RIMINI 25 MARZO 2012 PERCORSI MONUMENTALI DEL CENTRO

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RIMINI 25 MARZO 2012 PERCORSI MONUMENTALI DEL CENTRO
RIMINI
25 MARZO 2012
PERCORSI MONUMENTALI
DEL CENTRO STORICO
1. Ponte di Tiberio
Il ponte romano sul fiume Marecchia, l'antico Ariminus intorno al quale era sorto il primo
insediamento, crea ancora oggi il collegamento tra la città e il suburbio (borgo San Giuliano). Da
qui iniziano le vie consolari, Emilia e Popilia, dirette al Nord. La via Emilia, tracciata nel 187 a C.
dal console Emilio Lepido, collegava Rimini a Piacenza; attraverso la via Popilia, invece, si
raggiungeva Ravenna e si proseguiva fino ad Aquileia.
Il ponte, iniziato da Augusto nel 14 e completato da Tiberio nel 21 d.C., come ricorda l'iscrizione
che corre sui parapetti interni, si impone per il disegno architettonico, la grandiosità delle strutture e
la tecnica costruttiva. Poco spazio è concesso invece all'apparato figurativo, comunque intriso di
significati simbolici.
In pietra d'Istria, si sviluppa in cinque arcate che poggiano su massicci piloni muniti di speroni
frangiflutti ed impostati obliquamente rispetto all’asse del ponte, in modo da assecondare la
corrente del fiume riducendone la forza d’urto, secondo uno dei più evidenti accorgimenti
ingegneristici.
La deviazione del Marecchia prima e, più recentemente, i lavori per la predisposizione di un bacino
chiuso, hanno messo in luce i resti di banchine in pietra a protezione dei fianchi delle testate di
sponda; recenti sondaggi hanno poi rivelato che la struttura del ponte poggia su un funzionale
sistema di pali di legno, perfettamente isolati.
Il ponte è sopravvissuto alle tante vicende che hanno rischiato di distruggerlo: dai terremoti alle
piene del fiume, dall’usura agli episodi bellici quali l’attacco inferto nel 551 da Narsete, durante la
guerra fra Goti e Bizantini di cui restano i segni nell’ultima arcata verso il borgo San Giuliano, e, da
ultimo, il tentativo di minarlo da parte dei Tedeschi in ritirata.
2. Museo della Città (ex Convento dei Gesuiti)
L’edificio che oggi ospita il Museo, attiguo alla chiesa costruita dai Gesuiti tra il 1719 e il 1740 in
onore di San Francesco Saverio, è sorto tra il 1746 e il 1755 su progetto dell’architetto Alfonso
Torregiani (1682-1764) come “Collegio” dei Gesuiti.
La forma planimetrica del complesso segue uno schema costruttivo tipico dell’architettura
gesuitica: un corpo a forma di U addossato al fianco della chiesa, con un corridoio che gira sui tre
lati interni, permettendo l’accesso a tutti i vani.
Nel 1773, con la soppressione dei Gesuiti, il “Collegio” passò al Seminario vescovile che nel 1796
lo vendette ai Domenicani: anche questo Ordine venne revocato pochi mesi dopo.
Dal 1797 al 1977 fu utilizzato come Ospedale, prima militare e poi civile, subendo molte
trasformazioni funzionali.
I bombardamenti dell’ultima guerra hanno gravemente danneggiato l’intera struttura. Il restauro,
condotto dall'architetto Pier Luigi Foschi, ha riproposto la suggestione degli antichi spazi, oggi
adibiti a sale espositive del Museo della Città.
3. Lo scavo di piazza Ferrari e la Domus del chirurgo
Il complesso archeologico, che si sviluppa dall'età romana al Medioevo, venne scoperto nel 1989
durante lavori di arredo urbano.
Lo scavo, condotto dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia Romagna in
collaborazione con i Musei Comunali di Rimini, ha messo in luce una domus della seconda metà
del II sec. d.C., edificata in un'area già abitata dall'età repubblicana, non lontano dal porto di
Ariminum.
Prestigiosi mosaici e vivaci affreschi descrivono una residenza ad uso privato e professionale. Fra
gli ambienti di rappresentanza risalta il triclinium ornato da un mosaico con grande vaso e, alle
pareti, da affreschi e da un raffinato pannello in vetro che raffigura pesci su fondo marino.
Nella stanza dall'elegante mosaico con Orfeo è stato rinvenuto un ricchissimo corredo chirurgico
insieme a mortai per la preparazione di farmaci, inerenti all'attività medica del proprietario.
La domus, articolata su due piani, fu distrutta da un incendio nella seconda metà del III sec., sotto
l'incalzare delle prime orde barbariche.
Fra il V e il VI secolo, sui ruderi della parte anteriore, crebbe una residenza con mosaici a motivi
geometrici. La tecnica di riscaldamento di alcuni vani denota il prestigio del palazzo, soggetto a
graduale distruzione, fino all'inserimento, sulle sue rovine, di sepolture.
Nel VII sec. la zona fu occupata da un edificio "povero" nelle tecniche costruttive, che, ancora
nell'altomedioevo, lasciò campo ad uno spazio aperto.
