LA PROTEZIONE DEI SOGGETTI FRAGILI NELL`ORDINAMENTO

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LA PROTEZIONE DEI SOGGETTI FRAGILI NELL`ORDINAMENTO
LA PROTEZIONE DEI SOGGETTI FRAGILI NELL’ORDINAMENTO
SPAGNOLO: ASPETTI PERSONALI E PATRIMONIALI
Eva María Martín Azcano
Profesora de Derecho civil
Universidad Rey Juan Carlos
Madrid
Per quanto riguarda la tutela dei soggetti fragili, la legge spagnola non è rimasta
estranea al processo di rinnovo avvenuto negli ultimi anni nei diversi sistemi europei.
L’interdizione è, per antonomasia, l’istituzione di tutela che costituisce uno
status della persona fisica, la quale soffre le conseguenze della propria incapacità di
svolgere le proprie azioni. Essa riguarda la sua capacità di agire e richiede che essa
venga sottomessa ad un regime di sorveglianza.
In Spagna, la capacità di agire di un individuo può essere limitata unicamente da
una sentenza nel caso in cui esista una malattia o una deficienza persistente a carattere
fisico o psichico che impedisca all’individuo di autogestirsi. A tale scopo, disponiamo
di una procedura, chiamata “incapacitación”, meno restrittiva dell’interdizione italiana,
almeno in teoria.
In questo caso, la prima modifica di rilievo è stata fatta dalla legge 13/1983, del
24 ottobre, retifica del codice civile in materia di tutela, che ha dato un primo passo
verso lo snellimento del rigido sistema di salvaguardia degli interdetti che era regolato
dal codice civile spagnolo del 1889, adattandolo ai criteri stabiliti dalla costituzione
spagnola del 1978 che invocava una protezione che non attentasse contro la dignità e i
diritti inviolabili delle persone vulnerabili e ne difendeva il libero sviluppo della loro
personalità (art. 10.1 e 49 CE).
L’apporto principale dato dalla Legge 13/1983 è stata la sostituzione del rigido
sistema di interdizione ereditato dal Codice napoleonico – che contemplava identici
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effetti per ogni interdetto, indipendentemente dal loro grado di discernimento – con un
altro sistema che consentiva di adattare l’estensione dell’interdizione alle specifiche
necessità della persona interessata. Da quel momento, nel nostro ordinamento, la
sentenza deve determinare in modo esplicito quali sono i limiti dell’incapacità, in
funzione delle concrete necessità della persona. Per cui, si afferma che ogni sentenza
deve essere “come un guanto” (o come dite voi un “abito su misura”). Ovvero, deve
essere disegnata specificamente per la persona interessata, e deve restringere al minimo
imprescindibile le limitazioni della propria capacità di agire.
È chiaro che la mancanza di capacità di provvedere a se stessi deve essere
completata e coadiuvata da un’altra persona. Quando si riconosce che non tutti gli
interdetti presentano le stesse limitazioni, si arriva alla conclusione che ogni interdetto
avrà bisogno di un sistema diverso di protezione. Per tale ragione, a partire dalla Legge
13/1983, la tutela non rappresenta più l’unico strumento di salvaguardia possibile.
Assieme al tutore appaiono altri organi di protezione: il curatore e il difensore
giudiziario.
Cosí, se un individuo non è in grado di autogestirsi, gli verrà nominato un tutore
che potrà effettuare a nome del interdetto qualsiasi tipo di atto, meno quelli che
l’interessato potrà realizzare da solo, sia per disposizione espressa dalla sentenza di
interdizione o dalla Legge. Per quanto riguarda quest’ultimo punto, va considerato che
il sistema giuridico spagnolo consente agli interdetti di effettuare per proprio conto un
buon numero di atti. Si citano, ad esempio: acquisire il possesso dei beni, accettare
donazioni non condizionali, contrarre matrimonio, redigere testamento, riconoscere i
figli naturali e redigere capitolazioni matrimoniali.
