da altre lingue
presenza di un grande malinteso
dove si brucia la falda degli inverni)
30 - 11
la grande illusione della nebbia trascinava i mondi
delle immagini dentro i recinti dei giardini e gli orti
ne gli astri verdi di recenti verdure (si è parlato
della oscurità
tra noi dietro le braci
e i residui idoli di fuoco un consuntivo intorno a
quanto fatto
nessun crepuscolo ti orienta se pure cerchi nature
antiche sonni pallidi dell’ultimo di un mese
o dei tralicci la teoria indefinita
né notti o giorni né riposo o forza
il fermo passo di un sentore inquieto
null’altro sul foglio di viaggio diario di
un a bordo senza luoghi miserie vegetali ricondotte
oltre recinti di passi vietati
roselline arcaiche erbette nerastre
terriccio tra placche di sassi e calcina
(si chiude la casa di novembre)
50
1 dicembre 2003
ha sorpreso la sfuggente flessibile pallida ombra proiettata
dai torpori delle ansie del passaggio sopra il muro
leggera svanita sorbita dal nero del giardino
ma
eri tu tu eri condotto nella forma del corpo dentro allo
spazio del primo tuo apparire
tra l’alone oramai fiacco del lampione
e la bianca parete della concretezza
51
2 - 12
dagli altopiani si mescola il vento caldo sinuoso
orientale e cala sulle terre basse senza profezia
giorno folle di robe scompaginate
la scarpa slacciata
l’improvviso tragitto fianco a fianco
ai muri delle case umane il viale delle puttane
le macule dei platani lo slargo della piazza del mercato
odori di verdure e lordure
altro macerato dai secchi gesti delle creature
fino al murmure grattio della pioggia
e le briciole perse sul sentiero
rimani e sei ora già stato e non sarai
satura del freddo degli altipiani
l’aria calda delle regioni orientali
travolge felice i campi delle valli
3 - 12
spiovuto da poco o poco più strada iscurita alberi
passivi gallinelle nel campo sotto lune peregrine
volto spinto alle diciassette dell’ovest alle arate
coltivazioni della nube violacea all’equilibrio
sollevato dalle streghe condotto dai vicoli alle
carte celesti di una casa in rovina
52
4 - 12
era serena la terra sotto i maschi astri nudi e feroci
i pugni piantati nello spazio con l’appesantimento grave
febbricitante della brutalità
in una simile congiunzione trema il
tratto del tempo si incrina la luce si sbriciola
l’accento acuto delle piche
occorrerebbe una sospensione
atti diversi
la logica di un rispetto necessario alla oscura tradizione
senza voce la notturna varietà di una lezione
ma
incertezze altre
inducono a tacitare la giusta deviazione dalla norma
5 - 12
il moto della terra avvolge la
sorgente del sole nel torpore animale dei sobborghi
poi riaffiora la luna
addosso una malinconia enorme e senza cause
6 - 12
il pianto ha cessato di lavare il volto
il volto
ricomposto
dimentico
ora
però delle piccole
necessità del momento rimane in una neutralità
risentita particola di riferimento non perfettamente
filtrato manca un effettivo
rilievo delle
cause alle quali si affidino le mani di una risalita
scorcio di edificio accanto a cielo spoglio
53
7 - 12
il vento solo dischiude semi nel freddo
ai suoi lati
la calma di calme più estreme rimane sui giardini
fioriture a dicembre
artiglio precoce dell’inverno
(hai camminato tra padiglioni vuoti della estate
hai giocato coi tempi di queste ultime notti lunghissime)
8 - 12
sotto il metallico blu riflesso della luna e spessi
i passi per tutto il grande cielo sopra il gorgo
segnavi le forme delle costellazioni tramontanti
col dito piantato in uno zenit mentale
né pellegrini né altro le suole sull’asfalto
l’erba già ghiacciata
il profilo sfuocato dei
monti divorati dalla oscurità
quando poi si svanirà senza nulla sapere
se quanto si è saputo bene o male rimanga in una viva
teca in un volto sognato o nelle annotazioni fatte
a margine da uno zelante nessuno
(dopo) la piazza pareva più piccola
abbordabile certo di quanto negli indefiniti sentori
di fine estate permaneva una fluidità
verso le larghe voragini dei tempi di foreste
e lo spazio imminente si travolge senza
rumore per una volontà di sperdimento
tale la precaria edizione di un sito sottraentesi
a percezioni parziali di cercatori di etiche possibili
tra urla di chiusura e gli impiastri fumosi
di bar nell’odore di corpi seminudi
[golena universale quella scorsa
larghissima disfantesi unità]
54
9 - 12
come riposi angustiati in sogni di malaugurio
cerchino nell’anima dei risvegli nel voluttuoso cangiante
della notte in una larga cavità
fatta di bruma trasparente e serena
come i fumi ascendano dai fossi le valli dalle valli
nessuno lascia cose provvisorie
eredità sempre complete e non casuali
l’inconcluso corrisponde a quanto si è concluso
(ripari sempre in edifici neutri
dotati di punti di seduta non caldi non protetti dal freddo
destino imbarazzato di straniero in cerca di nessuno)
10 - 12
possono valere anche prove cosiddette abortite
nevi azzurre sotto la luna e dopo il suo tramonto
dietro la doppia notte della nube
forse lo spargimento è quanto di più fascinoso
e nobile si generi dalle loro visioni dalle
invenzioni dei riflessi da un corpo denudato levigato
ora semidischiuso
posto in una non morte
situato in una non esistenza
11 - 12
uscito da una olivastra spaccatura il vento sottile
tra le foglie poche
e
i
rami stenchi
nulla si ferma
tutto è indifferente
55
12 - 12
natura quieta sopra un davanzale
tre bicchieri un barattolo dietro uno scuro
sopra fossili plaghe di muro
l’erba del dicembre il tenero terreno delle piogge
pannocchie sgranate stoppie nere
l’uccisione protraentesi
degli alberi
rami e cortecce ammucchiate nelle acque
la troppa precipitazione dello sguardo
cosa significhi isolato
un ohhh dilatato nelle scorie di un pensiero isolato
l’altro muto restare dell’impercetto come
si compia nella uccisione il trauma dei boschi
le fioriture delle foglie morte sono le dense brine
del gennaio spesso sopra i terreni duri della povertà
13 - 12
si fosse un sordo sospiro
un canto
riscosso da un lavoro di niente
o corpo disposto
in diagonale esposto al riflesso degli sguardi
senza morte o vergogna o dignità indefinibile
radice o spoglia deforme da un sogno evocato
di passato riflusso sempre di un oggi
precipitosamente proteso contro sé
di giorno in giorno trascorrono pensieri
tentazioni di sfinimento rilievi di una forza
rinnovata nel compito impervio senza premio
sola una data là sul calendario di ere non arate
soccorre talvolta un tentativo di trovare leggi
patti per evitare il modo delle discipline
(si sbilancia la nebbia nel falso corpo d’ora)
56
14 - 12
accade a queste verginità messe all’incanto vilipese
svendute
giovani volti soli vergognosi
uomini no
grandi bambini assonnati
illesi temporaneamente e ancora illusi
pallori estremi su facce mormoranti
passivi stremati sfiniti
camere ombrose di
pulviscolo unito al fumo delle sigarette
oltre le palificazioni e le reti esistono gli altri
innominabili invisibili terra uguale e divisa
(nessuno rammenta più le coalizioni
ne deriva un
rischio più esteso
di evenienze instabili
episodi letali
in verità
la luce del confine lingueggia
povere mani
dentro a poveri corpi
con un balzo i cani
superano trincee fiutano i terreni
rilasciano spruzzi di urina
di estranea adattabilità)
15 - 12
vortice di foglie la svolta
all’angolo di vento nei crocili
le code soleggiate delle piche
c’era già dunque nello sbandamento
dei gruppi aggrovigliati delle nebbie
cupe il profilante giorno aprentesi allo sguardo e
va lontano lo spazio nella alta primavera di dicembre
57
16 - 12
nei cammini dei solstizi
sbocciano i fiori del freddo
alle albe dei loro
territori corvi cercano l’est e nei tramonti vividi
tornano alle veglie dell’ovest
nei cammini dei solstizi
nell’inutile tragitto di un’ombra nascondersi
allo scaturire abbagliante di un pomeriggio svelato
salvo tra cose vicine rivedute e
non corrette
quasi conclusa la fatica leggera dei colloqui
senza passioni il tramonto scorre nel crepuscolo calmo
delle cose senza passione giovinezza ineffabile e tardiva
17 - 12
poi solo cose appena proposte sfumate
ma leggermente
inazioni di ombre voli sopra i boschi bianchi bianchi aironi
ritorni dei morti il rosso dei rami dei salici
murmure suono della immobile terra
18 - 12
forse lasciato abbandonato momentaneamente
le cose
irrorate dal giallo melmoso della lampada
conversano
ora semitrasparenti
poi scompaiono
temperate dagli ozi della fine dei giorni
le vite
lasciate riaggallano tra le pieghe o sopra
tavoli sommessi le tazze il bicchiere
le voci giungono nei vuoti
docile felice malinconia di punti dove
si svolta verso campi maceri
povertà del libro delle voci
isolata e restituita
all’ambito delle solitudini
58
19 - 12
nell’ora della paura senza consolazione
sotto l’ultima germinazione
del buio sotto
il primo oneroso pronunciamento delle ali
nel liscio pertugio di un crepuscolo invano
20 - 12
tracci il segno del tuo tatto
il punto
forse non coglibile nel quale gli esseri cominciano
a entrare nella morte senza oppressione
sciolta la tensione della esistenza
21 - 12
gli anni lo spazio comprendi il tuo essere stato
mutevole e passeggero
teatrino nelle quinte dell’alba
la nebbia piove
il giorno non si sveglia
essere in atto aprirsi faticoso
nel moto difforme
di un locale universo
le terre nere ascendono al diagonale effetto
dello sguardo
59
22 - 12
correnti deboli screziano la atarassia degli
alberi rimando a mosse preventive
scosse
negli angoli protetti
spento scorticato
il modo dell’esistere
la qualità del tempo nella cucina fredda
un bicchiere un foglietto appuntato
smisurate proporzioni dell’infinitesimale
23 - 12
tu non hai chiesto questo tempo opaco
né sei stato richiesto
se ci pensi
(scrivi alle pareti dell’alba
nel vento occidentale nessuno
i maestri rimangono inuditi
o tacciono
o sanno l’inutile velo della conoscenza
oggi nel solitario volo di un uccello il puro
cielo era vasto poi è accaduta una opacità uno
spasmo di luce e poi lo svelamento del sole
(così nelle celesti radici dell’alba un volo solitario
propagava ovunque il pensiero di una ampiezza
immisurabile)
60
24 - 12
hai annotato in una zona di distrattissima attenzione
un dato empirico corroborabile no
là dove ieri avevi liberato / lo spazio da un ingombro di
cose da buttare / ora riposa una sedia
quasi il luogo o altra volontà / chiedesse occupazione
nudo forte lo stilo di un albero erba asciutta frusciante
sotto il passo astri verdi nessuno
senza suono
unica udita
una presenza tra gli
arbusti grovigliati
grandi case dormono affondate
sotto il volo puntuto dei gabbiani
25 - 12
ancora la stanza sa di notte
dell’alito degli astri
delle brine
dei suoli acuminati dei cammini spirituali
dove episodiche si scuotono le azioni senza ferire mai
ora la vita si è matematicamente ridotta
il passaggio dei giorni si stria del sapore impreciso
della morte
solo
l’alone della presenza
a lato
a lato dei coloro ai quali non si è dato
a sufficienza
e forse il tardi somiglia all’assoluto
i canti delle donne spolpano il frutto degli inverni
26 - 12
i cani stemperano la distonia dell’insieme
separando i guaiti nel vento
trasparenti
i voli degli insetti sedizione di polvere d’oro
i cani a volte la pazienza loro infelice
è il dono più grande
le acque hanno appianato questioni differenti tra terreni
si specchia il fiume nelle candide sabbie
dei morti
61
27 - 12
tono freddo dell’oggi da maggio impazzito
coltre vellutata incertezza dei ripristini
non conosco la natura persa della nube
il limo della materia la cortese adesso disposizione
sopra il giardino nella cadente ora
e un principio di parziale profezia
nel perenne participio del confine
hai confrontato un patrimonio
di dolore col carico degli altri
indifferenti ma non eri nella verità
né sapevi impossibile il confronto
tutto ritorna a nulla
una ipotesi il nulla
soltanto inutilmente continua la terra
a fare sorgere il sole
28 - 12
lascia crescere l’epidermide parca del giorno
sull’altra metà del volto del giardino
il complesso esito dell’ora collega gli elementi
fondendoli in un tono pacato azzurrogrigio sopra
il corso delle acque e le sabbie
poi l’alveo dove
preludiava
ma presto
il tramonto
ascoltavi la vita dell’ora nell’effetto complesso
di distanza
62
29 - 12 (per un ordine della risposta / dedicato)
piove dentro un cielo flaccido neppure febbricitante sopra la fragile
perversità di figure apprese attorno a grumi di abitudini
un volume di tocchi di tristezza organizzata nelle forme di ripari
poco sicuri paratie malchiuse rugginose
da ieri la consegna di un aspetto dove si è sciolto l’amalgama
della ora placida concentrata nel feltro azzurrogrigio
di un tono unificatore
le ultime notizie non parlano di nulla noi non siamo noi non esistiamo
la vita è venuta a mancare in un circolo vizioso dove cieca presunzione
non ha proposte di varianti
siamo qui per arrivare alla fine a una fine soltanto
si assiste sempre a addii di età di esseri
epoche non più fatti non più esseri non più niente solo il
romore calante della pioggia senza tempo
così siamo
ampolle sibille barbagli e più si accumulano feste più la tristezza prende
nel centro del corpo e si fatica a metterla da parte
a questa civiltà manca una risposta
manca una voce consapevole di offrirla cioè
una vera consolazione un modo vero per comprendere e donare
quelle proposte troppo dirette troppo troppo lineari e
dirette e senza profondità
non l’avere e neppure un tale essere
la insufficienza stessa della quantità
la quale non sa trasmutarsi in qualità
alla nostra civiltà manca dunque la parola
(questo è quanto) esitiamo e esistiamo
in ciò si colloca la perdita non netta ma gradualmente inesorabile
della direzione e della meta
a questa civiltà manca la densità della durata
la precisione della disciplina senza opera
la vanità stessa del compito eseguito
manca
l’aria flessibile della quiete il riposo della inquietudine
nel travaglio amico del pensiero
a questa civiltà
manca la risposta
poiché non sempre si può risuolare la domanda la medesima
sullo stupore monco di giorni troppo maturi di vuoti
poiché se si pronuncia si è
occorre essere e non abbandonare
63
[negli alti cimiteri dei rami oscillano smisuratamente poco
le ultime spoglie
l’aria degli oggi innumerevoli tortura i siti dei definiti sonni
carcasse scudi molli dei fanghi muschi rinvigoriti
nessuna abitudine è ammessa nel vigoroso modulio sopra gesti sussurrati da
segnali elementari
come forme ora adornate di un bagno di tristezza evocata dai congedi
fumosi volti che non più rivedrai mani sugli schienali
abiti del colore perso di una notte specifica attribuita a altri
e reagiva così quando a metà di te stesso eri non ricapitolabile non
riassumibile ma quasi chiaro e lineare dai tortuosi cammini dei solstizi]
[
la carestia è un modello di possibilità forse non tanto estreme
esistere tra gli esseri erosione corrosione corruzione
emenda quanto puoi se puoi di quanto hai fatto agli altri
gli orrori quotidiani
e le parole pronunciate contro /
il cambio giunge imprevisto sibillino
traccia di un barbaglio o la tortura rapidissima di brividi e sudore
questa la risposta
il tocco appuntito acuminato della rovina
qui non esiste bagliore o brillanza
30 - 12
l’illimite del mese mostrava il limite di sé
adagiandosi smagliante nelle coste
(non immagini nulla dopo le superfici
non hai visto paesaggi non hai sentito cose o predato le regioni degli altri
non hai amato nessuno forse dimmi ti amo un’altra volta
come ti è accaduto nel sogno dove buono non eri dove
anche la bontà segnava il passo
neppure forse la morte dirà la cosa non il segreto la cosa la quale
si presenta ma non si fa scolpire lo sconfinato oggi l’unione col no limite
la pressione perpetua dei differenti ritmi
64
31 - 12
i giorni esistono non esistono i mesi gli anni
gli anni non esistono esistono le stagioni
e le stagioni si rinnovano nei giorni
trovando accoglienze felici laddove altro sarebbe richiesto dalla cieca
previsione degli uomini
stamane mi sono svegliato o piuttosto sono stato condotto alla
veglia da un ritorno obliquo di parole intorno al modo solo uno tra i tanti il
nostro di approcciarsi alle cose sconosciute
una sorta di aggiustamento una immatura sempre metodologia
così riportato nella breve insistente memoria del mattino
di questo mattino nebulizzato e poi deciso nella pioggia nel suo volgersi
invisibile alle ombre di un sempre già tardo pomeriggio quando altro nel
prosieguo è intervenuto
pensiero o semiconsiderazione su come si apprenda
non si è allenati a comprendere quanto attende nella mobile onda degli eventi
possibili poco si è ammaestrati e impreparati molto agli accadimenti sempre
una unica volta una unica e prima volta nel corso iniquo e sdrucciolevole dei
giorni senza ore di
cose senza contorno di sprofilature diafane o accecanti
ho pensato alla possibilità di un progetto di pedagogia realizzata sulle pagine
di un libro a venire
successivamente ho accolto le seguenti parole ( : )
aggiustamenti meticci quando si tenti di penetrare la cosa e l’incertezza si
protende oltre il corpo oltre i confini variegati delle linee di definizione
eppure si propongono placebi con insistenza quasi si conoscesse il groviglio
il garbuglio del protendersi (il nostro) e le modalità di uno scontro
- respiro tuttavia un incrocio di felicità il terreno dove cresce l’erba del
prato è molle e in esso gli escrementi del cane si accomodano presso i tronchi
lacrimanti e neri
( : ) unica pedagogia un personale cercato esperire in una orbita di
dopoconsapevolezza nella ostensione sul corpo nel contatto diretto del
pensiero nei giorni nelle ore negli attimi di turbamento tra un bicchiere e una
sofferenza
questo è quanto ho appreso assieme alla solitudine fertile delle pagine
approfondite in solitudine e dimenticate e riprese in un dialogo a lato ma a tal
punto fervente da porre sul piatto delle bilance un tramonto appuntato alla
vita e un vento viola conduttore di distacchi
65
non ci sono programmi
neppure indicazioni
se non le casuali trovate nelle cose di riporto tra le strane atmosfere delle
crescite in uno spazio vicino e sconosciuto
il locale abbagliamento nei rumori delle
vacche nelle stalle gli odori stantii delle carni la fine della vergogna e un
dolore irrisarcibile privato del peso dei ricordi
cosa siamo non so talora pare la vita tensione a cui la morte offrirà
soluzione poi le particelle di noi troveranno occasioni di non atteso molle
ottundimento
non c’è ascesa o discesa il mondo si irretisce negli spettri degli esseri umani
con ampia innocenza e ignoranza
ma quanta speranza se non esistono gli anni se i mesi
non sono nulla se il mondo dei giorni si abbiglia di tutte le stagioni
(si chiude la casa di dicembre)
66
1 gennaio 2004
il canto della primavera germoglia in questo
giorno del poi caduto umore delle nebbie
il tepore si posa nei corpi titillando l’inerzia
dell’essere
e pareva
oscurarsi il settentrione
67
2-1
siamo sempre ancora alla frontiera
la frontiera non è stata superata (i.j.)
