La classe - Liceo Canossa

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La classe - Liceo Canossa
La classe
entre les murs
Catalogazione
F 237
Collocazione
FILMS
Categoria tematica
Scuola – Disagio giovanile
Origine
Francia
Anno
2008
Regia
Laurent Cantet
Principali interpreti
François Bégaudeau (François), Nassim Amrabt (Nassim), Laura Baquela (Laura), Cherif
Bounaïdja (Rachedi Cherif), Juliette Demaille (Juliette), Dalla Doucoure (Dalla) Arthur
Fogel (Arthur), Damien Gomes (Damien), Louise Grinberg (Louise), Qifei Huang
(Qifei), Chien-wei Huang (Wei), Franck Keïta (Souleymane), Henriette Kasaruhanda
(Henriette), Lucie Landrevie (Lucie), Agame Malembo-Emene (Agame), Rabah Naït
Oufella (Rabah), Carl Nanor (Carl), Esméralda Ouertani (Sandra), Burak Özyilmaz
(Burak), Eva Paradiso (Eva), Angélica Sancio (Angélica), Boubacar Touré (Boubacar),
Justine Wu (Justine), Samantha Soupirot (Samantha), Vincent Caire (Vincent), Olivier
Dupeyron (Olivier), Patrick Dureuil (Patrick), Frédéric Faujas (Fred), Dorothée Guilbot
(Rachel), Cécile Lagarde (Cécile), Anne Langlois (Sophie), Yvette Mournetas (Yvette),
Vincent Robert (Hervé), Anne Wallimann-Charpentier (Anne)
Supporto
DVD
Numero dischi
01
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Laurent Cantet, François Bégaudeau, Robin Campillo
Musiche
Produzione
Haut Et Court- France 2 Cinéma
Distribuzione
Mikado
Durata – dati tecnici
125 minuti, colore
Lingua audio
Italiano; originale (francese) con sottotitoli in italiano
Lingua sottotitoli
Italiano, italiano per non udenti
Contenuti extra
Dalla preparazione del film alla premiazione al festival di Cannes: il making of (40
min.)- Autoritratti (12 min.) – Lezioni di cinema con Laurent Cantet (19 min.) - Trailer
Trama
François insegna francese in una scuola difficile. La sua aspirazione è quella di riuscire a
istruire i ragazzi senza però omologarli. Per riuscire a motivarli, quando sfuggono al
controllo, è disposto anche ad andarli a cercare e a metterli davanti ai loro limiti. Pronto
ad accettare talvolta il rischio di un clamoroso insuccesso.
Critica 1
Se il discorso sulla scuola ha assunto, in Italia, toni aspri e quasi vocianti, è perché
parlando di scuola si parla dei giovani e dunque si evoca il futuro, che è il più disturbante
dei concetti in tempi di declino sociale come questo. E poi perché la parola scuola
chiama in causa un “pacchetto di crisi” fin troppo denso: la crisi dell’autorità, quella
della cultura come cardine della persona, quella degli adulti incerti depositari di ancora
più incerte “regole”.
In Francia ha avuto grande successo il romanzo di un giovane insegnante, François
Bégaudeau, che ha ispirato il film vincitore della Palma d’oro a Cannes. Il titolo originale
del libro era Entre les murs, dentro i muri, perfettamente indicativo dell’atmosfera
claustrofobica che lo pervade. Il titolo italiano, meno severo, è La classe (...), e sembra
quasi voler riportare questo desolato best-seller in una letteratura “di genere”, sulla scia
fortunata del primo Starnone e dell’ultimo Pennac. Con eventuale ammicco a un
sottogenere pop, quello del computo allegro degli svarioni studenteschi, tipo Io speriamo
che me la cavo o il vecchio classico per ragazzi francese La fiera delle castronerie.
Ma attenzione: i circa vent’anni che separano la generazione di Starnone e Pennac
(diciamo, per comodità, quella “sessantottina”) da quella di Bégaudau sono un vero e
proprio baratro.
