Contributi pratici - Associazione Consigli Ordini Provinciali Medici

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Contributi pratici - Associazione Consigli Ordini Provinciali Medici
Contributi pratici
Presenza di E. coli O157
in suini alimentati con
siero di latte
CONTESTO
L’Escherichia coli O157:H7 è stato
identificato per la prima volta nel 1982
come causa di una epidemia di colite
emorragica e sindrome emolitico uremica negli Stati Uniti. Da allora questo patogeno è considerato la principale causa
di diarrea emorragica ed è isolato da coprocolture come terzo patogeno dopo
Salmonella e Campylobacter.
Tra il 1983 ed il 1991 si è verificato un
aumento esponenziale del numero d’infezioni da E. coli O157 verocitotossico:
nella sola Scozia si è passati dai 10 casi
del 1984 e 1986 ad oltre 200 casi nel 1991.
Il maggior tasso di infezione, però, si è
registrato in Canada, paese in cui routinariamente si esegue la ricerca di E. coli
O157:H7 negli ospedali e nei centri di
salute pubblica.Nel 1987 vennero identificati, infatti, nei laboratori
canadesi 1342 casi positivi
(5,2 casi per 100.000 abitanti).
Dal 1993 si è registrata
una diminuzione del numero di infezioni in Canada ed in Scozia grazie all’introduzione di piani di
prevenzione. Studi canadesi hanno evidenziato un
rischio maggiore di contrarre l’infezione per i soggetti in continuo contatto
con il bestiame. Incidenza
maggiore, inoltre, si è rilevata per i soggetti appartenenti ad aree rurali.
Il numero di reports di
epidemie e di casi di malattia è, comunque, in costante aumento in tutto il
mondo: i soggetti più frequentemente
colpiti sono i bambini, gli anziani e gli
immunodepressi.
Principali imputati per la comparsa
della malattia nell’uomo sono gli alimenti:in particolare sono chiamati in causa la
carne poco cotta, il latte non pastorizzato ed i prodotti da questo derivati. Punto
cruciale è rappresentato dalle operazioni
di macellazione e di mungitura durante
le quali feci animali contenenti E. coli
possono contaminare le carcasse o il
latte. Buone pratiche igieniche di macellazione, quindi, possono ridurre drasticamente il rischio di contaminazione delle
carcasse. Recentemente è stata messa in
evidenza una correlazione tra la positività fecale e la contaminazioni delle carni:
casi di elevate positività nelle feci bovine,
si riflettono, infatti, su una maggior presenza dell’E. coli O157 nelle carni.
Non bisogna dimenticare la possibilità di contaminazione dell’acqua, in cui il
patogeno può sopravvivere a lungo: sono note, infatti, alcune epidemie idriche,
associate all’utilizzo di sorgenti o pozzi
contaminati, o dovute ad immersioni in
acque non clorate.
Frequenti, inoltre, possono essere le
contaminazioni crociate in fase di produzione: numerosi, ad esempio, sono i casi
riportati dalla bibliografia di infezioni
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L. Decastelli*, G. Ru*,G. Brizio**,
D. Gentile**, S. Gallina*,
A. Caprioli***
* Istituto Zooprofilattico
Sperimentale del Piemonte,
Liguria e Valle d’Aosta
** Servizio di prevenzione, ASR 17
*** Istituto Superiore di Sanità
alimentari dovute al consumo di succhi
di frutta non pastorizzati.
Nel nostro paese il primo caso di
infezione da E. coli O157 venne descritto nel 1988, anno in cui si istituì il sistema
di sorveglianza nazionale della sindrome
emolitico uremica (SEU) in età pediatrica, coordinato dall’Istituto Superiore di
Sanità.
Tale sistema di sorveglianza, su base
volontaria,ha permesso di identificare,dal
1988 al 2000, 245 casi di infezione da
Escherichia coli verocitotossici (VTE C):7
casi appartenevano alla provincia di
Cuneo.
In Italia gli studi epidemiologici forniti dal sistema di sorveglianza della sindrome uremico emolitica (SEU) hanno
permesso di dimostrare come, nel corso
degli anni, non sia stata rilevata tendenza all’aumento, pur registrando due episodi epidemici; è, invece, evidente la
stagionalità con cui si presentano i casi, con il 59,6%
tra giugno e settembre.
Sull’intero territorio
nazionale l’85% di questi
pazienti era rappresentato da bambini al di sotto
dei 6 anni di età. L’incidenza dell’infezione da
VTEC si è così assestata
intorno allo 0,2-0,5 casi
per 100.000 residenti nella
fascia d’età 0-15 anni. Si
tratta di valori piuttosto
bassi (4-5 volte inferiori)
se messi in relazione a
quelli rilevati in Gran
Bretagna, Germania ed in
molti altri paesi europei.