i fiori non hanno nome i nomi sono nella ignoranza
presuntuosa degli uomini
non so nulla dei fiori
non so nulla dei nomi
mozziconi di parole indugiano nell’ora della corrente discesa da
lontane latitudini
generate dalla luna le ombre degli alberi
si fondono sopra i sentieri radi del magma
della palude
gelido il vento
nell’universo transitorio e traballante
3-1
luna nera sole spento
fiato disarmonico di
oggetti senza luogo
4-1
alle spoglie degli inverni c’è un istinto dell’alba
nel medio giorno ancora (il senso di cumulo degli anni
di cose di fogli cose accanto a cose e senza nulla
rimangono illusioni intorno a quanto fatto
forse nei tempi delle nevi quando pareva arretrato
il processo del giardino la meditazione
del prato la statica degli steli
e i cieli articolano la legge del tempo
il calicanto
fiorisce oltre la pallida continuità delle cronologie
68
5-1
hai perduto le età nelle memorie
nelle fuggevoli esitazioni dell’attuale
sei nel registro degli archivi vecchi
occhi non hanno per te quelli nuovi
6-1
catturata dalle reti della oscurità la pallida
illusione dei lampioni si smarrisce
diradandosi nei prismi delle nebbie
(sprofondavano i piedi nella mota
impronte d’altri alimentavano sorgive
lussureggianti
alberi e il silenzio invece là
dove incisi nel canto coi velluti delle
lame muti uccelli giacevano
sui tavoli delle anatomie
il candore delle vesti anziane
ventilava l’afa delle rive
forse ti
eri sbagliato e quelli appartenevano ai vivi
e tu solcavi le spiagge dei morti)
(al di qua del tuo sogno spaventoso
nell’attesa di un dopo inarrivabile ne
i terreni educati e neri fioriscono le verze
tra i ghiacci e le brine
il fuoco si rannicchia sotto il ceppo
e parla)
in giorni simili le distanze ove l’ansa franta
delle nebbie è uno spazio liscio quasi neutro
solo
solo prossimo
lontananza ma vicina
dove i profili delle ore possiedono la
consistenza di giochi di ombra sulle tele
tese di una notturna apparizione
poi il crepuscolo dilata le origini ancora di
una sera notturna e i modi rinnovati del suo
posarsi inerte
(nei tempi delle more nell’onda dei rintocchi da paesi immaginati
non sai dove andrai se avrai altre forme e nomi altri recheranno
insegne tardive delle cose)
69
7-1
[siede fedele tra le cose tue la paura compagna
delle carsiche linee della vita (pacifiche maree
delle notti si ritirano dalle sabbie viola di gennaio)]
dovremmo essere gentili col corpo della terra
scorrere trascorrere leggeri e senza voce
essere solo ascolto nel volto del cielo numioso
sfiorare i suoli verdi e le brine e le
pallide membra delle acque
essere
essere docili ai mobili cambi dell’aria
poi declinare senza rumore alcuno ai lati
di orti senza nome
(immatura e fedele la terra accoglie un’altra vita)
8-1
la mia già vita marcata scorre
accanto alla tua indefinita ancora
la stanza resa opaca
dal medio colore di una data scadenza
la febbre passeggera
le presenze ormai si sono
fissate nei luoghi stabiliti
nulla del loro antico spavento
70
9-1
la nebulosa blu del crepuscolo giunge fino al
prossimo apparire dei prati prima del ciglio nero
della strada
nel fondale della dissolvenza
l’adombramento dell’ora entra nella camera
non tua dove pure hai deposto cose ritenute
appartenerti senza vero diritto o possesso o proprietà
tra breve le mani scioglieranno nel buio
gesti ciechi cercheranno una consegna
alla avidità di questo corpo in questa ora
dalle derive opalescenti di un prima
alle pendici della cosa che sei
tra cose e nel momento di un primo leggero spasimo
di cedimento nella apprensione più franca
del momentaneo e rapido fluire
sul bordo della cosa che non sei
nell’indugio di un cauto riapparire
la luna ulula graffiata dalle nubi
10 - 1
qui dove sei giunto oltre il bordo sfilacciato
fosforescente della nube la sosta si è pulita
nessuna implicazione
natura senza mistero
corpo alla deriva e nude le figure delle cose
e il puro gennaio luminosità così poco incline
agli inutili ornati agli eccessi
non geometrico
piuttosto sottile nel mostrare la radice semplice
delle cose
l’essenza di ogni maestà
l’esercizio immoto di continuità
sotto il crollo della nube apparente
sopra il fresco prostrarsi delle erbe
nel massimo tormento delle acque imprigionate
71
11 - 1
la notte si è chiusa in questa tarda mattina
il rotolio del fiato bianco dei terreni
migra lentamente sulle erbe
le ulcere dei lampioni si placano
si schiudono le tristi settimane della consapevolezza
di te i manifesti grovigli del sottobosco
là lo scricciolo ripara senza sicurezza
e nell’alone del volo prima delle evoluzioni
i grandi aironi indagano i terreni
12 - 1
il giorno è entrato nell’ombra
si è
inoltrato nel fosco di una luna invisibile
nella magnetica cupa
materia di
un largo presente ora sovrastante e sopraggiunto
le immature timide
apparenze di prima
giacciono
svendute
13 - 1
alla fine rimane la cosa in un poltrire sfumante
come te alle semplici decantazioni di
gennaio atono tenace
(sovente i diari amerebbero spaziature di bianco e
non vergati dalla noia di forzate inclinazioni a
colmare i vuoti dei giorni con vuote annotazioni
intorno a false verità
rimarrebbero dunque nelle
pose di allora)
72
14 - 1
non vuoi nulla ma
neppure appartenenza
scegli il circoscritto labirinto dei
protocolli geometrici del giardino
passi le dita sul croccante lichene qualcuno sempre
veglia su una stabile sterile insonnia
indocile ansia proveniente da una età non vissuta
né recata dalla nostalgia
pagine di altri parole di altri i loro propri gesti
ti appartengono se per te hanno valore e comprendi la realtà di
un solenne discreto anonimato
la nebbia di gennaio reca in sé il
bianco colore del limpido nascosto
(nella zona della descrizione un mormorio ora ottundente di pensieri)
i corvi neri frutti degli alberi essenziali posati sul
piombo dello sfondo
nelle semplici zone di
confine delle descrizioni)
15 - 1
ti saluta lo splendore del giorno
l’impronta primaverile di una azione
qui nella tua vita mutata
il vento ancora il non cronico vento
sopra corpi magri sopra voci affilate
sotto il prossimo sparire della nebbia
si spostano così le fiabe della luce sopra le rame
vuote del giardino e una intenzione lontana
dello sguardo
la inattesa primavera di gennaio
apre a profumi della nuova età
si struscia sugli antichi strumenti i secchi amenti dell’acero
il silenzio l’odore dell’abete
il barbaro viaggio della nube
l’acqua padre madre la terra
(il giorno complesso ti confonde)
non dormi col vento e io non dormo mai
forse questa l’esistenza questo
l’irragionevole
sempre vegliare
73
16 - 1
lascia qualcosa al ritorno
qualcosa recherai dai tuoi cammini
delle bufere l’incolpevole atto
il fresco disperdersi dell’aria
(scrivo di te naturalmente mentre altri dormono
sfiancati nelle stanze
malsane scrivo di
una condizione sperperata la nube trapassata
nei varchi dalla luce
e quanto sia trascorso
finalmente non si sa
17 - 1
là non c’è niente
ma è proprio un tale niente
ad attirarmi
(un giorno queste terre salperanno
scioglieranno gli ormeggi distruggendo felici le
nuove divisioni
accadrà sotto il protettore disincanto
delle notti
gesti intimi intensi covati nelle prigionie)
18 - 1
esci nel vento da oriente nel rovinoso felice
mutamento verso lontane sezioni di equinozi
tra i tronchi rugginosi e le armoniose flessioni
del bambù sopra i cedevoli fanghi
attraversiamo noi stessi con la assurda
malvagità di chi si pensa immortale
è tutto inutile vano e inutile e tutto così privo di
tutto
74
19 - 1
come reliquie di perse retrovie
la vita corre e perde le memorie
come la invisibile sutura di una origine
è nel chiarore boreale di una notte
mai completamente dischiusa
(quando si è finiti nelle secche della vita
non c’è più nulla da fare se non aspettare
le maree o altro)
20 - 1
nel campo della legge la alonatura delle precisazioni
rende difficile ai labbri la promessa
la provincia del diritto conduce al tramonto
delle utopie
rimane il corpo ulcerato da
paesaggi sopra cui volano gli uccelli spazzini
cosa resta da fare in questa esigua eredità
in un deposito di polveri infedeli nella
ruvida rete delle rame tra cui traluce
un tramonto senza nome l’acqua cade ancora
nelle eque fatiscenze dell’essere
poi sale nell’invisibile mattino delle gocciole
si fa meno acuta la sofferenza
si trasforma in piacere la rinuncia
75
21 - 1
lo stesso zelo negli eccessi è modo per trovare una
qualche linea di sicurezza nel campo spaventoso
di un’alea sconfinato
le domande si rilasciano nella esitazione di una laguna
bianca isola di carne nella carne liquida della laguna
anima o i frammenti di quanto si era raccolto
somministrati e poi buttati via con la vergogna di chi
ora crede di avere compreso
22 - 1
chi chiama chi chiama chi chiama senza alzare la voce
nel movimento delle lucciole
la pasta fervente del
profumo violenta dolcezza dei sipari pomeridiani
poi notti brevi dilatate
oltre te vacillando
nel mondo degli altri
accanto al quale hai posato le
tue cose la polvere nelle mani persistente
chi chiami con crescente desiderio
l’acqua della notte si scolora
non c’è principio e non c’è fine
quel mondo era già questo mondo
fermati se puoi alludo al canto noioso dei presenti
dimentico troppo dei presenti istanti (le erbe alte dove
nuota il corpo sotto la sferza dei piccoli graffi
poi gratti il primo strato della pelle fino a quasi
segnarla col sangue togli il male facendoti male)
23 - 1
quando poi giunge la neve il frusciante silenzio
del flocculio calmissimo torna
la nostalgia
del suo profumo antico
76
24 - 1 (dedicato)
quiete pascolavano le isole come sempre e un bastimento
sorgeva all’orizzonte (c’è un modo diverso
per sapere diverso dal dovere avverso delle semplici
virtù quotidiane ) hai camminato accanto alle tue orme
(c’è un passo non veduto oltre il quale nulla importa
e se importa è irrisorio
il corpo di qualcuno
il mentre dell’ultimo ruvido
la fioca spremitura da un ardore velato)
ti prego non andartene non andare ti prego
ho ancora bisogno di te della tua vita sopra la
mia
vita
25 - 1
i pensieri hanno lingue di gatto scorticano
ruvidamente e a lungo il corpo della mente
pensieri lingue di gatto tra i fossi le acque nere
inattingibile follia della generazione
26 - 1
ridevano i bambini nel gioco estemporaneo
di liberare feroci la rete dalla brina
la brina disfacendosi fine in una polvere fine ricadeva
albe crepuscolari malate ingialliscono nella fine del pomeriggio
77
27 - 1
in questa totale notte torbida (vita colma di merda
merda colma di vita) il ribaltamento degli equilibri
ha provocato conseguenze onerose aggravi quasi non
tollerabili accrezioni
passavi nel quarto di
esistenza presso i cosiddetti capannoni
e qualche roca voce di rana
e terre ulteriori
e un ringhio di cane
forse
magari
mormorii di fantasmi smarritisi dove nulla è
più come domani e domani galleggia sopra fatui
fuochi dei morti in questa notte totale spaventosamente
e profonda
28 - 1
(il miele del sole maculava l’asfalto sotto i grandi
platani nell’ultima feria dell’agosto alla fine e
sapevi qualcosa del luogo benché mai lo avessi visitato
e qualcosa il luogo sapeva di te e invadeva una
grande nostalgia senza contorni di una cosa accaduta forse mai)
cosa rechi dunque con te in queste cupe meraviglie
di riflesso
passi di altri rumorano o semplicemente
i tuoi passi in una eco riascoltata ma tuoi e la speranza
di un modo altro dell’essere qui senza tramezzi
davanti alla follia di una maniera d’essere che sei
non siamo d’altri spesso però tra tanti corpi e luoghi
e tempi forse
(l’universo è passivo e non ti vedi allo specchio)
78
29 - 1
non sei ancora vecchio e ancora non ti appartieni
(fuori le nebbie traballano le lavora le costringe
turbandole incavandole il vento lento e forte
in questi addii normali naturale permane un cenno
un contenuto vuoto e non riempibile guscio
trasparente permeabile invisibile
e ostinato lì una domanda priva di parole
soluzione seminata all’aria
l’infanzia
il paese del dopo)
30 - 1
si incanta l’aria nei piccoli cortili
invischiandosi nei teli trasandati
ti allontani quando pare ti colga la cosa cercata la parola
quasi volessi disimpegnandoti dimenticarla e
spaventato scegli l’abbandono
penso al fragile incanto di un corpo alla debolezza infinita e nessuna infinita
spumosa marea lo protegge guscio di tutela o lontananza quanta infinita
dolcezza e
debolezza il corpo che siamo
79
31 - 1
dagli alti camini il fumo si allarga sfilacciato matto indeciso
gravita sopra gli oggetti cadenti più in là dove sbrecciato lo
stradello scava malamente la natura della sera
gli aironi riprendono il volo contro i lampi lontani
le sagome disegnano ascese diagonali dalle acque nere
la tenebra è violata da un rapace silenzioso
luna sottile di gennaio
combina notturne alchimie
e il muto spostamento
degli oscuri predatori
compone fumi dai camini alti
il peso cianotico della atmosfera
(si chiude la casa di gennaio)
80
1 febbraio 2004
oltre le porte dell’abbandono i lavori del giardino
possibili corrispondenze e tu
in altro luogo non sei
nello zaino sogni divenuti realtà recitazioni richieste
a pagamento
note sottolineate intorno all’arte
linee grigioscure sotto linee nere
hai posto la questione al tu riflesso
passa tra le fresche acque piovane una corrente di mesi primitivi
sabbie polverose sulle rive
dall’alto dei meli lo sguardo vagava i lagrimosi
mattini dell’ottobre
le giornate ora soffrono la anestesia bradicardica del
pomeriggio
più largo le terre cretose si rassodano
mostrano zolle sotto le pertiche lunghe delle ombre
prede contese tra rapaci e spazzini
sfiori le carni invisibili del tempo
e ti ferisci appena
81
2-2
la morte si colloca come termine alla possibile
indeterminatezza di una resistenza degli anni in altri
dunque di un prolungamento indefinito della vita oltre
il dato puramente burocratico della constatazione
della morte
in quanto valutato non si pretende risieda alcunché
di consolatorio essendo la consolazione un modo vano
di tentare l’impossibile ritorno
poiché
una assenza è tale e non ha vicariato
vi si intendano piuttosto riflesso o resto
quali echi concreti di una esistenza ove a
contare sono battimenti e alonature
3-2
il corpo lascia una calda impronta
(la questione delle presenze non è così definitiva
o deleteria
esse sono in te semplicemente torni
ad occupartene diciamo a evocarle semplicemente
per bisogno
ci si occupa degli altri solo al
momento opportuno o forse sono gli altri a disturbare)
in tanta fragilità meraviglia l’energia in tanta
precarietà la speranza delle semine
4-2
le stanze accolgono il fluido calmo del tramonto
covandone il trionfo momentaneo poi scivola
febbre sottile nel buco protettore della oscurità dunque l’incontro è finito
il saluto un congedo
non voce suasiva
ferimento senza sangue
il pensiero si produce nel dolore
82
5-2
l’orrore corrodente delle feste il cupo volto delle
ricorrenze non ha più influsso sopra questi giorni
paziente e lungo gennaio ha scavato un lungo
vallo munendolo di noia ora corre febbraio
sopra i mattini bassi
per lo straniero ovunque e conosciuto di fronte un
tramonto di luna segnata dallo stilo dei rami
neri
basso un accenno di condensa
l’intera calotta del cielo pulito tersa quasi
6-2
poiché non hai composto parole d’amore forse non hai
amato dunque non hai veduto il corpo riflesso nel corpo
dell’altro dunque non hai amato te stesso
hai reso sterile il talento della vita
pretesto solitudine piuttosto sottrazione
la luna ha campo grande poi si arrende
al modulo tedioso delle valli basse
7-2
era alta poi quando sono cominciati i luoghi delle
nebbie soffocata da una alta leggera nuvolazione
violacea da quelle parti le terre si modificano
tra i sinuosi volumi dei due fiumi lontani ancora
dalla confluenza tra nomi riferentisi
alle isole
disciplina della disobbedienza
83
8-2
la luna scorre via sulla linea irregolare
segnata dallo scuro semiaperto
e
scompare
lasciando alonature sulla notte della stanza
i padri se ne vanno
i figli lo sapevano da prima
hanno appreso da subito l’arte di arrangiarsi in solitudine
(frasi inneggianti a cambiamenti /movimenti inneggianti a mutamenti)
l’aria è bagnata stamattina
gli amenti verdechiaro del nocciolo grossi
presi da una smania
di caduta
nebbia sorride alle aperte stanze
9-2
subentra la cosa altra nei pressi della morte
oltre lo strato minuzioso sottilissima crisalide appena
di crosta la terra molle confonde il passo accogliendolo
tenera
emanazione del cielo e della terra il monte
reagiva al loro incontro in forma di velata
consistenza
nel cuore visibile dei ghiacci
e poi la cosa qui è così disperatamente lontano
passata la cosiddetta mezzanotte
ma
quando si è svegli non esistono linee di confine
e i giorni un perdimento unico
piuttosto
una stasi senza soglie
perdutamente perdutamente sciolto verso altri boschi
84
10 - 2
oltre le spoglie stanze del mese
scegli i doni della indigenza
campi arsi dai freddi dei mattini
bianche brine dalle notti lunari
il vitreo acume del sole contro gli occhi
eppure i cani
su i prati secchi
i pomeriggi
quando cresce un polpastrello di tepore
si allungano e dormono nella forgia profonda
degli aromi
11 - 2
viviamo d’ombra esistenze vane vanamente cercate
lungo linee di un orizzonte ingannevole
là
i neri corpi dei cani scivolano sulle superfici
della notte
(quanto a lungo dura il nostro desiderio degli
inverni nei fuochi delle potature
secchi rametti dei nostri pensieri)
12 - 2
fumosi giorni di puntigliosi freddi
gli amenti piegano confortati dal vento
inscenano passaggi solitarie
sollevandosi le nubi
85
13 - 2
(i cani corrono verso gli spazi scuri verso le cose
invisibili agli umani
pende latamente
una cosa da altezze infime sopra i proni corpi
aspetti le cose di sempre)
14 - 2
ti ha detto (:) le povere cose ma vere trattienile solo
con te un orto coltivato nei mesi senza luce
un muro graffiato da dita di bambino
cose di intensa incidenza intima forse anche
di autenticità
15 - 2
il mare era calmissimo e silenzioso e le isole
esso sconfinava nella madida foschia senza
distanza verso dove scomparivano i
battelli
(altrove(:) il vento spinoso di febbraio
le sue regolari anomalie
gli istanti solitari degli aironi bianchi
leggere le lepri sulle zolle e i fossi e le
putride acque
16 - 2 (dedicato)
ce ne andiamo liberati dallo spirito del mondo così
negli interni degli ultimi mattini delle nebbie
così
avvolti
dai sudari estremi nelle piaghe marginate dai giardini
rapido scompare l’ultimo tepore della notte
nei risvegli delle ombre vagabonde
86
17 - 2
nomi ripetuti vanamente vanamente soffi
nei casi di una guerra inoperosa
forse bianchi tormenti suoni della paura
il pensiero appoggiato al callo della luce
cartigli di temperature date concentriche
di anni spaiati poi ti sollevi
cammina cammina la tua fana illusione
(lo scialbo pomeriggio intuisce i ritorni
sottratto all’area della nostalgia)
18 - 2
un cane abbaia nella quinta del mattino
perimetrato dal sabbioso istituto di un orizzonte
di oggetti e rumori
in una sede parzialmente
protetta illusioni raccolte nelle teche
blande inermi straccetti campanellini di argilla
trombette statuine la paura cresciuta negli anni immaturi
(quando crescerai
mi rimproveri)
il dolceamaro sapore di un confabulio così fraterno
in fasi di lata dissipazione
medagliette di metallo senza pregio fiori tra pagine di ieri
capelli raccolti in un nodo di filo umide maschere
da carnevali
il territorio improvviso dell’aria
la tormenta inscritta nel lampione strane miserie
il balcone delle cose di là
87
19 - 2
componi un catalogo delle cose perdute (bambini
i
bambini e le altre faccende di ieri le dita ferite i
piedini se non torni per tempo)
dunque è questo
è questo ritornare
indietro
ma il passato
il perduto
il respiro troppo largo
di pareti dove ancora gli oggetti sono ombre appena diffuse alonature
componi un catalogo delle paure perdere lo sperpero
riverbero riflesso ottemperare a una legge ignorata
libretto di risparmio con le cifre un pupazzo di pezza
la finestra di luce il temporale il sacrificio dei corpi
l’etimologica fragranza del perduto
questo presto non tempo no
le cose piccoline
bianche camicine stirate di lino pronte al
tatto smarrito e non più le stanze non vuote
neppure riempite però
gli echi di oggi
riflessi di voi di ora
sfuggite
questo non tempo
no
non presente
componi un catalogo delle intensità
di oggetti annotati in una
assai privata gerarchia
mani strette durante
l’accompagno non c’è compensazione alcuna
e mai equilibrio nella densità
spirano da nord tormente di febbraio
(parlami della paura
delle interruzioni de i
compiti sostituiti con falsi giochi
così capita di dovere rivedere e correggere
e manipolare la infinita vergogna costruita)
20 - 2
odore di dolci fritti
agli angoli dove il
vento batte
dopo la linea bianca delle maturazioni
l’attraente compagine del macrocosmo cinerino
in questi autunni lontani primaverili
autunni boreali dietro la linea bianca sotto
cui avvengono le maturazioni
88
21 - 2
frammenti da un tempo migliore non ce ne sono
qui il tempo è circoscritto inserito tra cornicine
e cortili coatti sovrastato da i passaggi delle
perturbazioni opulente rapinatrici guardate a vista
dai becchi delle cornacchie
sassolini figurine
hai così modificato la quantità nascostamente affinché
non attribuissero a te il tentativo sbagliato
22 - 2
a tanta imprevista abbondanza nelle acque
succederanno siccità di anomalie
parla di cose perdute non perse
dice il confine
della tua infanzia
altre morti di tempi inabituati
più in là non vedi nulla (o non c’è nulla almeno)
ascolto la pioggia il respiro profondo di lei
il valore profondo di quanto non conosco
23 - 2
nell’ordine dei contrasti di questo contrasto
il chiaro lo scuro il vago e l’indefinito il morbido il
vellutato racconto di cose accadute
l’oziosa siepe degli eventi accanto col
sovraccarico di note stese a lato un margine di veli
il primitivo impulso di nascondersi
l’aspro rude l’acre lo
scabro l’acuto il puntuto si insinua l’arte
della recitazione dietro vetri di condensa e
nel
risparmio incolpevole di avari
insensati tesori
89
24 - 2
parole dai silenzi delle alture
conversazioni nel profumo di un tè
presso mani generose
poi di nuovo si va controvoglia
a tentare le cose
non educato sei scialbo sotto le acque
natura della tua condizione quasi unica oggi
e
quella fosse solo solo una metamorfosi
come nel mezzogiorno tramuta sé la neve in pioggia
poi la pioggia in neve
giostra rapida durante la caduta
nel mezzogiorno qui dove pure cadendo si trasformerà
25 - 2
alle porte dell’est
si aggrappano le brine
malinteso disagio la stessa scansione
tra essere e essere insita nella definizione
di quanto ha subìto nome di tempo
se sentissi di essere tempo non avresti paura
ne subisci descrizioni rumore di margini
colmi di quanto dai centri è andato perduto
camminavano a lato sonni fossili de i capannoni
costellazioni di umane luminarie
(estetizzante negare il tempo
filosofico affermarne l’ignoranza)
90
e
le
26 - 2
credo non ci siamo intesi in questo
(temete piccolo lo sforzo fin qui agito
e questo resto è enorme e non ha peso
è neve bianca
e fredda di febbraio la breve neve
di un inverno intimorito)
27 - 2
contro il giallo della notte i paraventi degli scuri hanno
scarso potere
e
le stanze
qui non è luogo per anomalie
le gazze vestite dell’inverno gli aironi gonfi
compatto e dolcissimo
un livore
dopo il ciglio della strada oltre sagome di china
lo spazio chiude la distanza molto presto
in una calma azzurigna di fondale
migrano gabbiani lontani e trasparenti
nere plaghe tra chiazze e strisce bianche
le cose tutte intrise di cielo
i campanili filtrati dalle nebbie le docce dei tetti
i luoghi più soli della buona solitudine
poi
misteriosamente
ha preso a nevicare
91
28 - 2
l’opacità possiede nei bui il capace impulso di un baluginio
la vita delle cose creduta inesistente la vuota materia
invisibile e tocca
discreto ti sfiora il polpastrello del tempo ne ignori
l’azione recando lo sguardo al fondo confuso e dimentico
dimentichi il cielo degli antichi poi giungi nei luoghi della
confluenza e ti stordisce il silenzio del caos
proclive mormorio di
verità come si dice
pispiglio di fantasime
correzioni sciolte nei chiarori e mai capitolate
se
mai accada un indizio nelle azioni di poi
(caro amico
la nostra vita senza dimora
dipende dalla altrui pazienza dal grado alcolico della
euforia passeggera
e dagli autunni prospettici già
in questa fase sghemba di febbraio
le strane nevi i fervorosi ghiacci le brume pelose
gli alberi di china traversi la diversa geografia
col sonno tracimato oltre le palpebre
fino a
perderti nella onda delle strade
spàzzati via talora lo ricordi i chilometri dagli
abiti indossati
ancora il nord tenta i tuoi sensi con gli influssi delle tormente
era di ieri
era senza domani
(fiocchi flaccidi grassi verso sentieri terrosi
dei giardini neri oltre siepi inerpicate e scure
e le paludose distanze e i cavi de i tralicci
trascini le tue carni stanche sopra cigli maculati
felici sguazzano i piedi
nelle pozzanghere infantili
non hai mai chiesto resurrezioni
mai sei veramente caduto)
92
29 - 2
felice luce di brevi stagioni
fiori di neve attese di domani
cataloghi di sfiorite bellezze
non sono i ricordi non
raccolti protetti nelle
polveri
in fretta si è sciolta la neve
soffre adesso la terra
il vento dell’ovest
(si chiude la casa di febbraio)
93
1 marzo 2004
alba severa senza sole bevuta dalle grandi sorgive
marginali residui di recenti passeggere invasioni
il vento diagnostico dei possibili altera le cose
ferme rivivendone le forme in un flessibile motore
di salute nulla si perde
deriviamo dal
fiotto aspro del rinnovo di un anno
generazioni senza padri padri senza
genealogie
hanno confuso la libertà
col senza limite sempre della
indisciplina
94
2-3
camminato sotto il tramonto accampati
nelle riserve ai margini degli abitati
grandi casamenti denudati stazionavano tra le
escavazioni e i becchi delle gru
mestamente si accecano le luci
terre morbide freddo ancora intenso
più lentamente calano i soli
3-3
persi persi
persi nelle angosce delle nevi
dispariti persi i corpi
tumefatti
membra sanguinanti
nei libri contabili de
i morti
boschi nudi sorbivano
il
disco del
sole
nella calma
dei cammini
fredda
a lungo ho interrogato i
modi scortesi della vita di noi
la
preferenza all’inganno
la
tendenza alla ipocrisia all’infelice lato della
maldicenza
vòlto lo sguardo allo sguardo animale
alla facilità con la quale
si cancella la vita di un insetto
forse il vostro cuore aveva pulsato l’indecifrabile rintocco
delle grandi foreste l’animo selvaggio delle origini
balbetiisuonigridimormorii talvolta variazioni confuse
giungevano dai siti delle acque fluendo poi alle soglie delle
foci
né io so cosa sia io non ho visto le foci
l’estremo colloquiale delle onde
95
4-3
(l’eccedenza donata spaventa
le soglie delle mani senza questua)
le tante le troppe odissee i cieli alla deriva
le tante troppe ore perdute nel cammino le
poche strade percorse
il pericolo dei doni le paure e
dopo il sangue secco sul selciato
aspirato dal nord hai varcato le soglie delle mani
e nell’incanto straniero dei crepuscoli
hai creduto al sorriso sopra visi pieni
delle mezzelune di terrore
5-3
solo una leggerissima chiara vena di follia incide il
cielo del
prealba dopo le strie di luna e le ceneri
il passato non è il passato poiché esso è perduto e
solo il perduto come tempo della ricerca reagisce quasi
corpo muto se punto nel punto della sensibilità
né esiste recupero
nulla lo è se non già acquisito
nel giardino dove i merli scherzano fingendosi
prede dei cani
poi
svanito il luogo macero del sole
il vento reagiva ispido poco sopra i neri
escrementi delle mandrie
6-3
in questo leggero leggero arretramento delle notti stanche
un grado limitato di tensione nelle voci sovrastate dal
rumore stantio di voci stente altre
residui di forzate infermità
la merda delle mandrie profumava i tuoi cammini
96
7-3
silenzi delle nevi ruvidi rumori degli spalatori
tonfi dai rami flessi assenza di odori
bagnato impregnato di morbido freddo
si vorrebbe dire questo
non sappiamo
non sappiamo
non
sappiamo
e fuori la luna
batte contro la grande nube e la neve rischiara il buio non sappiamo
quanto sia dentro le cose l’accumulo violento delle cose
8-3
tra gli spessori della noia affannosi la vita scorre
assieme al grovigliato sgocciolio delle acque del
disgelo
sembri ma non sei
in questo non essere e essere
si giocano spaziature di riverbero e malinteso
sottoposti a mezzi di semplificazione si manca di veri nomi
si è solo sigle comuni
accade a marzo
ricovero di inverni originari
97
9 - 3 (dedicato)
cammino nella luce di luna bagnata dall’intorno
delle nevi il riflesso si impasta del sereno turbolento
delle notti agitate da una inconciliabile resistenza
al complesso coartante delle cose
scendi le scale della innocenza gravandoti del peso di
certezze crude
(((forme rapite all’alea erano il diafano
protendersi delle rive immobili ai passi dell’acqua
nei pressi
e l’umore freddo delle estati
quando si impregnano del madore cupo delle notti
guardavi più in là rapimenti delle sorgenti
alberi oscuri posti velati dagli incanti degli
assopimenti
polvere bianca sulle scarpe
presto l’incontro sarebbe terminato un brivido
dunque di separazione elargiva gesti di covata
finitudine)))
oggi l’aspetto cadaverico del giorno ha il volto della luna
/ fumano le nevi si sollevano sopra il rosa metallico de i
ghiacci // tenebre spaventose vaiolate accolgono l’angoscia
degli inverni la paura morbida della vita il rovescio
oscuro delle latitudini
utopie fossili si schiantano
in frantumi di sofferenza l’essere tufaceo della
debolezza si incrina tra le pareti oblunghe degli
incubi
mani fumose viaggi sono la disperazione
passaggio di automobili contro la veste azzurra
del giardino
10 - 3
le grandi stagioni hanno molti inverni
cerchi nelle acque dove placa sé la pioggia
tormentosa l’aria districa senza scioglierlo
l’ordine dei nodi
(sonni cemeteriali di cementazioni
ispide carcasse imbrattate di fango)
98
11 - 3 (della ingiusta morte)
[inclusione nell’elenco degli esclusi
- legende ove siano
marcati da asterischi i
malati senza mezzi economici
tipologie anarchiche anarcosindacalisti anarcoinsurrezionalisti
anarcoindividualisti anarconichilisti anarcoidi e simpatizzanti etc.