L'importante area archeologica è al centro di un progetto di musealizzazione. I materiali rinvenuti
sono esposti nel vicino Museo della Città.
4. Palazzo Gambalunga - Biblioteca
La Biblioteca si trova nel superbo palazzo che il riminese Alessandro Gambalunga fece costruire,
fra il 1610 e il 1614, nella centrale via dove sorgevano le case dell'antica nobiltà riminese.
Influenzato dai canoni architettonici di Sebastiano Serlio, l'edificio può essere ammirato per
l'eleganza dei suoi dettagli costruttivi e ornamentali, ispirati all'architettura classica.
Il grande portale d'ingresso si affaccia su una bella corte, al cui centro, dal 1928, è posto un
settecentesco pozzo in pietra d'Istria. Nell'atrio e nel cortile sono conservati alcuni dei marmi che la
comunità ha dedicato ai Riminesi illustri. Originariamente al pian terreno c'erano le stalle, le
officine, le rimesse e I magazzini. All'ultimo piano si trovavano i granai, le abitazioni dei servi, del
fattore e una piccola officina per rilegare i libri, di cui Gambalunga era un attento raccoglitore. Il
piano nobile, oggi sede della Biblioteca, ospitava gli appartamenti di Alessandro e della moglie
Raffaella Diotallevi. Lussuosamente arredato con arazzi, broccati e dipinti, il palazzo fu luogo
d'incontro di eruditi e letterati, di cui Alessandro fu generoso mecenate.
Dopo la sua morte, la libreria venne collocata a pian terreno, nelle tre sale di via Tempio
malatestiano, ove rimase fino agli anni '70, quando, con la ristrutturazione dell' edificio, la
biblioteca fu trasferita nelle sale superiori. Qui, insieme ai nuovi servizi della biblioteca
multimediale, si trovano in continuità spaziale e temporale le quattro sale storiche (tre del secolo
XVII e una del secolo XVIII), con gli arredi e i fondi bibliografici originali. Il pianterreno è oggi
sede della Cineteca e della Biblioteca dei ragazzi.
5. Resti del Teatro romano
Dell’imponente edificio per spettacoli eretto nel I sec. d.C., non rimangono che pochi ruderi oggi
inglobati in più recenti costruzioni che ricalcano l’originario andamento curvilineo delle gradinate
(cavea).
Prossimo al foro, fu probabilmente eretto per volontà di Augusto nell’ambito degli interventi di
sviluppo urbanistico promossi dall’imperatore.
Di forma semicircolare, aveva un diametro esterno di ca. 80 metri, mentre all’interno la lunghezza
della scena misurava ca. 23 metri. La cavea, completamente autoportante, era sorretta da murature
radiali e concentriche, costruite in malta con laterizi a vista. Corridoi di accesso coperti da volte a
botte, consentivano lo smistamento verso le scale che conducevano alle gradinate.
Dei raffinati e grandiosi apparati scenici, non restano che un fusto di colonna alto più di 4 metri e
alcune decorazioni architettoniche marmoree.
Occultato per secoli, ma mai completamente cancellato dalla memoria come attestano alcune fonti
medievali, il teatro fu “riscoperto” agli inizi degli anni ’60 grazie all’intuito dello studioso riminese
Mario Zuffa, allora direttore della Biblioteca e del Museo. A lui si deve anche il rinvenimento, nei
pressi della chiesa di S. Michele in foro, di una epigrafe frammentaria il cui testo viene riferito ad
un intervento di decorazione architettonica del teatro, attuato nella prima età imperiale.
6. Palazzo Lettimi
Uno dei più prestigiosi palazzi del Rinascimento riminese, rappresenta ancora oggi una ferita aperta
nella città dai bombardamenti della seconda guerra mondiale.
Costruito agli inizi del Cinquecento da Carlo Maschi, uomo di governo insignito di varie cariche
pubbliche, il palazzo, di quattro piani, passò in eredità alla famiglia Marcheselli. Fu Carlo che
commissionò la decorazione del salone del piano nobile, affidata nel 1570 al faentino Marco
Marchetti, noto per aver lavorato a Palazzo Vecchio di Firenze. Tema delle pitture erano le gesta di
Scipione l’Africano ai tempi della seconda guerra punica: alcune delle tavole a soffitto, salvate dai
disastri della guerra, sono ora al Museo della Città.
L’edificio, che aveva ospitato i regnanti inglesi e Cristina di Svezia, entrò in possesso, nel 1770,
della famiglia Lettimi. Andrea, il nuovo proprietario, restaurò la costruzione e la innalzò di un
piano, collegandola all’attigua residenza. Dal 1902 diventò, per lascito testamentario, di proprietà
comunale, con il vincolo che il Liceo musicale fosse intitolato a Giovanni Lettimi.
Del palazzo cinquecentesco si conserva il portale che, nelle formelle a bugna, unisce i simboli
araldici della rosa quadripetala malatestiana ed il diamante dei Bentivoglio, in ricordo forse di
un’unione matrimoniale fra le due famiglie vicine a Carlo Maschi. Cinquecenteschi anche il
caratteristico muro a scarpa, raccordato alla parete da un cordolo in pietra, e le finestre, corniciate in
pietra, sormontate dallo stemma della famiglia Maschi e da una coppia di delfini
7. Sant'Innocenza e San Michele in Foro
Sull’antico Foro della città, nel lato un tempo più allargato verso il mare, furono edificate la chiesa
di Santa Innocenza e la chiesa di San Michele in Foro.