In caso contrario, se la persona non è del tutto incapace di provvedere a se stessa
e ai propri interessi, verrà nominato un curatore che non sostituirà la volontà
dell’incapace ma la completerà, rafforzando, controllando e orientando la sua capacità,
pertanto la sua funzione non sarà quella di rappresentare la persona ma di assisterla e
proteggerla in quegli atti espressamente imposti dalla sentenza.
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Per finiré, il difensore giudiziario assumerà temporalmente la rappresentanza e la
difesa degli interessi degli interdetti nel caso in cui esista un conflitto di interessi con il
proprio tutore o curatore, o quando essi non svolgano le loro funzioni.
Ovviamente, ognuna di queste figure agirà negli interessi del soggetto fragile e
sotto la sorveglianza del Pubblico Ministero e del Giudice.
Inoltre, se la propria situazione personale dovesse mutare, la sentenza può essere
modificata ad ogni istante attraverso una nuova procedura che la adatti al nuovo
panorama o che, direttamente, la sospenda.
Senza dubbio, anche se la Legge del 1983 ha migliorato la protezione delle
persone prive di autonomía, essa presenta alcune lacune. La più discussa è stata la
mancanza di coraggio da parte del legislatore di dare protagonismo all’interdetto circa la
scelta delle misure da applicare. Inoltre, il contenuto della legge non prevedeva nessuna
misura di protezione per coloro che, pur presentando limitazioni degne di uno speciale
riguardo, non avevano bisogno di essere interdette (ad esempio quelli che avevano
soltanto una disabilità física) o che, semplicemente, non erano stati interdetti.
Alcune di queste lacune sono state sanate approvando la Legge 41/2003, del 18
novembre. Essa introduceva l’autonomia della volontà in questa materia, attraverso la
autointerdizione cioè la possibilità che sia lo stesso interessato a richiedere la propria
interdizione e l’autotutela. Ciò implica, in caso di interdizione, che il giudice nominerà
come tutore o curatore la persona prescelta dall’interessato,
Contemporaneamente, la legge aveva introdotto nel nostro diritto le procure
preventive, stabilendo che “ogni persona che sia in grado di gestirsi in modo sufficiente,
in vista di una sua probabile e futura interdizione, potrà adottare tramite documento
notarile tutte le disposizioni inerenti alla propria persona e ai propri beni” (art. 223, pº
2º, C.c.).
Inoltre, la legge 41/2003 introduce il concetto di disabilità nel Diritto privato
spagnolo. Dopo l’approvazione della nostra Costituzione, l’articolo 49 esige che i poteri
pubblici garantiscano la salvaguardia delle persone disabili, sono state elaborate svariate
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norme di Diritto pubblico per soddisfare le necessità dei disabili, attraverso l’erogazione
di prestazioni economiche e di servizi sociali d’assistenza e di riabilitazione. Tuttavia,
l’unica protezione che le persone disabili potevano ricevere dal Diritto privato era solo
quella derivata dall’interdizione, e ciò significava che quando non c’era causa di
interdizione, oppure c’era ma non c’era stata sentenza, queste persone restavano escluse
da qualsiasi protezione di diritto privato, il che preoccupava gli interessati e le loro
famiglie, specialmente dal punto di vista patrimoniale, perchè mancavano strumenti che
permettessero di ricorrere ed organizzare le risorse private per garantire il sostentamento
economico dei disabili, soprattutto per il “dopo di noi”. Non va dimenticato, che tali
persone di solito richiedono cure speciali (tante volte costosissime), che solitamente
hanno maggiori difficoltà per soddisfare le loro proprie necessità rispetto a qualsiasi
altro individuo e che, considerato il progressivo incremento delle persone disabili,
dovuto, fra altri problemi, all’invecchiamento della popolazione spagnola, si prevede
che tra pochi anni le risorse pubbliche saranno insufficienti.