La scuola raccontata da Starnone e Pennac è ancora un lascito, seppure residuo,
dell’umanesimo. L’ironia amara, lo sguardo smagato su ragazzi e adulti lascia ancora
intatta l’illusione di un passaggio di consegne, di un apprendistato, più ancora che alla
cultura, alla civiltà e forse alla vita. Leggendo Bégaudeau, la sua stagnante, ossessionata
trascrizione di un dialogo impossibile, ci si ritrova piuttosto immersi in una post-scuola,
una scuola svuotata di sé nella quale ciascuno ha rinunciato a offrire o prendere alcunché,
e insegnanti frustrati oppure inaciditi, e alunni maneschi e rincoglioniti dal consumismo,
trascorrono un intero anno rimanendo fermi al punto di partenza, senza procedere di un
passo verso quel percorso scolastico che, burocrazia a parte, è pur sempre la ragione di
un anno di lavoro e di vita. Un anno: per un adolescente un’enormità, un tempo immenso
di crescita e di occasioni, che nella scuola di Bégaudeau diventa però un tempo
puntiforme, una spirale viziosa che lascia ciascuna delle due parti, ragazzi e professori,
nella propria inerte impotenza.
La staticità del libro è prima di tutto stilistica. La povertà verbale è il frutto evidente di un
accurato lavoro letterario, imitativo della supposta povertà della realtà scolastica e
soprattutto del linguaggio dei liceali. Il battito delle frasi è quello di un rap, concetti
mozzi e ripetuti, sguardi veloci sui marchi delle felpe come principale identità degli
studenti, niente che sembri portare a qualcosa o allontanarsi da qualcos’altro. Il tutto
contrappuntato dalle conversazioni vaghe e strascicate della sala professori, perse tra
qualche incombenza burocratica e rivendicazioni “sindacali” striminzite sull’efficienza
della macchinetta del caffè. Oppure – in un rigurgito di “autorità” che è anche il massimo
exploit dell’impotenza – dalle delibere di espulsione che, a raffica, colpiscono gli
studenti più insopportabili.
Il genere della Classe, dunque, non è tanto il “romanzo scolastico”, quanto il no-future.
La mancanza di movimento. La perdita di direzione. La sensazione di ultima spiaggia.
Appesantita, per giunta, dall’onnipresenza (anche lei ossessiva) di una multiculturalità
descritta come un ingovernabile equivoco, un ginepraio di pregiudizi e diffidenze che l’io
narrante, il giovane prof Bégaudeau, affronta con una stizza inconsolabile (forse la stizza
dei “politicamente corretti” sconfitti dall’evidenza), masticando come un fiele il nodo di
una diversità babelica, inconciliabile, sorda ai richiami della tolleranza e della
comprensione. Tanto che la pagina più potente e liberatoria del romanzo è un secco sfogo
nel quale il professore dà del pezzo di merda, in massa, all’intero corpo studentesco,
affogando dentro la sua rabbia anche le deboli tracce di umanità che è riuscito a scorgere
nei singoli studenti, infine rinnegati anche dal docente, perfino dal docente, che li caccia
volentieri nel girone infernale della Massa Amorfa, più interessata alle felpe e ai
telefonini che alla propria decenza mentale.
Insomma: un libro terribilmente doloroso, di accurato pessimismo, con la patina di
“divertente”, evocata in copertina nell’edizione italiana, che si lacera dopo poche pagine.
Resta da riflettere sul grande successo, in Francia, di un romanzo così implacabile, che
non lascia spiragli, non concede alibi né agli adulti né ai ragazzi, i primi visti come
neghittosi sorveglianti del nulla, i secondi come insorvegliabili somari, razzisti, ottusi,
consumisti bulimici, potenziali violenti che stazionano “dentro i muri” come cavie in una
gabbia, e senza neanche la discutibile soddisfazione di essere cavie di un esperimento.
Perché un esperimento non c’è.
Se questa è davvero la scuola, in Francia e qui da noi, ovunque nell’Occidente spento di
energie e debole di identità, viene da dire che hanno ragione i restauratori politici che, a
furor di popolo, vogliono tornare ai vecchi metodi: al posto del ministro Gelmini,
sorvolerei sulla natura letteraria del lavoro di Bégaudeau e inserirei il suo romanzo in
ogni dossier ministeriale che voglia liquidare tutte le esperienze pedagogiche dell’ultimo
mezzo secolo e riportare Legge e Ordine tra i banchi. A me, piuttosto, è venuta voglia,
come antidoto, di rileggere Starnone e Pennac, oppure gli interventi di Marco Lodoli su
questo giornale, nei quali la percezione del disastro sociale e scolastico non è certo
attenuata, ma lo sguardo di chi lo osserva è – non so come dirlo altrimenti – umanamente
partecipe. Dev’essere una questione di generazione, Bégaudeau e il suo rap disperato
sono probabilmente più sintonici con i tempi, e magari i ragazzi di oggi possono davvero
leggere “divertendosi” un libro che li raffigura come ectoplasmi nevrastenici, come
nullità ringhiose, e però lo fa con il ritmo giusto, riconoscibile, se posso dire: alla moda.