L’una, di cui si hanno sicure tracce dal X secolo, fu dedicata alla Santa martirizzata nei primi anni
del 300 d.C., nel luogo in cui sorgeva la sua abitazione. A tre navate, fu trasformata nel XVIII
secolo in un’unica navata con abside, dalle modeste dimensioni (17 x 14 metri). Abbattuta nel 1919
per ampliare la via che collegava la piazza alla stazione, si è voluta conservarne la memoria
disegnando nella moderna pavimentazione l’andamento dell’abside e l’accenno della navata. La
demolizione portò in luce frammenti di marmi scolpiti e un sarcofago in pietra con le reliquie della
Santa.
Della chiesa di San Michele in Foro, si conserva parte dell’abside, che nel paramento murario
mostra i segni di ricostruzioni e innalzamenti successivi alla fondazione del VI secolo.
L’edificio, a pianta latina, era aderente alla tradizione ravennate sia nell’architettura sia nella tecnica
costruttiva che impiegava nelle volte tubi fittili, tuttora visibili all’esterno pur in stato di reimpiego.
L’interno, non aperto al pubblico, conserva affreschi assai lacunosi fra cui l’immagine di una Santa,
attribuita alla metà del XIII secolo.
8. Tempio Malatestiano
Il Tempio di Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di Rimini dal 1432 al 1468, sorge ove era
prima la Chiesa di S. Maria in Trivio e, dal XIII secolo, la Chiesa di S. Francesco. Quest'ultima era
decorata da pitture oggi perdute ad eccezione del Crocifisso di Giotto, unica opera dell’artista a
Rimini, risalente alle soglie del ‘300. Vicino alla chiesa crebbero il convento e l'area cimiteriale in
cui furono sepolti alcuni Malatesta.
Sigismondo realizzò nel Tempio, rimasto incompiuto alla sua morte, un sogno di magnificenza,
riunendovi, come in una grande arca, le memorie della Famiglia.
I lavori, avviati nel 1447, prevedevano l'apertura di due cappelle a sepolcro di Sigismondo e di
Isotta degli Atti, sua terza moglie; Sigismondo decise poi di agire su tutta l’antica chiesa affidando
il progetto a Leon Battista Alberti, cui si deve il recupero della tradizione romana, evidente nella
facciata e nelle fiancate che rieccheggiano l’arco d’Augusto e il ponte di Tiberio.
All'eleganza dell'esterno, fa riscontro la ricchezza della decorazione interna, vicina ai modelli di
corte. Matteo dei Pasti e Agostino di Duccio operarono con una sensibilità quasi pittorica al
rivestimento marmoreo delle sei cappelle laterali. I soggetti trattati aprono a più letture,
dall'esaltazione dell'amore di Sigismondo ed Isotta alle teorie filosofiche; ma ciò che emerge è la
personalità del committente, celebrata da Piero della Francesca nell'affresco con il principe
inginocchiato davanti a San Sigismondo, e dominante anche nel ritratto di Rimini della Cappella dei
Pianeti, sovrastato dal Cancro, segno zodiacale di Sigismondo.
NOTA: In relazione alla imminente apertura delle mostre in Castel Sismondo (23/10/2010) e al
flusso dei visitatori che all'interno degli itinerari storico-artistici nella città visiteranno il Tempio
Malatestiano, si portano a conoscenza gli orari indicati dalla Diocesi di Rimini in cui è possibile
ammirare l'interno del Tempio nel rispetto dell'esercizio delle funzioni religiose:
sabato 8.30-12.30/15.30-16.30 e 18.30-19 domenica e festivi 9-10.30 / 12-13 / 15.30-16.30
9. Resti di San Girolamo e Oratorio di San Giovannino
Dell’Oratorio di San Girolamo, edificato nella prima metà del Seicento, non restano testimonianze
architettoniche così come degli affreschi barocchi di scuola bolognese, distrutti anch’essi dai
bombardamenti dell’ultima guerra. Sono invece sopravvissute le due cappelle laterali (propilei) che
costituivano lo scenografico ingresso, raccordando l’Oratorio di San Giovannino, a sinistra, alla
struttura gemella. Il complesso fu costruito nel 1782 su progetto di Gaetano Stegani, laddove dal
XIII secolo sorgeva la chiesa di San Giovanni degli Armeni, acquisita, nel 1442, dalla Confraternita
di San Girolamo.
Nell’Oratorio di San Giovannino si conservano alcuni arredi della chiesa seicentesca: piccoli quadri
con episodi della vita di San Girolamo, eseguiti da Cesare Pronti intorno al 1687. Da ammirare la
raffinata acquasantiera quattrocentesca della bottega fiorentina di Antonio Rossellino, dal fusto
bacellato che sostiene la vasca a forma di piccola nave, a sua volta sormontata dalla scultura
bronzea raffigurante San Girolamo.