pedofili non regolarizzati
dalle chiese e ìrr regolari in genere in quanto non iscritti alla
anagrafe ufficiale dei valori
(il grande soffio delle sollevazioni si è placato
o qualche ordine ha colpito la sua corsa lasciandone
residui di esclusione e orrore
le acque hanno invaso
meste terre di rivolta soffocandone in mòlta
premesse di lusinghe sognate dagli erranti
nella desolazione seducente tra isole recate nei
centri dei deserti)
araldicamente torna la carogna irsuta sul ciglio
della strada imbrattata dalle bave dello asfalto
segue elenco degli inclusi (:) imprenditori faccendieri sf
fruttatori illusionisti e maghi di finanze
puttane d’alto bordo (santi
ficate a lato) venditori
segue lista dei ministri del governo ]
99
12 - 3 (alla madrid del giorno prima)
prima la grande ombra dello stormo ha cercato orientamento riempiendo la
parete dello spazio poi ha deciso direzione
a lato le terre motose e le
scarne reliquie delle valli (passeranno anche questi morti
grave tanta rapida neutralità breve effetto di assiomi tormentosi)
se poi il poi non sfuggisse poi l’appena poi l’appena dopo
l’istante appena nell’immediato dopo se ancora resistesse il suo duro
trattenersi nel palpitante dolore dell’appena dopo
nello smarrente senso di accaduto appena
appena prima del caso delle voci appena appena prima dei toni di memoria
l’istante appena tra un prima e unaora e laora stessa
segnata e senza passo
possa allora istituirla il presente il silenzio acutissimo tra il tuono del prima e
le grida
dell’immediato appena
nell’arte ancora di una immane solitudine
i crepuscoli si fanno più larghi e le sere larghi di penombre dove quietati sono
rinnovati i dolci profili dei luoghi
(fuggivi dunque notizie di catastrofi per meglio penetrarne la sostanza)
13 - 3 (proseguimento)
il tracollo del momento si insinua nelle fessure assieme alle cose di
denaturate nature
le eccedenze dei lampioni penetrano negli occhi
sfrontatamente deturpando la descrizione della ora tarda e non tarda
l’impressione si articolava di un gioco non concluso cogli oggetti serviti nel
prima
abbandonati al progrediente disincanto /quali sono i morti quali i vivi
domandi se le ripetute cronache degli eventi sviliscano il potere della
sofferenza
corrodano la intensità del dolore
/stiamo imparando a dimenticare di noi le parole e le cose a non essere e
essere ma non
a diluire il soffio della vita nelle anse di memorie artificiali
ma tutto questo lo abbiamo già appreso ora è altro altro da sé le memorie
poiché sapranno poi vivere sole
luoghi senza vita
senza e senza morte
(qui siamo salvati non salvi però)
100
14 - 3
qualcuno aveva fatto visita
io era solo in una ora
semiserale o in un pomeriggio bruno e soleggiato
carico
dei falsi sonni dei corpi sudati
percussione delle cose in crescita sotto il cielo di mezzo
invasiva turbolenza di un tepore nel cuore senza amore
e necessario il gonfiarsi noioso delle cose un
avido sentore di sperpero dunque nella apparente solitudine
dei luoghi
sperpero sfacciato e l’eccedenza forse tutto senza controllo
a tuo parere -chiedo- la morte è virtù grande o vergogna
15 - 3 (dedicato)
(i pochi resti della mia vita ora sono in te
li tieni e li trattieni
li riformuli nel caso dei
presenti d’amore)
nel silenzio pietrificato istituzionale burocratico si scioglie
scancellato
il dolore
accanto lascia
nei luoghi la tragica ironia di questa età di fondo
reca fiori su lapidi nude e non conosce i modi del
compianto
gli aironi si orientano sicuri nelle spire della oscurità
101
16 - 3
silenzi pietrificati voci pietrificate il sangue ha smarrito
la strada della vita
atti neutri gesti senza consegne
quale compito se compito nell’accaduto estremo di volti sfigurati
morti già morti carogne abbigliate
quando il sole possiede la parete in una noia
sanguinosa di estate e le sparute insistenze sono
trasporti di cose accantonate in disordine senza
alfabeti
la terra ora quasi bassa e pesa lascia
correre i sensi verso l’ostacolo ottuso delle umiliazioni
[catalogo degli assenti
(:) coloro ai quali è mancato il terreno sotto
i piedi non sono precipitati bensì
segnati dalla paura]
[orditure di bava sul cuscino
cola dalle
labbra la voglia del sonno
(ora davvero sperso nella incognita
grave delle lingue non hai dove nascondere
gli atti necessari alla natura tua
fisica e semplice
esci dunque nel caldo inaccettabile sovrabbondante
debordante le nevi di ieri ma non richiesti gli
eccessi dell’oggi la partitura
delle febbri
lasciti da antiche biblioteche
ora cantine
ora
frigidari ora semplici scafi contro le stelle
vuote ma poi nelle ridenti pastose stagioni
del tuo invecchiamento lacrime sulle cortecce
la linfa usuale della sensualità
(vivo un arcipelago sconosciuto dissociato dislocato
impressioni tattili momentanee quasi di sogni diurni
feroci momentanee esistenze tratteggiate da figure senza approdo
esule non non sedentario sempre perduto senza nostalgia
se non per un lido intravisto
la paura visita quotidiana
la miseria delle mani dove tentino un appiglio nella cosa
bruta
se mai una ricomposizione possa nel plenilunio
nel mezzo dei suoi giorni smembrati impalliditi
dell’incuria
nervosi
respiri di metallo riverberano
lunghi nell’inquieta corte di pomeriggi flosci
dominii di domande
cavillosa mestizia del corpo
indolore
in equinozio ancora
102
ancora vivi mobili arcipelaghi
dove le isole non danno orientamento
(le raganelle screziano liquide l’armonico dello spazio)
evocavi gli scialli delle foschie
la notte bassa tranquilla
dei coltivi parlavi del bosco di come noi lo abbiamo da tempo
immemorabile perduto e col bosco il segreto e i suoi custodi
la notte però molto tenera e teporosa era richiamo
ai conviti nascosti nascosti nella casa segmentata dai contrasti
adesso si aspetta una altra alba
17 - 3
nell’emisfero della stanza le ombre perdono
sostanza e qualità lo spento arrivo delle cose
si colloca nel modulo sbilanciato dell’ancora
l’oscurità si ritrae si ritira si sospende
più tardi
ti occuperà una altra età e ne sarai smarrito
c’erano volte di immenso incantamento breve ma
immenso quando nel vento sui lucidi argini
correvano rintocchi di campana
è il nord è
il nord si udiva dire
sassolini
preziosi
possedevano il grande candore delle odorose
percezioni
il bambino curiosava bianche
superfici di un corpo non suo
biologie differenti
e altre forme nei piccoli luoghi senza infermità
tra cianfrusaglie e vimini
il magnetismo anonimo del verso seducente delle
raganelle risuona nella notte in apparenza calma
e stellata però sopra questa regione
(alla fine forse tutto parrà preparato là dove
vige invece la più larga aleatorietà
confini sogni)
103
18 - 3
rammenti del poco fa ora appena la madreperla
e questo sul mobile accanto al letto era
il farsi frammentario di un sogno l’aria
del mese ora la frantuma ulteriormente
quasi fa freddo quasi sotto l’arco più largo
separazioni recenti o convenzioni incerte
rinnovano le procedure
(è la mia una grande stanchezza ma lucida
stanchezza da fine della vita
o da preludio
alle discese verso il dove nulla più accadrà)
ho scelto di operare a questo modo di cose pullulanti
sempre sull’orlo della caduta sul bordo delle
braci spente nell’intruglio ulceroso di cordolature
mai per intero ripristinate
ricapitolazioni impossibili
tagli di sole sopportano il terrore delle stanze
preparate per le visite
conduci altrove
la tua insistenza trovi qualcosa poi
non trovi nulla
(la terra emana caldo l’aria si impregna del
fumo buono delle potature)
104
19 - 3
cielo a sud est cartilagine di
bava
acquea illimpida
petrosa biancastra
mescidanza tra il mare non più e le esauste
propaggini del fiume
(abito una età conforme
dove il totale degli eccessi
è consuetudine
ci si abitua alle morti violente
le si attende poi non le si attende più
si subisce il compito anagrafico della depennazione
difficili gli autoritratti
e
le definizioni
stentate cronologie rincorrono trascorsi giorni
giorni di giorni schermi di barriere
e nulla accade veramente più
toccano inutili consuetudini
forse quasi certi di vivere una fine
di esperienza)
gli orti vegetano storditi dalle potature
convalescenti osservano le ferite sanguinanti
alieno il profumo delle pianure
20 - 3
ingannevole follia del superamento profonda
tolleranza dentro al limite questo
hai accudito nelle cose di una età di dissolvenze
rapide di rapidi fili disconnessi e tronchi
prigioniero di te per disciplina e scelta sondi
lo spazio chiuso sapendone illusoria la frontiera
l’acqua cammina scivola sull’acqua
dalle coatte prospettive sorgono profili di borghi
palpitazione ovunque pulsazione
livellate sopra i sentieri
le secche merde d’oro dei cavalli
105
21 - 3
non rispondo ai dettami su continui
inutili ricordi dimenticati oggetti polverosi restati
a poltrire nelle penombre accanto alle bottiglie
oggetti di
metallo o recipienti ora non più ordinati
ritorna dunque il non obiettivo congiungimento con una strana
pena pensierosa e claudicante in cui confronti l’ora
con il non confrontabile allora e non è la nostalgia
di una luce spiovente dall’alto
o gli scambi di detti
da finestra a finestra così dentro ai crepuscoli
la notte era fosca gravosa sopra i rumori delle stelle
sopra i profili sprofondati delle cose
gli uccelli pigolano strepitano cincischiano tra le siepi potate
e i ciuffi d’erba vigorosi e forti
[(tenti la salute
di un sonetto la dolce rima di una voce amica sai
delle alterne vicende l’aspetto di una fase di evidenza
antica]
era dunque un dispiegarsi lato della tenebra chiudi gli occhi
alle agite prebende di violenza il polpastrello sopra
un insetto la suola sopra una foglia comincia dal poco
la ottusità
ombra la mia vacillante sul prato tutti ombre
vacillanti
consistenza sfuggente
sempre illesa
illusione di forme
effimeri tratti modificati sulle pelli di lucidi prati
in tanto febbrile fretta di rinnovamento
resta la condizione della età senza ritorno
(le stagioni chiedi moriranno dove
sarai quando io mancherò
conoscerà la terra tanta forza)
106
22 - 3
elevatissima e prona sopra le margherite
decapitate nel giardino l’alba nutriva le passioni delle nubi
morfologie diverse dei piani del cielo
invaso da una luce eccedente accecata dalla luce
lo sconfinamento in fuga verso est
piomba in verticale l’azzurro in occidente
morboso irrequieto fagocitante
accanto il nord inquieto denso di tempeste
il vertice del cosmo lontano in diagonale
poi l’equilibrante adombramento della nube
(questo va scritto (:) io era dentro a tanto
movimento geometrico e vedibile
quasi confuso dai toni differenti della limpidezza)
la trasparenza prona della sparizione
ora volge all’impossibile
ogni chiara partizione tra le cose e te
(come avessi arato campi d’aria
estirpato erba insistente
tracciato vanità nelle aree della tempesta)
107
23 - 3
[l’efficiente industria della frode incula se ancora si ha culo da prestare
il vorticoso rifacimento delle carni il tentativo di una eterna giovinezza nel
mostruoso delle parti condotte verso abiti archeologici di materiali presto
polverizzati
eccesso di viscosità visiva eccedenza carnacea in sovrappiù oltre la quale sta
soltanto - e già esiste - faticosa la lotta contro uno inconoscibile tempo contro
il voluttuoso degrado delle carni
squartamento pura macellazione canone attuale
(dopo tutto cosa volete
ridete mangiate scherzate
di che cazzo vi lamentate)]
il colore del passato è una tinta illividita dal sapore della dimenticanza
(naturalmente come si sa si è come si è in un presto giro di debolezza
tutto risuona metallico sotto i chiodi della pioggia e nulla c’è da opporre alla
misura insinuante dell’acqua)
bellezza perduta delle coste
raggiunta amarezza degli interni
questo è il paese dell’oltre oltreterre oltremare oltre le sere di sempre sulle
linee di orizzonti seminati nel principio del disfacimento
nulla è più nulla è in questo paese dell’oltre di nessuno
se un valore si chieda o l’abito dimesso di una cortesia o altro
l’eloquenza silenziosa del rispetto
sogni di possibili armonie
tramontano agli approdi di battelli alle fughe dai carghi nelle sere
suoli duri duri durissimi cementi armati del ferro
non piegabile non coercibile della ipocrisia grevi cementi de i casamenti
armati contro le coste del paese di un tempo della sera e le sere e le notti e il
giorno cancellato e le acque tumefatte e nereunte
si sbricioli stanca la terra e cerchi di viaggiare
assieme ai fiumi
e tu chiedi tu anche un altro esilio dopo le perdute compiante regioni ove
quiete cercata
quieti il cerchio finalmente del tuo sguardo
108
24 - 3
i giorni sono qui particolari
affatto tutti
tutti particolari segnati
da edemi vaiolature varie bruciature
fredde da soli dell’inverno
ma tanto
soli solitari e schivi
nel paese di nessuno bestie timorose
non rilasciano mai gli escrementi
annusano un poco più in là
irrigidite in una altra purezza
// addosso ho l’odore dei tragitti nelle ore
travolgenti delle primavere
poesia del tu silenzioso a cui si appoggia l’io
o una estranea forse non sublime finzione
25 - 3
scavalcamenti
le vigenti terre salutavi la
luna mascherata nei canali neri e negli estremi
ritrovi i temporali
violava la chiara oscurità
un rapace e spaventata un’anatra fuggiva
(l’odore degli insediamenti ha un potere acido
di polvere di legno e colle dolciastre e vernici
tra le spire di cobalto del lontano
dove latrano i cani tormentati
creature grandi di metallo placate dai fanghi
attendono sghembe interventi delle arsure
folli e preziosi ranuncoli selvaggi
109
26 - 3
il tedioso rumore di un autocarro messo in moto raspa
le vecchie divinità dello spazio scancellandone bruto e macerante
i resti sassi tritati erbine fracide
siedo nella grande stanza accanto alle pagine
sfogliate scandisco me stesso
nel tesoro di rose
resistenti sulle altre pagine e voci pispigliate di
gioie non più commutabili pigre le voci
si aggirano per fondazioni scavate dove suole il
primo strato della paternità della terra
vòlto
in vergogna da uno scempio inconsapevolmente
inatteso o improprio
l’epidermide pulsa sotto
i segni della erranza in questi campi
estremi e casamenti popolati e le ore dette da i
tamburi diarchia di noia e indefinito a cui
nulla si oppone perché non fa male
a destra il traffico si misura sulla strada con
lentezza quasi calcolata
piccoli popoli scompaiono
altri non sorgono dagli orizzonti sfregiati di
adesso
i cani vivono del rito di saluto
ogni congedo li colma di risentimento
passa accanto un rumore qualunque la mano
di uomo questuante
la vostra indifferenza crea nemici (i cuori sono più
creduli e crudeli non scalfibili duri anche
di fronte alla verità di volti senza destino
di occhi già smarriti di repliche infinite
di una richiesta vagabonda
duri non scalfibili duri all’innocenza
incapaci impropri inaffidabili)
110
27 - 3
la mano sulla tempia guidava la fronte
dolcemente verso il golfo del collo dove allora
potevi riposare la stanchezza infinita dei giorni
(ora chiedo il tuo corpo infantile ascoltarne
il respiro regolare succube sempre io delle
notti amante della loro oscurità
ricordi gli ultimi marzi
come furono le consegne dei giorni
se toccarono a premio o promessa
come furono gli ultimi marzi quali consegne recarono i giorni
luttuose cose lambirono le stanze e un lucore severo di fino allora
non creduta crudeltà
come furono le azioni se furono lo spento possesso dei vuoti o una cartina
anomala di volti a cui devolvere qualcosa di fattivo - poco gioco troppo
rapido e rivolte
lasciò sulle piazze il grido degli idranti
quali furono i mesi e le consegne agitate dal silenzio
ancora l’inquietudine di allora ti è a lato compagna più fedele del respiro
colmi marzi delle opere del lutto nelle città ventose delle piogge
amori peregrini e senza scampo e le opere altre delle lune sotto i cieli
furono dunque morti violente i tumulti sfociati nelle piazze nei silenzi delle
estati sanguinose / i treni le stazioni nelle notti l’alba marina nelle perse
corsie poi la strada tortuosa dell’interno
dai cieli passivi di allora confusi da gridi confusi cresceva nuova una storia
vietata al racconto e alla memoria
il volto oggi della generazione
[(passò le mani tre volte sulla schiena e i fianchi quasi tu fossi la prima volta
percepito poi ti impose col palmo sulla nuca il riposo nel golfo del suo collo)
nessuna volontà si oppone a quanto era nel tuo sconosciuto divenire
e chiedi isolamento non vedi già l’essere isolato dal regime attivato da tempo
nello spazio di eccezione dal neutro placito di una vita aliena le tracce delle
cose dentro te
- la pelle si disquama nella recita di vecchie partiture]
le lepri si rincorrono ruotando dentro i marzi
111
28 - 3 (dedicato)
petali fioriscono nel cielo degli ultimi mattini (le mani avevano conosciuto un
corpo disteso sotto te o sopra te hai contato le caselle delle ultime follie
le inconcepibili ragioni degli uomini
un tentativo di entrare nelle cose
diceva (:) siamo piccoli -così nel dopocena
di piatti e bicchieridiceva (:) più vicini
a piante agli animali incapaci di concepire l’universo
lontani dal tutto lontano
per limite nostro un limite di presunzione
la presunzione di comprendere non
l’umiltà del derivare sempre
cadevi nella notte umorale
in un regime da te stesso costruito
pareva scomparire la paura
del corpo degradato della morte in un
pianto felice di tenebra // dovrebbe bastare
il dono ineffabile di un verso
la regione del vento il soffio misterioso
da una recita
non esiste lo spazio e si smarrisce il tempo
la mia vita animale troppo piccola per il
grande universo decadi senza lentezza
in uno strano finale temerario
112
29 - 3
i casi delle notturne scritture
sotto l’influsso
caldo del vino durante le azioni di riassunto degli
oggetti stoviglie lavate treni di passaggio
casi parole troncate
nervosamente
grammatiche di vita poco assai normative
la poesia sola forzata dai giorni convoca
una strana insistente passione
enorme un dolore di ignoranza non
scalfibile non
colmabile
oggi dopo oggi dopo oggi ancora
l’ignoranza assoluta della vita
anche corpi senza vita proiettano mobili ombre
giorno bianco il sole lo prosciuga
donare è il rischio maggiore
[vista la grande notte primaverile portare in alto la luna
e ristare poi attonita la luna]
113
30 - 3
sei ancora nel golfo del sogno
alle pendici di pareti di sasso
tra vasi di piante isterilite
più avanti nel crocile teloni rosso sangue
chiudono voragini di luoghi colpiti
la terra /si dice/ ha tremato dopo una onda di
caldo eccessivo
(veri i viaggi in queste incognite albali
quando penetri i corpi dei sogni comprendendone dunque
la minaccia o piuttosto la sua consuetudine
il principio vitale la paura preferisci restare
nel cavo di penombra
evitando l’affronto del
fuori
macabra meraviglia abracadabra dell’inganno
trascina poi nella comunità lo spirito ottuso della
comunanza tentativi di
inutile conciliazione (eravamo già morti
adesso narriamo i loro sogni)
nello spazio etereo mai solitario si allarga l’odore amaro
della primavera fiori bianchi e gialli alberi sradicati per le rive
scoscese dal compito sottile delle acque
il respiro risale le coste lucidando le erbe poi
implode nei folti
114
31 - 3
atmosfera impietrita qualcosa delle sorti si
bilancia in questo atto liminale
(cosa manca alle tue ore
se graffi la parete gessosa del presente
con lo stilo smangiato di una unghia
sfiancata già quali stati rievochi invano
in una storpia speranza
freccette contro insoliti bersagli bianchi cerchi concentrici tracciati
sul legno del portone della casa abitata un tempo
da una giovane troppo generosa ma sperpero non è
nel darsi cova piuttosto nel rifiuto
mascherato da quota di pudore
o da morale condita nell’istante
lo sperpero non è nel darsi
ti ritrai nel covo di una inerzia
lacerante e spaventosa nell’arte
del volgere il capo
(si chiude la casa di marzo)
115
1 aprile 2004
l’aereo scivolava sul piano blu dello spazio occidentale
luminoso molto limpido accanto alle stelle
ultime e pulite
poco dopo nel primissimo crepuscolo
nebbie calde
dolcissime avrebbero abitato il brusco aprile
filtrarono limbi o limiti la conca della valle oggetti pietrificati in
forme monche
tralicci grandi orditure di rami
purificati leggeri oracolari
oltre i borghi industriali
il sole traspirò sotto
una garza di prima calura
116
2-4
in questa mancanza in questa non indulgente mancanza
in questa attiva desolante pigrizia di risposta
in un lascito di cianfrusaglie si disorienta in sé
l’istinto alla salvezza
si stramaledica la opra travagliosa de i disturbatori
li si stramaledica non una sola ma
infinite volte
i disturbatori di animali piante minerali
e si stramaledicano i territori acquisiti in nome della
economicavanzatademocrazia stramaledetta e della stramaledetta
cosiddetta legalità e della pornocrazia
le si stramaledica e i ventri pieni di metallo mortale
dei bombardatori in nome della libertà e le
figurazioni
ad essa annesse la si stramaledica e
così sia
segue catalogo della merda ove rientrano i
pedofili benedetti dall’ecumenica mano dei cosiddetti preti
e
delle chiese tutte
(tale luogomondo che è e non è pervaso dal catalogo della a
normalità
la stessa poi memoria sabbiosa sparirà)
117
3-4
un merlo canta nei quartieri vuoti fino alle opere interrotte nei giardini
fughe precipitose hanno indotto
abbandoni forzosi di oggetti progetti intenzioni e qualcosa di
esasperatamente rimandato giace sui ventri degli asfalti
si sapeva sarebbe accaduto prima o poi
il canto del merlo riprende tra i fiori rifioriti da poco
cerco isolamento il
passo lento della vita nuova quella scritta per ultima
nelle secche di regioni inaccoglienti tra sudori di genti perdute
e un aldilà mai più ridefinito
città vuota di giardini desolati opere di escavazione sospese sottese forse
a fughe da
i
quartieri
esseri stranieri pezzi di scacchiera spaziata da soli buttati contro i sassi
tanto silenzio e tale taglia l’aria fendendola uno stormo
di
piccioni
alberi recisi uccisioni altre di cose stanche pare
o
forse
uccisioni di parole
tutto però permane nella norma
pare
/ appena dopo il trapasso /
l’intelligenza smarrita ari avida il campo
dei propositi e questo
è
il primo passo della nuova condizione
poi
pare
/ la smemoratezza greve una tristezza gravosa
insormontabile poi rivisitazione senza risultato
valesse un giardino accanto a cui passano treni della notte quale ospizio
di inquiete eredità ma dopo
pare
/ l’esperienza scada a semplice
sragione e inanità
pare
vada così dopo elenchi e cataloghi e le valutazioni
avrai subìto un interrogatorio (non ho visto nessuno nessuno e
io era cercando un altro io così diverso fuori da ogni
limite ombra sull’uscio bianco
rovistato nel resto dei vani una impronta levigata via)
di rari timori tormentano le tortore l’artigliante vena delle brume
118
(di quel secolo ricordo la rapidità la fretta con la quale una certa ingenuità
venne cerchiata avvolta ripulita nel giro di tre anni in risalita toccò efficienza
e impopolarità posizioni credute comuni sfiorirono recise alla radice quando
è il momento della verità gli amici più recenti si sottraggono gli altri più
antichi se ne sono andati altri sono condotti alle prigioni
/come mai ti
ostini a ricordare/
settanta sette settantàsètte settanta nove e otto / ti ostini nella conta
in disaccordo e troppa oscurità giacobinismo macerato e polveri di amare
tentazioni
serietà e l’altro termine coerenza
tutta pappa cattolica e fascista
ora il tuo passo risiede in altra età
(comprendi le madri
mani sporche di terra sedute ai tavoli
di lunghe giovinezze)
dello stupore odierno dell’attuale torpore anche tuo
non sia commento
una grazia ricevuta
[fosse più completa la notte e vettoriale se si sapesse dormire un po’ di più]
riprendono i travagli delle cose tonfi botti martellate qualcuno
pare
zappi sopra l’altra riva
settantasette settanta sette
settanta nove
e otto
non è questo l’ordine no ma poco importa /
scarpe bagnate bagnate piedi calze intrise bagnate
di grossa rugiada sulla nerboruta erba non alta ancora
(nelle strida dei fagiani fu sorpreso dai cani)
4-4
mi rilascio nel solco del tuo corpo serenamente
nella matrice e sopra nel cerchio delle
stanze l’odore della pelle protegge la doppia nudità
il giardino
gioco di blu sotto il sole della luna
sotto il dominio delle ombre rilanciate
ricerca di una condizione
stabile o della incolta regione senza frodi
119
5-4
le lucciole riannoderanno l’intensità dei folti
nevicano petali bianchi dall’albicocco in fiore
(faccenda un po’ bruta vergognarsi di sé
posarsi là vedersi cosa usurata
da mani viziose canovacci straccetti
con cui ci si netta senza invero pulire
così nel progresso amaro del corpo verso un’altra volta
e // fuori da ogni retorica un tentativo
di serietà è stato attivato in qualche modo
nella disciplina nel disordine necessario
dell’età nel sentimento di mancare ancora
nella vita e nel gioco sempre attento
forse
a
nulla è servito
se altre voci appannano l’attesa
adulato dal tema delle vespe rammenti le coste
a cui approdano le vele degli oceani il principio pesante
delle sabbie subitamente divenute fredde
ora chiedi una saggezza
capace di arginare la angoscia rimontante
una alga putrida colore della buccia
marcia del frutto dell’arancio soffoca i
fossati
luna su cielo vischioso
120
6-4
come ti chiami lo ignori ancora preferisci mancare
dell’annuncio del nome ancora sei profilatura e
nota sopra i bordi di uno stile sconosciuto ancora
(sotto i chiodi della pioggia
l’acqua trema nel fossato
coperto con qualche linea di febbre tra le
vegetazioni gli alberi tacciono i metalli
originano l’aurora di questi secoli bruciati
appesi ai fogli)
reduci del tempo cianfrusaglia cianotica
pappa contaminata ficcata in un concime chimico
l’esteso altro universo tace senza senso - bottiglie prese per il collo
martoriate contro corpi già perdutamente lesi e messi in concia pallide carnose emanazioni
da i fallimenti pedagogici
aborti di esperienza o appartenenza
esiti idiotici resti cupi di superfici opache
propaggini ruvide di una razza meschina e
rarissimissimamente magnifica
si scelga la variante del campo annullatore
121
7-4
giungono fino agli usci bianchi
sostano
alimentando mormorii di breve passo
se ne vanno scortati dal non
senso
il tutto nell’opera proclive del giardino
sotto l’acqua del brusco avaro aprile
rompete tutto
portate via tutto e se qualcuno si ribella
uccidete tutti
lenzuola libri utensili
usci danari finestre schiodate
e le donne pulitrici violate valletti lacchè
portateli tutti da me per dio per i santi ed il re
(fu quello un giorno luttuoso condotto a processi
quel giorno l’aprile brusco e selvaggio il folle scettico maggio
l’estate sanguigna di giugno poi pianse il settembre dorato
difficile dare volto
al disarmonico pensiero di una scoria
pattuita con l’oblio
difficile in quell’aprile aspro di contorno
accadde tutto volutamente e svelto
tutto accadde nel giorno del ritorno
incidenza inattingibile di eventi
fluenza fatale degli atti di accusa
(procedure purissime speciali archiviazioni
condanne prigionie
segue elenco de i prigioni
clerici et docenti incaricati etc. in numero de 857
per un totale sopra il quale riflette re
e
(il giorno
sette io non lo ricordo io non ricordo nulla io non ho
memoria o archivio personale né tengo diario non leggo il giornale
non scrivo articoli di fondo né ho accessi a tecniche speciali
