Pagina 1 Tribunale di Milano - Sezione FERIALE Il giudice

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Firmato Da: ARENA DOMENICO Emesso Da: Postecom CA2 Serial#: c15c7 - Firmato Da: Enrico Consolandi Emesso Da: InfoCert Firma Qualificata Serial#: 13234d
Tribunale di Milano - Sezione FERIALE
Il giudice designato Dott. ENRICO CONSOLANDI, all’esito dell’udienza del 09/08/2012
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nella causa civile cautelare iscritta al N. 48655/2012 R.G. promossa da:
FALL.TO GRU P. GRUPPO PELLE ITALIA SPA IN LIQ. (c.f. 09802980152 ), con il patrocinio
degli avv. VOLPE FABIO
QUALE PARTE RICORRENTE
contro:
DANIELA PARMIGIANI (C.F. PRMDNL47C60E897T ), con il patrocinio dell’avv.
PECORELLA PAOLO CESARE e Aonzio
GRAZIANO BAKOS (C.F. BKSGZN57C05G224U ), con il patrocinio dell’avv. SUTTI
STEFANO
ALESSANDRA BISI (C.F. BSILSN65H59F205D ), con il patrocinio dell’avv. SANNA
GIANGIUSEPPE e Gianluca Gilardi
FRANCO FEDERICI (C.F. FDRFNC55H01H501C ), con il patrocinio dell’avv. SPADAFORA
FRANCESCO
ROBERTO RICCI (C.F. RCCRRT61H13G479N ), con il patrocinio dell’avv. ABBADESSA
MARIA e FRANCHINA GAETANO e Coli
FRANCESCO BATTAGLIA (C.F. BTTFNC73R16D488N ), con il patrocinio dell’avv.
ABBADESSA MARIA e FRANCHINA GAETANO e Coli
ANDREA CAPPELLINI (C.F. CPPNDR65S12G479L ), con il patrocinio dell’avv. ABBADESSA
MARIA e FRANCHINA GAETANO e Coli
QUALE PARTE RESISTENTE
Si tratta della azione di responsabilità svolta contro amministratori e sindaci dal curatore del
fallimento, che attinge per richiesta cautelare i sindaci, gli amministratori e la liquidatrice della
fallita società.
Deve preliminarmente rilevarsi come per i sindaci sia carente il periculum in mora per la presenza
di polizze assicurative che, cumulate, porterebbero ad assorbire l’intero danno vantato, di euro
5.000.000 circa, qualora dovesse ritenersi sussistente, del che, come si vedrà, manca il fumus.
Il fallimento assume che la società fosse in condizione di patrimonio netto negativo al 31.12.2005
per effetto di rettifiche da apportare al bilancio e che, di conseguenza, la successiva gestione
avrebbe dovuto essere meramente conservativa e liquidatoria, mentre invece venne esercitata
attività propria di impresa che portò ad aggravare il passivo con ulteriori perdite.
Non è semplice orientarsi nella non breve narrazione dei fatti del fallimento: in essa si coglie una
doglianza per “irregolare tenuta contabilità”, dove in realtà si legge di bilanci irregolari, con critiche
che proprio sulla contabilità hanno il fondamento e comunque non sono legate a precise richieste di
danno per particolari omissioni o buchi nella contabilità.
Quanto alle passività da registrarsi nel bilancio al 2005 sono elencate 652.990,43 euro per un
credito verso tale Orchidea sas, fallita nell’anno precedente; poi si dice che i sindaci erano allarmati,
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senza specificare quali potessero essere i crediti da svalutare e perché, né rinviare ad una
elencazione; comunque non si capisce quale sia l’addebito dei sindaci che rilevarono questa
situazione.
La citazione menziona anche di 300.000 euro di crediti verso controllate poi messe in liquidazione e
partecipazioni di dubbio valore per euro 227.840.
Si tratta dunque in massima parte, nonostante le 50 pagine di ricorso, generica, salvo i 652.000
euro, quanto ai crediti inesigibili.
Anche quanto al magazzino, svalutato nel 2009, si dice che i sindaci erano allarmati, senza
specificare misura della svalutazione, motivi o altro.
Su queste due doglianze per altro il fallimento pare ripercorrere una azione di responsabilità svolta
nei confronti della Parimigiani quando vi fu un avvicendamento nella amministrazione e si tratta di
vicende di cui ha riferito il successivo amministratore, ma sempre in modo generico, al PM
nell’interrogatorio prodotto dalla difesa Bakos.