Con l’idea di porre fine a questo vuoto normativo, la legge 41/2003 modifica
diversi istituti civili per potenziare gli strumenti giuridici con cui è possibile vincolare i
beni privati per soddisfare le necessità delle persone disabili; p.e., viene accettato il
gravame della legittima a favore di un discedente interdetto giudizialmente tramite una
sostituzione fideicomisaria (arts. 782 e 808, paragrafo 3º, C.c.); si regola il legato legale
di diritto d’abitazione a favore della persona disabile (art. 822 C.c.); si regola il
contratto degli alimenti (arts. da 1.791 a 1.797 C.c.), etc.
Essa crea anche uno strumento per gestire in modo produttivo tali risorse: il
patrimonio protetto delle persone disabili. Esso costituisce un insieme patrimoniale
privo di personalità giuridica, immeditamente vincolato a soddisfare le necessità vitali
di una persona disabile, che perciò rimane separato dal resto del patrimonio della
persona interessata ed è sottoposto ad un regime d’amministrazione e di supervisione
specifica. Si tratta di un patrimonio autonomo che coesiste con quello personale del
titolare e che non viene con esso confuso, per un periodo di tempo indeterminato
(durante la vita del titolare o durante il periodo in cui lui sia ritenuto persona disabile).
Trascorso tale periodo, il patrimonio dovrà reintegrarsi nuovamente nel patrimonio
generale o nell’eredità del beneficiario.
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Poi, la Legge 39/2006, nota come “Ley de Dependencia”, si è occupata delle
necessità delle persone non autosufficienti, cioè di quei soggetti che richiedono un
sostegno, per motivi di impossibilità derivanti dall’età, da una patologia invalidante o da
una congenita condizione di invalidità, per esercitare le attività della vita quotidiana.
Questa legge crea un sistema pubblico di assistenza per le persone dipendenti (chiamato
Sistema per l’autonomia e l’attenzione alle persone dipendenti) e prevede due tipi di
sostegni: a)prestazione di servizi a loro favore; b) riconoscimenti economici. Il primo
contempla i servizi relativi alla prevenzione di situazioni di non indipendenza
stimolando l’autonomia personale, la teleassitenza, l’aiuto a domicilio per fabbisogni
domestici, le strutture specializzate per i non indipendenti, diurne e notturne,
l’assistenza continua nelle case di accoglienza e gli aiuti tecnici per adattare e rendere
accessibili i propri domicili. Nell’ipotesi in cui non sia possibile assicurare direttamente
il servizio da parte dell'Amministrazione o di un centro parastatale, alla persona
interessata verrà corrisposta periodicamente una prestazione economica compensativa.
Inoltre, vengono corrisposti aiuti economici ai badanti non professionisti, o badanti
informali cioè ai caregiver. La possibilità di poter rientrare nei casi previsti dalla Legge
è stabilita secondo il “grado” di dipendenza e delle condizioni economiche del soggetto
beneficiario (concretamente, dall’entrata in vigore della legge essi avevano diritto a
percepire un riconoscimento mensile a copertura previdenziale).
Con l’entrata in vigore della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle
persone disabili – 3 maggio 2008 -, un importante settore dottrinale e privato ha messo
in discussione la coerenza del nostro sistema rispetto alla norma in argomento.
In sostanza, secondo tale interpretazione, mentre la Convenzione dichiara che i
disabili hanno diritto al riconoscimento della propria personalità giuridica e che sono
uguali a qualsiasi altra persona, il nostro sistema di interdizione implica una limitazione
eccessiva, a volte assoluta, della capacità di agire e suppone in pratica un modello di
sostituzione nel prendere decisioni, il che rappresenta negare la dignità dell’interdetto.
Inoltre, l’interdizione rappresenta una chiara violazione del principio di uguaglianza in
quanto suppone dare a quelli che non hanno capacità un trattamento diverso rispetto a
quelli che invece sì l’hanno. Pertanto, coloro che difendono tale interpretazione
ritengono imprescindibile riformare l’attuale sistema e adottare un nuovo strumento.