La grande pala con l’immagine di San Girolamo nel deserto, che campeggiava sull’altar maggiore
dell’Oratorio intitolato al Santo, è ora esposta al Museo della Città a seguito del deposito della
Confraternita. Eseguita nel 1641, è una delle opere più significative della maturità del Guercino, un
capolavoro commissionato dal padre teatino Tommaso da Carpegna, collezionista di dipinti
dell’Artista romagnolo
10. Anfiteatro
L'Anfiteatro romano sorgeva ai margini del centro abitato di Ariminum, in prossimità della linea di
costa, allora più arretrata rispetto all'attuale. Di forma ellittica, complessivamente misurava 118x88
metri, mentre l'arena aveva un’ampiezza di metri 73x44, non lontana da quella dei più grandi
anfiteatri. Vi si svolgevano spettacoli gladiatori che richiamavano un vastissimo pubblico, di
almeno 12.000 spettatori. L’accesso avveniva attraverso i due ingressi principali, posti all’estremità
dell’asse maggiore, e le numerose altre entrate che immettevano nel corridoio perimetrale, da cui si
accedeva alle scale che conducevano alle gradinate in pietra. Edificato nel II secolo d.C., come
testimonia la moneta dell’imperatore Adriano rinvenuta in una muratura, si sviluppava su due ordini
sovrapposti: la sobria struttura in laterizio, che presentava all’esterno un porticato di 60 arcate,
doveva risultare di grande effetto specie per chi giungeva dal mare.
Quando nel III secolo, per fronteggiare la calata dei barbari, la Città si dotò di una nuova cinta
difensiva, l'anello esterno dell'Anfiteatro fu inglobato nel circuito murario. Persa la funzione
originaria, venne nel corso del Medioevo adibito ad orti; nel 1600 vi sorgeva un lazzaretto,
collegato alla Chiesa e Monastero di Santa Maria in Turre Muro. Vicende che ne hanno occultato la
memoria fino a quando, nell'Ottocento, Luigi Tonini riportò alla luce parte delle strutture. Rimane
tuttora interrato il settore sud-occidentale su cui, dal dopoguerra, insiste il Centro Educativo Italo
Svizzero.
11. Chiesa dei Santi Bartolomeo e Marino
La chiesa, nota ai Riminesi come Santa Rita dall’immagine che vi è venerata, si deve nelle forme
attuali ai Canonici Regolari Lateranensi che vi si insediarono nel 1464. Alla loro intraprendenza si
riconduce anche l’apertura della “strada nuova”, che legava il complesso ecclesiastico al cuore della
città.
Tracce dell’ impianto originario, che risalirebbe al XIII secolo, si possono cogliere all’esterno della
chiesa, anticamente affiancata da un monastero; questo si sviluppava intorno al chiostro che,
colpito dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, ancor oggi conserva parti del XV
secolo.
All'interno si ammirano pregevoli opere del tardo Cinquecento: scene della vita di San Marino
dipinte sulle tele dal marchigiano Giorgio Picchi e negli affreschi delle volte, assegnati ora allo
stesso Picchi ora al bolognese Bartolomeo Cesi e il San Michele Arcangelo che vince il demonio,
del locale Giovanni Laurentini detto l’Arrigoni. Ad uno scultore tedesco del primo Cinquecento, è
attribuito il notevole Crocifisso ligneo posto sopra uno degli altari laterali.
Il gruppo scultoreo in gesso dalle forme baroccheggianti di Antonio Trentanove, ricorda il passaggio
del papa Pio VI a Rimini nel 1784.
Raro esempio dell’arte dell’intarsio è lo splendido coro ligneo della fine del XV secolo, composto
da 22 seggi in noce, opera di maestranze di origine veneta o modenese; sugli schienali, ripartiti in
due registri, sono rappresentati scorci cittadini, forse della Rimini del tempo, e deliziose nature
morte.
12. Arco d'Augusto
L’ Arco, il più antico conservato nell'Italia settentrionale. segna l'ingresso alla Città, per chi proviene
dalla Flaminia, la via tracciata dal console Flaminio nel 220 a.C. per collegare Roma a Rimini.
Eretto nel 27 a.C. come porta onoraria, esprime la volontà del Senato di celebrare la figura di
Ottaviano Augusto, così come manifestato dall'iscrizione posta sopra l'arcata. Il monumento si
inseriva nella cinta muraria più antica, della quale, ai suoi lati, sono visibili i resti, in blocchi di
pietra locale. Oggi si presenta isolato, in seguito all'intervento di demolizione dei corpi adiacenti
eseguito negli anni '30.
La costruzione originaria inglobata in due torri poligonali di cui rimangono poche tracce, era
sormontata da un attico che doveva completarsi con una statua dell'imperatore a cavallo o su di una
quadriga: la sommità, forse crollata per i terremoti, nel Medioevo venne orlata da una merlatura.
L'architettura è esaltata da un ricco apparato decorativo carico di significati politici e
propagandistici: un'apertura talmente ampia da non poter essere chiusa da porte, ricordava la pace
raggiunta dopo un lungo periodo di guerre civili; le divinità rappresentate nei tondi (Giove e Apollo
nel lato esterno, Nettuno e Roma verso la città) richiamavano la grandezza di Roma e la potenza di
Augusto. L'intera struttura è permeata da un forte carattere religioso che sottolinea l'aspetto sacrale
di porta della città.