Ma se non si riesce più a trovare, o almeno a cercare il bandolo di un significato, di un
destino, di un rapporto di emulazione e sfida tra adulti e ragazzi, allora hanno ragione i
vecchi reazionari quando dicono “ci vorrebbe una bella guerra ogni tanto”, a raddrizzare
la gioventù, a selezionarla meglio di un sette in condotta o di una bocciatura. Ecco, La
classe è un libro post-scolastico e pre-bellico: arrivato in fondo al viaggio, anzi al nonviaggio, un lettore disposto al paradosso pensa che l’anno prossimo quelle truppe di
giovani felpate e smidollate, per ritrovare nerbo e disciplina, e magari dotarsi di un
concetto di Patria che rimedi alle vaghezze del multiculturalismo, non dovrebbero più
rientrare a scuola, ma in caserma. Dev’essere per questo che giovani ministri (poco più
anziani di Bégaudeau) tendono a confondere scuola e caserma.
Autore critica:Michele Serra
Fonte critica: la Repubblica
Data critica: 25/9/2008
Critica 2
Cantet prova a mettere in scena un'opera che illustra nuovamente la quotidianità
urbanizzata francese altalenando la possibile armonia e l'incombente frattura
comunicativa tra il giovane professore di francese Francois e la mescolanza di scolari
(cinesi, algerini, marocchini, maliani) della classe quarta di una scuola media parigina del
20esimo arrondissement. La democratica applicazione dell'uso della lingua francese, in
una classe non proprio da disperata periferia, e il tentativo di imporre una moderata
disciplina a una truppa di ragazzini con le loro esuberanti necessità, diventa analisi
dell'ambiguità del reale che sfocia in una intensa drammaturgia dal finale notevolmente
pessimista. Nessuno tra i bambini della classe è un reale pericolo per la comunità e per
l'ordine da costituire. Ci sono però le deviazioni minime: l'introversione, la timidezza,
qualche imprecazione verbale. E il giovane François non è proprio uno stinco di santo.
All'ennesima intemperanza con bestemmia di Souleymane, François corre ai ripari
convocando preside e consiglio dei professori. La vicenda finirà malissimo per il
ragazzino, ma nemmeno i professori ci faranno una bella figura.
Il film è tratto dal libro omonimo che ha incassato moltissimo in Francia ed è stato scritto
da François Begaudeau, che nel film interpreta proprio François. Pare che raccontare la
sottile ambiguità delle pur democratiche istituzioni scolastiche francesi sia stato un
intento di libro e film: «la mia è un'opera senza ideologia», ha sostenuto in conferenza
stampa il quarantasettenne Cantet, «ho voluto mettere in scena la realtà senza sposare un
punto di vista politico definito. Potete interpretare l'atteggiamento del professore come
volete: conservatore quando chiede a un alunno di togliersi il cappellino in classe;
progressista quando interagisce pacatamente nell'insegnamento senza fare distinzioni.
Nella classe che ho mostrato non accadono episodi estremi di violenza e droga, dati
sicuramente reali ma resi eccezionali dai giornali». È bastata un'increspatura, una lieve
messa in discussione dell'autorità per far saltare il banco della convenzione. E a quel
punto può andare a rotoli anche tutto il resto. Come dice la disperata ragazzina al
professore l'ultimo giorno di scuola alla richiesta di qual è la cosa più interessante
imparata durante l'anno: «Monsieur, credo di non avere imparato nulla».
Autore critica:Davide Turrini
Fonte critica: Liberazione
Data critica: 25/5/2008
Libro da cui è stato
tratto il film
François Bégaudeau, Entre les murs, Gallimard 2007 (trad. italiana, La classe, Einaudi
2009)