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A questo propósito, la nostra Corte di Cassazione ha dichiarato che nel sistema
spagnolo non si discute la qualità di persona dell’interdetto e che interdire è soltanto un
modo di protezione contro le limitazioni esistenziali dell’individuo. Tutte le persone,
per il solo fatto di essere nate, sono titolari di diritti fondamentali indipendentemente dal
loro stato di salute fisica o psichica. Pertanto l’interdizione, come nel caso della minore
età, non cambia la titolarità dei diritti fondamentali bensì ne condiziona il modo di
esercitarli.
Aggiunge che l’interdizione neppure costituisce una misura discriminatoria: le
persone che potrebbero venire interdette presentano una situazione specifica per cui
adottare misure speciali si considera pienamente giustificato vista la necessità di
protezione degli interessati.
Inoltre, la Cassazione ritiene che anche le altre questioni stabilite dalla
Convenzione vengano rispettate dal sistema spagnolo:
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Come si è visto, in Spagna, la capacità di agire di un individuo non viene
annullata totalmente in nessun caso.
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Si ricorre all’intervento giudiziario per modificare la capacità e il giudice
controlla sempre le attività degli organi di appoggio.
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L’interdizione non è definitiva né immutabile.
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Le misure di appoggio si adattano alle situazioni specifiche di ogni
individuo. Per quelli che verranno interdetti disponiamo della tutela e della
curatela, che, a loro volta, possono adattarsi alle reali necessità
dell’interesato. Per coloro che non richiedono interdizione esistono misure di
protezione patrimoniale.
Pertanto, la nostra Cassazione ha considerato il sistema spagnolo pienamente
coerente ai principi emanati dalla Convenzione.
Ma ciò sta a significare che in Spagna tutto funzioni alla perfezione?
Purtroppo non è così. In primis, ci sono molte famiglie che non vogliono
ricorrere al processo di incapacità, prima di tutto per colpa dei lunghi tempi di
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esecuzione (si parla di 10 mesi nel migliore dei casi) e, poi, perchè esso rappresenta un
atto spiacevole di per sé (i familiari devono denunciare l’incapace e durante l’udienza
devono sedersi davanti all’ammalato come avviene per l’accusa nei processi penali
dichiarando in pubblico situazioni considerate penose e dolorose) il che lascia senza
protezione un gran numero di persone. Ad es., secondo l’AFAL (Asociación de
Familiares de Enfermos de Alzheimer), in Spagna, ci sono circa 800 mila colpiti dalla
demenza di Alzheimer che potrebbero venire interdetti. Fra questi, non più di 70.000
sono stati interdetti.
Infatti, nella maggior parte dei casi, si ricorre all’interdizione solo quando esiste
un ingente patrimonio. Questo avviene perchè si vuole proteggere il patrimonio anzichè
le persona.
Poi basta dare un’occhiata alle sentenze di interdizione per constatare che siamo
molto lontani dal concetto “dell’abito su misura”. Infatti, anche se in teoria la sentenza
d’interdizione dovrebbe prevedere soluzioni idonee alle reali circostanze e necessità
delle persone interessate, in pratica –nella maggior parte dei casi è da attribuirsi
all’insufficienza di tribunali specializzati-, nella maggioranza dei casi, i rimedi adottati
sono gli stessi nei casi di demenza, di squizzofrenia, oligofrenia, stati depressivi, ogni
genere di psicopatia, tossicodipendenza e alcoolismo.
Sulla stessa linea e non molto tempo fa, in tutte le sentenze di interdizione si
includeva – quasi per ragioni stilistiche - la privazione del diritto di voto. Ciò ha
costretto la nostra Corte di Cassazione ad affermare recentemente (STS 24/06/2013) che
“la perdita del diritto di voto non va considerata come una conseguenza automatica o
necessaria dell’interdizione, ma una possibilita e che, indipendentemente da essa,
l’interdetto conserverà questo diritto. Perchè una cosa è parlare di chi non è in grado né
di autogestirsi né di amministrare il proprio patrimonio, altra invece è se la stessa è
incapace di esercitarla in modo corretto”. Pertanto, sarà il giudice che “analizzerà e
valuterà la situazione della persona sottomessa al suo parere e si pronuncerà circa la
convenienza di negare l’esercizio di tale diritto fondamentale, che è regola e non
eccezione, a chi lo possa fare nonostante la propria situazione personale”.