L'arco e il ponte cosiddetto di Tiberio, realizzati nell'ambito di un più generale programma
urbanistico promosso da Augusto, sono sempre stati assunti come simboli della Città fin dal
Medioevo.
13. Foro - Piazza Tre Martiri - resti archeologici
La piazza ricalca parte del foro di Ariminum, colonia romana fondata nel 268 a.C.: posto alla
confluenza delle due strade principali, il cardo e il decumano, l’antico impianto, più ampio e
dilatato fino alla via San Michelino in foro, era lastricato con grandi pietre rettangolari, ora in parte
visibili attraverso aperture recintate.
Statue onorarie e pregevoli architetture creavano una suggestiva scenografia alla vita della piazza.
Un basamento in pietra doveva sorreggere un arco che enfatizzava l’accesso orientale al foro,
sbarrando forse il traffico veicolare. Un cippo cinquecentesco ricorda il discorso che Giulio Cesare
avrebbe rivolto alle legioni dopo il passaggio del Rubicone: in sua memoria la piazza, che già ne
portò il nome, ospita una statua bronzea, copia di un originale romano. Dall’età tardo antica, nel lato
a mare, si insediarono le chiese di San Michele, di Sant' Innocenza e San Giorgio, oggi distrutte.
Nel Medioevo la piazza, oramai in secondo piano rispetto a quella del Comune, fu luogo di mercati:
attraverso la via dei Magnani (ora via Garibaldi), segnata da un arco fra la cortina delle abitazioni,
giungevano i prodotti dal contado. Sotto i portici si aprivano le beccherie, botteghe per la vendita
della carne.
La piazza fu inoltre teatro di giostre, tornei cavallereschi, manifestazioni e cerimonie pubbliche
legate anche alla famiglia Malatesta. Qui si concludeva ogni anno il palio di San Giuliano che,
partito dal borgo, godeva di grande partecipazione popolare.
Capitelli gotici e rinascimentali ornano il portico sul lato monte della piazza.
Agli inizi del Cinquecento, fu edificato il Tempietto dedicato a Sant'Antonio da Padova in ricordo
del miracolo che, nel XIII secolo, rese una mula devota all’ostia consacrata. Ricostruito nel XVII
secolo, ha mutato l’aspetto originale per i vari restauri. Dietro il tempietto i Minimi di San
Francesco di Paola fondarono, agli inizi del Seicento, un luogo di culto, riedificato nel 1729: qui,
dal 1963, sorge la chiesa dei Paolotti.
Nel 1547 si costruì l'isolato con la Torre dell'Orologio, che diede alla piazza la forma e le
dimensioni attuali, con edifici porticati al posto delle antiche beccherie. Su progetto di Francesco
Buonamici la torre, nel 1759, subì un rifacimento. Con il terremoto del 1875, la parte superiore
venne demolita. Oltre all’orologio, dal 1750 reca un quadrante con calendario, movimenti zodiacali
e fasi lunari.
Luogo di mercati e quindi salotto della vita cittadina, la piazza si presenta oggi nell’arredo urbano
eseguito nel 2000, teso a valorizzare l’antico impianto e i segni della memoria.
A farle da cornice, antichi edifici quali palazzo Tingoli, ora sede del Credito Italiano: risalente al
XVIII secolo, fu ricostruito e modificato a seguito dei pesanti danni della seconda guerra mondiale.
Demolito l’arco dei Magnani nel 1921, si ruppe la continuità dello sfondo edilizio sul lato
meridionale.
La storia più recente lega la piazza ai tragici eventi bellici: ne consegna il ricordo il Monumento ai
Caduti e il nome stesso della piazza, intitolata ai tre martiri partigiani impiccati il 16 agosto 1944
nel punto ora contrassegnato da un inserto di marmo.
14. Porta Montanara
La costruzione della porta Montanara, detta anche di Sant'Andrea, risale al I secolo a.C. e si
inserisce in un organico programma di riassetto del sistema difensivo cittadino, attribuito a Silla. La
porta rientrerebbe nell’ambito delle ricostruzioni che, nei primi decenni del secolo, seguirono alle
rappresaglie nei confronti della città, già sostenitrice di Mario, suo avversario nella guerra civile.
L’arco a tutto sesto, in blocchi di arenaria, costituiva una delle due aperture della porta che
consentiva l’accesso alla città per chi proveniva dai colli lungo la via aretina, percorrendo la valle
del Marecchia. Il doppio fornice agevolava la viabilità, incanalando in passaggi paralleli, il percorso
in uscita da Ariminum, attraverso il cardo massimo, e quello in entrata. Indagini archeologiche
hanno appurato l’esistenza di un’ampia corte di guardia con una controporta interna, a conferma
della complessità del sistema difensivo. Già nei primi secoli d.C., l’arco volto a Nord venne
tamponato: la porta, così ridimensionata ad un solo fornice, continuò a segnare l’ingresso alla città
fino alla seconda guerra mondiale.