Con l’emanazione del Decisione
253/2002/CE, anche la Comunità Europea ha voluto affrontare questo
problema emergente inserendo le infezioni da Escherichia coli enteroemorragici (EH EC) tra le malattie
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con obbligo di denuncia.
Studi condotti esaminando stipiti di
E. coli isolati da bambini con diarrea
hanno potuto identificare che solo una
percentuale tra lo 0% e lo 0,8% dei soggetti malati era effettivamente infettato
da VTEC.
La situazione italiana, però, rimane
piuttosto carente dal punto di vista diagnostico: solo un terzo dei laboratori, infatti, include la ricerca e l’isolamento di
E. coli O157 nei propri protocolli diagnostici.
Per questo motivo non si deve escludere una sottostima del problema E. coli
O157.
Il bovino è considerato come principale fonte dell’infezione umana,in quanto specie reservoir di VTEC ed, in particolare, del sierogruppo O157; la prevalenza nei bovini risulta comunque essere
piuttosto bassa (spesso inferiore all’1%)
ma può, occasionalmente, essere più elevata, come accade negli allevamenti epidemiologicamente associati a casi umani: studi condotti sugli allevatori hanno
dimostrato una positività maggiore in
questi soggetti rispetto alla media della
popolazione.
L’Escherichia coli può, comunque,
essere ritrovato nelle feci di molte altre
specie tra cui ovi-caprini,
suini, cani, gatti e polli: anche questi animali, come i
bovini, si comportano, nella maggior parte dei casi,
come portatori ed eliminatori asintomatici.
Negli animali, però,
l’infezione da VTEC è responsabile di due patologie ben definite: nel suino
causa la malattia degli edemi, mentre nel vitello è responsabile di un’enterite
emorragica. Quest’ultima
forma, peraltro piuttosto
rara, viene numericamente
superata da infezioni del
tutto asintomatiche che
sfociano nella eliminazione fecale del patogeno.
L’eliminazione con le
feci è solo transitoria, avendo una durata
variabile tra le 4 e le 5 settimane; l’animale, inoltre, difficilmente presenta una
sintomatologia evidente tale da permetterne l’identificazione clinica, specialmente se si tratta di soggetti adulti. Il
numero degli eliminatori fecali, inoltre,
tende ad aumentare nei mesi estivi.
In un recente studio italiano, sono
stati isolati VTEC 0157 dal contenuto
intestinale di un suino macellato:tale studio ha messo in evidenza come il suino
positivo provenisse da un allevamento in
cui l’alimentazione comprendeva siero
di latte bovino. Questa pratica, molto
comune in Italia, potrebbe essere il
punto cruciale per il passaggio del E. coli
O157 dai ruminanti ai suini.
OBIETTIVI
La diffusione dell’E. coli O157, e la
sua presenza nel suino, sono tematiche
non sufficientemente approfondite: questo lavoro nasce proprio dall’esigenza di
verificare la presenza di tale batterio
all’interno della filiera suinicola ed in
particolare tra gli allevamenti potenzialmente ad alto rischio in quanto utilizzatori dei residui della caseificazione per
l’alimentazione dei suini
La situazione all’interno dell’A.S.R.
17 (Savigliano, Fossano, Saluzzo) ben si
presta ad un’analisi realistica della situazione regionale piemontese; nella zona
di competenza di tale Azienda Sanitaria,
infatti, si concentra la maggior parte
della popolazione suinicola regionale.
MATERIALI E METODI
Lo studio si è articolato in più fasi:
– definizione piano di campionamento;
– prelievo di campioni fecali in alle-
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vamento o al macello;
– isolamento ed identificazione di E.
coli O157 dai campioni fecali;
– in caso di esito positivo, prelievo di
campioni di siero di latte non pastorizzato e successiva analisi;
– caratterizzazione genotipica dei
ceppi isolati basata su saggi di PCR
utilizzando primers specifici.
CAMPIONAMENTO
Lo studio è stato condotto nel periodo compreso tra Maggio e Ottobre 2002
all’interno dell’ASR 17. Sono stati selezionati per lo studio sei allevamenti all’ingrasso operanti sul territorio Piemontese in cui gli animali erano alimentati con siero di latte di origine bovina.
Sulla base delle informazioni ottenute
dagli allevatori coinvolti,si poteva prevedere che nel periodo in oggetto sarebbero state inviate al macello 12 partite di
suini, con un numero di capi per partita
oscillante tra i 500 e 6.500. La dimensione campionaria pari a 500 suini è stata
calcolata in modo da avere una probabilità del 95% di individuare almeno una
carcassa positiva nel caso in cui la contaminazione fecale raggiungesse una prevalenza minima del 0,6%. I campionamenti sono avvenuti ad intervalli di circa
due settimane, quando ogni partita era inviata al
macello; per ogni giornata
di prelievo, sono state
campionate in modo casuale 42 carcasse, per un
totale di 504 campioni. Il
numero complessivo di animali, provenienti dai sei
allevamenti, macellati nel
periodo maggio-ottobre è
stato di 36.144, con una
mediana per partita di
1.675 suini (primo quartile 1.425, terzo quartile
5.650).