disimpegnato vivo nella incredulità esito nello stupore
soltanto ho sentito solo
ho dovuto udire ma senza l’intenzione
pertanto chiedo scusa oggi fanno quanti anni non ricordo
io non so nulla io non so nulla e taccio
(no
non li hanno condotti in uno stadio
ma separati divisi sparpagliati una diaspora nuova smarrita e pilotata)
la mia memoria patteggia con l’oblio
122
8-4
accumulate pesantemente sulla linea dell’orizzonte e pareva affondare
sotto il loro peso le grandi perturbazioni basse riposavano
in una sedizione di dopo la tempesta
calamitava nord disastrose energie dai luoghi
con le apparenze blu degli altipiani
il fradicio scempio dei siti sgocciolava
radunato nell’odore annullante dell’acqua
ora si apre brusca l’aurora colore delle mani
(prima o poi l’orizzonte sarebbe sprofondato o lo avrebbe aiutato la notte
adesso hai perduto la traccia hai smarrito le
forme del sentiero coltivando il declino del noi)
grandi corpi fumosi continuano a sorgere
dal piano leggendario delle nevi
in un altro punto il margine delle nubi
si è elevato
in alto su
i
grandi rapaci contemplatori
cavi
9-4
fiori caduti scaduti petali smangiati ghiaia
il pelo dei semi dei platani
(regime notturno cosine dal buio macchioline ammassi globulari)
bambini rincorrono piccioni inutilmente
volgendosi dopo a i genitori
(siamo forse non siamo e questo è quanto pare
più vero
sotto il magnete della nube bassa sotto
il margine sfrangiato nel porsi nero dei boschi nel bianco delle nevi
non siamo nulla ascoltavi poi
ridevi
senza sapere un perché)
123
10 - 4 (dedicato)
la tua voce seria si accosta alla parete e
dice sì in una lingua altra
dove rimane tutto quanto eri
a cui ti aggrappi in una volta intera
ma del campo di ieri delle sue ricchezze
si è filtrata unica la forza
dalla desolazione di lavori abbandonati
non è dunque un pensiero della fine
il fiume scorre a lato
dopo l’argine e la siepe nella pioggia volteggiano rondoni e balestrucci
i fagiani schiomano il silenzio
il campo ancora è vivo addormentato
però sotto quanto rimane degli alberi da frutto svelti divelti fatti a pezzi
addormentato attende nuove età attende l’eucalipto e la camelia
l’erba cresce dentro ai sonni
le cose forse accadono da sé
11 - 4
gli animali popolano i sogni muti miti
smisuratamente delicati nell’ombra le femmine leccano i cadaveri
albava il tramonto incandescendo senza enfasi alcuna
strie di adolescenza o fatturate bende di ferite vecchie
il rettifilo si allunga fino a poi
giace in un crocile
oscuro (eri dentro a una quota di tensione
dentro a una diffamazione della vita
il ciglio della strada col passo corpulento della disperazione)
124
12 - 4
sfogli il destino di pagine dimesse di erbolari
ne abbandoni più tardi la natura muta
cerchi radici tra gli scavi e i luoghi
nell’abisso immaginario di un movimento inerte
(cielo di gesso aspro dissidio delle rame
contro vento
materiale precisione de i cani
ostinata cupezza de i giardini
la concava pianura si allunga oltre il possibile
e il percepibile oltre
aree larghe di terra nuda e grigia
consuetudini della caduta
principio della amarezza)
125
13 - 4
la plaga fangosa fioriva di oggetti edificandi
nei freddi rettili di siti di penombra grigio di cielo di terre
spazio lugubre di sterili fantasmi
duri volti legnosi ma buoni le voci smarrite
nei geli delle scuole
di queste sorti nessuno discute di questi
giochi senza combinazione
tragiche piogge infracidano le sepolture
si sviliscono le zone delle questue
popoli morti divorano l’aria bucata dei crepuscoli
luride provenienze da sogni martoriati gesti di nettatura grezza di
nera di pavimenti dove si è giaciuto febbrilmente pesanti
laceri abiti e convenzioni frante
membra nude valicano i possessi della tenebra
qualcuno pispiglia palesi segreti de i trasferimenti //
pioverà per
sempre sulle isole ferme sopra i tetti rampicanti
sulle fragili patrie di parole dedicate alla sconfitta
//
dai tuoi tempi
le generazioni sono fuggite nessuno sapeva risalire ai veri nomi
agli antefatti alle leggende dei vicoli minori
e le foreste e la fine de i sentieri //
sospesi nelle brume livide membra conoscono la forza annichilente delle
attese /
/
continui mutamenti confondono il senso della comunità
derivano mescolanze improprie conflitti minimi sfociano in rivalità
più ampie
poi placate per via dei nuovi arrivi e nuovi addii
inimicizie mutate in alleanze
fratture date per definitive
ricuciono nel volgersi di sguardi
illegalità riconosciute a legge
126
arbitrati anneriti di cordogli svelti di un’arma usata poi buttata via
[si fosse immaginato il tutto avremmo scelto l’idea del confine perenne il
maturo consiglio del divieto e la perpetua falcidia di noi]
((anche imagini assolate delle rive dei fiumi d’estate alvei prosciugati da
mandate corrosive di caldura
alberi nebulosi complessi artifici di
morgane e la semplice penuria di cicale)) ma questo giunge dopo dopo la
morbosa flessione delle marce e la ignoranza dello annichilimento \\ così si
impara a rubare)
non si finisce mai nel moto molare della
materia serena e
divina è la sofferenza
perenne il dolore
cavi neri contro cielo grigio
altro non c’è
tutto il resto appartiene
al silenzio delle pagine scritte
127
14 - 4
esposto al continuo malinteso dell’aprile
al misterico abominio del medesimo
al livido emisperio dello sperpero (dolce luce di sole
calda nell’aria fredda dei fanghi mutevoli
na nebiulina fina fina pòna slèpa ad sul
(puri e diversi nella terra del sacro)
(da dove provieni tu piccola qui nella mansarda
in ginocchio sopra il pavimento a compitare
grandi fogli a quadretti china sopra le matite
e i colori
la madre era fuggita
- ora si
cercano rifugi e lei dove era alla quale
volevi dichiarare il tuo amore
tua madre ha avuto paura degli uomini venuti
da lontano e cuciva durante la festa
mentre gli altri continuavano a mangiare
tre cani neri una vacca impazzita e
le altre in branco
sopra la strada bianca sopra la strada alta
e un dolore forse non ti appartiene un dolore
recitato / raccontato adesso in questo amaro mese
in cui cadono i fiori
abitavamo tutti quanti la casa quella di ieri
quella di oggi quella / (?) possibile di domani
ma l’ultima era la casa del tempo
la originava una lacerazione di risveglio
gli altri/tutti
erano giovani e vecchi senza essere vecchi
incisi però da strane maschere di carne
o
invecchiati ma fuori da i calendari
così accadevano queste rivoluzioni
così giungevano inediti i ritorni
succederà una ricapitolazione del resto vaglio o
potenza nascosta riedita complesso di forze
prima negate
laghi della pioggia arcipelaghi della desolazione
128
15 - 4 (a mia madre)
[(vuoi vedere oceani smaglianti isole flesse nelle spiagge abbaglianti
le palme ricordo dei venti solamente il profumo della tua giovinezza)]
mi guardo in te e per te perché tu possa dire
di me qualcosa silente nelle
valli sotto gli archi dei portici e le vie dove i randagi si erano fermati
a erigere case e le preghiere
nostri i gesti di gesso nostre
storie legnose
i pupazzi le piccole corone nostro tutto nostro tutto riposto tutto
messo via
mentre tu giungi con la sposa d’aprile
a calcare le ghiaie di sole
sulle erbe cresciute tra le crepe
e non sai niente e ancora non sai niente né io so nulla di me traverso
te
in questo lago negro di scompiglio
ancorato alle pendici di massi che
provengono
15/16 - 4
in questo sito di deriva impreciso conchiusa e di detriti
trasformati in miraggi sarò domani come le volte altre
come gli anni della nostra effrazione del grido frenato
della parca comprensione di una etica della povertà
credimi
ho rinunciato a molte parole
129
16 - 4
ora approdo a questa nuova zona della vita
sotto lo sguardo cieco di un uomo collocato in me
quell’anno i terremoti segnarono le case
anno di terremoti e case gialle tu fosti visitato dal di fuori
risucchiato fino a quando abbandonasti con la forza
ogni tuo nudo avere
tu nella casa nuda
questo è quanto si innalza nelle tenebre
né dove né quando essere in questo sito secondo
in questa piccola parte in una pienezza agrodolce
felice (in verità non c’è appartenenza alcuna
non apparteniamo
nulla ci appartiene
non è il precario
ma il solido specie specifica di fissità)
erbe carnose nutrite dalle acque dell’aprile)
17 - 4 (dedicato a marco v)
proprio nel cuore della perturbazione nel corpo oceanico della nube
veleggi verso là con addosso il profumo delle acque ti sciogli
dall’odore muffoso dal macabro odore delle democrazie
la bella luce pomeridiana non illumina la tua
scomparsa né aiuta a comprendere se sperpero o meta
felice sia stata nel rito dei binari verso il mondo cercato
nulla sappiamo però pare andiamo
nel principio appena della vita nuova
si giunge senza partenza
si parte senza destino
polvere lo spessore di noi nella luce immoderata di aprile
sui corpi molli di sotto
li compreme li oppreme li snatura
nella giuntura malevola dell’asse e dei cieli
segue altro rito di evocazione
[chiudete le porte tutte chiudete le porte al regno
largo di chi presto busserà non aprite al tocco
gentile lo straniero ha volti conosciuti e
conduce nel numero la sorte
(aria arida stantia delle metropoli lo scandalo di una conoscenza
nella immatura pretesa del mese la fretta delle generazioni)]
130
18 - 4
il fragile universo di liquido cristallo trova fragile equilibrio
nei terrori dell’alba
(l’evocazione conduce il bianco momento
del rimpianto labile incertezza di un
modo della vita)
la finestra apre al giardino immerso
nel violaceo ingresso della stanza
(la pianura appariva realmente dal miraggio
dello sfondo velato chiara azzurrina recepita nel dorso di una mano
(recavi sulla
fronte un bianco fazzoletto
- da tempo è morto il bambino
da quanto
- chiedevi piangendo per un battesimo bianco
bianca esequia cerimonia bianca
nel lutto bianco delle cose nel sole timido non sereno di oggi
sommessi tutti parevano attorno non attoniti no
ma composti nella comprensione tu solo non riuscivi (io solo io
solo) a
comprendere
conoscevano la mia ignoranza
provavano distaccata pietà non compassione
abbigliati dei colori dell’intorno
vegliavano già forse sul mio corpo
petrose farfalle restano aggrappate al concreto spaziarsi dell’aria
[si può pur sempre essere abili e non concludere nulla
dormire la densità dei mattini scalfire l’aula distorta
di questa vasta metà e
(gli animali comprendono i cani affrescano il giorno coi richiami )]
131
19 - 4 (idillio)
nella sottoluce pigra sotto la pioggia pedalando l’inerzia
ai nodi dell’acqua la giovane donna scioglieva i capelli
lungo il ciglio della strada superata la china del fossato
avanzava felice saltellando una
bambina
colori poveri belli di volti ardenti composti quasi
in una avida bramosa follia
(il distanziamento progressivo del cielo
sfilato smangiato inutilmente esplorato
smarrisce creando vera angoscia di
voragine spinta nella piccola tazza
dove i fondi si sono sedimentati
in un disegno di opaco non destino)
132
20 - 4
l’alba sopravvive al proprio canto
il vento si innamora delle contraddizioni
poiché l’alba allarga il proprio campo intenso
alberi ghiaia vuoto acume di cielo
sugli stanziamenti
lo statico alloro l’erba scavata dagli uragani
l’irenica condizione dei mari il pigro
silenzio pullulante il profumo di legni e metallo
lo stesso sudore della pelle nei corpi affaticati
e felici il dolore delle onde il canto sfibrante della
fine
fu l’alta somma del sole
a dichiarare oltraggio e figure
fu l’apparizione delle costellazioni
la loro alta innocenza in una fase notturna
del dì fu l’alta ragione degli azzurri
in un punto di tutte le stagioni il murmure
linguaggio fino allora compreso degli esseri
profondi e del vento fu
l’improvvisa nostalgia
nell’ignoranza improvvisa e sconosciuta
le labbra presero a incontrarsi
in inconsueti torpori di menzogna
qualcuno pianse la fronte sopra il polso
altri risero incapaci di sapere
passò sull’abbaglio
dello zenit una ombra larghissima di nulla
quartieri sventolano sopra lidi ribelli
le insenature sospirano l’amplesso delle brume
scogli donano sessi alle risacche brusche
dove tu andrai è luogo molto prossimo
tormenta l’agave la carne della roccia
133
21 - 4
gli usignuoli intrecciano dialoghi nelle promiscue scene delle siepi
sotto l’arco irregolare dei pianeti sotto le volte della oscurità
cosa hai accanto a te a chi chiedi protezione per i sonni
incerti condotti da mattini primitivi di rugiada
quale oggetto scandisce il respiro
amuleto preghiera simulacro riparo fragile al vento degli eterni
(il fondale attutiva la cromatica qualità del grigio
ottundendo le opposizioni sorbendovi le proporzioni
in ombre illudendole ingannandole le ombre
in un impasto di simile alla pioggia
il mare vorticò creando un gorgo pigro
raccolse le ombre dei gabbiani
fremettero le coste
si rivide scempiata la luna)
22 - 4
l’aria fiorisce una muffina di foschia in questi
tempi di speranze immature
l’invisibile ordine delle
fratture compone nel disequilibrio una statica
delle flussioni a cui offre
l’improprio nome di quiete
mancano ancora parole adeguate per dire per essere quanto si è
manca la vita
(il pensiero di sé figure spostamenti nell’ordine dei vuoti)
un vento meridiano grattugia le foglie delle strade
odori di cose
bagnate
riponi gli anni nei cassetti delle doti
non marcati dal sigillo degli inganni
134
23 - 4
qualcosa del fosco dolore di una faccenda domestica malamente nascosta
la gobba della luna a ponente
appena un falcetto come si dice sotto l’astro
folgorante ma velato
liberati dal sole cieli chiari larghi
nel flusso verso le sere
vanno i grandi quartieri
vaneggiano gli spiazzi e i piazzali e i lisci
asfalti sotto volte di lampioni
qualche rimorchio di proporzioni enormi sosta disusato
hai rovistato dentro le consegne
gli usurati fogli di accompagnamento
insegne loghi oggetti trasferiti
campi ancora liberi pietre traforate
ore di ere di età poi qualcosa di non saputo
ore di istanti di istanti di manchevolezze
l’indolenza quasi fosse di altri
(amiamo dunque confonderci ancora mescolando
alle parole di prima un fascino della precisione
dilatata alle visioni di un cosmo antico
antico dominio di figure
non procediamo più nelle letture
vele di metallo contro una arida metafisica di vento)
24 - 4
alla fine era tutto molto vicino
piccolo e vicino
e il gioco
quello di catturare le prede
e
il profumo dell’erba crescente e le vivide stagioni
degli inverni nell’aprile fascinoso e malcontento
sulle case affioranti di formiche
non so - come farai se saprai se potrai il giro lungo di una umiliazione
tra i tarassachi gialli e le loro brumose
conseguenze
135
25 - 4
(nel momento acuto della disperazione
- e tu sei disperato ancora ma non acutamente interviene la folgorazione o l’evento creduto impossibile
ancora il travaglio non ha impostazione
somiglia piuttosto a una dissipazione
condita di moti di esaltazione o rimorso
o
il fantasma trasparente di una forma
cui altre forme sono state assegnate
seguono considerazioni sulla solitudine
caro amico non ho consiglio o verità non ho consolazioni
né tollero chi ne sciorini
molto è illusione e si è soli
ora qui
nella persistenza di una meta alla quale non ti sai adeguare
l’inadattabilità è pari alla definitezza
quasi fossi un riflesso
riflesso di un altro
e
il ritardo con cui sopraggiunge una certa impropria chiarezza presto
molto presto decadente
punti di riferimento punti di dissipazione o la sovrapposizione del
campo dei magneti
fisica invisibile dei moti delle voci
voci su voci concordia inusuale
(punti di fuggevolezza punti di riferimento)
fede disciplina abbandono follia abbattimento di tutte le illusioni
questa la presenza
attuale tributo al proprio essere cosa
nel buio principio buio del mondo sconosciuto
scendere e salire la stessa direzione
e
conta non disperdersi conta non erodere i margini di altre indicazioni
scegliere il limite del proprio destino (la morte no) (piuttosto la vita)
mi ha scritto (:) hai visto le nuvole sfiorano i nostri volti
oggi
ho l’impressione di toccarle di
immergermi nella loro soffice forma velata
immagine pura col cielo così nitido
(trattengo parole ricevute e aspetto il volto nel tempo che rimane)
136
(?)
siamo geograficamente cosa cosa siamo
nello spazio nel quale ci muoviamo
rimane solo il racconto spesso oscuro
l’irraggiungibile altro in forma di allusione
rimane solo il doposolitudine non come non perché
intoccabile pura epifania
ripristino rabbocco insufficiente
aggiustatura alla quale non si crede)
la bufera ha scosso gli equilibri del giardino
spargendo l’argento delle foglie
sopra il verde dell’erba tagliata
ma
i merli perpetuano la cerca e
il sole si riflette nelle vene del luogo caricandolo
del lume delle ombre
isolato piuttosto nel grande silenzio di ieri
quando andava organizzandosi la nube
e
l’orlo della tempesta era il vedibile appena sorriso delle nevi
(tra le braccia tengo una bambina eterna il vuoto catturato
da occhi senza sguardo
occhi colmi del vuoto
so allora quanto gravida sia la distanza
quanto sempre si sia separati)
26 - 4
giorno colmo di una atmosfera a cui la mente assegna la definizione di
tristezza
l’estremo candore
un modulo di diaspore e fenomeni
ma così così labilmente passeggeri e limpidi
materici nell’apparire e prensili così virtualmente
composti in un disordine di mese celeste
quanto della condizione del corpo del tormento
ansioso del crepuscolo
poi si vive nel periodo
calde correnti ascensionali
della lentezza e della speculazione
trasportano la pigrizia dei falchi
fino a dove la vista si tramuta in illusione
137
27 - 4
l’assembleare compito degli uccelli rovina
nelle grandi insenature dei giardini
nel miracoloso mondo della cerca
aprile sommerso dal florilegio cosmico
l’intensa declinazione retorica del sé
cammina sul filo dell’abisso
28 - 4
falciati i morti soffioni toccati dalla luce brillano liquidi riflessi
garrula la rondine vola nel fienile gira in tondo in un cortile randagia una
bambina
aprile spiega i doni del profondo
in trame intense di grosse fioriture ma
qualcuno ne tronca gli steli
conducendoli alle lapidi di nuovo nella
stoffaga acqua del bacile
29 - 4
sotto il loto grigio della nube scivola
sinuoso il dorato timbro della mattina
sui peli degli animali
si scandisce sopra gli spinosi limoni il nervosismo
del clima agitando le vegetazioni
manca il campo di attrazione manca la forza
del richiamo nella polluzione delle primavere
138
30 - 4
abiti ancora le mattine invernali le discrete tazze della vita oziosa della pura
pigrizia
abiti ancora le brevilinee provviste di intimità nel parco diffondersi del tono
di lampade cieche
vado verso dove non c’è /
alberi indicano l’arrivo della pioggia
(si chiude la casa di aprile)
139
1 - 5 - 2004
il tuono ha sfiorato lontano
il pomeriggio solare
di un complessivo movimento
nella elegiaca
stagione di maggio
ora la calma è questione di fraseggi
tra l’ombratura e il chiaro
(trascorsi dispersi per le strade sotterrati dall’odore della notte e il buio
dominante di una schiva ora
abbiamo vissuto anche noi esseri di
estrema debolezza come mai dunque pare non si tolleri adesso
la vita addosso agli altri forse per ammanco
di memoria
o per invidia di queste nuove età
cecità di chi non può vedere
natura oppure necessaria della differenza
rinnovano le bianche fioriture le ortiche generose
140
2-5
pare dopo una certa età si prenda il cammino verso una sconosciuta
infanzia le vespe valicano pesanti i passi verdi degli scarabei
onerosa aria piena degli odori
ritrae il vetro un falso temporale
generato dal gioco dei riflessi
intanto incanutisce il cielo e si avvicina
era apparsa la luna nel mattino pieno
foglioline foglioline serpentelli galline
non sai se l’età tradisca ma la epidermide si fa
più squamosa e la stanchezza arriva le ore più impensate
torpore anoressia tormento di speranze
3-5
tracollo della cosa definita esistenza
i sensi cercano appigli quando
brucia i riposi la domanda generica intorno a quanto si è
/ alla cosa che si è
(giorno non nato non cresciuto stabilito in una
stanza oscurata visitato dall’osceno di una bufera
ripiove sugli asfalti illuminati dai tediosi
arancioni dei lampioni)
donne alte alle finestre alte affacciano bianche i lunghi colli
al mormorio fine della pioggia
141
4-5
gli animali presiedono al rito osservano
con occhi lenti e tristi forse comprendono
ma adagiano i musi sopra i suoli sospirando
giorni nei quali ti manchi e residente in un sito
non riconosciuto amareggi l’aria delle burrasche
nella previsione dell’eclissi
ora le crescite si sono compiute
si sono compiute le varianti
poche vacanze negate
impegnano i folti
in una opera aperta di
mascheramento
5-5
alla piena epifania della luna e le stelle
un
oscuro brillio di pace è la concentrazione
di un evento accaduto tra le parole e la grande conchiglia
sul piano del comò
dove ancora si vive il gusto asprigno di un mare mai visitato
(a noi toccherà soffrire sopportare
accettare
leggere infide populazioni
il disgustoso nettare degli altri
e
conoscere la perfezione)
142
6-5
il loto nero della dissipazione ha carezzato il volto
immaturo della stanza dove ritrovi consueto
lo smarrimento la separazione
consueta da un
regime di adesione a qualcosa
riflessi come
frantumi da un giorno non registrato
dalle cronache stracciate dalla bufera
la quale
né trascina né consuma ma ignora e
ignorando assieme svanisce
purga la parola distillandola dall’alone rumoroso
della contaminazione col filtro speculativo di
intervalli valutatori
in una meravigliosa correzione
7-5
le terre nuvolose si sono spostate (ma è quanto accadeva ieri)
sereni capannoni nel sole delle
sere
tonale profondità la linea dell’alpe
profilo delle nevi blu
143
8-5
furti o ricordi dal campo dei sogni sono forse le identiche cose
scalfitture di ignoranza nuova o cartoline vive di arche in controluce
intensità delle ferite procurate un labbro tumefatto da giochi sopra il ghiaccio
la faccia sfigurata contro i sassi le febbri antiche amiche degli inverni
(a tale proposito quanto mi hai scritto la settimana scorsa ha una sua
precisione
a una certa cifra si tende a ritornare)
così si scivola sopra i terreni vallonati accanto ai nuovi fiumi
interruzioni impreviste smarriscono ma accolgono
paesi allineati le respiranti arcate dei palazzi tutelati dal vuoto dei quartieri
(sono a quest’ora tutti a mangiare o
tutti siamo fantasmi
di noi stessi)
(torna a dirmi qualcosa se lo vedi se incontri qualcuno o mandami notizie in
qualche modo fatti insomma non dimenticare
- rideva accanto alle
care fioriture delle prime stupite camelie descrivendo lo stento del carpino
romito nel caldo eccessivo dell’estate scorsa lo sfinimento gravante e la quasi
persa speranza di una regione equa)
non credo da tempo alla libertà
(oltre la curva scompare il profilo dei tetti comincia la pioggia si
ferisce il volto
nei rametti infoltiti dalle piene di adesso)
spesso
parli sommessamente non ascolti nemmeno
da bambino ho creduto ostinatamente
oltre anche l’evidenza e non si tratta di propensione alla fantasia
preferirei definirla resistenza
neppure a questa età mi sento
cresciuto
rifletto sulla maturità
quasi una beffa o modo per comprendere mi dico
l’epifanica reazione della morte poiché ho stabilito le bugie non hanno le
gambe corte
la fatina le ha storte
i conigli irrompono nel rito della
sorte
144
9-5
tu non eri e non sei ma saliva
il fosco permeabile sopra il corso delle terre al sole
e si faceva più fredda la condizione dei luoghi e
pensavi a quanto nel giorno avevi concesso alla vacanza
al profumo dell’erba tagliata alle recise pratoline alla riva dei frassini
commento precedente a una vita ancora non voluta
però comunque dichiarata nuova
il vento del sud dilapida il bianco sole
dei tuoi primi anni degli incerti tuoi anni altri
non sai rendere ragioni o nature
i papaveri crescono dovunque
10 - 5
dentro all’impasto di maggio col risvolto della nube
o la odissea di una soluzione al cobalto sopra
cui si attutiva l’effetto del sole fino alla
riva dei frassini e degli ireos fino a un limite di
passi come di come di una processione le suole il
ricordo lo stesso fresco ancora ricresciuto nel tronco
di quest’anno snaturato (così raggiungo la piccola passione
quando attendo allungato sul letto l’arrivo di qualcuno
fuori canta il merlo fuori placa il giorno la perturbazione
tu culli la mente delle cose recenti spostandone la eco
cos’era e era era forse un niente ma ascoltavi
e preferivi qui tra le diverse genti accostare
gli scuri accendere la luce nel buio artificiale
come sempre essere nello isolamento)
luna apparente luna indegna luna nel principio di noie mondane e
passeggere
il territorio della notte trema crepa si sfalda duramente
145
11 - 5
nulla in questi luoghi affondati
dove arriva radente l’impulso liquido della aurora
e il corno della solitudine non conosce protezione
(tu tremi tu tremi al contatto se tocchi
l’arteria di un corpo accanto a te a te
somigliante tu tremi tu temi la vita)
12 - 5
il mattino
il mattino guardo l’indolente oriente
mandare immite e calda un’aria di tempesta
il pomeriggio sogno
passo così il mio perduto tempo
(erano condizioni di declino
nessuno poté intervenire
ma il vento all’improvviso calò di intensità
calò poi riprese a raspare e raspare tra le foglie e i resti
e strappare e rapire per poco caldo e tenebroso
di
altri porti)
13 - 5
quali regioni descrive l’usignuolo cantando dai bassi delle siepi
quali ragioni offre la mia voce nel canto disperato senza attese
(fu un viaggio notturno la brace
riflessa dal lunotto i rari altri fari l’umido desertico dell’alba
un dolce incubo di storia ai lati dentro al buio regolare delle cose
follie alle spalle le città trascorse ripensi al poco archiviato
all’archiviato poco della vita a quanto scemi il peso del ricordo)
146
14 - 5
accosta l’udito alle aule vuote alle scuole disertate
ai cortili dove sola è la voce degli alberi e le cessate
piogge prosciugano nei rivi muschiosi dei cammini
delle acque
il brusio perpetuo delle polveri
sfiora l’alito dell’abisso vicinissimo
15 - 5
l’alba incide in chiaroscuro i corpi nutrendosi di essi
ingressi sporchi di urina persi intonaci schiamazzi di
fratrie litigiose
sprofondamento
nella mistificazione grande della storia
nocolore stento su i giardini
16 - 5
rapidi riflessi colore del miele slittano sulla parete
ora passa lontana una burrasca
ne deriva l’uragano sotto il sole
bianco e dentro ai grandi verdi
l’impetuosa stagione si ritrova
i fieni morti saranno raccolti
scomparendo
17 - 5
fioriscono le robinie flessibili sfiorisce
il corpo in un baleno oscuro
e
sotto nuova luna impallidiscono i petali
nei fossi i semi imputridiscono
(la intera infrastruttura del
tempo
dilaga nel giardino)
147
18 - 5
esiliato felice trascinato dalle calde correnti ascensionali
un sacchetto penetrava l’alto azzurrocielo
i gabbiani spazzini ruotavano e planavano
nasali e chiocci sopra le discariche
un soffio teporoso trasportava l’odore delle plastiche
imbevuto a regioni più profonde dell’umore delle cose
rifiutate
liberato dalle voci degli altri
segui il tuo vuoto
ubriaco di vino e di sole
19 - 5
non rammenti l’ultimo gesto e gli errori intervenuti le azioni agite le cose
fatte
il corpo nello spazio la tradizione delle fondamenta gli oggetti stessi
delle discussioni
non rammenti più nulla
se mai qualcosa è stato
l’ultimo scorcio della notte di ieri
la punta delle dita di un incubo
