In occasione della ricorrenza dei morti, cui più o meno tutti siamo
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In occasione della ricorrenza dei morti, cui più o meno tutti siamo
FOEDDOS E VERSOS IN SARDU A cura di Salvatore Frau In occasione della ricorrenza dei morti, cui più o meno tutti siamo interessati, è sembrato opportuno che anche la nostra rubrica rivolgesse la sua attenzione al ricordo dei nostri cari defunti. Pertanto, proponiamo una poesia presentata nel 2002 al premio letterario “Montanaru”, di cui il 31 ottobre è stata celebrata la 18^ annualità. Si tratta di una composizione di quattro quartine in endecasillabi a rima “incrociata” o “chiusa”( il primo verso fa rima col quarto e il secondo col terzo, secondo lo schema ABBA) e si presta anche allo scopo per cui è nata questa rubrica. L’autore è Tiu Peppinu Bitto di Desulo, scomparso alcuni anni or sono, poeta apprezzato nel paese per la sua passione che non disdegnava anche il canto improvvisato. È dedicata al figlio morto in giovane età. Usa la variante logudorese, secondo una consuetudine che viene dal passato. Lo stesso Montanaru usava il loguderese “arricchendolo degli apporti nuovi che venivano dalla lingua italiana”, come dice Michelangelo Pira, variante che Montanaru, pare, avesse appreso durante il periodo in cui arruolato era nell’Arma dei carabinieri, e per alcuni anni si trovò a dover prestare servizio in paesi del Logudoro. A FIZU MEU Fizu meu ti tenzo in campusantu deo ti so preghende onnia die e tue puru faghe che a mie prega sempere, prega ateretantu. Deo ti so chirchende donzi tantu A part ’e menzanu o a merie sos frores friscos so ponzende a tie in sa tumba issustos de piantu. Mama semper in domo isconsolada est isetende chi torre custu fizu de ti torrare a bidere at disizu però su mortu non tenet torrada. Dae s’antighidade cust’istoria narat, sa vida innoghe la finimos si Deus cheret poi nos bidimos in paghe santa in sa Santa Gloria. Per un padre ed una madre la perdita di un figlio, ancor più se giovane, è un dolore che non si placa mai per tutta la vita. Così, l’autore di questi versi, non può fare a meno di recarsi in campusantu per portare fiori freschi issustos de piantu, e trovare un po’ di conforto nel continuare lo scambio di “amorosi sensi” e preghiere con il proprio caro. Mentre la madre attende, isconsolada, un ritorno impossibile del figlio a casa. Ma solo nell’aldilà, secondo il volere di Dio, sarà possibile rivedersi; ed anche solo il pensiero di ritrovarsi “in sa Santa Gloria”sembra portare conforto. DITZOS E MODOS DE NARRERE Est a tìmere is bìos e no is mòrtos Poiché questa settimana si commemorano i defunti, mi pare opportuno sviluppare alcune riflessioni linguistiche sul rapporto tra la vita terrena e l’Aldilà. Cominciamo col dire che quasi dappertutto in Sardegna la “buonanima” viene indicata col termine su biadu. Invece, quando muore qualcuno il commiato da parte di chi conosceva il defunto si esprime con la frase “a sa santa gloria”, peraltro riportata nell’ultimo verso della poesia che questa settimana Salvatore Frau ha voluto proporre nella sua rubrica. Quando nel conversare il pensiero corre a qualcuno che è morto, pronunciandone il nome, si è soliti dire “in su gélu sìat”, che equivale a dire “che Dio lo abbia in gloria”. E In su celu siat è anche il titolo del primo, bellissimo, romanzo di Anna Castellino scrittrice di Cagliari, pubblicato nel 2005 dalla AM&D. In molte parti della nostra Isola i bambini, secondo un’antica consuetudine, in occasione della ricorrenza dei morti, andavano, e vanno, di casa in casa a chiedere qualcosa per le anime dei morti, ricevendo dolci, qualche soldo e frutta secca. Questa usanza, a seconda delle zone, è nota come su mortu mortu, s’animedda, su bene de is animas o su coccone. È una tradizione che purtroppo va scomparendo, e, quel che è peggio, per essere sostituita dalla festività di Hallowen, che, però, rappresenta solo un surrogato di importazione. C’è infine un detto che sembra evocare un rapporto più pratico e terreno con la morte; il detto, forse non molto noto, è: est a tìmere a is bìos e no a is mortos, cioè: bisogna aver paura dei vivi e non dei morti. Si tratta, come è evidente, di autentica saggezza popolare.