Al termine del conflitto, nella convulsa fase ricostruttiva, il monumento fu distrutto nella parte
rimasta in vista per tanti secoli, mentre fu recuperata la parte occultata nelle murature delle case
adiacenti. L’arco “riscoperto” venne rimontato dopo varie vicessitudini lontano dal luogo originario,
a fianco del Tempio Malatestiano, prima di essere ricomposto nella zona originaria.
15. Chiesa di San Giovanni Evangelista
L’imponente chiesa edificata dai monaci Agostiniani alla fine del XIII secolo, era ad aula
rettangolare con copertura a capriate; sul fondo si apriva una grande abside affiancata da due
cappelle, una delle quali costituiva la base del campanile. La facciata è oggi profondamente
rimaneggiata dagli interventi settecenteschi che hanno alterato anche la fisionomia degli interni; ma
le fiancate, scandite da sottili lesene, con la zona absidale e lo svettante campanile costituiscono una
testimonianza dell'architettura religiosa gotica a Rimini.
L'apparato decorativo dei primi del '300, giuntoci in parte, si compone di cicli di affreschi e di un
grande Crocifisso ligneo: nel campanile si ammirano le Storie della Vergine e, alle pareti
dell’abside, Cristo, Madonna in Maestà, Noli me tangere, le Storie di San Giovanni Evangelista.
Nella fabbrica di Sant'Agostino sembra abbiano iniziato il loro prestigioso cammino pittori cui si
deve la fama della Scuola del Trecento riminese, quali i fratelli Giovanni, Giuliano e Zangulus.
La pittura trecentesca fu celata da interventi successivi finchè, nel 1916 un forte terremoto ne rivelò
la presenza. Soltanto nel 1926 si potè procedere allo strappo e al restauro del maestoso Giudizio
universale dipinto sull’arco trionfale, ora al Museo della Città.
Con la ristrutturazione settecentesca, la chiesa si arricchì di notevoli opere tra cui gli stucchi
barocchi a soffitto di Ferdinando Bibiena e gli affreschi di Vittorio Maria Bigari.
Del grande Convento sorto a fianco della Chiesa e che sappiamo avere ospitato una importante
Biblioteca ed un famoso Studio con annesso Collegio, non restano che deboli tracce incorporate
nella struttura settecentesca, realizzata su progetto del cesenate Giuseppe Achilli, a seguito del
disastroso terremoto del 1786.
Soppresso nel 1798 al passaggio delle truppe francesi, il convento si caratterizza per le ampie
dimensioni, la sobrietà delle architetture e l’equilibrio delle proporzioni, la presenza di grandi aree
cortilizie.
16. Castel Sismondo
La residenza-fortezza di Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di Rimini dal 1432 al 1468,
coniugava l'intento celebrativo con l’esigenza difensiva. La demolizione degli edifici fra il Castello
e la piazza comunale ne accentuò la posizione dominante e la mole malatestiana primeggiò sulle
sedi del potere civile e religioso.
La fortezza si imponeva per la possenza di torri e mura munite di scarpate, per l'ampio fossato, per
la grandiosità del mastio che, intonacato di bianco, si stagliava contro il rosso della torre d'ingresso.
L’apparato difensivo, approntato con la consulenza di Filippo Brunelleschi, era dotato di bocche da
fuoco.
Il castello, come evidenziato dai restauri, inglobava le mura romane con torri, la medievale porta del
Gattolo, il nucleo delle case e dei palazzi malatestiani. Sigismondo tuttavia nell'iscrizione sul
portale d'ingresso rivendica a sé la costruzione ex fundamentis. I lavori, iniziati nel 1437, si
protrassero per circa 15 anni, anche se dal 1446 la residenza risulta abitata.
Oggi non resta che il nucleo centrale della costruzione originaria rappresentata nelle medaglie di
Sigismondo e nell'affresco di Piero della Francesca nel Tempio. Il portale d'ingresso è tuttora
sormontato da un'iscrizione e dallo stemma con l'elefante, la rosa e la scacchiera, simboli della
Famiglia.
Divenuto fortezza pontificia, dal XVII secolo subì profonde modifiche: l’abbattimento della cinta
muraria, il riempimento del fossato e lo spoglio degli arredi. Carcere dal XIX secolo fino al 1967,
dagli anni ’70 è interessato da un complesso lavoro di restauro, su progetto dell'architetto Carla
Tomasini Pietramellara, sostenuto, nell'ultima fase, dalla Fondazione CARIM.
17. Resti della Cattedrale di Santa Colomba
La tradizione, non suffragata da testimonianze, vuole che la chiesa, edificata nei pressi delle mura
romane nel cuore della città medievale, fosse sorta sulle rovine di un tempio pagano.
Si è ipotizzato che l’edificio, noto alle fonti dal 1015, avesse una struttura a basilica, sul modello
diffuso a Ravenna fra V e VI secolo, a tre navate ed abside rivolta canonicamente ad Est, verso la
città: orientamento che la chiesa, pur avendo nel tempo subito profonde trasformazioni, modificò
soltanto nel XVII secolo, venendo ad affacciarsi sulla piazza.
Tuttavia gli scavi archeologici eseguiti agli inizi degli anni ’90, riferiscono la fase più arcaica della
costruzione all’altomedioevo, periodo in cui si data, fra l’altro, un bellissimo capitello marmoreo
decorato a bassorilievo.