se poi tenterai correzioni possibili comprenderai di non avere udito
[(in qualità di documenti veniamo dimenticati
tutto non autorizzato
((fuori un vento forte ripuliva il giardino
c’era un aspetto
nelle cose incomprensibile)) cosa accade cosa accadeva a questo punto
e come nel saluto agli orli dei fischi ansimanti dei cani sulle soglie
la provocante mole della oscurità] mi invii dai tuoi sonni oracolari
inni alle nature evanescenti di conversari affannosi
col profumo intorno di una tardiva estate
poi parti e veleggi verso sud con un bagaglio minimo
la mente colma di futuri in un ricordo di insonnie misteriose
ma è quanto indimostrabile interminabile della fine a sconvolgere
il siero della continuità
148
20 - 5
se parola sia altro da un comune rigurgito
di cibo rifiutato e rimandato giù
(come mai stanotte non potevi non riuscivi non sapevi entrare nel
magma bianco del sonno e celeste come mai turbamento da quale eri tu
tormentato sopra il tuo stesso corpo le visioni atre
l’armonico dell’interminabile la scossa
cruda del non sentire intorno
)
149
21 - 5
bambino questo è il tuo anno zero non hai ancora una cifra
da offrire a riferimento
vivi e non vivi galleggi in un incantamento di forme ancora vaghe
grandi e rumori i quali non comprendono e tu comprendi loro nell’odore
nel sapore preciso della condizione
ti ho posato sul letto a pancia in giù
ti
ho grattato la schiena
hai dormito dopo qualche rampogna tra
te e la natura onerosa del tuo anno
zero
fuori
fuori davvero da un’era
fuori da un fascio di voci noiose e renitenti
così puro nello spazio dei tragitti tra le stanze
nel golfo di tempo senza nome perché ancora ti rinuncia la parola
e ti accoglie un sonno protettivo sotto uno sguardo sospeso e serenato
ti aspettano cure possibili difficili cose della esistenza inquieta
ti faranno smarrito e dubitoso
saprai del procurare dolore
del riceverne anche
in una dismisura di contrasti
non è questo il mondo augurabile a te e neppure il migliore
tra i tanti ma è e ti tocca in una incomprensibile
teoria di apprendimento ripristino e di riaggiustamento
oggi ho passeggiato frettoloso le scorie di strade
levigate dall’estate tardiva ma violenta
per vederti sorridere senza ancora certezze ignaro
di quanto accadrà
ma sia pure un istante isolato possa ancora visitarti
nel domani
(
vento di pazzia
caldo secco feroce indolente
in un maggio neutrale e disattento
- oggi era quel giorno - lo spazio sprofonda nello spazio
l’acqua abbassa la linea di confine )
150
22 - 5
(soffiava vento forte ieri e le vie di accesso
ai paesi muovevano a grandi libertà
stavi coniugando la fine di un’era
forse descrivendo una breve distonia l’effetto di
un raffreddore lo scempio cronico
della indisposizione al qui
ma le ere non concludono o implodono
// scuole sospese libri bruciati o
peggio allineati in dormienti biblioteche
mani nel fango benigna incrostatura profumo di fieno
illimitato seducente lungolargo pomeriggio
[ti svegli nel miele cullante di voci di ozi di bambini
oltre gli angoli del sonno in una soluzione atemporale
clacson di automobili
il luogo del corpo la sua geografia fatta di echi soli
il letto una provincia il giardino una età priva di cifre nascondiglio la
siepe
ronzano pacifiche le azioni degli insetti
oltre le quinte del mondo conosciuto
(hai dormito un sonno bianco fino alle voci dei giochi dei bambini e nel
risveglio eri senza età)]
23 - 5
la intemperante luce sulle foglie del noce si placa nel passaggio delle nubi
mutevoli randagie
il vento sfiora le rose rampicanti e se ne va
là si presume il mare
e l’anno è già finito
151
24 - 5
cerchi di ombrosa luce ove si risiede
cerchi d’ombra ove si succede
nel magnetico mondo degli inganni le streghe interrogano
l’ipocrisia degli altri senza stupore senza presunzione
le punisce la paura altrui la mole stenta della illusione
lo stento timore della disillusione
25 - 5
un forse appena germogliato e già vizzito in un declino subìto patito
quando spoglie umide di sole marcano i siti dei giochi delle estati
i ripostigli pullulano di trasparenti intensità
nella età magnifica e feroce delle gare perse
forse troppo difficili con chi più cresciuto sapeva
ingiuriare ferendo gli indifesi
la debolezza non è
è la malvagità della domanda posta
con la fine crudeltà di una incipiente fine delle cose
[(le morti giunsero puntuali nello stesso mese di tre anni
in tre con la cadenza atona dell’è
coltivando un campo di silenzio e inquieto) un’aria adunca sposta i rami
poi li ricompone]
viaggiatori mai partiti sanno il tardo inclinarsi delle piane verso le onde
pietrificate
dei monti e le regioni convulse del cielo il miraggio di un arrivo
prudenza della follia
26 - 5
la polvere bianca dei ricordi si disperde nella pazzia di maggio
del disporsi ulteriore nulla si sa se servirà per costruire altro
quanto urga ancora e quanto resti a gravare nel fiordo della cosa che si è
152
27 - 5
donne offrono nulla
nulla c’è da scambiare
in una posa tra i fiori sfioriti dei giardini nelle cure dei
prossimi inverni
l’inquietudine tua cerca il sentiero oltre la siepe
degli usignuoli e i sassi della massicciata
verso i cammini dei tralicci smemorati
i cani digrignano tormentati la voce incurvandola
in un broglio di umori storditi dalla violenza dell’abbaglio
pomeridiano
dopo soltanto i merli restano
a fischiare sopra il filo oscuro degli eventi
qualcosa non so cosa ha sfiorato il prato delle diciassette
28 - 5
l’uggiolio nella coltura del buio riconduce il tormento dei cani
la veglia abrade lentissima la febbre del corpo
così comincia la lunga agonia delle ore prime
delle future tenebre
corso delle opere acutissime dei cani
aspre le torsioni nelle gabbie
le mattine si rovesciano senza posa sopra i voli
le rose inclinano sporgendoli i petali perplessi dalle stanze
ora qui adesso una natura sabbiosa grigiogialla
dove dorme la fine della pioggia
153
29 - 5
non sei stato abbandonato in una terra straniera
ti è toccato in sorte in questa vita seconda
di cui hai colto solo adesso la essenza
allora
quando sei rinato hai ricevuto in compito un dovere
un sapere incomparabilmente ignoto di cui nulla
conosci però senti ti avvicina al poco della cosa
al puro volume della semplicità
utopia le città utopia le campagne affondate le isole
senza ritorno il mare
si allargano lande di robinie
30 - 5
ascolti il tormentoso ticchettio cinguettio tedioso degli uccelli
la afonia del traffico
passi il polpastrello sull’orrore
di una conchiglia grande le cose i volti
sfigurati semidistrutti dall’uso dello sguardo
la linea dei guaiti dei cani della vita
(già ti differisci nella sera)
hai ticchettato la catastrofe
in un compito creduto impresa
sublime invece quasi fallimento
travaglio in attesa della fine
31 - 5
i cani della vita conducono agli orli neri delle costellazioni
il mese salta violento fatato distorto
in questo vincolo estremo irriducibile tragico patetico
ultima ragione di una esistenza vana
(si chiude la casa di maggio)
154
1 giugno 2004
[fuori è un anonimo punto di flussione dell’anno arco amorfo
palpabilmente ineffabile
si avvertono esistenze avvolte da una bonaccia sieracea
scioglimento dei più tenaci vincoli o esilii
corpi abbandonano umori di agonie irrisolte e i coloro sfiorati
chiedono soltanto nell’efebo mistero della vita]
il tuo sangue ha la stessa forma sempre cade nello
stesso punto
certo solleviamo le passioni ma ne siamo torturati
155
2 - 6 (descrizione occidentale)
oggi c’è un cielo grigio che mi rende veramente inquieto (sms da mm)
l’ipertrofica massiccia presenza delle folle lascia sede
alla metafisica notturna apparente desolazione dove si è tra pensiline
dei carrelli e parcheggi vuoti
e le illusioni dei lampioni inutili
gerarchie di merci tacciono stoccate
sotto la tenebra bianca e nebulosa
si vaga dimentichi di mete
parlando di nudi corpi solo così così soltanto per non udire le
frequenze dell’abisso
si cercherà in altri tempi un feticcio a nuovo ornamento
delle aule bianche sul fronte altissimo delle grandi discariche
sotto il volo lubrico dei gabbiani come adesso sotto le volte dei tigli inodori
si lascia a lato trascorrendoli i cassonetti grigi
e ricomponi il vuoto artigliandoti le mani
si è mai stati cose usate usurate dimén
ticate
si è mai stati oggetti sottratti alle mani di qualcuno utensili
logorati dal lavorio di questa etica totalizzante e ipnotica
uno chiede qualcosa
una moneta o altra merce di scambio
ridendo gli si dà una sigaretta e il volto cerca un equilibrio oscuro
mentre la tenebra bianca si sorregge e si solo per poco sopravvive
l’aldilà l’altrove cosiddetto la fantasia di un luogo migliorato
si è proprio accanto ad esso nelle forme compiute riciclabili
mutuabili e passeggere
aldilà un aldiqua di virtuosi epifenomeni mancati
senza struggimento depredati fagocitati triturati espulsi fuori
aldilà tale tessile precisione nello scomporre
nello archiviare perché si compia la
cancellazione
ora il pallido occidente vela gli insediamenti e ancora
si annotava il negro tenore
delle acque
amorfe di sotto i coltivi
e si annotava (:) qui no destino o meta
e poi
incolori totali della esistenza
e poi ancora per adeguatamente
concludere (:)
standomene così sopra il cortile sporco della stagione
(più tardi si osservava una lucciola presso
la siepe)
156
3-6
condizione meteorologica degli esseri adeguata allo
stabile dimesso dei luoghi
devotamente le tortore preparano il nido filo d’erba dopo filo di filo
devotamente il mondo animale completa rigoroso un compito
di riproduzione
devotamente qualche individuo si allontana
dagli abitati verso regioni di eccezione
un volo sublime sovrasta dopo gli abitati voluminosi
parallelepipedi dei boschi
questa cosa implosa dopo il balenio della notte
il turbinio dell’uragano i petali dispersi sopra l’erba
(come stai
non so forse troppo compreso nella
parte del profeta accecato silenziato
condotto in catene nel centro di città
quasi in un bacile di sogno si specchiasse un volto
alle mie spalle e io volgendomi incontrassi
nulla
//
oscuro sonno perpetuo degli altri
o il tuo nelle veglie apparenti
4-6
la noia abbagliante delle grandi aperture di calura schioda i luoghi
facendoli oscillare in una lontananza di impressioni
spremiture di caos dense di morti
improvvise abbacinanti energie di ritorno
scotimenti duri contro il duro cielo
(il dondolio declinante dei rami avulso da ogni titolo di ora di stagione
gli stivali di gomma verde gli attrezzi allineati contro il muro
pala zappa badile rastrello il terreno rivoltato a metà l’altra ancora a riposo
rimarrà quell’anno della fine dell’orto del nuovo giardino curato
da altre mani
breve verticale intensità fino al nucleo più denso di quanto hai
salvato il resto una deriva di foglie
sotto l’impulso meticoloso della oscurità)
157
5-6
racconti i tuoi viaggi verso corti vuote delle giovani donne sboccate
alla osteria dove la notte si chiude perpetuo nei tigli
lo sgocciolio di questo mese invaso da purezze materiche di vento
ardua sera proiettata al volume levigato e bruno di uragano
dopo il vento stregato il pomeriggio sopito ripreso e
inquadrata nell’ambito dei fari transeunte la pioggia è un brulicante
fugace sfavillio
negli oscuri albori hai cercato invano concordanze tra te e te
ancora appartieni alla collosa mollezza della sbornia
non sai vigilare
sugli anni hai tentato un equilibrio sui piedi hai ceduto e vagato
con la mente in una questua vuota
solo un ratto sparito tra le erbe il gracidio composito nel campo
la puntiforme brillanza della pioggia
e nascerà di nuovo il suo prima
costellazioni effimere il passaggio di un pianeta sopra il sole
tarocchi meteore l’avariato veleno dell’aria il
sapore di ortica del vino
[non è ancora silenzio claustrale nelle chiuse sedi ipotecate al tempo]
6-6
passano gli uragani nella notte spargendo petali e vento
intenso brilla il mattino disegna ornature di ombre sopra i prati
nulla nel principio nulla nella fine angoscia sconfinata tra gli estremi
(eri fermo al favoloso delle infanzie stregato da indugi di paure
hai tracciato cammini di fuga incontrando dovunque la cosa
ora la tua infanzia non esiste più chiedi all’ombra un riparo di parete
vanamente intendendone la prova // colti dal tono precipite
della lucidità non si abbandona più la posizione
camminato sotto la stellata
profumo d’acacia e di rose
attorno gli echi ricadevano canzoni
158
7-6
l’esplosione della luce schiacciata sui selciati dal mattino
provoca ombre violente nell’indolente compito di giugno
localmente piccoli vortici qualche ramo nudo e secco
veglia la disillusione a cui è destinato
((?) la morte
dilatazione
si fa penosa quasi pietosa
tanta domanda fragile per esito e ridicola)
svanisce in fretta la memoria della tempesta
breve
non so la sua
8-6
io andava così pensando nel torbido mulinio della solarità
del mese quando serpi e rose convivono amando siti spinosi
il silenzio verrà silenziato tacitato vietato tramutato
nel confuso miraggio dei rumori
così nel fermo abito caldo dei luoghi
e ancora (:) i morti conducono ai vivi e i vivi
prima o poi saranno morti e i morti si cancelleranno
le cose resteranno immemorabili e miti sotto
ventosi tentacoli di polveri
(bruciavano equinozi i fuochi sui riposi delle terre)
la notte profuma di tiglio e sanguinetta aspra quasi acida
e voluttuosa
i galli scorticano la oscurità i
pianeti orbitano torcendosi e si sposta la crosta della terra
in millimetriche geologiche rapine
9-6
cercavi nell’universo mondo una traccia possibile dentro alla noia indolenza
subivi l’influenza magistrale del farmaco
la rallentata vanità dei tuoi propositi il canto degli usignuoli
tale nei principii dell’alba primeva
(il buio alterava le parole lampada accanto a bottiglie)
159
10 - 6
il farmaco si allunga sulla spiaggia del corpo nell’ora dello zenit
il corpo riluce dello oscuro barbaglio sotto carezze ignote
quando sarai molto
tardi una traccia di lumaca sulla polvere
11 - 6
tenti ancora la possibilità dentro lo sfascio nella forma di un avvertimento o
del richiamo nei modi oppure
di un rimprovero civile a cui sai - pare - nessuno porga orecchio
chiedi donde provenga al giardino tanta costanza poi
volgi la attenzione agli oggetti costruiti e alle discariche la mente si dirige
qualcosa divide dall’ordine disordine una misura appresa mai a memoria
un catalogo di azioni
poche semplici note
la paura non la morte la fame la sete essere e sopravvivere
affari sbrigati senza volgersi alcuno
si abita un altro sito dove nulla - pare - appartiene
visitiamo in qualche modo pulpiti di domani
la fredda consistenza delle carni in filigrana
il grumo del viso la sposa fatata delle nevi
- intrappolate da sé le grandi vespe
disperano il soffitto alla ricerca di una ulteriore noia
nell’accecante astro dei mesi del digiuno
soffiava ieri nella sera un morbo caldo sulle spighe semimature
e sulle lame dei fiori palustri
soffiava caldo verso le versioni
di una terra mescolata alle maledizioni
un tormento di aria calda e violenta a torcere folle le foglie in un bianco
di argento ossidato
la cera del cielo parlava di incendi ingredienti
strappati alle terre e portati dovunque
la notte riverserà la paura degli astri funamboli insani
(chiudi i conti abbassando le palpebre stringendole sulle pupille
contro il suono mostruoso dell’uragano
i cani vegliano fedeli i turbamenti delle menti più deboli
160
12 - 6
perché ti volgi come ti volgi
dove ti
volgi
a quali punti scardinati erranti sulle avide croste dei deserti
nubi tese di neri balenii (i piedi calano pesanti sui gradini
le grandi macchine delle stagioni arpionano i corpi alle pareti
e appesi pencolano nel polverio dei ripostigli nell’atomico brillio
inquadrato da un raggio diagonale
ti volgi all’azzurro implacabile o quella notte sorse nella oscurità
un lato bianco di continente in cielo
propendevano gli alberi a partire vaghi e feroci scossi suoli e foglie
ma l’alba fu una enorme delazione piansero le erbe il sangue dei
comparsi
(lasciami nel semisonno metamorfico dentro le figure
di una ricostruzione senza filo
carte geografiche mobili tracciano estimi immemorabili
un nome spostato una insorgenza di piani
il mare la cassetta
zattera nave veliero lo sconosciuto smagrire del prima e dopo
(ma - pare - avverrà nel quarto delle notti una frequenza dalle superfici
e
tu saprai di averla raggiunta)
//
il cielo comincia dal basso per questo ne siamo gli abitanti
13 - 6
una nicchia di rara penombra nel picco del giorno
ricoverava sul cavo accanto al palo una civetta tardiva di cacce
nello spazio aperto devastato della valle tentava sottrazione
al fagocitante non mistero dell’essere
e non essere
dell’essere forse appena nella
violenza del racconto del vento e le apparenti mestizie
delle spighe e le erbe prostrate e le acque levigate dei canali
accanto allo sprezzante manifesto dei papaveri
scivolava così sull’asfalto
l’ombra rapida di una rondine in volo
nel largo teso dei gironi della nube
l’imperante presente si scinde sparendo
i corpi dei giorni divorandoli
161
13/14 - 6
petali persi delle rose setosi stanno sfibrati
sopra le erbe sotto le coltri notturne
14 - 6
tutto il circostante dall’orizzonte tempestoso sopra le catene
al torbido intruglio del fossato a lato pareva oppresso dalla gravità
faticosa la sua epifania
un volo sghembo affannoso intimorito la fuga delle gallinelle
il nervosismo opaco delle anatre e
nel riflesso i papaveri capovolti nell’alea delle acque
(inqualificabile opposizione delle cose)
dire l’attimo convulso della storia di un volo
la ricaduta trepida tra gli spazi erbosi
dire l’oscuro turbamento dentro dove
il branco ha preso un movimento di paura
dire anche la nube di fondale sollevata
dire tale dell’oggi indicibilità
il tatto madido freddo dei petali nel prato
voluttuosi stranamente e lisci umore ancora vivo dei petali perduti
15 - 6
lasciami in questa penombra forse più pura
della complessa impurità dove si respira
e sarà distorto l’apparente vero
e il nero dei boschi e il celeste etereo delle
sabbie cose dovute dopo e prima
riparo nella marca bruna dove deboli difese salvano però
dall’incanto mostruoso di un glabro mese immaturo
e già cresciuto
strepiti di uccelli globi di foschia
ventilate sfasature piene troppo di tempo triturato
il corpo si discioglie in una ignota matrice di calma
(è la terra non si sfugge alla terra - g.t.)
162
16 - 6
presto tutto sarà finito anche la araldica invadenza
dei papaveri
grovigli di tempi precipitano nella noia
devastante delle spighe
il grande tempo è morto il presente prospettico
perpetuo moto di una distanza certa
ora è la tattile fisica attualità
nel fruscio degli elementi nella stretta dove si filtra
l’impulso della vita
nelle prossime estati vedrai le ombre
parlerai con esse dei tuoi passi e mai più ritornati
17 - 6
hai tradito procurato dolore hai tentato raramente la sorte
questo il dato immediato più forte
paura o mancanza di coraggio
statica epilessia di un urlo abbagliato di fogliame dietro
voci interrogative e roche
tutto è giocato le masse delle polveri
ricadono compatte sui deserti mietuti
hai cercato misure hai trovato la morte
il sole uno sbiavido pus sul metallo azzurrigno degli asfalti
163
18 - 6
condizioni simili annullano facoltà di riflessione
accecano il mistero del pensiero implodono
ingolfano il respiro
sarà una afa progressiva
accanto al margine dei luoghi coltivati
sopra i verbi delle rane
frammenti di
ricordo
leggere devozioni
le grandi notti tradizionali sorvolano i tuoi corpi divisi
i corsi sfuggenti oltre le date i calcoli
fissati nelle pagine ruvide di vecchi abbecedari
il caso si avvicina sulle erbe
si allontana
recando cose vive nei trapassi
19 - 6
anche l’oggi possiede l’istinto morboso allo sfascio al
trascurarsi anonimo di oggetti e cose foschia profonda in orizzonte nullo
e il torbido tradursi nell’illimpido
la mattia del vento alimenta l’improprio sfarfallio di polveri e pagliuzze
se ne trae a conseguenza l’allucinante barbaglio di una ala bianca in volo
la tensione tra occaso e settentrione una promiscuità di moti disastrati
violenza massima di sperperi conclusi
le correnti dei passati evolvono nella ottusione opaca
sopra i sudori complessi
sopra gli erbosi vizi delle terre e il disorientamento degli stormi
e si comprende adesso l’oberato dei gesti l’incolore
e l’arsura l’astinenza totale il macilento abito dei siti
questo sarà domani un altro ignoto lo stesso ma altro di domani
(le noci della tenebra piombano sui suoli storpiando il fruscio
tra il fogliame e rami e si dilata il tonfo nelle erbe
il siero nero delle scorze verdi l’amarezza dei petali vizziti)
totale azzurrigna la nube opaca ha ora
posto ordine inquieto sopra i luoghi
i luoghi intendono e non reagiscono
164
20 - 6 (sequenza)
greve coperto ventoso
calco di gesso ancora in facimento
i ragni hanno tessuto
una tale anomalia di ore collose di
ricarico di inutili tensioni
giungerà forse la pioggia dalle falde
del solstizio e salirà per i tronchi de i noci
gli uccelli piombano cattivi nei bambù
i neri uccelli nelle oscure parti
sulle foglie delle rose
le gocce della pioggia
il fogliame scosso si torce si protende
la frutta poltrisce nei cesti e fermenta
la buccia crespa delle pesche bacia
la pelle molle dell’albicocca scura
reciproche si intridono del siero
sei ritornato dai luoghi silenziosi e dalla calma
inquieta proposta dal cielo completo delle
nubi
prima sotto rarissima una pioggia
poi nel caldo regime del sole
uscivano le lepri nessuno si affacciava alle porte
osservato lo eri dal tuo stesso cammino
a ritroso
là
dietro il fogliame nero appare e scompare un
pianeta l’orsa maggiore è zenitale
il cielo oscuro dà tranquillità esso tessuto
da punti luminosi indica la traccia del
finito offre ai sensi una disposizione
alla voce qualcosa come un nome
(e poi è fresca la qualità dell’aria
il vino gonfia le dita e vuoi dunque dormire)
165
21 - 6
il cane sentiva le lepri ne vedevi l’ordito turbato
nelle scosse secche dei vertici dell’erba
muovevano la danza triste dei sonni delle terre
giungeva l’odore di un fuoco nel tonico fresco della pioggia
poi le rane nei fossi il ronzio di un insetto indagatore
il passo ancora innocente nell’ingresso
il mistero della luna cresciuta sopra l’oscura stasi del giardino
nero
22 - 6
crepuscolo ore 3 e 30
nel telo moroso l’ombrello di penombra aperto sul giardino
l’inquietudine infinita di fasi senza fine punto sincretico di tentativi vani
nei cammini dei solstizi nelle occasioni di sempre nelle sempre
occasioni di ere sempre identiche
si riapre la questione dei coloro apparsi in sogno
possibili fratture le cassure un consiglio mormorato poi trascritto
nel distendersi opaco di un crepuscolo e prealba e prelucore
la pazienza stessa delle foglie
(come sai eravamo accanto all’albero quando il temporale ci colse
sapevamo il rischio della passione ma i campi avevano il respiro alto
di una voragine di noia e noi colti dal suono ristavamo
pietrificati nell’oneroso avvolgimento della nota del tuono ripetuto
spaventoso lo spaventoso passaggio di una ombra)
il sonno marcisce imputridisce la ragione del riposo
166
san benedetto/gorgo ore 4 e 30)
campiture ancora di grano tralicci disorientati
nell’inerzia dei vapori
le civette attendono nei crotali dell’alba
un caffè e una brioche sono quanto di meglio possa offrire
un giorno appena fatto
in verità la piazza non è piazza piuttosto puro spazio
anfiteatro accomodato tra piccole facciate teatrali
potrebbe all’improvviso scagionarsi
ma preferisce scorci di sutura le apparenze resistono così
alla invadenza della dilatazione
sali spiga dal diaul va su va su a cui poi fai seguire
le case affondano riparano nei folti
cammini nel raccordo vigoroso dei sensi
nello storpiato complesso di pensieri accantonati
dal punto dell’oriente lasci alle spalle i pinnacoli
de i campanili
addentrandoti nel sereno di una nube fatta rara e viola dolcemente
conosci il nord la sfumata altra tensione dei terreni
e le riapparizioni delle lepri
completa è l’osmosi dei vapori quando sorprende
il freddo della luce si adatta il corpo all’umore bagnato della brezza
alle complesse spartizioni di potere marcate da escrementi
poco oltre la riva la corrente dimentica di sé e plastiche galleggiano
immobili bottiglie
mentre i pesci balzano fuori
dai fieni falciati giunge l’odore insistente
i tetti recano vecchie marche di brine
poi
il sole accade la nube si riforma
167
23 - 6
ho dunque sperperato scialacquato arato un campo sterile di corpo
con insistenza ottusa col male della ostinazione
la presunzione di avere compreso quando nulla ancora lo è
// poco sopra il sole
la intensità perduta e la luna era madida affogata nella condensa
sonni appesantiti nel campo appesantito
della notte i parlottii confusi sotto i rami
in questi lutti onerosi della luna il territorio
è basso adesso il loro
la vita è dove esiste è solo questo la vita è
dove esiste
24 - 6
tutto ti sfugge gli stessi corpi abbracciati brume
svanite nel disciogliersi dei giorni non è facile esistere
in tali condizioni
le notti oceaniche non asciugano nulla
gli oziosi panni madidi di te
i desideri di spaesamento la nebulosa di
paura attorno
aggiungi il vento dell’oggi
le trombette delle vespe cercatrici
(qualcosa ti deve essere accaduto credo si tratti della vita
per te la tua vita individua
dispiegata coi definiti limiti e orizzonti
sei giunto tardi per chiedermi qualcosa
io non ho voce per simili notizie
più tardi ti accompagno nel saluto
affondiamo ancora dentro al buio
esserci accanto è quasi un palliativo
ma nel saluto l’angoscia ti riavvolge)
prede dei nostri infantili ristagni
gli alberi sospirano pensosi
(i bambini si appartavano nei recessi della casa
si scambiavano reciproci segreti deviate parole azioni proporzioni)
168
25 - 6
l’espropriazione della memoria comincia da medaglioni
di parole sciolte poi nel regime del semisonno
le premonizioni non hanno nulla di particolare
si evolvono in forme umilissime di oggetti
qualcosa si sottrae inabile al chiarore
docile alla insistenza
cogliendo la corrispondenza
tra il cumulo dei giorni sopra te e le tue
sottrazioni dentro essi
(come stai mi interroga la voce
nessun riparo all’obbligo di
indagare la qualità della domanda
il modo in piedi la schiena contro il muro)
rondoni alla deriva nel cielo polveroso
metti le mani nella sabbia gioca con il mare
169
26 - 6
il risveglio è un rito senza meta
sotto la fresca trasparenza delle sabbie reca la luna
il fantasma di sé si riversa completo
l’autunno di giugno sugli alberi alti e flessibili
dunque è trascorso quanto agito essere doveva
dalle livide mani di istanti dopo istanti
le terre fragili salivano verso le voragini del
sole ossessivo depredandone il campo e nascondendolo
i rondoni cullati in individui naufragi e lontanissimi
trascorre sopra i pellegrini la intenzione delle
estati svigorite e i prossimi torridi sanno
vecchie sfinite eredità senza passioni
nel campo indolente del cielo si smarriscono
i rondoni
(poiché gli spazi tutti stanno
diventando ingovernabili)
giorno questo di capitolazioni cieli smarriti nei colori
perdono tensione e si dilatano aprendo
alle separazioni late e lontananze
l’ora si smarrisce si smarrisce il senso dell’insieme
allora l’immobilità precaria inerme di una
stagione superata
sperse correnti campiture vaste orizzonti tormentosi lembi bianchi
oggetti isolati immobili
solo nella apparenza ormai sconfitta da un ordine