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Credo anche che le alternative di appoggio (tutela o curatela) siano insufficienti.
Se viene nominato un tutore, la persona interessata non può più prendere decisioni in
quanto viene sostituita dal tutore. Ciò si contraddice con quanto sostenuto dalla
Convenzione del 2006. Inoltre, molte persone sono in grado di gestirsi quasi
completamente da sole per cui richiederebbero solo l’appoggio di un curatore ma, in
alcuni casi, hanno bisogno di essere sostituite. Nella fattispecie, visto che il curatore non
può sostituire, si finisce per nominare un tutore e ciò, in poche parole, indica che un
individuo non può eseguire neppure quello che è in grado di fare.
Come potrebbe risolversi questo vuoto? Secondo il mio punto di vista, ci sono
due possibilità: la prima è modificare le funzioni del tutore e del curatore, legittimandoli
in modo da assistere o sostituire la persona interessata in quegli atti segnalati dal
giudice. Oppure, introdurre una figura intermedia, simile al vostro amministratore di
sostegno.
Tuttavia, per il momento, non è prevista nessuna modifica legislativa al
proposito e comunque quanto esposto evidenzia che nessuna riforma legislativa avrà
successo se non verrà accompagnata dai mezzi giudiziari adeguati. Ad esempio,
bisognerebbe creare dei Tribunali specializzati in materia e dare il giusto appoggio
formativo ai giudici. Inoltre, essi dovrebbero contare su un gruppo di appoggio
multidisciplinario (dallo psichiatra all’assistente sociale) per prendere la decisione
adeguata.
Poi, se si considera l’attuale modo in cui vengono regolate, le procure preventive
non costituiscono un’ottima alternativa all’interdizione. Va tenuto presente che non è
previsto nessun meccanismo di supervisione dell’attività del mandatario e che quando
entrano in vigore, il mandante non sará in grado né di controllare il mandatario né di
revocare la procura a suo tempo concessagli.
Inoltre, per quanto riguarda alle misure patrimoniali, le riforme adottate risultano
insufficienti. La critica più frequente al patrimonio protetto è riferita all’assenza dei
limiti della responsabilità per debiti del titolare. La legge n. 41/2003 non prevede la
limitazione della responsabilità del patrimonio protetto con riguardo ai debiti assunti in
vista dei fini per il quale è stato costituito: conseguentemente risponderà totalmente
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delle obbligazioni contratte dal suo titolare. Per superare il problema, sarebbe stato
sufficiente che il legislatore spagnolo avesse stabilito un’eccezione all’art. 1911 del
codice civile come del resto è accaduto in altri casi (per esempio, i fondi pensione o le
rendite vitalizie che non rispondono dei debiti personali dei soggetti partecipi e dei
titolari). Un’alternativa diversa è invece quella adottata dalla legge catalana (la legge n.
25 del 29 luglio 2010, che ha approvato il Libro II del Codice civile della Catalogna),
che ha creato un patrimonio autonomo senza titolare sostanziale, la cui titolarità formale
viene assunta dall’amministratore affinché la possa esercitare a beneficio della persona
disabile. A questo problema va aggiunta la scarsità dei benefici fiscali.
Comunque, neppure la “Ley de Dependencia” risolve i problemi, soprattutto
dopo i tagli economici che ha sofferto il sistema. A partire dalla crisi, i requisiti per
accedere alla protezione sono diventati più stretti, si è ridotto il finanziamento destinato
agli aiuti ed è stata eliminata la copertura previdenziale che lo stato corrispondeva ai
caregiver.
Insomma, direi che siamo sulla retta via ma restano ancora molti chilometri da
percorrere.
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