Dedicata in origine forse allo Spirito Santo in forma di colomba, con la consacrazione a cattedrale
(1154) la chiesa fu anche intitolata a Santa Colomba, la giovane spagnola martirizzata a Sens, in
Francia, per volontà dell’imperatore Aureliano, le cui reliquie, a bordo di navi mercantili francesi in
viaggio nell’Adriatico, sarebbero approdate per un naufragio proprio a Rimini, ove furono a lungo
venerate.
Sede anche del parlamento comunale fino al 1204, fu cattedrale di Rimini finchè, nel 1798, cedette
il titolo prima alla chiesa di Sant’Agostino e, dal 1809, al Tempio Malatestiano.
Della chiesa, abbattuta nel 1815, non restano che il campanile del XIII-XIV secolo, assai
rimaneggiato, ed alcune vestigia conservate in loco, al Tempio Malatestiano e nel Museo della Città.
8. Piazza Cavour
La piazza, forse tardoromana, assunse dal Medioevo un ruolo primario. Diverso lo scenario, chiuso
a mare dalla Chiesa di S. Silvestro, aperto a monte verso la Cattedrale. Qui sorse nel 1204 il palazzo
dell'Arengo: sotto l’ampio portico si amministrava la giustizia, nell'immensa sala al primo piano,
con finestre a polifora, si riuniva l’Assemblea del Comune. Nel XIV secolo fu eretta al suo fianco
la residenza per il Podestà: il piano terra doveva aprirsi in un loggiato. L'ingresso, sul lato corto, era
sottolineato dall’arco con i simboli dei nuovi Signori, i Malatesta. Fulcro della piazza, la fontana
richiamava venditori, mercanti, viaggiatori. Le forme medievali compaiono nel ritratto della città
nel Tempio Malatestiano. La fontana, ammirata e citata da Leonardo da Vinci l'8 agosto del 1502, fu
ristrutturata nel 1543 continuando ad essere punto focale della piazza: sulla sommità si trovava una
statua di San Paolo, sostituita nell'Ottocento dalla Pigna che dà il nome al monumento. Alla fine del
1500 iniziarono i lavori per l’edificio noto come palazzo Garampi, ora Residenza comunale: per
dare unità alle sedi del potere civile, si abbattè la chiesa di San Silvestro, fra la piazza e la "via
maestra" (c.so d'Augusto), mentre il lato a monte venne chiuso dal fabbricato dei Forni pubblici.
Questo fu sostituito dal teatro "Vittorio Emanuele II", oggi "Amintore Galli", realizzato fra il 1843 e
il 1856 su progetto di Luigi Poletti, architetto di fama che tradusse in forme neoclassiche
monumentali e fastose, l'affermazione del potere e le ambizioni della classe dirigente. Ad
inaugurarlo nel 1857 fu l'Aroldo di Giuseppe Verdi. Il teatro fu gravemente danneggiato durante
l'ultimo conflitto mondiale. Al centro si erge, dal 1614, la Statua del Papa Paolo V, atto di deferenza
della città. La Pescheria, inaugurata nel 1747 su progetto di Francesco Buonamici, riflette
l'importanza economica della pesca. Il terremoto del 1916 apportò gravi danni ai palazzi comunali,
svelando le tracce delle strutture medievali. Fu l’occasione per avviare un restauro che si tradusse in
una ricostruzione secondo modelli neomedievali. Eseguiti fra il 1919 ed il 1925 da Gaspare Rastelli,
i lavori, che riscossero grandi consensi presso l’opinione pubblica, ridisegnarono lo sfondo della
piazza nelle forme attuali.
19. Chiesa di Santa Maria dei Servi
Agli inizi del XIV secolo la famiglia Malatesta dona alcune proprietà all’interno della città di
Rimini ai Servi di Maria che vi costruiscono una prima cappella. Pochi anni dopo i frati decidono di
ampliare la propria chiesa costruendone una maggiore, della quale oggi si può osservare il fianco
lungo il Corso d’Augusto. La chiesa era ad unica navata, all’interno si trovavano numerosi altari ed
opere d’arte, la zona absidale era caratterizzata da tre cappelle con quella centrale di dimensioni
maggiori. La cappella laterale destra era stata fatta costruire dalla nobile famiglia degli Agolanti,
alla quale si deve lo stemma in una lesena sul fianco della chiesa, della metà del Trecento. Fra il
1774 e il 1777 la chiesa ed il convento vennero rinnovati su disegno dell’architetto bolognese
Gaetano Stegani (1678-1777); collaborò come stuccatore e plasticista il riminese Antonio
Trentanove. Nel 1798 l'Ordine dei Serviti fu soppresso, e il convento passò ai Domenicani che
erano stati allontanati dal loro convento di San Cataldo. I Domenicani vi portarono numerose opere
d’arte appartenenti alla loro precedente sede ma vennero revocati nel 1799. Dal 1806 la chiesa è
divenuta parrocchiale di Santa Maria in Corte.Nel 1885 il parroco don Ugo Maccolini istituì la Pia
Opera del Rosario e grazie ai fondi raccolti con essa, poté ricostruire la facciata della chiesa
realizzata nel 1894 su disegno dell’ing. Giuseppe Urbani (1861-1937), riedificare la parte superiore
del campanile e decorare l’interno della chiesa con dorature realizzate dal bolognese Luigi
Samoggia.