di uscita dalla scena
(inverni cosmici cancelleranno le passioni e non saranno i nomi
a rievocarne i lidi)
alimentata da lunghe prospettive tra gli stabilimenti
l’eco dei versi degli uccelli riempiva le zone metafisiche
fondali astratti nature artificiali
il glicine spompato nei fiori storpiava le voci nel riverbero
i suoni del silenzio
170
27 - 6
volevo per sempre dominare lo sconosciuto regno
senza tempo dove la morte passeggia incapace
di essere atroce ci siamo addormentati sul fare del
mattino così abbiamo creduto ma la ora non era
così tarda e era già trascorsa la stagione
[(gli uccelli valicano lo sguardo
è fumoso l’ovest del sud
la babayaga l’ha portata via
si stringono i lacci del tempo)
cerca le uova covate segrete tra foglie appuntite e
terrose cavità
mani di terra e sassolini mani
intimorite dalla pelle delle rane
quanto mi dai
pretendi quanto vuoi
la debole luce della lampadina apre al grande mondo delle botti]
28 - 6
avere paura la prima grande vita la seconda tentare di arginare
la paura confinandola nel limite raggiunto e non varcato
(sei alle prese con l’incapacità di sciogliere il nodo del sogno
scaglie di scorie depositi di onda sulla sabbia nuda solo parole del non
non hai mutato volto non hai mutato corpo)
il caffè penetra caldo dentro alla febbre notturna della mente
ho imparato a nascondermi
senza artificio
solo stando in silenzio e in inazione
(difesa era proprio nel varcare coi bianchi sassolini
tra le dita il gambo dell’ortica finalmente reso innocuo dal tatto abituato)
da dove deriva la spaventosa natura nella quale agite
tale pareva intercedere la sabbia condotta nel vento
della loro inquietudine
171
28/29 - 6
tentacoli della trasparenza le foglie bianche dell’acero
bevono il giallo riflesso della luna
la luna trema
e
cala
29 - 6
dove vai vuoi seguire gli inganni della vita
da nessuna parte le parti giungono a me
ne ascolto devotamente il ritorno
hai seminato amarezza
raccolto un acre stupore
questa la perla della tua eredità
quale opaco istinto sottrae alla pietà
quale bianco terrore
già arpioni le umide piante di settembre
30 - 6
l’immaginifico mondo partecipa del vostro turbamento
nel giardino incolto i bambini giocano a nascondino non si trovano
soffiano via il tempo delle fate
cattive
conti la faccia delle lune sulle dita
chi erano i bambini dove erano i volti loro sconosciuti
le fronti fresche di sudore antico
dove era il campo madido di ottobre
la palla la siepe la piccola morbida noia
ridono
alcuni anni maturano lenti altri in fretta decadono
tutto però indifferente agli umani tentativi di redimerne
il corso nelle date
gli anni sono irredimibili e
ignoti recitano segrete esitazioni (può capitare di incontrarne
la fine in un istante di perduta tensione
quando colgano i sensi impreparati un fermo assoluto delle cose)
172
30 - 6 / 1 - 7
il noce concorda con le acque della tua fantasia
(si chiude la casa di giugno)
173
1 luglio 2004
te salveranno i sogni le parole degli anni la piccola ferita succhiata
avidamente il sapore metallico del sangue
te salveranno i sogni le tue avare derive
nei luoghi della sera
allora il vento titillava sensualmente
le foglie della vita
da qualche parte era bufera raggiunta e superata
invisibilmente l’incaglio fastidioso di una scheggia dopo tolta via
con la punta incandescente dell’ago affumicato
174
2-7
così si comincia il giorno liberando il corpo dalle scorie della notte o
della
vita
forse lo stesso
una ignoranza e l’inquietudine di dove o di visioni
di profili sempre più sempre distesi verso un là
arrangiato nella frettolosa toeletta dentro a stanzini asfittici
poi fuori nella smagliante indifferenza
colto dal bagliore di un ricordo senza conseguenze
nel dialogo incerto con l’età
nel mare calmo dei vulcani spenti
si cerca una consolazione
3-7
la nube tracima dolore dalle luci degli agglomerati ma la luna trapela
ferma dal gesto della terra sopra le mandrie bianche sopra i campi arsi e
chiari di vento verso l’invisibile eterno del crepuscolo
ti formuli in una portentosa catatonia
cammini fino ai limiti dei passi tra alghe aggrovigliate e forme vegetali
dei tracciati delle acque sulle sabbie
grigi e bianchi i corpi nuvolosi
4-7
dunque lo spazio non esiste
esistono luoghi della sua apparizione
punti dove si forma respira poi scompare
l’indifferente esito della vacanza ripara allora all’ombra
dei bar tra un lunghissimo caffè e un bicchiere di acqua fresca e naturale
si interrompe così lo scorrimento le donne traversano tanta
tanta inanità con la facile andatura della esperienza
vaghi sottovento sotto il sole nella ipnotica meraviglia delle cose lontane
piatti appezzamenti delle rocce marine
il falso tormento dei gabbiani
la nebbia calerà sopra i tuoi passi
sopra le alghe colore della sera
175
5-7
nulla da rilevare in questo ovest atlantico
nella inquieta latitudine della mente
sotto la poca pioggia sotto i teli protettivi sopra le terrazze dove qualcuno
distrattamente mangia
nulla da rilevare neppure del domani amorfo
in una distrazione dolorosa del campo non arato delle opere
(è stato un mutamento nell’ordine del suono là il luogo
comprendeva un altro spazio un intervallo altro
qualcosa di accaduto
e si sentiva l’ingresso non cercato in un proibito non saputo
lamentavano nasali i gabbiani
e si affacciavano oltre poco le dune ronchi stenchi di foreste ustionate
nulla giungeva d’altro o solo il fisso resistere delle cose minacciose
l’inquietudine rinata nel tuo corpo
i piedi penetrati nell’odore salmastro dalle alghe
dopo sei tornato sfiorando fischi minacciosi
e bassi di uomini nudi accovacciati sulle rocce
mentre le donne scoprivano i seni
oltre le dune il volo del falcone // la // pace del dominio //
scosso ma //
non tanto dalla presenza estrema di una orma nuova sconosciuta
invadente
il mare calmo la risacca appena
ho visto creature a metà palpitanti timorose sporgere dalle erbe aride
cresciute sulle sabbie
altre
sotto lune bianche e ferme spaventose
uomini cercatori si allontanavano fino al limite d’arretramento della marea
cauti movimenti di rapina e loro tra le sabbie
e gli abbaglianti candori di garzette
si cammina dove prima era l’oceano
si ascolta il liquido brusio delle conchiglie
6-7
la costanza del vento ha sciolto le terre dal compito duro di restare
le terre migrano senza destinazioni (così sulle pagine bianche
il possibile di quanto non accade) l’oceano si protende verso il proprio limite
disposto in una calma bassa di progressivo arretramento
anche il soffio del vento si fa più delicato bacia la tua mano
tacciono i gabbaini
molto di quanto giunge cortese
allo sguardo
possiede la grazia di un devoto cliname di
una moderata evoluzione
176
7-7
come piattini dei morti ticchettati dalle pallide unghie
i metalli delle alberature giungono secchi agli orecchi
dai moli visitati dalla eco alta del fiotto
sotto le spente voci della notte
il grande deserto delle sabbie
tu sei qui nell’area di mezzo
di un mondo ricresciuto
8 - 7 (combray)
come sai il tempo è inevitabile e qui la terra riluceva di sé
(la casa è fermata il giardino inviolabile il prato battuto da giovani fiori
poi volati via
l’acqua scorre nei lavatoi il vischio cresce sui pioppi
e
ieri
la terra reagiva alla oscura densità della pioggia
generando da sé colore e luce
(la terra
vallonata e già mietuta
rispondeva all’ombra delle piogge)
9 -7 (paris)
permetterà questo anno grande una deroga alle leggi del piano disastroso
del progetto agito di un libro delle ore
e quanto agito sente risente del clima del canto privato
sei un acrobata stanco
speri tra le poche soluzioni
l’errore accaduto durante l’esercizio
disattenzione da poco ma fatale una parziale esiziale deviazione
l’acqua occupa astrazioni metafisiche
(il momento della pioggia è fuori dalla finestra nel vento della sera
nel moto delle nubi nella folla ora rara nel rancido della città)
177
10 - 7
i treni continuano a passare le cose non appartenenti più sempre più cose
oggetti di nessuno l’aria tra le foglie l’immancabile infine resoconto
la tempesta
ha soffiato sopra lei lei era e era ora non è e non sarai più nulla
l’intangibile inattingibile regno del non più
dentro la spoglia di una recitazione
nature immobili da ore crepuscolari
//
coglie una strana chiarezza
una bianca limpidezza
quasi
//
qui dove il mondo comincia e finisce
e qualcuno si ferma a osservare punti forse di nulla
alberi fioriti verdi e gialli
la morte accanto nel riposo dei campi
il sole se ne va
coi grandi galeoni delle nubi
11 - 7
rovinose albe si fingono di luce tarda languente
questo luglio
deriva
sotto il sole ventoso di una stagione di tanta anomalia coglieva dunque
quanto definivi tale senso del tempo
lancinante
qui - ripetevi prende la noia il bisogno di andarsene via
nel nitido clima aggiungevi però anche una vera pienezza della vita
la tua
la mia in una fretta premessa e snocciolata
il cedimento stesso dei clinami è imprevedibile
nel muto riordino di un incomprensibile totale
178
12 - 7
dove sei
le galline mi hanno beccato la mano
io le credevo più buone
la campanella annuncia l’arrivo del treno col suono la nonna
è andata via
ritornerà ma non so dirti quando
sotto il cupo mestiere del dicembre l’impasto di uova e farina
(faccende tutte da tenere segrete in luoghi non frequentati
cantine colme di oggetti storditi talora se una mano ne tenti
la polverosa matrice o l’industria addormentata senza gli usi
l’intento stesso di uno sguardo curioso quando indaghi
lo scroscio e il temporale dalle sconnessure degli scuri)
13 - 7
il filo del mese si dipana nel filo fresco del vento mattinale
opere di cerca tra le foglie il moderato tenore dell’ora
la imprevista frescura del pomeriggio primo
dirà di vuoti apparenti di memoria
tutto
di quanto agito rimane forse per questo intollerabile
//
il violento colore del papavero il riverbero di luce di una fiera
e si risiede in dubitosa debolezza nel cavo bagnato dal sudore
troppo
nel febbrile ozio dell’opera la natura della attività
si consuma e si rinvigorisce
in lunghi momenti di raccolta timorosi
di una perdita secca o di una visita
cercata
il vento conduce solo polvere e rabbia nei sonni sotto il suo influsso
179
14 - 7 (sbarchi)
il risvolto dell’ombra conosce attente perlustrazioni di autunni futuri e
progressivi
la tenera rugiadosa mattina marcata dalla discreta emanazione della lampada
ha condotto note intorno a noi
((?) siamo forse sfuggiti alla influenza delle fate maligne
ai loro specchi ciechi
pochi soli viandanti pensieri
molto calmi schivano i raggiri
saggi viandanti e giganti percorrono vuote foreste
dove ancora riparano miti gli occhi degli animali impauriti)
si cercasse una condizione intermedia
o piuttosto
piuttosto la marca bruna della limpidezza da cui sorgono decise
le domande
quali potresti eludere quali tacitare
(come mai noi come mai
come mai le recenti occasioni e l’occidente inquieto
e la impossibile requie e poi mani rivolte alle richieste e la fatica e le
questue)
occasioni di arrivi sono altre occasioni di rifiuto
per nulla cedere per non dare e non dare per negare i doni alle bianche
oltranze
degli arrivi picchia sopra le aride rive dei moli il labbro snaturato
delle acque sporche
//
stanchi
sfibrati e stanchi sfibrati e sfiniti e senza pace ancora
atti
di indaffarata accoglienza
guanti di gomma di
dati medicali medicali sopra membra sopra sotto
sotto torbide nudità di cieli resi
vuoti
ma tu eri incondivisibile // trattenevi la parola per il troppo fervore
della chiacchiera altrui
// tacevi
//
nell’incanto malvagio delle voci
ho visto poco e poco so dell’ultimo sbarco
poco ho veduto molto immaginato
poiché pare nulla arrivi per caso
e qualcuno debba sempre pagare al fine di creare
180
una questione di un porto smarrito tra le onde ignare
non c’è stirpe non c’è sede non c’è luogo
non c’è spazio per i brevi riposi
paghi pure il qualcuno nessuno mancherà del racconto questa volta
ignorerai le lune sacre dei buoi divorati
la violenza dello smembramento i fumi intensi dei roghi
le timide braci mormoranti le ceneri blu sotto il vulcano
cessassero di piovere le piogge e
il nostro lato oscuro di nascondersi
nel lato oscuro delle estati violente
(cosa vedi cosa vuoi come mai sei qui nel pianto maggiore delle cose
dove le altissime catene nuvolose precipitano livide sull’alpe)
15 - 7
nel documentale stop di relazione o voce
le imagini
fluttuano in una drammatica descrizione in un
rinnovato palpito di dramma
oppure
accompagnate dalla presa sonora diretta del puro intricarsi incomprensibile di
rumori e voci il ricarico del commento rimandato a data da destinarsi in altre
sedi mancate
la
disumana natura si ripete nelle variazioni
il mare
colore del mare
la terra
colore della terra come sempre e
e il tragitto solo dei corpi
a costruire visibilità istituzionali
senza corpi nulla accadrebbe e ignare le stagioni rimarrebbero
accadute e innocenti
(così dunque
torturato astratto scisso separato sei
dunque
guardato a vista
ammonito premonito spostato deviato messo nel cerchio della separazione
riprendi il tuo piccolo ignobile saggio respiri l’odore del tuo corpo
il profumo del caldo entra assieme allo sbilanciamento molle della brezza
le azzurre montagne dell’età io valicandole ancora ritorno al tramonto delle
vecchie ere incontrandomi ancora e rinnovato)
181
16 - 7
non c’è luna stamane
nella mattina della notte e tu non condividi alcunché
corpi nudi si congiungono e dividono poi si separano e tutto ritrova
lo stato primitivo di inutilità
era ieri lo smemorante luogo del quale si pativa
la stenta cromia l’iridescenza stenta
e la stanchezza cronica oramai nei calchi ancora degli alberi da frutto
(cautamente si penetrava nello stallo
dominato dall’ordine recente di nulla modificare
di non turbare nulla della fine retorica di date non corrispondenti
e a ben vedere quelli erano bambini cattivi e faceva un caldo
orizzontale
aggiungici gli animali
sembrava
giocassero a memoria un
ruolo definito
attorno alla terra lanterna moschine nere compivano giri
una invadente afasia di vento la pigrizia dei suoli
le foglie stregate l’ombra di un volo sopra la tenda bianca
17 - 7
l’esempio giungeva dai circostanti luoghi i campi
mietuti i grandi alberi ai lati le complesse immobilità
del territorio dove si scorreva e l’apparente conclusione
forse indicava un futuro miscelarsi lunghissimo del clima
dentro albe vane degli azzurri inverni
dialogo segreto e redazione
di
fatti sconosciuti alle umane stagioni
di
ceva
dovremmo marcarlo questo anno maggiore
segnarlo sulle righe brevi del presente e poi
la meraviglia se appena incontriamo un sito alberato dice quanto
le regioni siano state storpiate
marchi la nostra attuale povertà
pensavo all’età alla fine protraibile nello slancio
ancora al corruttibile spazio dei corpi alla rilevabile loro
moderazione
il grande tempo si è disteso sopra il finito e lo sovrasta e lo rende inabile
l’ago della bussola leggieramente spostato
forse i luoghi forse i corpi o una onda di ipnosi dal
di fuori
calda la sera in notte sé organizza
182
18 - 7
il rancido arancio dei lampioni ha risalito impregnandolo l’ultimo
ottuso attonito cielo della notte abbassandolo a quote miserabili
rotola addosso la notte di ieri
nella stiva larga del corpo in semiluce
tutto accade nel giorno irraggiungibile
pezzi di voci e altro assemblati sghembi
in un confuso taglio di torpore
molto è accaduto senza fretta
proprio così
arrivato giunto a riva e stato lì docilissimo
privo della fretta dei ritorni
e si era
cresciuto nel tutore polposo della umidità
(per ore siamo stati a parlare e ore prima
accanto al giardino poi così irrilevante l’ombra nella casa davanti al focolare
inoperoso nel fumo dolce degli zampironi
la parola giunge da un gioco nervoso dentro al buio
l’inabile stanchezza si avvolge al corpo inabile dell’ora e quanto esiste
manca di contrasti nella inerzia completa di ignoranze cercate
(: passerà
la giornata dentro allo stile spazioso di deboli tensioni
augurale il piacevole questo testo dell’estate
quando si remighi incuranti del tempo
dentro alle scaglie di sole dei giardini)
183
19 - 7
difficile nascondersi al moto ingrediente delle albe
benché l’oscurità sia più distesa e
le ampie orditure del pensiero volgano
al dato scaramantico del quanto delle ombre
senza conoscere il limite sospinto nelle regole nuove
e i pianti di richiamo di animali
incatenati
la residenza stabile i compiti fissati si irrorano del vino del crepuscolo
dopo quanto agito dopo quanto annotato dopo anche le sanzioni prese
contro tentativi di evasione in ferie inutili sfuggite a devozioni
tutto per nulla ma pare altra variante non si apra
alla magra stagione dell’essere forse
altro non sono mai stato una finestra poco illuminata
un rientro in condizioni improbabili ipocrisia anche poco velata
un bisogno favoloso di risolvere
presto o tardi gli uccelli canteranno non uditi
(ma io non so nulla non vedo nulla io
non sento nulla adesso
anche una idea della poesia
sarebbe a dire il centro propulsore della vita
la scansione prevista di indigenza
tramutata in ricchezza inconosciuta
al tavolo da lavoro gli oggetti
mentre tu
crei nicchie di disturbo e fuga
la civetta ha aperto presto le stanze della notte
gridi secchi acuti quasi stenti e monchi
20 - 7
il rumore umano domina gli istinti silenziosi del buio
erodendone taglia e qualità né il farmaco ha aperto brecce al desiderio
il corpo nuvoloso della mente scontroso ha sillabato questioni di domani
il letto una regione inospitale minacciosa la postura degli oggetti ostile
tornano i fischi degli uomini diversi le membra dilatate le cose di nessuno
instabile creatura del tempo
quell’io indefinito
a tratti perso in un si contratto in uno spasmo
doloroso di assoluta ignoranza
184
21 - 7
in tale miserevole portento di inusitate vocazioni all’ombra
il giardino riscopre lontani mezzogiorni e inedite rapine
di riporti
il fischio degli uccelli si prolunga tra i fogliami polverosi
22 - 7
il profumo del caffè restituisce al confuso del mattino un riposo
felice quasi nei depositi
una azzurra geografia nel segno della tazza più preziosa
quella della abitudine della ripetizione
si aggiunga l’ingannatore annichilente caldo
la favola
delle condizioni le invasioni cosiddette
cui segua elenco e destinazione
cui segua anche traccia di lugubri parole di comando
scegli di stenderti a terra perché sempre e comunque alla fine
e dovunque si cade o si potrebbe cadere
interverrà in una cortina di soffocamento
la greve spossatezza di un movimento vano
distonia della gravità
timide le mani si ritirano dal campo della visione
e senza pena adesso l’ordinatore caffè riavvicina in questa età del mese alle
parole
rare in cui riapri la questione della tua nostalgia fata devota resa prigioniera
partirai a mezzo il giorno rivedrai riverente il mare
l’aria felice struscia sopra il pavimento tocca la nuca
la luna taglia perfida l’asse il pianeta proiettato lontano
185
23 - 7
il farmaco ha agito lentamente il farmaco della cupezza si è sciolto
dentro alla inerzia e ha ripetuto le forme sterili del movimento
passi lunghi delle migrazioni
di ieri il miscelarsi
frenetico delle moltitudini negli abiti delle
stazioni cosiddetti rientri indaffarati abrivi
dalle coste di cemento
le colline trasudano spengendosi dentro sporchi vapori
le anomale alchimie di questa notte
città dura archeologica
principia il resoconto su quaderni dettati da
brandelli stracci moralità stoffette
picchi di sole su i metalli
sfumatura mortale della luce schermata
sulle
foglie già ingrigite
colme della secca opacità
di compiti conchiusi
24 - 7
la coltre umorosa della notte d’estate non filtra la veglia e
nella veglia torna la grande solitudine
contro
il suono del resto di fuori qua tra gli oggetti
irraggiungibili e gli altri di fuori
passano automobili
grilli luminosi della tenebra
asfissia nelle passioni
atonia delle reazioni
poi
poi sei convenuto nel punto nevralgico delle cicale
nel centro del loro stordimento
i cammini là delle piogge la flessione dei rami del
noce il pianto felice del nocciolo ripetono il placido
canto delle erbe e della terra
186
25 - 7
di ieri il punto dove le cicale stordivano con ipnotico clangore forme
eccitate da uno stallo nervoso di aria nervosamente attorcigliata violenta
agli alberi
poco più in là invece
di nuovo
una bonaccia l’effetto raro di una attesa
cavalli a pascolare nel recinto una umana presenza in movimento
passaggi di cose nel mobilio neutrale dello spazio
l’insieme una teoria scorticata idee
invecchiate in troppi vaniloqui
sempre i cani sciolgono i lamenti
ti arresti alle prime cose segnali cartelli affissi strappati
strade sotto il colpo ventoso della vita
i polpastrelli
saggiano il metallo dei pali
indaghi il cielo tagliato dai cavi un rotolio di foglie
qualcosa di marino in qualche angolo dove corpi si spogliano
poi portati via
su mezzi di fortuna
(a settembre la follia sopirà in una claudicante aritmia
e si riparerà dentro altre scene
lotti contro i mondi possibili
poiché il mondo è già una possibilità)
187
26 - 7
qualcuno sa ancora giocare al vecchio modo
corse gridi finzioni di terrori
l’interminabile chiaroveggenza del cielo scopre alti naufragi di voli
sopra la piccola regione dove nascono gli echi
(uscito nel diverso aspetto del mese rispetto a una norma fissata non perché
mai invalicabile invero si era un volto severo di mese e forse piuttosto
coinvolto da un pianto di luna strano quanto momentaneamente diviso
lontano così ragionava la zona ombrosa dell’oggi quando poi risalendo la
terra ha divorato la nube)
pare pianga l’anomalia di sé questo mattino fuori da ogni mese un volto preso
da un lume strano e quieto dentro a una zona di adombramento lato e cosa
sia
tale calma e violenta poesia delle cose articolatamente ricomposte e aliene
// altri
riferimenti giungeranno dal variante appello
della mente ancora
poi sotto la cappa della notte quale rapimento
di incubi trascina i nostri corpi silenziosi e
avidi verso l’abisso senza profondità quali
colori neutralizzati attraggono a miraggi delle
umide cere dei mattini il sapore copioso dell’essere
fluisce nell’aria tagliente delle sirene e sopisce così senza misteri
188
27 - 7
colto nella indecifrabile frase della vita
distanziato da tutti isolato privo di
difese
il giardino nel calmo sostare della nube
assumi
(nel catalogo dell’oggi ossicini rosicchiati
rametti da bufere foglie già mature
sparse sopra i prati
le gestazioni oscure nei silenzi
non è l’analogia
parziale di una estate anomala bensì il
corpo felice degli autunni oceanici a soffiare tra i fogliami
e cosa sia tanto ristoro permane nell’onda delle loro esistenze
si assottiglia il dialogo tra le generazioni
le ultime non sapranno alcunché)
28 - 7
paghi pegno
così con una mossa sbagliata lo sguardo
colpito da una nuova prospettiva il luglio stordito dalla
ventilazione dentro una luce appartenente a altro
secante acuta nell’inedito
profilo dei luoghi (brevi sere di parole dettate
da un cortile i pipistrelli bassi leggende di
terrori le cose tutte passano dirai e l’anno pare scavalcare agosto
e giungere in un campo impreveduto
dirai le cose accadono quando
è il momento il vento raspa la carta alla parete
il calendario dove mancano i mesi)
nelle nostre infanzie cantano rintocchi profondi molto
dilatati di campane da distanze leggendarie da solari
silenzi da isole di verde e cose dense di vita addormentata
nei nostri anni primitivi e inesperti le campane giungono
portate da solidi venti della immaginazione dai bruni vapori
nell’era del tempo senza tempo
ghiaia come sabbia rosa
l’avanzamento della luna
i chiusi cortili del destino
189
29 - 7
nel concorso dell’ombra la testuggine amara della luna
dietro il nero fogliame non più
brilla abbacinante la puntiforme teoria dei metalli
toccata dall’ora del pomeriggio primo e si proietta
nella distanza chiara e profondissima e marina
nello spazio inusitatamente aperto
30 - 7
il grande anno è stato
così ma senza fine
il corso della luna in questa notte è
breve
tutto accade molto lentamente come foglie di presagi
recitate dalle voci miscelate dalle siepi
(trascinato nel momentaneo coma
nel rosso stordente degli enigmi nella mutila
ventilazione
l’assopimento degli altri passaggi
case strade affacciate al piccolo mondo distorto
dilatato l’abbandono completo dell’età)
31 - 7
persona indeterminata tra persone indeterminate
tentando di essere nel tempo sfuocato dell’epoca
nel nudo dove di una specie incerta cerca pilotata
dall’ombra degli alberi dal violento rimbalzo della luce
dalla violenza stessa delle cose pronte all’urto
e dove esse le cose si accablavano sotto era
un ristagno sucido colloso di melme di foglie e legnetti e
occasioni radicali di vortici
è così vuoto nello slancio un tale tutto
non fosse per le lune le sole lune piene
sopra i colli verdastri e polverosi
(luglio irretisce le promesse di agosto)
(si chiude la casa di luglio)
190
1 agosto 2004
si allargano miti i deserti di agosto
dove forgiano i canti gli autunni solenni
e dormono i metalli degli inverni fedeli
molti hanno lasciato la casa
quale ti chiedi la casa la conosci le orditure gli spioventi e i voli
e un sipario di luce oziosa nell’evolversi pigro del giorno
tempo rapito dal tempo movimento rapito dallo spazio
sottratto tutto tuttotutto sottratto dal trascinamento violento
dove manca un momento di sosta
ora fugge lo stesso piccolo campo di dominio
sulle azioni private sottoposte al lacerante divorante strascinamento
tortuoso verso il nodove e tutto è brutalmente scancellato e smantellato
e tolto in tale ordine disordinato di azioni fuorinoi di nogesta
nonoinonoi non comprendiamo la claustrofobica fattura
l’artificio maleficio stridente l’annichilente tedio
ove si disfa il tutto e si scompare
cosa sarà della tua specie rara sciolta nel marcio di queste aride zone
191
2-8
nelle grandi planimetrie postindustriali i passeri si posano persi sugli
asfalti abbandonati oltre le recinzioni di metallo cose immobilissime
come il resto pure finzioni cose campi tosati e alberi e siepi
tutto fissato in un punto di sosta adinamismo eccedente
e varcarlo fa male una natura inquieta torturata
nella bigia prigione del nocielo
(devi fuggire
andartene via da tale rito illegale dallo sguardo illegale dalla illegalità del
complesso cerchiato dall’odio
nessun volo possibile nessuna stagione
ulteriore si è qui nel recinto del finito davanti
alla unica resa dei resti
il mite emisfero è scomparso ne rimane il calco soltanto
rigore illecito di una separazione
le vite sono dove sono nelle città pietrificate nei particolari perduti degli
oggetti nelle lande dei corpi dove il corpo distende sconfinato
la sconfinata propensione a progredienti erranze rilanciate
3-8
il rumore di fondo perdura nel cuore del notempo del noora
poi si sottrae all’udito
nell’ordine grammaticale della vita
nel suono brancolante di quell’io
nella miseria bruta di quel noi
il petroso pomeriggio incagliato nell’afa subisce
caroselli brevi di brezze allucinate
tacciono le cicale tace e il resto
perdersi è nulla di un tale sentimento se poi
ritrovi un cielo e l’orma del tuo volto
contro la bianca aria di un orizzonte salso
delle domeniche i pomeriggi
nelle cucine
192
vuote
4-8
il trasferimento avvenne per crepuscoli blu
e fu regolare tra la apparizione della prima incertezza