ANALISI
MICROBIOLOGICHE
Le analisi microbiologiche per la ricerca di E.
coli O157 sono state eseguite, su campioni fecali, presso il Laboratorio Controllo Alimenti dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del
Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta.
Le prove sono state effettuate utilizzando la norma AFNOR BIO 12/8-
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07/00; tale metodica prevede l’utilizzo di
una tecnica di immuno-enzimatica (EL
FA). In caso di positività, le conferme
vengono eseguite secondo la norma ISO
16654:2001.
La procedura ha lo scopo di determinare la presenza o l’assenza di E. coli
O157 all’interno del materiale fecale.
La procedura prevede, in primo
luogo, l’utilizzo di un terreno di arricchimento, il modified Tryptose Soy Broth
novobiocina (mTSBn): in una provetta
da 9 ml di tale brodo viene pesato 1 g di
feci per venire successivamente incubato
a 41°C ± 2°C per 6 – 7 ore.
A fine incubazione si trasferisce 1 ml
del brodo ottenuto in una provetta contenente 9 ml di Cefixime Tellurito
MacConkey broth (CT-MAC).
La provetta contenente CT-MAC
viene incubata a 35° - 37°C per 18 - 24
ore; trascorso tale periodo il brodo viene
separato in due aliquote: la prima, termizzata, è utilizzata per l’identificazione
ELFA, l’altra viene conservata ad una
temperatura di 2° - 8°C per eventuali
prove di conferma.
La tecnica d’identificazione immuno-enzimatica ELFA prevede l’utilizzo
del Kit VIDAS ECO:tale kit,presente in
commercio, permette di determinare la
presenza o l’assenza dell’antigene O157.
In caso di esito negativo l’analisi si considera conclusa. Se, invece, il risultato è
positivo si predispone l’immuno-concentrazione e l’isolamento del germe su terreni selettivi: questo ulteriore passaggio
è necessario per poter individuare i falsi
positivi.
Il test d’immuno-concentrazione
prevede l’utilizzo del kit commerciale
VIDAS ICE: utilizzando i pozzetti del
kit si eseguono le semine su terreni
cromogeni selettivi. Parallelamente
una semina sui medesimi terreni è eseguita utilizzando il campione di CTMAC conservato.
I terreni selettivi utilizzati in questa
fase sono sostanzialmente due: il Sorbitol MacConkey agar (SMAC) e il Cefixime Tellurito Sorbitol MacConkey
agar (CT-SMAC).
Dalle piastre così ottenute si preleveranno, dopo incubazione a 37°C per 18 24 ore, 5 colonie sorbitolo negative e 5
sorbitolo positive;le 10 colonie prelevate
verranno seminate su TBX, MacConkey
e acqua triptonata.
Le colonie contemporaneamente
lattosio positive, b-glucuronidasi negative e indolo positive venivano sottoposte
ad un test di agglutinazione al lattice, e in
caso di positività, al saggio di citotossicità su cellule VERO e alla verifica mediante PCR della presenza dei geni eae,
vt1 e vt2.
RISULTATI E DISCUSSIONE
Non sono state riscontrate positività
nei 504 campioni esaminati. 45 campioni sono risultati positivi all’ELFA ECO
e sono stati successivamente testati con
l’ICE. Un solo campione si è dimostrato sorbitolo-negativo, positivo al test di
agglutinazione al lattice ma, analizzato
in PCR, ha dato esito negativo per la
produzione di verocitotosine e per la
presenza dei geni vt1, vt2 e eae.
L’assenza di positivi trova accordo
con le basse prevalenze rilevate in altri
studi Italiani ed europei.Inoltre lo studio
sembra escludere che la pratica di somministrare ai suini siero di latte bovino
possa essere favorire la diffusione del
batterio.
Le positività riscontrare in altri lavori sono più facilmente riconducibili ad
errate pratiche manageriali di gestione
aziendale, alla promiscuità tra suini e ruminanti e alla contaminazione accidentale dell’alimento. Non è da escludere,
inoltre,il coinvolgimento di insetti e roditori nella trasmissione di E. coli O157.
La bibliografia è disponibile presso gli
autori.
Il lavoro è stato svolto nell’ambito della
Ricerca Finanziata Regione Piemonte
2002.
SivasZoo
Società Italiana Medici Veterinari degli
Animali Selvatici e da Zoo
Sezione Nazionale della European Association
of Zoo and Wildlife Veterinarians
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