Il fallimento si duole poi che non siano emersi costi per sanzioni e debiti fiscali, ma i sindaci
indicano il numero di cronologico di registrazione di queste voci, per cui nella limitata cognizione
odierna, non è possibile ritenere fondata questa affermazione, restando comunque dubbio che ciò
profili danno e non mero debito della società.
Il fallimento si duole della capitalizzazione di costi per ricerca e sviluppo, dei quali non specifica
l’ammontare; esiste uno specchietto a pag. 13 ove si riassume la rettifica proposta al 31.12,.2005,
ove questa voce non figura. Anche di questa voce parla Bakos nel suo interrogatorio.
Comunque, secondo lo specchietto, l’incremento di perdita sarebbe di euro 2.100.000, che
porterebbe il patrimonio netto in negativo di 800.000 euro circa.
Tenuto conto che nel 2006 vi è stata una rinuncia a crediti registrati nel bilancio del 2005 per oltre
tre milioni di euro, il che costituisce una posta attiva, per sopravvenienza, del patrimonio netto, si
deve concludere che è carente il fumus boni iuris.
Onde replicare a questa eccezione il fallimento sostiene che la rinuncia riguardava crediti fittizi e
non è chiaro se questa obiezione riguardi anche la rinuncia a crediti, per altri tre milioni di euro,
operata nel bilancio al 31.12.2005.
Desta in effetti una certa sorpresa una ricapitalizzazione sostanziale – sarebbero crediti dei soci – in
tempi così ristretti e sempre passante tramite istituti di credito svizzeri, ma l’addebito di una falsa
ricapitalizzazione è estraneo alla azione come enunciata in ricorso, né i pochi elementi resi
disponibili sono sufficienti a far luce sulla questione, proprio per il fatto che questo “dubbio” non
era enunciato nell’atto introduttivo, un dubbio per altro avvalorato da una tensione finanziaria
rilevata dai sindaci ed evidente poi nel 2009, non congruente con le floride condizioni finanziarie
che dovrebbero rivenire da una immissione di liquidità, se tale è veramente stata, di oltre sei milioni
di euro nel primo semestre del 2006.
Resta comunque allo stato escluso un provvedimento circa l’aggravamento del passivo dal
31.12.2005, il che esclude la responsabilità della Parmigiani per non aver provveduto su quella
perdita; dei sindaci s’è già detto circa il periculum, ma, a maggior ragione, deve concludersi nello
stesso senso dell’amministratore.
Alla Parmigiani viene addebitato anche di aver stabilito royalties troppo alte per lo sfruttamento di
marchi di tali società Kashgar e Drepandeos, che sarebbero a lei riferibili ed in effetti per 2007 e
2008 si trattava di circa due milioni di euro. Tuttavia non si sa se siano stati pagati, in che misura e
soprattutto non viene indicato quale ne sia il possibile danno.
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Non è il fatto di agire in conflitto di interessi il danno cagionato, ma il maggior costo generato e il
pagamento anche di due milioni di royalties potrebbe essere giustificato dal ricavo che quei marchi
eventualmente consentono. Su ciò il ricorso tace, nonostante le 50 pagine.
Resta la cessione del negozio di GAlleria Vittorio emanuele, in zona centrale di Milano, per euro
700.000, ma questa è di pertinenza del BAkos, la Parmigiani era uscita e verso di lei era iniziata una
azione di responsabilità, riecheggiata dal ricorso nelle doglianze sulla Parmigiani, ma ai tempi
rinunciata dal fallimento.
Su questo fatto occorre fare riferimento alle dichiarazioni del Bakos stesso al PM, prodotte dalla sua
difesa.
Risulta dalle dichiarazioni del resistente detto che egli era pienamente a conoscenza dello stato di
insolvenza in cui a suo stesso dire versava la società, che a suo dire aveva maturato perdite per 15
milioni di euro, compresi i finanziamenti del socio Meadcraft. Lo stesso Bakos afferma che erano
sovrastimate le giacenze, erano state capitalizzate spese e vi erano parecchi crediti inesigibili. Si
tratta in buona sostanza dei motivi per cui egli ebbe a sollevare azione di responsabilità nei
confronti della Parmigiani.
Queste affermazioni non possono essere prese che con molta cautela perché tendono a scaricare una
responsabilità sul precedente amministratore; tuttavia da queste stesse affermazioni è chiaro che il
BAkos sapeva di essere in una condizione di insolvenza e ciò a prescindere dal fatto che fosse lui
che la avesse procurata o la stesse in quel periodo cagionando o che la avesse ereditata da altri. È
chiaro che l'accusa al precedente amministratore può essere un modo di sfuggire alla responsabilità
per un "buco" creato dallo stesso Bakos.