e il canto squamato degli uccelli
fragili pareti di tufo accolsero deboli fantasie
e si scorgeva il mare il destino dunque di un rimosso colmo di afasia
siamo così ributtati a riva e mancherà il sapore pieno delle ultime estati
se mai giovi alla salute del mondo conoscere un tale odore di fatica e vita
da dove sorgerà questa aurora fredda struggente
da dove la frenesia di un assillo
accanto al labbro teso del volto di nessuno
(rammenti il tempo in cui la soglia traversava il tuo corpo
con la forma di oggettini di rimpiazzo / monete fuori corso
scatoline di cartone figurine su foglietti
pare - dico pare non esistano coincidenze e
neppure
concessioni)
193
5-8
il centro nevralgico dei sogni attribuiva alle
presenze animali sede e valore di prodigio
premonizione presagio
di un evento distruttore sarebbe eppure salutare offrire a tale
taglio di lezione mirando ai giardini trasudati
e a regioni di vortici celesti
tocchi corpi ai quali ti negavi per pura ipocrisia o per paura giochi
nel fulvo aroma della camera con l’effetto degli specchi deformanti
riconoscendo
però
l’antico volto di te
i giorni sono notti di vacanza accompagnate da screzi di motori
abiterai il tuo amaro quartiere un bilocale senza pareti nel sentiero di nord
sottoposto alle veglie animali ai randagi clamori di corvi e cormorani
starai
dentro a una povertà
spirituale scegliendo più piena vacanza
e immorale
teso al ripristino dei luoghi cancellati
il libero mese di gennaio divagherà verso gli
oceani cancellando il tedio morboso delle feste e gli anni rovinosi /
ancora risentiamo degli squallidi organismi ordinatori generati dalla
nostra ambizione /
il settentrione dei temporali
manda onde di ventilazione le stanze ristorate
poi una voce roca sussurra poco più in là
narrando un forse soffio dalle primavere
6-8
nessun golfo di credenza accoglie le visioni
salgono i falchi nutrendosi dell’aria
quanto dopo accadde
un temporale notturno
la visita livida sbiadita di poca luna bassa
sulla linea retta della tenebra
194
7-8
conosci sì e no le fiabe dei tempi pochi averi vissuti nei cassetti con le cose
amiche e passeggere resoconti e cataloghi di piccole ferite
nascondigli dietro ai grandi soli tumefazioni dopo le cadute
non sai chi sei non se sei stato o cosa
rimedi l’indice della postura
stanca
indichi l’onere di una stenta luna nel buio intorno il fiume il cielo gli echi
oggi accadrà come ieri se pensi ai cumuli di resti oltre la feria e il sole
cianotico il volto dell’oggi pomeriggio fatto di livido biancore e arancio
sotto bordure di afose spogliazioni meglio - come si è letto si avesse ereditato case erranti
8-8
sei cresciuto in un sentore di isole non sapendo quanto esse sottraessero
i profili ai regimi geometrici di mappe e meridiani ora conosci le isole e
le ignori ora cerchi l’arcipelago dei mari le fumose rapine della felicità
luna meticcia bassa sottovento
fluisce calma tra gli alberi a intervalli
9-8
i treni se ne vanno percorrono neri il lato più lontano del giardino
(hai ascoltato screzianti lamentose parlare le voci di altri
dopo lo scroscio sopra le erbe stanche
adesso raro il rumore vano anche il silenzio
o forse è l’inabile udito del tempo a giocare
inganni tortuosi nella pioggia i
mattini e le ombre di sole quando fradici
a metà dei giorni ci si risveglia rammentando i numeri)
mi sono adagiato accanto a partite giocate su tavoli di fortuna
accanto alla sorte di corpi travagliati scempiati dalla malattia
umori dagli sfinimenti colano
sopra metalli opachi rugginosi sopra il rotolio dei motori verso
coste inospitali profili di albe notturne
isole svaniscono sottratte agli orizzonti
195
10 - 8
il fiato della notte greve di ristagno la stessa
tenebra trasuda vapori dolorosi
nulla può salire verso l’alto
ma poi si indaga leggerissimamente ma poi
si è cosa si diventa come si rimane se
il buio non reca riposo se l’eccessivo giorno
coltiva rapido un ripristino di rare sorde tracce
ridicoli amori per le cose di altri il senso
di corpi lasciati sopra letti disfatti quasi si
avesse chiara una versione ultima
cogli il desiderio di volare via ma ancora ti leghi
al palo storto di una certezza dubbia
confidi incredulo nella sua resistenza evochi il culto
della residenza resto ultimo forse della irrequietezza
11 - 8
quando poi il corpo stanco cala su un altro corpo stanco
i movimenti si annullano risolvono alla tregua fino a
un domani molto defluito e ritardato
quando il corpo si abbatte su se stesso e coglie il
peso del tempo grande e illeso rimane il comune riporto
della veglia fino alla luce del domani assordante
illuso
giungeranno autunni assoluti porteranno
da est
il sollievo dei campi velandoli di rara umidità
tu non vuoi ferire le cose
196
12 - 8
lontani i grandi alberi nella prima vellutata nebbiolina
un faticoso forse si adagia ancora nell’oggi il ramo
del nocciolo gravita nell’orbita delle piogge di ieri
mondo oltremarino sotto il cupo fascino
della notte dopo
anni di rigore ancora tolleranti
giungeranno senza le visioni
ti spingi fuori da ogni origine
verso non più tormentosi terreni
13 - 8
negli impenetrabili cieli senza disegni
regioni
della ignoranza il giardino si apre nell’inchiostro della
della notte
dilegua verso i naufragi le
le alte nubi serene
la stella del mattino
la appenaluna
la dolcezza solenne prima
della aurora
sfilate le feste della estate concluse no
dimenticate
sfiorate oppure da un lato effimero di sapore incerto
e polveroso
l’uragano notturno caldo e allontanato
le insistenti zanzare le farfalle impazzite di luce
tutto accaduto tutto rotto via
197
14 - 8
è bianca l’alba sopra una linea di sterili oggetti
le mandrie agostane osservano i bianchi vapori
nei campi l’autunnale fraseggio delle rondini
nell’onda radente del sole si coglie il sommesso
proclama del dopo
fermi lo sguardo alla regione della notte dove
fioriva la meraviglia effimera il gioco dei fuochi
di artificio l’aria fredda
abbracciava un ritrovato infantile stupore
la pura attrazione verso le figure
protendersi e svanire e rifiorire ancora
15 - 8
qualcosa del tatto vetroso nel suono dentro al quale
risiede il movimento
l’intrusione sabbiosa in un
luogo illegale la magnetica chiarezza di una voce
sola
un piccolo vasto sapore di asprigno miscelato
al dolce di una sera (alla quale ritorni) e non sai quale
barcolli sotto te sotto linee di fuga
del notturno dilatarti agli esiti del vino
198
16 - 8
se mai fosse stata accettata la dizione dello
spazio senza fine avresti condotto l’indagine
oltre la gialla tenda sfrangiata in un ripostiglio
di oggetti smembrati sedie ad esempio o bottiglie
vuote e polverose lo stesso ricarico curioso
di una mediocre illuminazione
tale proprio
ricarico inasprisce la voluttà della fine
il senso anche del suo superamento
pare piuttosto derivare dalle terre la luna bloccata e
da uno stelo sottilissimo di nubescenza bianca
e diffusa condizione ove permango quasi intimorito
tratteggio di sconosciuto nell’abituale sito dove si è
residuo di altri eventi e giochi di lunghe permanenze
e ore brevi e minimi accaduti
17 - 8
nel molto discreto pronunciarsi del crepuscolo qualcuno pare ammassi
cose facendole rotolare di fatica
si sciolgono nell’ultima tenebra i muggiti delle stalle
di là dai monti oltre i limbi delle contrade
un arco più breve di sole il passo sotto i corni della
luna sparente
quasi una ricapitolazione delle forme delle
passioni crisi errore follia volumetria del sapere
un dubbio sorridente la sfiducia anche il limite
di sempre e della vita
199
18 - 8
modo diverso la visione forse il temperato compimento
dei giardini l’incredulo adattamento a un abituale
autunno delle sensazioni il principio di addormentamento
delle foglie
i merli vivaci sempre nelle albe
e
anche il vento indifferente alle forme umane dell’oggi
indifferente alla umana convulsione di una deriva
sognata a lungo conclusa qui nel dominio del
tempo il suo calo di tono nel poco di velocità
(episodicamente cose leggere levano
gli ormeggi da banchine aride ma i mari non
conoscono la dimenticanza e i fiori splendono
nei pertugi delle donne)
sarà
abiti ancora i quartieri di allora il nero muschio di
celesti scorciati il vellichio rapido dell’aria le facciate
alte in prospettiva
abiti i quartieri di prima del tuo
tempo scaduto pur sapendo la loro sparizione
19 - 8
il filtro sporco dell’afa ventosa ordina all’ora
considerazioni di fatto inattuali
riprendono i giorni a scorrere inciampando
sopra cloniche mosse di questa anestesia
vegli su due paesaggi senza pretenderne alcuno
l’inerte giorno in cui gli alti portici ancora
recavano scheggiature di recenti battaglie e i
disabitati corridoi il suono di un flauto nei silenzi delle aule
rimangono forme di pietà e incomprensione nel gracidio
permanente degli esseri sotto i pesi variabili dei cieli
un tempo popolati ora confiscati e sovvertiti
l’aria scorre su me sopra me sopra le superfici
del corpo disteso il resto della notte trasuda
sopra i suoli velando la pianura
200
20 - 8
il terzo decano non ha divinità protettrici pietre metalli talismani
trappole solo per i sensi
arretrano verso l’essenza
le vegetazioni
l’immateriale perpetuarsi delle
mutazioni trascina le cose verso un regime
di polveri brancolano e brancoleranno ancora
gli insetti vacillano le mosche spavalde
sulle pareti verticali in equilibrio statico
21 - 8
fatalmente hai dormito profondissimamente
hai bagnato le mani nell’aroma della nube
si ascolta adesso il temporale incombere
leggeramente proprio sopra noi
(difficile il recupero
delle intenzioni di racconti a te stesso narrati
da te
negli anni dell’apprendistato
eppure ne tocchi il sostrato
rifletti il tuo
stesso presente
l’intero cielo di questa nobile ora e distante ora
nel sud ovest
voluttà di una conquista
non violenta e chieta
22 - 8
nel regime dei sogni dell’autunno
freneticamente l’eresia delle rondini
lo sfioramento dei ventri su i suoli
farnetichio di foglie rugginose contro
gli screzi bianchi de i sentieri
il grande nord nelle foschie amorose
201
23 - 8
il crocile degli anni nel bianco e nero delle fotografie tagli
scorci casuali presenze ai bordi delle inquadrature
scorrimento immobile degli altri
altri sconosciuti o pertinenti il volto oltre il quale la definizione
non vela il valore scarso di resti o reliquie
metamorfosi di un crepuscolo cupo ombrosa luminosità di un agosto
sodo e universale un commercio di cose
già usate il bordo corroso delle foglie
la chiusura delle sere dove un’altra stagione
mi ha percorso
24 - 8
nell’alieno silenzio dei campi si appoggiavano allo spazio rumori di
stoviglie della cena
tacciono i cani nell’adombramento del sereno
(da discepolo a maestro - lo spazio del pensiero l’attesa del ritorno la
rifrazione magica di un suono
dunque anche l’arte di un istante
di annebbiamento e vergogna
/ rischio maggiore la disattenzione disciplina rimedio parziale /
ne consegue una teatralità smemorata una scena ipnotica
la fatica stessa
della
composizione poiché il fulmineo stordisce là
dove si chieda limpidezza e nitore)
e
il pomeriggio si incaglia in un’area adusa
smetterla con l’imprendibile ancora
202
25 - 8
avremmo potuto avere volti tagliati a metà
dall’odio e dal riconosciuto amore
vele piuttosto contro i fumosi apparati delle onde bianche
derivare da un segno delle carte
da una rivolta di fogli in un cerchio ideale di paura in un
taglio sulla fronte
ti è toccato pensare altro il caos nostro figlio
abbandonato a se stesso rinnegato
accetto il rischio del giorno vuoto di uno spazio prestato a
una incombenza nebulosa di un attimo di
risoluzione
nessuno giungerà a dirimere gli scarti
istintivi di cavallette piantate sopra i suoli toccasse
all’ignoranza ancora
un compito di preparazione l’estimo di una
eredità dono poverissimo totale misero di cose della vita
la traccia della luna è bassa incollata allo sfondo velenoso
viaggiare sottocosta per non perdersi
26 - 8
tra pietre bellissima giace
la libellula alla fine dei voli tra la graniglia bianca (in tali
interferenze della consapevolezza lo sguardo sospende l’arbitrio della
vista
sereno turbamento senza immagini contemplazione priva di figura
non prevedi ma sai tornerà l’amarezza alla sponda delle labbra
nell’incolore sublime degli autunni
la luna ondeggia in questo senza fine
tenti ancora un ritorno dentro all’alea notturno nuoti contro la corrente
delle ombre ricresciute
il fogliame fruscia nell’incertezza pulsante dei giardini
non è consentita alcuna sosta la ampiezza visibile dei luoghi
trascina sovente nell’inganno
203
27 - 8
lo smalto del cielo
la bianca intensità
delle foglie nei prati puri tronchi degli alberi
la stagione maturata
orizzonti variati nei mattini
dunque in tanta precipitazione vane sono le fatiche vani i principii
sciolte nell’aria le leggi
28 - 8
la pigrizia giunge impensata nell’ora inattesa del
risveglio vedrai il mare domani toccherai il placido cosmo della
laguna la luna di seta riflettere il corso dell’oscuro sereno
una parca foschia viola trattiene gli orizzonti molto prossimi eppure
spira quietante una matrice di corrente
fresca nel piano quasi immobile dell’aria quasi
afosa
periodo confuso forse forse troppo chiaro
un ordinato caos di dissolvenze per ogni credo oramai
senza futuro negli inselvatichiti secoli recenti
la delicata aria proferendo note al mezzogiorno di attese senza sfondo
la sera agiva con l’attrazione polita del cielo terso
e le immediate nature dei profili dei coltivi
204
29 - 8
spazi nebulosi vagavano le tensioni autunnali
irrigidimento bianco delle foglie
ostensione dei fiori contrasto di acutezze nei campi delle lune
ultimi abissi si offrono innocui
tele tessono donne pensandole la notte
quale spiro o il respiro di chi sollevi vorticandole le
stoppie e le pagliuzze facendole migrare a altri continenti polverosi e alti
nello sterile apparente equilibrio delle cose
quanto dolore giunga dall’impressione violenta del
sole in questi scorci di torride madri di
deserti
nessuno chiama nessuno ha nome adesso
dunque si vaga in terre di ignoranza
il cielo incluso nell’arco della loggia invero è
sfuggente e spaventoso (molto più ampio spaventoso sfuggente)
i rami del nocciolo non toccano la luna sopra la luna il segno delle piogge
30 - 8
hai popolato la casa di vecchie alterazioni
hai vergato il giardino con le nebbie di aprile
i frutti dormono ancora nelle scorze dei pensieri
ci si deve abituare a proposizioni andate fissandosi
in una tale recenza difficilmente
descrivibile dalla quale si originano inutili tentativi di ricondurre a
adolescenze e infanzie
//
cupure nette
le cronologie
gli stessi cosiddetti stati d’animo non si sa se varieranno le dimensioni
de
i vocabolari e
i
glossari sceglieranno di concludersi sommessamente
sommessamente tu ti tradisci e poi rinnovi i patti
sommessamente non aspiri a discepoli o maestri
scomporre la vita saperla tarata dalla conta
il corpo complesso della sbornia evapora molto
lentamente e si defila nei metri non precari dove
si vorrebbe dormire e non si riesce
205
31 - 8
l’alto spazio accoglieva della luna la grandezza tormentata
un po’ più in là nell’altro profondo della superficie dove non giungono i
sensi quale altra scena va artigliandosi aliena inimmaginabile
cogli lo spavento nel pensiero
il limite senza altro o l’altro dell’illimite
c’è un lato malato in questa provenienza di ventilazione
calda nella già afa lamentosa del primo
pomeriggio
le vegetazioni strusciano appena talvolta
si fa grigio e inquieto il mondo del giardino e non si sveglia
conclusione alcuna nella umbratile materia del clima
come bambini puramente indefiniendi e ebbri di essere stanchi
(si chiude la casa di agosto)
206
1 settembre 2004
l’ultima piena luna dell’estate ha vagato sotto livide nubi dopo lo scroscio
e il passaggio del treno e le parole recitate a memoria sotto gli atti
di un cielo feroce nella creazione del contrasto
non credi alla predicazione della fine
sfiori le teorie delle rovine cerchi campi a riposo dove l’ordine
del caos si ricompone
il vento intanto continua ancora caldo sopra le mutevoli ombre
dei fogliami e le maculate terre dopo le poche di ieri
piogge
scegli tra le pieghe degli eventi un golfo di meditazione in fasi simili
tese
di violenza
una interrogazione schiva ma
attenta nel tentativo di non cedere alla cruda conseguenza dopo
i corpi dilaniati e i fuochi spenti e le conte degli ammanchi
facili follie contro follie ineguali in queste date senza ricompensa
tocca una azione di arginamento
207
2-9
foglie minacciose ostili presso soglie dove
indurite restano quando i gridi delle civette contano
i frantumi della notte
è un dato il riposo delle mosche morte nelle trappole
dei ragni
poco alla volta si cade
si cade
poco alla volta
molto poco
alla volta ma
inesorabilmente si cade
e la palude e i giunchi e le rive di glabra mescolanza
ore
ore
ore
quando ti scrivo senza frontiere e le civette dormono e i cani attenti
tentano un riposo e io veglio sulla loro incertezza sui canali prosciugati
sul profumo biondo dell’autunno il sapore di fragola le viti ancora misto
allo sparso concime e sulla pelle un’aria bagnata di tramonto
(vagavamo perduti nel mondo conosciuto ignorando
le mani il potere di stringersi e violare e nulla si udiva
il murmure attorno delle cose che continuano
incerti di stupore
o del nostro destino la vacanza il senso dunque
del vuoto l’impossibile riempimento di uno spazio col si
del si è del si fa del si comprende l’erranza stessa in un esilio infelice o
quando capiti sublime e tranquillante
vedrai mi hanno detto
bianche lettere di morti infantili
le vele dei grandi orizzonti irregolari e tortuosi e scardinati
non cercherai ritorno alcuno protetto da nessuno da nessuno condotto
a compimento
208
3-9
come mai la pretesa di violare spazi altrui dove non sai dove
dove non puoi dove non hai protezione e nessuno ha invocato
il tuo nome
non sarai la apparizione prima
neppure sarai la successiva
dimentichi così lo scabro evolversi del destino delle rondini
(notizie di combattimenti alle radici di giovinezze siderali e squilibrate)
4-9
saprai mai essere sereno o la coniugazione dell’affanno
fino a un suo tacitamento e riposo
è liquido madido appianato il mattino
da un pallore perlaceo
ancora un poco
si risiede nella immobilissima stazione
del giardino in un ristagno scandaloso di
presenze nel fervore di una falsa decadenza
l’ombra del sole sfiora impalpabile
le foglie del nostro passato
recente
nei mondi pericolosi dell’estate gli animali
hanno appreso a vegliare esperienza essenziale
nelle spietate fioriture degli autunni
5-9
una brezza molto
timida sbilancia i rami del carpino
anche la rosa canina
si scuote danza un riflesso sul soffitto da un’acqua ristagnante
di tedio domenicale
sarà una sera lunga
i treni della notte partiranno a intervalli regolari
(avanzamento estendimento elevazione di muri divisori
senza soluzione di continuità)
209
6-9
le carcasse dei giorni giacciono sui prati
secche foglie presto macerate e rese polvere
foglie inabili bianche nello scempio
coerente dell’essere
7-9
dagli aspri grumi dei terreni vaghi sorgono insediamenti
e tutto è nulla e solo nulla è cosa
qualcuno ancora
pietosamente invoca la purezza
come mai come mai
dalle pomeridiane penombre rimangono assiomi
di una stagione definibile nelle
sottrazioni sottrazioni di riposo di colore sottrazioni
di calure permanenti ibridate all’aria che
prosciuga
8 - 9 (con mm)
l’alto cielo elevatissimo si allarga alla indolenza della vita di là
smarrimento o pura astensione appena placa ogni modo della visita
annullando la volizione valicamento quasi di quanto si era prima
la ineffabile statica dei ruderi i fieni falciati allineati sui campi
il nero brillante delle acque il brillio mesmerizzante dei boschi
nel vento torrido prosciugatore i passi condotti sul ghiaietto croccante
camminiamo dunque bordando praticelli quadrati dove cresce ancora
sghemba qualche lapide calcolando tra le date il quanto di una sorte
consumata
il filo della voce si dipana sul tema della equa misura
il modo della moderazione modo e misura e medicina
sotto le volte del tempio ormai pagano
questo l’inizio di un diario immite di una sequenza nella stagione bianca
nella immanenza della precipitazione
si biforcano le vite nell’effetto del saluto
210
9-9
stormi scompigliati propendono alla distrazione alla separazione
sconfinata la desolazione in questi portici dell’anno l’angoscia
rinascente per gli impulsi della vita
bianche scaglie lontane
rotolano via e i depositi avari delle carni
10 - 9
nella stretta vetrata tra le alte pareti l’azzurrocielo e liscio di cirri
oltrevarcato lo zenit verso nord
si assapora l’impressione di un
divenire incerto come di pioggia
consueti rumori di stoviglie non adagiano l’ora sulla posta della serenità
sognavi cammini universali silenziosi valichi tra i luoghi
covili dove placido l’oceano si ritira e sale e le bianche rose
crescono presso le mura e molto si specchia nella fase ventosa della notte
11 - 9
prolusione le sere più preste conducono una feccia corposa di tristezza
saluto sussurrato di voci sconosciute i giorni pugnalate nel plesso lunare
del corpo le ore
rasoiate sulla pelle dei pensieri l’odore
vicino della putrefazione impedisce al tedio
una assenza breve o la recita di un gioco una volta appagante
la ibridata caligine dei luoghi oppreme la afona malia
di un non cercato progetto
211
12 - 9
la delazione del giorno accade per allusioni sommesse a atti già compiuti
poiché già si è finiti e solo continua un rantolo tedioso
fino alla siepe dove un tempo regnavano i giochi
sarà un altro sbiavido sbiadito intento cosa fragile e opaca da neppure
sfiorare col polpastrello da neppure agitare con la cautela delle figure
approntate a difesa
//
nulla dei tuoi anni d’amore e di
apprendistato
nulla delle tracce possibili sopra ai corpi di altri delebili dunque e così
transeunte il totale nella feccia de i cosiddetti ricordi (di te so la sento
la felicità o meglio una tranquillità di te invece io
io continuo forse stupidamente per un eccesso di presunzione a stringere
i pugni contro la realtà
sorseggio dentro alla reticenza il caffè del mattino amaro
senza per questo ritrovare un equilibrio o motivo capace di indurmi alla
presenza e scivolo nei calchi
dello isolamento cercando protezioni di penombre
attonito sempre però stupito ancora
se ritrovo il volto riflesso da un vetro di finestra)
non morirai più giovane non puoi per anagrafe nonostante tu senta ancora
addosso una infanzia robusta ma fatua contemporaneamente
contemporaneamente non sai adesso spente le luci adesso spento
il possibile di un incantamento e non sai adesso quando
batte secca la pioggia la tettoia il prato
e l’albero stranamente rinato dalla speculante malattia
del denaro speso non hai il sapore meticoloso del talento
i nudi piedi delle donne sensuali risuonano sui pavimenti nudi]
(verdi cimici vanno spirando le schiene a terra sfiancando
le zampette in un inutile affannoso rovinio
si apparecchiano le piogge dentro una confusa situazione di sole tutelato
da foschi raggi generati dalla terra)
212
13 - 9
sono venuto a conoscere canzoni da altre regioni
tentandole sulle labbra della tolleranza
nessuna apparizione dai limbi riversi delle fumane
nessuna acquisizione dai mondi creduti
è questo solo isolato lontano da dovunque perduto in un nospazio
sconfinato colmo di terrori
(celebra così l’autunno i fasti di un ragno meticoloso e pratico
la pressione cinerea delle condense
qui siamo hai detto già spoglie del nostro futuro)
non sai dove dirigere lo sguardo
conosci l’apparente fragilità dell’epidermide di questi luoghi indeboliti
di esperienza il permutato gioco delle apparizioni il senso di una
superficiale sfinitezza
le cose
accadono però nell’equo romore delle nebbie
solo i corpi fatui dei voli delle nubi
14 - 9
per fortuna la pioggia bassa bassa abbondante livida sui campi dove
appaiono neri i boschi favolosi così il brumoso settembre si dilata
in una calda generosità senza ristoro
i fanghi nutriranno altre fami la sete un ripristino di mancati riposi
non comprendo come mai ostinatamente rinneghiate non i vincoli sciolti
ma le sane radici sputate sui volti di padri già defunti
la vergogna vi ha dunque catturato dunque viola abbacinato un morbo
sottile di croci una chiesa consueta e maledetta
non sapete fede o l’abbandono i volti vostri contratti azzannatori
non soffrono la critica voce degli innocenti e
gli innocenti continuano a morire
è al vento un rinato dolore l’addio l’addio dei meridioni e degli orienti
il caldo bacio della pioggia adesso
il declinante proposito dei boschi a scomparire neri nelle brume
213
15 - 9
trascorro le conseguenze dell’uragano
l’incantamento livido del nebulo dove posano ostili le foreste
l’aria feroce contro le foglie ancora i nuovi laghi nati nelle terre
il nervosismo inattivo delle rondini
trascorro gli esordi di questa età divisa
così vuota del tempo e dello spazio
vedo lacerati nembi sostare sopra il crepuscolo terso di metallo
vedo il plenilunio del sole nella fatua apparenza del giardino
ascolto domande sulla precarietà di un albero vecchio non antico
sopravvissuto al peso delle nevi e al bastimento raro degli uragani corsi
16 - 9
solo cataloghi impuri sotto le tormente e nella flessione spavalda dei salici
solo cataloghi aquiloni anche appesi a rami altalenanti
solo
equivalenze tra i possibili lontani e ammassi trafugati dal già stato
giocattoli di plastica feriti sedie zoppe vergate da rotture bacinelle
dove l’acqua si raccoglie
trattenuto dall’ordine di una ottusa chimica meraviglia nera rimango
nell’ascolto della pioggia mentre il mondo apparente si muove e si prepara
ripristinando le convenzioni delle ore della desolazione
tutto il settentrione occupato dal grande progetto del clima
e il sole nascosto prima del tramonto da una tesa nube viola
credenze e detti inducono pronostici di bufera ma era piccola l’ora e
gli orti obesi e generosi ancora e sicura la vecchia mura di mattoni
sulla curva dove un tempo qualcuno riposava
la vita altalena ancora tra i possibili dell’esistere e del non esistere
deciderà dove sostare prima o poi prima
di scomparire dentro all’ignoto divenire
stagione di irrequietudine estrema di dolore vuoto di angoscia le notti
dormite negli incubi del cuore ferite nere del volto di qualcuno
214
17 - 9
le notti non hanno postille si svegliano quando già l’alba trapassa
nella aurora e il sole filtra nello scudo viola sopra l’est ma la ombrosa
putredine dei regni scivola sul nord e dilegua nel grande campo polito
dell’occidente sereno sorridente
è una incertitudine grave negli animali misconoscere malintendere
scambiare il fruscio del vento col passo di un umano ancora
in un ottundimento equinoziale uno spavento innocuo
e la fiducia nella simulazione
18 - 9 (a giorgio)
poiché prestissimo l’accadimento del tramonto della
luna le acque del fiume in crescita
lo stupore dei ponti
mi hai condotto con te per le cerimonie di purificazione abbiamo varcato
le acque osservato dall’alto le forme le stesse delle terre percorso
le strade sorgenti da gli uragani
nulla di improbabile dopo quanto ricevuto
nella segnaletica delle costellazioni divorate
dalla onda chiara compagna della notte
torniamo felicemente illesi nel cospicuo ritrovo degli esseri
nulla sfiora l’esito dell’ora (non c’è medicina alla tua condizione