20. Chiesa di San Giuliano
La chiesa, intitolata dal XIII secolo a San Giuliano, rappresenta il fulcro dell’antico borgo cresciuto,
fin dall’età romana, lungo il primo tratto della via Emilia. La vicinanza del tracciato stradale fu
determinante anche per la costruzione del complesso ecclesiastico benedettino, noto dal IX secolo e
dedicato in origine ai Santi Pietro e Paolo. Il monastero e la chiesa, fra i più importanti della città
comunale, subirono numerosi rifacimenti; intorno alla metà del Cinquecento, la medievale chiesa a
tre navate con cripta, fu ricostruita nelle forme attuali. Anche il monastero fu interessato dagli
interventi cinquecenteschi: gli scavi archeologici hanno portato in luce resti del portico e della
pavimentazione del chiostro, tuttora visibili nell’annesso Cinema Tiberio, insieme ad alcune
sepolture della necropoli che occupò il sito dall’età tardoantica. Al centro del cortile era un pozzo
monumentale in pietra d’Istria, opera di uno scultore veneto del XVI secolo: attualmente, al Museo
della Città, ne è esposto l’architrave con scolpiti i Santi Pietro e Giuliano.
La chiesa racchiude, oltre ad opere di scuola veneta, il quattrocentesco polittico di Bittino da Faenza
con le Storie di San Giuliano, nella terza cappella a sinistra, e la pala di Paolo Veronese, raffigurante
il martirio del Santo, concepita come una scena teatrale di grande coinvolgimento emotivo.
Sull’altare maggiore, entro un’architettura di gusto palladiano, la grande tela sovrasta il sarcofago
marmoreo di età romana che, secondo la leggenda, sarebbe approdato dalla Dalmazia con le spoglie
del martire.
21. Porta Galliana
Questa porta cittadina fu costruita nel Duecento a collegamento della città con la zona del porto
lungo il fiume Marecchia. Era parte della cinta muraria difensiva dovuta all’ampliamento della città
in epoca federiciana (sec. XIII). Sostituì un’altra porta spostata leggermente più all’interno della
città.
Nel XV secolo fu restaurata dal signore di Rimini, Sigismondo Pandolfo Malatesta (1417-1468): lo
si desume dal fatto che agli inizi del XX secolo in alcuni scavi fu ritrovato un deposito di medaglie
malatestiane impiegate dallo stesso Sigismondo per indicare le opere da lui realizzate o ristrutturate.
Dal bassorilievo di Agostino di Duccio (databile fra il 1449 e il 1455) conservato nella cappella dei
segni zodiacali nel Tempio Malatestiano, possiamo intuire come si presentasse la porta nel
Quattrocento. Non è un caso che lo scultore la rappresenti in primo piano: si trattava infatti di
un’opera sigismondea.
Nel XVI secolo la porta fu chiusa e sostituita con un torrione che nel Settecento risulta essere
chiamato “Torrione dei Cavalieri”.
Recenti indagini archeologiche hanno dimostrato che al centro dell’arco passa un condotto fognario
moderno (cinque-seicentesco).
22. Grand Hotel - Piazzale Fellini
Dal 1908 il “grandioso albergo” voluto dalla Società Milanese Alberghi Ristoranti e Affini e dal
Comune, fu il simbolo della Rimini sofisticata della Belle Époque. L’architetto Paolito Somazzi lo
progettò su quattro piani con oltre 200 camere, terrazze, saloni, giardini e negozi. Fra gli ospiti
erano nobili e celebrità. Un incendio, nel 1920, distrusse le due cupole orientaleggianti che lo
coronavano. Con i restauri dei primi anni Trenta, riprese l’antico splendore fra feste e mondanità.
Dopo l’occupazione e i saccheggi della guerra, rischiò di essere abbattuto come simbolo del potere
borghese. Sorte che toccò nel 1948 al vicino Kursaal, il grandioso stabilimento balneare che segnò,
con la sua costruzione nel 1873, la nascita della Rimini turistica. Opera dell’architetto Gaetano
Urbani, constava di due piani, con sale per intrattenimenti e spettacoli; verso la città la gradinata e il
colonnato richiamavano il teatro del Poletti, mentre il prospetto a mare si apriva in suggestive
terrazze. Modificato agli inizi del Novecento e negli anni Trenta, continuò ad ospitare serate di gala
per l’alta società e l’annuale Gran Ballo della Stampa cui partecipavano personaggi noti del
Regime.
Nel piazzale antistante lo Stabilimento fu inaugurata, nel 1928, la Fontana dei quattro cavalli, opera
del riminese Filogenio Fabbri, forse ideata da Gaspare Rastelli. La volontà demolitrice che abbattè
il Kursaal, non risparmiò la Fontana, rimossa nel 1954. Alla tenacia di Umberto Bartolani si deve il
suo ripristino nel 1983 ed il recupero dei cavalli, già collocati nel parco Marecchia.