In questa citazione di insolvenza il BaKos ha venduto per € 700.000 - e in pochi giorni - il negozio
di Milano galleria Vittorio Emanuele, comprensivo della merce, alla società che fino a poco prima
aveva amministrato e che faceva parte dello stesso gruppo in quanto azionista della società fallita
come della società acquirente era la stessa persona, menzionata negli interrogatori e cioè Hagen
Roy, in italiano Delfo Zorzi.
In questo modo è stato sottratto un bene di rilevante valore al fallimento e non è chiarissimo dove
siano finiti i danari costituenti il prezzo.
Tenuto conto della prossimità al fallimento e della coscienza della insolvenza si tratta di
un'operazione assolutamente avventata, come lo stesso Bakos conferma nell'interrogatorio. Egli
sostiene di aver fatto il bene della società perché quel negozio non poteva essere altrimenti venduto,
ma per vero è stata prodotta una offerta, seppur preliminare, di ammontare più che doppio. Questo
documento non è assistito al momento dalle dichiarzioni di chi l'ha sottoscritto, ma nella limitata
cognizione cautelare è sufficiente per affermare il fumus della possibilità di ricavare ben di più da
quel cespite. Lo stesso contratto è di una povertà sconsolante, senza alcuna descrizione o
valutazione del magazzino il quale solo poteva valere quella somma.
Il convenuto sostiene che il negozio aveva poco valore perché la concessione da parte del Comune
non poteva essere ceduta nei primi tre anni, ma per vero l'articolo 12 della concessione stabilisce sì
la incedibilità, ma anche una sostanziosa deroga, dove non è dato rinvenire il limite invocato dal
convenuto circa la impossibilità di cedere con cesisone di azienda o fusione societaria o altro a terzi,
nei primi tre anni. Per il caso di siffatta cessione il Comune si riservava la possibilità di recedere
entro tre mesi, mentre nel limite dei tre anni, si diceva nella concessione, all'articolo 12 comma
sesto, c'era semplicemente il fatto che le cessioni non avessero effetto nei confronti del comune.
Non è chiaro cosa significhi questa mancanza di effetto, ma sembrerebbe diverso dalla possibilità di
recesso prevista da diversa parte della concessione. La lettura più consona è che il cedente non
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viene liberato e quindi la cessione non può essere da lui opposta per rifiutare il pagamento. Sta di
fatto che ancora oggi il negozio Oxus in galleria Vittorio Emanuele c'è, come ha rilevato il
fallimento ricorrente.
Si tratta dunque di un'operazione volta ad assicurarsi, con altra società la continuazione del negozio,
altra società che, guarda caso, è sempre riferibile al medesimo soggetto.
In poche parole c'è il fuimus della distrazione del cespite.
Sotto questo profilo il fatto che i sindaci della società acquirente si siano dimessi è significativo non
già del fatto che non vi fosse convenienza per l'acquirente, quanto del fatto che si trattava di
operazione sostanzialmente distrattiva.
Ne segue dunque la responsabilità per aver impoverito il patrimonio sociale del cespite e, non
essendo provato che il prezzo è stato effettivamente pagato, nonché tenuto conto dell'offerta di altro
operatore commerciale vicina ai 2 milioni di euro, quale cautela per il risarcimento del danno può
essere stabilito un sequestro a carico del Bakos fino all'ammontare di euro 700.000.
La liquidatrice intervenuta successivamente ha trovato un contratto già stipulato, al quale avrebbe
dovuto reagire, come i sindaci del resto avevano fatto quando avevano notato che la cessione era
pericolosa e quindi avevano chiesto, vanamente, di essere informati preventivamente. Se dunque
non vi può essere responsabilità dei sindaci, questa sussiste a carico della liquidatrice che invece di
reagire omettendo la consegna del negozio, anche se vi era una opzione concessa alla società
Svalduz, ha supinamente eseguito. Nella stessa memoria della liquidatrice si legge che nello scarso
mese intercorso fra la sua nomina e la presentazione dell'istanza di fallimento " non ha difficoltà ad
ammettere .... di aver, nella propria qualità di legale rappresentante della società stessa, dato
debitamente corso alla (già avvenuta) cessione di azienda".
Spese al merito.
PQM
visto l'articolo 671 c.p.c. autorizza il sequestro su beni mobili ed immobili, titoli, valori,
partecipazioni societarie od azionarie, obbligazioni ovunque esistenti riferibili a Graziano BaKos o
a Alessandra Bisi sino al raggiungimento del complessivo ammontare di euro 700.000.
Milano 13.8.2012
Il Giudice
Dott. Enrico Consolandi
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