ricadrai puntualmente nella melancolia sempre un poco più spesso e finirai
calerai
col sole dopo il circolo vizioso di un noviaggio
dove hai ceduto alla smobilitazione a una sedizione di presenza tra i larghi
e brulli terreni e le coste di un argine macero e sabbioso
tutto lì era un movimento verso il nulla la conseguenza di un gesto
annientatore senza rovine o macerie tutto portato via o risparmiato in un
altro gesto di snettatura dentro al cielo senza nitore e spento e polveroso
dentro alla materia bianca del suo porsi sopra le cose sparite
se esiste ascesa è solo per ritrovare la disperazione creduta lasciata qui
tra le spoglie di tardive falciature nei campi tracimati oltre i cigli
della strada vuota
nulla rimane del corredo di poco valore
si ricade per sempre nell’odore neutrale della noia)
215
19 - 9
quali volti di pioggia succedono nello spaesamento dove ti rivivi
sotto i fluidi cammini dei soli nelle ragne taglienti delle vegetazioni
quali anelli donati e perduti tessono le gerarchie e dopo il declino
si ignora la stanza e il destino
zanzare ancora insistenti pullulanti sedi di formiche nere tra i
vecchi mattoni disturbati diamanti di fango tra l’erba dove
induriscono gli escrementi dei cani la fracida ora si asciuga
verso la metà del mattino nell’angusto cantone di una festa (i ricordi
i ricordi non esistono fantasie cianfrusaglie da mescole
dentro al mondo frantumato del dormiente)
cosa farai del piccolo specchio dove scopri parziali
denunce di una cosa chiamata presenza
20 - 9
una pacata deriva esistenziale trascina i passi nostri per le strade
senza nome di una città dove troppo hai vissuto e poco amata
le automobili tagliano veloci la linea ferita dello sguardo
seduti ai tavoli della semplice amicizia si vive fuori da ogni menzogna e
mi domandi se ancora si agisca nel nome di un qualche ideale
o per quote di sopravvivenza
il ritorno mi immerge in una notte diagonale sghemba senza lati
o profondità semi solo luminosi sparpagliati tra le nubi //
è piccolo
e nudo il giorno adesso difficile capire quale sia la verità
troppo felice no quanto scambiato ieri sera addosso si coglieva
l’alone soffocante di una già detta deriva esistenziale
di una magra della vita dentro ancora a una afa equinoziale
(ma
ho pensato
a chi chiede concedi la tua voce per apprendere
la forza della voce quando danzi consapevole variandoli
sopra versi condotti dentro al cuore)
216
21 - 9
foglie gialle gialle
farfalle su i prati
una stanca di vento
stanco onnivoro smanioso
sui bordi delle cose
nel pulviscolo magro lo sguardo
privato di passione
(tutti passati tracimati oltrevarcati in questo sconfinato
emisfero di spiagge opulente e vuote
dimenticate dalle onde)
spento il vento
il soffio macilento sopra le grigie sezioni
di un lamento corale
impazziti folli di
cacce gli
storni dilagavano smarrendo
le tra le alte colonne de
i moscerini autunnali e avveniva un colore ocra della sera
e la luna cresciuta
(siamo cosa cosa sarà del nostro colloquio notturno del banco
di credito della vita del modo ambiguo del mattino
a declinare un lavoro ancora)
217
22 - 9
un arco grande marca il confine del settentrione
protetto da una marea biancacea indistinguibile per qualità
poi regna il sospiroso ammonimento di una caligine morbosa di azzurro
sopra i campi terrei e l’interrogativo della notte nelle veglie
all’ora delle morti quando i sonni smascherano mescolanze
con l’altro cantone di terrori
il corpo sfiancato giace dentro di sé non ritrovandosi
sarà poi un’alba bradicardica a disegnarsi nel marmo del cielo
hai conosciuto da subito il placarsi della luce
nelle grandi bonacce degli autunni e le bufere
ma qui le consuetudini recano sogni di imbalbamento di
intorbidata magnitudine degli orizzonti
il nascondimento frequente della profondità
dunque una incapacità di risalita
di questi tempi risulta difficile comporre autorità
corpi di riferimento o un offerto talento da nessuno richiesto
per questo forse cerchi altre età
tenti tracce nelle stanze esigue
cogli il profitto da una finestra sola
resti attento fingendo sonnolenza e la stagione penetra le fenditure
i covi le derive nei pertugi le fessure
curiosamente intenta a crescere e colmare
l’arco dei cirri irretiva la luce guidandola dall’ovest del tramonto
a un est di albe senza tempo
a sud
sorgevano i monti
poi si è diffuso il miele del crepuscolo
218
23 - 9
il candore dei petali stupisce ancora così assoluto nella tenebra
e intanto la tenebra blu si scioglie sopra i marmi e divaga
tra le specie indistinte fino al prossimo chiarore
non vanno lontane le foglie dall’origine e nutrono le foglie di domani
risale il tempo il clima settentrionale
il grigio abbacinante dei salici il vento la natura minerale
di cortecce l’impatto violento della luce parafrasi impossibili
alimentano la quota della verità e ricadrà la pioggia
il suo profumo dopo
il caldo innaturale la pigrizia peregrina di discesa
la tempesta equinoziale vive del riflesso allucinante delle foglie
volte dal vento caldo primitivo soffocante
tutto si muove nulla si sottrae al necessario gioco di rapina
tutto confonde il terreo dei terreni la impossibile parafrasi dei luoghi
il canto già vicino della pioggia acuto
lo stillicidio lungo della vita in pena pare tutto si crea in dismisura
è la snervante forza della contrazione lo spasmo ultimo delle nuove vite
l’essenziale fatica del ripristino sotto le spoglie secche delle falciature
saranno poi apparenti consegne alla stasi pura non intaccabile mosse
nelle quote secrete del ritorno fatiche dunque o riposi o lunghe soste
nell’ordine congiunto
dei freddi e delle pose
oggi ricadeva lo spazio nel mare impenetrabile di bruma
e sovra essa risorgeva il cielo in una misura ineffabile
di spaesamento dello sguardo
219
24 - 9 - 2004
il tempo precipita nel tempo confusa la memoria spazza i corridoi
dimenticando il ricordo si disperde nei padiglioni vuoti delle collezioni
si apre la condizione massima di esilio
la bufera schioma gli esiti dei vertici flessi recando straccetti di foglie
frammenti di cortecce filamenti di nidi inabitati
nessun ordine regola i trapassi screziature venature altre e
si corrode senza corruzione e ogni correzione pare vana
l’avido strumento del clima non patteggia alcunché aduna foglie
nelle logge erranti cacciandole dai siti di deposito non
creduti vagabondi e le altre istituzioni dilavate e sciolte
come tutto dilegua in un istante di ipotesi mancata
come rovina l’impronta della stasi
non esiste una idea di salvezza decaduta l’antica illusione
non serve il timore erede delle corse
inutili paure sbandierano strappate
le vuote cartilagini dei corpi saranno polveri presto seminate
i racconti un mormorio degli echi quando i venti placati dormiranno
(notte tra 24 e 25 - 9
ore brillanti di bufera liberano forse dalla insistente sete di esistenza
la magnitudine tutta serena del cielo ha accolto i nostri corpi illesi
nel grande taglio delle stagioni
prendiamo la strada delle luci)
(si chiude il libro delle case celesti)
220
costellazione 2
221
222
26 - 9 - 2004
nel grande caos del mondo
la legge individua del verso
offre un approdo di misura
(quale vettore conduca lo stordimento del cammino della vita
non sai se sia
una scia dopo luminosa e breve o uno sfarfallio effimero
come di volo)
27 - 9
il grande lato pianto delle stelle copre le distanze dei cieli
sono finiti i regni celesti e i finissimi monti si smaterializzano e
giunti noi
a un punto di annullamento
abbassiamo le palpebre timorosi
28 - 9
lucida la notte e luminosa
trasforma nude forme delle terre nel grande incanto delle
migrazioni
29 - 9
le aveva lasciate così una impresa di demolizione
sbilenche cose cose di cose pezzi di resti ora separati
ora le sfiorano le voci e il vento
e sopra crescono semplici i fiori
223
30 - 9
sarà vostra cura cercare di non ascoltare di non farsi ferire
dalle chiacchiere di senza lamento
precipitare colti da una noia primordiale
ma poi ci si sottrae
ci si sottrae la notte nel passaggio
mite della luna
dentro il perimetro della finestra eppure
non sei particolarmente felice di questo prolungamento
della storia quasi di accanimento terapeutico sul corpo stanco
oramai senza speranza tenuto in vita dalle
tecnologie
224
1 - 10 - 2004
incomparabili silenzi gettano l’esistenza
contro la quinta di una scena spopolata
i drammi recitati non avevano copione e le parole forse
e i canti
forse
2 - 10
caldo malato coperto scoperto
modo ruvido dentro un clima perverso
/così risultano brutalemente scancellati ordini e confini
le mure basse degli orti dove ti pensavi
accomodato tra il ronzio delle vespe e le verdure
/ fiori recisi animali scomparsi e le generazioni
scabre trite già vecchie alterate
3 - 10
hai valicato l’estremo corso della tenebra fino all’albero e
ai campi delle stoppie larghi
[sapete bambini quando è il momento di smettere
volti sguardi feroci poi la campanella suonava
nulla accadeva in realtà
(il bosso dall’odore polveroso il frusto limite delle erbe
salta giù dal fienile
ebbene gli anni non hanno rumori dolori sì
alle reni ai ginocchi e le giunture dopo interviene il caos
non rammenti più nulla e te ne vai come eri arrivato)
avete divelto la porta ora la casa cadrà occupata dai venti
fili di lana frammenti/fermenti
- prova a contare se riesci il numero delle radici e l’altro le
stoppie lo sai ma dov’era il giardino domandi
una piccola falsa prospettiva il vano colore degli occhi ]
225
4 - 10
cosa piaga i fogli delle terre di adesso dimesse
cercatori inusuali ormai rari percorrono lente traiettorie tra
i resti poveri però generosi delle ultime promesse dei campi
raccolgono doni polverosi pannocchie dimenticate quando
ancora si palpa l’intento della umidità
5 - 10
ore
ore di amara solitudine impresse sulla futile pelle di luna
ore senza respiro e oscure nei fatui scempi covi del giardino persi
incredule forme di sé rinascono dai mondi delle nebbie nei
cretti dei campi
6 - 10
(ma è preferibile angosciarsi che organizzare - j.brodskj)
succede poi verso il mattino un falso arretramento del pensiero
istante pervasivo delle nebbie ferme dispiegate stabilite
e non ritrovi nella memoria benché breve
il ricordo della scorsa stagione
e l’altro degli altri scomparsi
(già l’hai donata ai torbidi impiastri
alle fatture già donata la vita a riletture di guasti testamenti
volute cecità scorrono via dai grandi invasi dove
il rantolo ultimo della notte
ipnosi è
e perdimento)
troppo lontano il canto per essere udito
ma l’eco continua non perdere la sua intensità
(avevi letto tutto certo non avevi capito)
226
7 - 10
è un ottobre rivolto alle notti fatto di
larghe densità
greve fradicio ammutito lontano
l’alta nube conduce al pensiero della inutilità
8 - 10
l’acre odore della vitamorta sale dalle strade profilanti
il rovinoso del fu territorio
spiace la sospensione dentro all’ora quasi
la stagione si dilatasse nel morbido cobalto del presente
9 - 10
amavi le fiere del paese le monete cercate rimaste perdute sotto le giostre
l’orizzonte della tenebra le mani della tenebra
il bianco ottuso del palpito notturno
(cadi dentro le mani della notte sprofondi
nell’opaco trascinato dai terrori
) ma quella era un’altra età un altro modo forse altro tu stesso
sempre era il tuo corpo ora lo sai fino a quando saprai
ma
questo non lo avevi immaginato
10 - 10
alta si offre a una inerzia muta
allora coglie lo stupore di quanto memoria possa nel dimenticare
/ forse sua sostanza
la deriva è grande nessuno però la vuole controllare
227
11 - 10
tensione massima cede a se stessa
madida limpida una pica indaffarata
sulla piatta carcassa di un riccio
fugge brillante all’attenzione di uno
sguardo smarrito dall’universo mutamento
12 - 10
la burrasca è sopra il nostro cielo lo
travalica trascende ignorando l’affanno delle nevi
la natura è ferma molto ferma
notti fredde
frammenti di
sogno nelle veglie
13 - 10
alba rossa
i corvi trasvolano grandi continenti del cielo
superano fedi difese
aspre riparazioni nell’alto loro silenzio
14 - 10
improvvisi inarcamenti delle foglie caricano di energia
le più tese relazioni tra gli ordini viventi e parzialmente si solleva il giorno
umido fazzoletto su un sedile
aprirsi di uno stormo sopra i tetti
228
15 - 10
cresciuti sono sopra l’altra riva
forse effetto di distanza
gli alberi
o
relativa
16 - 10
svegliàti nel brodo cupo grasso della nebbia gli umori a
a pezzi i corpi falcidiati lo lo odore affatto innocuo della putrefazione
ieri
nella visita
alle ombre le rive di là avevano aspetti troppo bassi
sprofondavano nelle acque triste dei futuri
ora dicembre alimenta le mute fresche pulsazioni di ottobre
il pomeriggio
17 - 10
dialogo sulla moderazione sulle misure dunque quanto accade
in tale fase matura del pomeriggio l’influsso largo della nube indifferente
sul modo già
dimesso della luce e l’aria mite ferma sulle ancora aperte pratoline rare
18 - 10
la nebbia si arrampica alle cose calma poi le annulla
229
19 - 10
illuminante periplo del pericolo
l’astro oscurato la ulteriore decimazione dei propositi
la notte ancora sotto la quale sei passato nascosto
il potere della vita
le proposizioni passive si complicano
non c’è oggetto non c’è complicazione
20 - 10
grandi alberi schiomati cedono violenti l’inclinazione massima
a una dormia palese e solutiva
sfuggenti materie di figure mutano nelle cornici delle allegorie
descrivendo quanto poco si fissi nell’io deficitario di una storia illusa
21 - 10
quanto rimane è nel passaggio nel vasto campo sventrato della storia
echi sordi campiture nere follie di corpi isteriliti
la quantità non consola e lo stanco sentiero convoglia a silenzi
ora amati troppo per inerzia
un dolce sereno nel campo dell’azzurro
saluta il piombo pacato in settentrione
così se ne va l’ultima estate
nel canto basso dell’ottobre incantato
230
22 - 10
non è il tempo a scorrere veloce
è
il vostro oblio di quanto si esperisce a cancellare il passo
a l’orma divorare
23 - 10
prima la luna cresciuta era visibile nella melma bluastra
melma l’ha assorbita
mossi per l’anonima regione dove
si è
poi la
24 - 10
vento leggero da sud raccoglie il dolore dagli occhi cerulei
guidandolo a altre lontananze
raccoglie posandola una enorme solitudine
protegge lo stato sereno di chi prima ha donato
piangono i prati la nebbia teporosa di questa fase ultima
231
25 - 10
traversa il corpo la lunga ferita della stagione
l’evoluzione cruda della putrefazione
tardo sonnolento regime di luoghi senza gravitazione
o fuga (sono dunque così tali violente cure di tempo
indurito nelle fiancate alte delle notti
delle
apparizioni
navigazioni sulle
terre
nere
riferimenti no o indicazioni
fino
alle secche della insonnia
fino
a
un istante di
disperazione
rivedi lunghe gallerie
il pudore le piogge calde
distruttive
si vive nella onda micraniosa
di una piana stanca immobile
e finirà la notte in lune mascherate)
26 - 10
(babele istituisce incomprensione in una lingua comune)
l’uggiolio delle bestie in gabbia rammenta la nuova disciplina
violenza differenza differenza odio odio obbedienza bene così
si giunge a punti di saturazione ove quanto si è appreso è sufficiente
noia bruna sensuale la sua periferia
il tedio la melancolia
un tremito fragile costante però ferisce definitivo
i corpicini secchi delle foglie sopra i rami
si aprono varchi nei folti
27 - 10
la grande mantide tenta lentissima la mura screpolata nel lato definitivo del
silenzio nella somma della quiete delle cose celesti calvi sentieri dell’essere
forse tra un solco indurito e le rocce morbide della irrequietudine
232
28 - 10
restava dunque una regione pura tra l’orizzonte stretto e il grande dipanarsi
della nube in una qualità tonale pastosa nel definire annullandola la
progressione delle terre verso i monti dove taceva sereno lo sguardo
29 - 10
grigi becchi di corvi piantano freddo nei campi erbosi
30 - 10
cosa era il cielo seduto sopra l’essere
spazio oscuro oltre lo spazio altro della nube e
il grande raggio della luna nel luogo delle meraviglie
la voce provava a tacere a
sopperire a tanto stuporoso mancamento e poi
dove si è accaduti nel resto delle terre solitarie sopra le acque
di nuovo cresciute
31 - 10
esauriti i tempi della riflessione aperti quelli della concretezza ma del tuo
passo nessuno si accorge nessuno si volge ai richiami (vivi di fragili
temperanze cadi poi nel bianco livido di una disperazione)
233
1 - 11 - 2004
cani bianchi vegliano corpi tesi sopra fondali mai immaginati mentre corre
l’aria del nord evadendo calda e tumultuosa (ti avvii alla altra parte della
origine la morte apre a modi diversi almeno credi o altro non riesci a credere
o sperare)
2 - 11
una polvere di sole sfiora la parete con l’incertezza estrema di
un ritratto d’ombra
covato nella scuola del mattino primo
il tremore dei rami
distonica salute di una fase calda
inutili le dunque sedizioni
3 - 11
ultimi pare momenti
avvertimenti prima del compiersi
di sere mostruose di calura e corpulente ancora
4 - 11
il breve pomeriggio di novembre scivola avvolgendosi alla sera
sugli insetti sorpresi dalla morte in atti comuni quotidiani
morte non forse accordo con gli esiti della stagione
234
5 - 11
nell’impercettibilissimo andamento della dettanatura
i ragni tessono tra rami e pareti
mitemente scompaiono miraggi
all’alternarsi delle maree
6 - 11
le grandi acque alimentate dalle piogge hanno annullato i confini
si valicano dunque i terrori navigando nella tenebra madida
senza l’aiuto delle costellazioni
si giunge oltre i veli di presunti misteri
alle radici
tutto
è fermo e vasto e senza luce e immoto
7 - 11
oggi di larghe solitudini sparse intoccate intoccabili ancora più solitudini
deserti asfalti romite porzioni di cielo stormi di piccioni adagiati e in volo
lo splendore miracoloso di un riflesso isolato
la rabescata evoluzione dei mosconi fino all’accadimento del tramonto
8 - 11
tutti se ne vanno dai sogni oltre i mesi celesti di una riedificazione
oltre fogli disordinati con oggetti precisi nelle tasche
resta il soffio dopo
di un nome
pronunciato all’orecchio del dormiente
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9 - 11
dal sommo del naturale anfiteatro si spaziava verso la
origine del mare delle nebbie e presto ti avrebbero annullato
i cani delle cacce scuotono sinistramente il giorno
dormiente nel siderale giaciglio delle brine
10 - 11
piove una bieca maestà dalla stagione
da quando abbiamo dimenticato l’altra vita
e diventati uomini annusiamo il sapore della decomposizione
andamento primitivo delle cose
11 - 11
il pensiero si organizza nei taciti destini della sparizione
certo le cose erano le cose scempiate
e gli esseri di stirpe adusa alla ignoranza
12 - 11
la notte gronda lungo i muri sporchi e i rari lumi accesi
nell’arcipelago voluminoso di inquietudine a volte
è un rintocco di metallo o l’altalena di un qualcosa di invisibile
lasciato
in un dileggio neutro
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13 - 11
il pettirosso appunta l’alba al cielo coi chiodi rudi di richiami brevi
alba febbrosa febbrile frettolosa
14 - 11
sorride beffardo il mondo contro le vicissitudini del
mostruoso umano mestiere
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silenzioso immobile si dilata il tempo del giardino
indolore e ignaro di destino
solo luce e penombra si avvicendano poi la pioggia cadrà
e ascolti il dolore delle cose lontane
quasi l’inverno fosse già finito
(la tensione massima tra due estremi è
tensione minima di un estremo con se stesso)
16 - 11
così l’emisperio cangiante delle brume arretrava fino alla oscura materia
del monte e delle catene
azzurre
tocca duro
il veleno aspro del presente
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17 - 11
caduto in questo giorno oscuro coriaceo vitreometallico senza profondità
icone di opaca madreperla
18 - 11
nei giochi solenni di una sorte senza volto nel riso sguaiato della inquietudine
si situa la faccia inerte della stonata orditura della vita
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diramazioni piuttosto e oramai si erano superati i limiti dei freddi il senso di
una sicurezza il tramonto della luna tra i lampioni
20 - 11
la ascetica notte
induce a scappare
tra fiere e lumini
di vecchi paesi
21 - 11
forse lo sguardo un ritratto forse la memoria del nemico
ritorna l’antica paura ritorna l’amplesso delle ombre
sereno lontano incomprensibile
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22 - 11
nel momento del distanziamento il mondo estremo salutava
la zona del passaggio
stabili i boschi risaltavano
nella iride di quella condizione
23 - 11
camminare nel tempo sopra il tempo perdersi
nella inflessibile presunzione dei corpi
insistenza di un rapido declino
24 - 11
madido freddo appena soffuso dalla luce viola della foschia
gli alti schemi della stagione regolano lo sguardo
verso le prime aperture dell’alba
(non ci sarà mai confronto corretto col tempo
forse un momento di solo paragone)
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dai vapori dell’est pare la luna pallida e sottile nella forma
le terre a volte si muovono onde compagne di rumori verbi di
oscuri mormorii
e poi si cullano nei sonni primordiali
239
26 - 11
si è fatta del discorso
l’anomalia del tempo
27 - 11
più in là resiste l’intatta stirpe dei deserti
lo spazio inviolato della provenienza
la possibile forse risonanza
profonda del canto dei boschi il
silenzio delle latitudini
28 - 11
la terra ancora si muove
qualcosa la spinge alla deriva
29 - 11
dopo su i riflessi degli asfalti
irrorati scuri le foglie sono
draghi magri nervosi arrembanti
30 - 11
così ti penso
non riesco a non pensarti
nelle occasioni di un luogo dove nulla sa più
veramente essere il mare la deriva
le grandi alghe dormienti sulle rive
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1 - 12 - 2004
deserti bluastri e più in là una corpulenta densità
nere bianche sculture del caso sul bruno delle zolle
2 - 12
i cipressetti giovani oscillano
una ala nera ha svoltato prima
della
percezione
3 - 12
coloro che hai sepolto
non sono tornati e
neppure le loro stagioni
4 - 12
un sole d’ombra vincola la stanza
a una setosa armonia senza contrasti
le ferme cose invero appena accenno
sorti leggere di un basculamento
241
5 - 12
fuori una guerra nera silenziosa occupa
i gradi diversi dei luoghi totale lo oscuramento
si ascolta l’allibita qualità degli eventi
nel loro accadimento inesorabile
6 - 12
in questo vincolo spasmodico
universo lugubre tortuoso
mese spaventoso di troppe date
senza canone o misura ancora
forse salverà la pioggia
o tornerà la folle paura
delle crescite
7 - 12
certi anni si è dimenticati
dagli anni
8 - 12
sonni espliciti delle nature
imbalbamenti estreme
nuove fioriture
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9 - 12
bella un oggi di allora
questa terra di schermi
e visioni
10 - 12
liquido ghiaccio di notte era
stanotte nel tramonto di orione
11 - 12
gli esseri muovono nei silenzi industriali
grattati silenzi dal romorio perpetuo
regime dimesso di una vita già morta di una
falsa vita negli agglomerati delle riproduzioni
si giocano così le annotazioni
vicinissima l’origine della sera
la neve appena su un margine di monte
un canto accompagnato da tamburi
il passo lontano più lontano dopo
là c’era la pace un punto di felicità
la fine strana di un mondo la
fine della storia
243
12 - 12
le apparizioni sono esistite molto prima dei vostri arrivi
tra gli alberi neri e i bianchi rami di neve
(ho letto sul tuo volto
una marcata stanchezza il caldo morbido del tuo vagabondaggio
// in verità sono caduti i sogni tutti quasi
- mi sussurri sopra gli estuari di agosti intolleranti //
un sospiro più acuto di una lama nel cuore
e ancora le apparizioni e non sei nulla tu
il velo nero
la muraglia blu
un cadavere di muro venuto giù nei giorni del terrore
il resto allora giungerà dalle propaggini più vere del tuo amore
13 - 12
sulle brute terre sulle grevi rive delle acque non bevute
accanto a pali di metallo e segnali scrostati tutto questo modo
inusuale di
ripercorrersi di
avere un nome di
menticarlo subirlo per una breve eternità
14 - 12
rumore fine solo come di
briciole sulla stagnola o altro un neppure accaduto
sollevato perduto
nei pianti di un corpo abbandonato
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15 - 12
tutto molto queto sospeso nel progresso del pallore
dell’acido sole basso nei giorni intensi di ghiaccio
un pietoso rigore di silenzi adesso
16 - 12
livido lume inombra i corvi in semiconcretezza
focolai di nebbia
aprono al capovolgimento di una tesi quando
si covi un nido quando
si viva una era di tenacia
17 - 12
si pensa all’irrimediabile su cui si gioca
necessariamente con tutti i rischi del gioco
l’ineluttabile l’irrisorio si era
già vivi non lo si sapeva qualcuno ha vegliato poi svegliato
dal tumulto buio dei sogni
18 - 12
dunque tornati da deserti assoluti dalle sponde mancanti
dai perduti abitati delle larghe notti e prima
solo articolato il filo della via
dopo
una rada greve pesa acqua martellante i corpi
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19 - 12
foglioline accartocciate allargate dalla aria separatrice
sui bianchi pavimenti delle logge presiedono immobili
comporsi limpido dei giorni rossi delle nevi
bianche
20 - 12
il campo fatuo della luna si perde
nell’impalpabile grande improfondo
esasperatamente senza lenimento
21 - 12
visitare le ceneri poi
sussurrare un saluto
(alimenta il fuoco
umile della
conoscenza)
22 - 12
edifici sabbiosi avvolti
in una soluzione di quarzo
arcano polveroso del clima
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23 - 12
difficile era l’isola per i ponti trattenerla
ai bianchi approdi delle terre ferme
l’aria carica di mari fragrante si perdeva
crescevano speranze di momenti altri
o forse l’isola era uno dei raggi incommensurabili di una ruota di luce
variazione tra i possibili della esistenza e
la sonorità predicabile di una sfumatura
24 - 12
vivi intervalli di anomala indifferenza
dunque senza età
il ritmo blando delle alternative
si scioglie lento senza soluzione
25 - 12
poi uno spolverio di pioggia su attimi di superfici dove camminano
goffi i trampolieri
giorni di ruvide consegne di gridi laceranti
morti violente nelle rancide acque degli espatri
26 - 12
la tua figura avara
alla deriva
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27 - 12
le costellazioni non lasciano scie
costellazioni dai nomi futuri
dialoghi di sguardo
albori senza luce
28 - 12
le cose le anche più dolorose ora adesso pateticamente sfumate
esse non sono più e non sono e nessun tempo verbale o modo le
ricovera nella incerta ancora certezza della ora
29 - 12
morbosamente aggrappati all’insanabile cura
inconsapevoli ancora del fragile gioco dei vincoli
30 - 12
parole di ieri incenerite / ( )
30/31 - 12
sulla luna languida dilaga
l’amplesso affusolato
di una nube
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31 - 12
la musica è tutto un tempo morto che va riempito (g.t.)
il libro si chiude sull’immobile declino
sul declino inesorabile delle costellazioni
sul tramonto delle strade
sulla insorgenza massima di tenebre
si
chiude
senza risposta nei fiori delle brine
su uno smarrimento senza fine
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INDICE
6
Introduzione
9
Costellazione 1
19
Il libro delle case celesti
221
Costellazione 2
Prima Edizione
Febbraio 2013